Associazione con finalità di terrorismo internazionale. Requisiti minimi di partecipazione e struttura organizzativa
17 Ottobre 2018
Abstract
La sentenza della Cassazione penale, Sez. V, n. 50189/2017, ha richiamato alcuni importanti punti fermi in ordine ai requisiti minimi e caratteri dell'azione al fine di poter ritenere integrato il reato di cui all'art. 270-bis c.p., da sempre oggetto di dibattito e confronto. L'Autrice, grazie a una complessiva ricostruzione degli orientamenti interpretativi più recenti, analizza la questione ricollegandola alla riflessione relativa ai requisiti di tipicità della condotta di partecipazione integrante il reato di cui all'art. 270-bis c.p. In tale contesto si inserisce la successiva decisione n. 38208/2018 della Seconda Sezione della Corte di cassazione, con un quadro di sintesi e interpretativo che si propone come un vero e proprio vademecum sul tema per l'operatore di diritto.
Cass. pen., Sez. V, n. 50189/2017 affronta un ricorso proposto in materia cautelare avverso l'ordinanza del tribunale della libertà di Venezia, che ha rigettato l'istanza di riesame avverso l'ordinanza del Gip di Venezia, che aveva applicato nei confronti dei tre ricorrenti la misura cautelare della custodia in carcere per il reato di associazione con finalità di terrorismo ex art. 270-bis c.p. In Cass. pen., Sez. II, n. 38208/2018 il ricorso è invece stato proposto avverso la sentenza della Corte di assise di appello di Milano da due imputati condannati ex art. 270-bis c.p. La visione evolutiva ed innovativa della decisione n. 50189/2017
Il tema della connotazione della condotta rilevante per poter ritenere integrato il reato ex art. 270-bis c.p. è al centro della decisione della Sez. V penale che, con un approfondito sforzo ricostruttivo, riporta a sistema i diversi orientamenti e gli approdi interpretativi della giurisprudenza di legittimità in materia, per affermare e chiarire che proprio la ricorrenza di una condivisione e partecipazione di diversi soggetti quanto ai valori dell'integralismo religioso islamico rappresenta la base materiale sulla quale si incardina il sodalizio criminoso di cui all'art. 270-bis c.p. Il tema della portata del radicalismo religioso islamico, come base per l'associazione del singolo all'organizzazione criminale autoproclamatasi Is, è al centro anche della successiva decisione della Sez. II penale n. 38208/2018, che in modo ancora più esplicito sottolinea come la finalità del radicalismo religioso citato rappresenta l'essenza stessa del reato contestato, considerato che la finalità espressa di tale ideologia, e di coloro che vi aderiscono, è effettivamente quella di eliminare tutto ciò (persone, luoghi e cose) che si mostri contrario ai proprio affermati principi. Con il ricorso presentato dinnanzi alla Sez. V penale le difese degli imputati hanno contestato la ricostruzione effettuata e la rilevanza degli elementi considerati dal tribunale del riesame, escludendo la ricorrenza di un'effettiva gravità indiziaria in ordine alla reale partecipazione degli stessi a una associazione con finalità terroristiche. In particolare si è contestata la ricorrenza di elementi sufficienti a integrare una sia pur minima struttura organizzativa, concretamente operativa, che superi la soglia della mera adesione psicologica, in mancanza di qualsiasi reale suddivisione dei ruoli. La decisione della Sez. V richiama l'interpretazione progressiva della Corte di cassazione in ordine al reato di cui all'art. 270-bis c.p. in considerazione delle svariate modalità con le quali la condotta si può materializzare in concreto, integrando questa fattispecie di reato pacificamente ritenuta di pericolo presunto (Cass. pen., Sez. II, n. 24994/2006, Bouhrama, che ha precisato che proprio in considerazione della natura di reato di pericolo presunto non è necessario che abbia inizio la materiale esecuzione del programma criminale). A tal fine si è precisato che:
La decisione richiama quindi quegli orientamenti interpretativi che hanno chiarito come non possa bastare a integrare il reato una mera adesione psicologica a una ideologia seppur violenta, poiché occorre comunque una reale potenzialità offensiva che trova il proprio riscontro nella presenza di una struttura criminale che si prefigga oggettivamente la realizzazione di atti di violenza qualificati dalla finalità terroristica. Tuttavia, occorre considerare un passaggio fondamentale della motivazione che chiarisce che, seppure non possa rilevare la mera adesione psicologica a determinati valori, non può in alcun modo essere trascurato come l'integralismo islamico e l'adesione ai relativi valori rappresenti un elemento estremamente significativo e non sottovalutabile nella complessiva valutazione del giudice. Questo perché appunto l'adesione a tali valori, l'esclusività dei principi di riferimento, l'identificazione dei soggetti credenti in ruolo antagonista rispetto a coloro che sono ritenuti infedeli, può rappresentare un “collante fondamentale”, che aggiunto al vincolo associativo e agli elementi di riscontro esterni, che non possono mai mancare, è estremamente significativo nel concreto atteggiarsi della condotta integrante il reato di cui all'art. 270-bis c.p. Piena considerazione dunque, in questa decisione, del “collante fondamentale” rappresentato dall'adesione a un'ideologia religiosa estremista ed esclusiva, elemento questo da integrare nella valutazione del giudice con il riscontro di una serie di elementi materiali e di condotta minimi volti a concretizzare il reato contestato, sempre tenendo conto delle caratteristiche tipiche di tali associazioni (spontaneismo, flessibilità, rudimentalità) e anche delle modalità anomale ed innovative con le quali vengono perseguiti e spesso attuati attentati stragisti. Nell'interpretazione delle evidenze probatorie e degli indizi cautelari non si può dunque prescindere dalle caratterizzazioni di questo tipo di associazione, che non deve essere qualificata e interpretata secondo canoni e interpretazioni ordinarie e consolidate, proprio perché l'associazione utilizza e sfrutta cellule o gruppi minimali di combattimento, spesso in assenza di qualsiasi diretto contatto con soggetti che siano riconosciuti come componenti di base della associazione terroristica. Basandosi sulla complessiva ricostruzione degli orientamenti della giurisprudenza di legittimità la Corte ha dunque ritenuto affidabile e privo di vizi logici il percorso motivazionale del tribunale del riesame di Venezia, che partendo dall'accertato collegamento tra tre soggetti, costantemente in contatto tra loro, uniti da un fervente credo religioso in veste antioccidentale, con diversi ruoli operativi (reclutamento e proselitismo), guidati in particolare dal soggetto con funzione di leader religioso (anche all'esterno della cellula), sono stati ritenuti una vera e propria cellula operativa, connotata dalla piena adesione al Jihad (il martirio) allo scopo di porre in essere reali azioni terroristiche. La rilevanza indiziaria degli elementi acquisiti ha trovato una serie di elementi materiali e oggettivi di riscontro, che rappresentano il contraltare dell'accertata adesione al credo religioso antioccidentale ed estremista, e in particolare:
La lettura complessiva di tali elementi ha dunque portato al rigetto dei ricorsi presentati dagli imputati, nella ritenuta ricorrenza non solo di elementi indicativi e integranti la condotta materiale del reato contestato ma anche dell'elemento soggettivo dello stesso, come emergente non solo dai chiari intenti manifestati nel corso delle conversazioni intercettate, ma anche dalle cautele costanti adottate per evitare un'identificazione dei ricorrenti nelle loro conversazioni (uso accorto dei social, cambio costante dei profili, continua evoluzione delle utenze telefoniche). Emerge dunque nella decisione in commento la piena considerazione di un nuovo e diverso modello associativo, attuato mediante l'apporto di una struttura a carattere cellulare e ispirato all'ideologia eversiva ed estremista, al fine di porre in essere anche una sola delle condotte di supporto funzionale all'attività terroristica contro lo Stato. Proprio il distacco da connotazioni classiche del modello associativo porta la Corte a ritenere possibile la partecipazione ad associazioni terroristiche, con modalità di adesione spontaneistiche e aperte, che non possono essere ricondotte a canoni tradizionali e classici, quali quelli che impongono una accettazione formale del negozio sociale da parte della struttura base dell'associazione principale (come con la messa a disposizione in tema di associazioni di stampo mafioso). Ciò anche in considerazione dei più recenti arresti giurisprudenziali in tema associativo, che hanno ripetutamente sottolineato come, in materia di associazione a delinquere per fini di terrorismo, la prova della partecipazione può essere desunta anche da un contributo causale derivante dal mero inserimento nella associazione e nella sua struttura, quali che ne siano le caratteristiche, perché tale inserimento già di per sé rafforza l'associazione criminale di riferimento a causa della progressiva maggiore disponibilità di adepti (Cass. pen., Sez. V, n. 4105/2010, Papini). La decisione n. 38208/2018 in tema di requisiti minimi di partecipazione
In questo articolato panorama è intervenuta la pronuncia della Sez. II, n. 38208/2018, che ha analizzato e approfondito, sui motivi dei ricorrenti, il concetto e la nozione giuridica di partecipazione all'associazione con finalità di terrorismo. Anche in questo caso le doglianze delle difese si sono incentrate sul peso eccessivo ed incongruo attribuito dalla decisione della Corte d'assise di appello di Milano al mero aspetto psichico della partecipazione al sodalizio criminale. Il caso analizzato dalla Sez. II presenta ulteriori spunti di riflessione, poiché il dato principale di analisi è rappresentato dalla rilevanza del contributo fornito anche da soggetti singolarmente considerati (i c.d. lupi solitari), a prescindere da un loro sia pur minimo inquadramento in cellule. Le difese hanno contestato l'interpretazione seguita dalla Corte d'assise d'appello di Milano secondo la quale anche il solo dato del compimento di attacchi realizzati individualmente, con utilizzo di mezzi rudimentali, spesso autoprodotti, possa essere effettivamente espressivo della partecipazione al sodalizio, mentre poteva essere ritenuta esclusivamente la mera ricorrenza di un agire individuale, indicativo dell'assenza di qualsiasi organizzazione di mezzi e uomini. La Corte, nel rigettare i ricorsi, non ha condiviso la critica relativa all'assenza, nel caso in esame, del dato strutturale e organizzativo dell'associazione e ha evidenziato come, al contrario, il ragionamento logico e giuridico della Corte d'assise di appello ha segnalato l'insieme dei dati sintomatici espressivi della qualità e della natura del contributo assicurato dagli imputati al programma criminale terroristico dell'Isis, proprio tenendo conto delle peculiarità che caratterizzano l'apparato associativo in esame. Con una motivazione approfondita e innovativa si è affermato che:
La Se. II rileva come nella multiforme categoria in questione non sia possibile delineare una struttura tipica, fissa e ricorrente in modo obiettivo, di associazione, mentre in realtà è l'interprete a dover ricondurre il fenomeno storico in una determinata categoria giuridica, riscontrandone gli elementi tipizzanti. Appare quindi necessario per la Corte muovere dal contenuto e dalle peculiarità dell'accordo su cui è fondata l'esistenza dell'associazione per individuare in modo specifico le modalità (ove esitenti) di adesione della associazione, le regole che disciplinano i rapporti tra gli associati, i mezzi e gli strumenti, anche finanziari, impiegati per il raggiungimento degli scopi propri della stessa. Partendo da questa riflessione viene quindi condivisa la caratterizzazione da parte del giudice di secondo grado dell'auto-proclamato Dtato islamico nella sua vocazione stragista e terroristica. Isis dunque come associazione con finalità di terrorismo, che trova la propria fonte costitutiva proprio nel suo carattere religioso, con accentuata connotazione ideologica, di tipo radicale ed estremizzante, da cui deriva una sorta di “imposizione esterna” dell'atto costitutivo dell'associazione. Imposizione che di fatto risulta necessitata dalla concezione religiosa, caratterizzata da tratti palesi di fanatismo, che non tollera dissenso o indipendenza rispetto all'unico credo religioso, imponendo la soppressione fisica di tutti coloro che non aderiscono all'ideologia religiosa riconosciuta come unica valida. Questa associazione si caratterizza, nell'ambito di un programma essenziale e generico, pienamente riconoscibile all'esterno, per la volontà di raggiungere con condotte violente un chiaro e semplice obiettivo, ovvero l'eliminazione di persone cose o segni che si ispirano a culture e religioni diverse dall'islamismo radicale. A tal fine sono dunque richieste condotte violente, che risultano sollecitate e giustificate dal valore ideale del “martirio” (Jihad) al quale sono chiamati tutti gli associati. E in tale contesto si è chiarito come il profilo dell'adesione al programma dell'associazione e l'acquisizione della qualità di associato non richiede il ricorso a rituali o ad attività specificamente individuate, essendo allo scopo necessaria e sufficiente la condivisione del messaggio politico e religioso. Ciò posto, ai fini della verifica del requisito normativo, dovrà essere accertato in concreto se la trasposizione in concreto di tale adesione si colga attraverso fatti sintomatici, di vera e propria partecipazione, dotati di carattere non equivoco, efficienti allo scopo di attuare il programma criminale dell'associazione, evidentemente sintomatici anche dell'esposizione a pericolo degli interessi dello Stato e del contributo dato dal singolo associato. Questa associazione si differenzia poi dai canoni classici di interpretazione per alcune specifiche caratteristiche del sodalizio, con riflessi immediati quanto alle modalità esecutive per la realizzazione degli obiettivi della stessa. Ciò perché non ricorre la tipologia dell'associazione strutturata in senso “verticale” ma invece una organizzazione di tipo “orizzontale”, a rete, capace di adattamenti proprio in considerazione del suo carattere elastico, anche in campo transnazionale e globalizzato, nonché per i particolari mezzi di comunicazione e trasferimento sul territorio, tanto evoluti da rendere spesso difficile una reale attività di prevenzione. La Corte chiarisce come i ricorrenti non abbiano contestato i caratteri dell'associazione per come delineata, mentre ritengono che sia erronea l'individuazione della qualità di associato desunta dalla sola adesione alla c.d. chiamata al Jihad, con conseguente rilevanza degli atti di violenza portati a compimento da singoli con modalità individuali, senza connessione con qualsivoglia apparato organizzato. Il fondamentale punto di passaggio, che la Corte sottolinea e che la sentenza impugnata ha segnalato è:
Il dato dell'adesione all'associazione, in funzione della generalizzata chiamata al martirio, che l'Isis offre in modo capillare e con mezzi di comunicazione ampi e svariati, rappresenta dunque per la Corte un momento di «pura condivisione e accettazione delle regole fondanti dell'associazione», e tale elemento dipende proprio dalle forme e dalla struttura associativa dell'Isis, caratterizzata dal suo ambito globale e globalizzato, che consente di stabilire connessioni tra coloro che aderiscono superando distanze geografiche ed ostacoli fisici e che, proprio per questo, non «impone altre formalità per la partecipazione al sodalizio se non la decisione del singolo di rispondere a quella chiamata manifestando la propria adesione alla ideologia del Califfato». Tale adesione rappresenta il punto di partenza per giungere a provare, insieme ad altri elementi materiali, la consistenza del ruolo di partecipe all'associazione e ne è anche presupposto indispensabile, poiché dal momento dell'adesione si colgono tutte le premesse che sono alla base delle determinazioni, programmi e predisposizioni di attività per compiere violenza in attuazione del programma criminoso. Dunque la risposta alla chiamata al Jihad non costituisce da sola la prova della condotta di partecipazione ma rappresenta il momento in cui si instaura il legame tra il singolo e l'associazione. Proprio sulla base di tale adesione devono essere lette e interpretate le successive condotte che il singolo pone in essere in attuazione del patrimonio ideologico culturale e di condivisione di tecniche terroristiche, che costituisce uno degli elementi caratterizzanti dell'Isis. La decisione appellata ha applicato questi principi e ha dimostrato secondo la Corte come, a seguito della risposta alla chiamata al martirio, gli imputati avessero posto in essere una serie di comportamenti significativi della loro partecipazione alla associazione in questione a fine di proselitismo, propaganda e istigazione alla commissione di atti di violenza al fine di affermare la prevalenza dell'auto proclamato Stato islamico. In tal senso, tenuto conto della portata diffusiva su vasta scala delle direttive ideologiche dell'Isis, sia mediante indicazioni operative per la realizzazione di atti violenti, che mediante la globalizzazione e transnazionalità del messaggio trasmesso, si deve ritenere che anche le condotte dei singoli poste in essere in attuazione di tali direttive siano indicative della partecipazione e inserimento nella associazione. Considerata inoltre la peculiarità dell'associazione in questione, il dato dell'inserimento nella stessa deve essere considerato del tutto peculiare e infatti si atteggia, secondo la valutazione della Corte, in modo assolutamente diverso dalle categorie tradizionali della partecipazione alle associazioni conosciute. Non è quindi di certo necessario e indispensabile un contatto diretto tra i vertici (promotori dirigenti e organizzatori) dell'associazione e i singoli aderenti, né si può ipotizzare che per ciascun associato siano preventivabili ruoli e incarichi. Ne consegue, secondo le conclusioni della Corte, che l'effettivo inserimento del singolo nella attività e finalità della associazione potrà essere desunto logicamente dalle condotte poste in essere dallo stesso, da cui risulti senza incertezza l'adesione al programma dell'associazione (in questo stesso senso Cass. pen., Sez. V, n. 31389/2008, Bouyahia). Quindi, secondo l'interpretazione consolidata della Corte, occorre ed è sufficiente una struttura organizzativa che presenti un grado di effettività tale da rendere almeno possibile l'attuazione del programma criminoso e che si manifesti nella sua pericolosità ma tale struttura, proprio per l'emersione di nuovi fenomeni globalizzati non deve essere letta secondo schemi organizzativi collaudati, proprio perché anche nuovi e diversi modelli di aggregazione possono integrare il minimum indispensabile ad integrare il reato (strutture cellulari, a rete, flessibilità interna, possibilità di operare in contesti territoriali del tutto diversi). Così che «l'organizzazione terroristica transnazionale va pensata, più che come una struttura statica, come una rete, in grado di mettere in relazione persone assimilate da un comune progetto criminale, che funge da catalizzatore dell'affectio societatis e costituisce lo scopo sociale del sodalizio». Vengono dunque pienamente riscontrate da elementi materiali le attività indicative di tale affectio: ricerca di informazioni per realizzare attentati e reperire armi, diffusione di minacce dirette verso la popolazione italiana, immagini, comunicati e condivisione della chiamata al martirio, attività di reclutamento al fine di combattere in Siria, con conseguente significativa diffusione e conoscenza dei programmi dell'associazione criminale in questione. La Corte nelle sue conclusioni analizza anche la sentenza Cass. pen., Sez. VI, n. 14503/2017, in diverse occasioni richiamata dalle difese degli imputati per contestare il requisito effettivo dell'adesione all'associazione con finalità di terrorismo. Tale decisione, richiamando le diverse forme di partecipazione (già analizzate approfonditamente dalle decisioni precedenti: partenze per combattere gli infedeli, vocazione al martirio, indottrinamento e proselitismo) richiede, in apparente eccentricità con l'orientamento costante della giurisprudenza di legittimità su questo tema, che l'azione del singolo si innesti nella struttura organizzata, cioè che esista un contatto operativo, un legame, anche flebile, ma concreto tra il singolo e l'organizzazione, che in tal modo abbia consapevolezza, anche indiretta, dell'adesione da parte del soggetto agente. In realtà, come sottolineato anche nella decisione della Sez. II, questa affermazione non può essere intesa correttamente se non considerando il caso concreto sottoposto all'esame della Corte, nell'ambito del quale il giudice al quale è stato rinviata la decisione sulla misura cautelare impugnata, aveva omesso di considerare la rilevanza di alcuni elementi oggettivi, chiaramente sintomatici di un coinvolgimento nell'associazione. E in particolare una serie di contatti tra l'indagato e esponenti di punta tunisini della associazione al momento del suo rientro in patria e l'aver lo stesso inneggiato al successo dell'attentato di Sousse posto in essere in data 26 giugno 2015 in Tunisia. La conclusione seguita dalla sesta Sezione non esclude in alcun modo, secondo la Sez. II, la validità dell'impostazione secondo la quale già la vocazione al martirio indica una condivisione degli obiettivi dell'associazione (che si devono poi concretizzare, come detto, in atti materiali di partecipazione) ma semplicemente propone in modo diverso (forse a causa del condizionamento derivante dall'utilizzo di diversi schemi interpretativi del modulo associativo), la necessaria correlazione tra l'adesione all'associazione nella sua vasta diffusività e la prova dell'effettiva partecipazione nel realizzarne gli obiettivi (ad esempio richiamando lo schema associativo ex art. 416-bis c.p. e in tal senso inserendo elementi di caratterizzazione del tutto distinti rispetto all'associazione di tipo terroristico, che richiede nell'interpretazione costante della precedente giurisprudenza di legittimità l'utilizzo di strumenti di valutazione del tutto autonomi proprio per la particolarità del fenomeno in questione). E d'altra parte la ricorrenza di quel legame flessibile ma concreto e consapevole, appare certamente desumibile dalla vocazione al martirio e dalla piena condivisione dei messaggi ideologici e religiosi della associazione, apparendo eccentrico rispetto a tale ormai consolidata costruzione la richiesta necessità di avere conoscenza della messa a disposizione, al fine di poter contare su un determinato soggetto, anche indirettamente. A meno di non voler intendere il concetto di conoscenza indiretta della messa a disposizione come un caso di conoscenza a posteriori. Una diversa, e più formalistica, lettura di questa decisione rappresenterebbe un serio ostacolo alla ratio dichiarata del Legislatore nella previsione del reato in questione. Determinerebbe l'oggettiva impossibilità di considerare come significative tutte le condotte poste in essere, anche individualmente, da soggetti collocati in zone del mondo occidentale del tutto distinte e senza alcun punto di contatto con la zona asseritamente di riferimento per la struttura principale dell'associazione con finalità di terrorismo (dato questo a sua volta difficilmente riscontrabile e di complicata prova, considerato che l'associazione in questione si caratterizza per clandestinità e diffusività capillare in diversi continenti, per cui non appare chiaro, a parte il caso concreto, verso quale ambito e in che condizioni il requisito richiesto si potrebbe ritenere soddisfatto). Nello stesso senso da segnalare un'ulteriore e recente decisione della stessa Cass. pen., Sez. VI, n.40348/2018. In conclusione
Il panorama interpretativo richiamato è articolato e complesso, così come il fenomeno analizzato e valutato dalle decisioni commentate. Il punto centrale della riflessione è il costante contrasto da parte delle difese degli imputati quanto all'interpretazione che assegna rilevanza, quale indice della partecipazione, anche a condotte poste in essere da singoli individui e finalizzate ad attività di programmazione criminosa in favore dell'associazione. Un punto che tuttavia sembra caratterizzare la maggioranza delle decisioni su questo tema è rappresentato dalla necessità di incentrare l'analisi di questo fenomeno associativo nella sua oggettiva e caratteristica declinazione di riferimento, ovvero l'associazione a delinquere con finalità terroristiche, senza confondere i caratteri tipici di questo reato e delle condotte che lo caratterizzano, con altre fattispecie associative del tutto distinte per contesto, tipologie di condotte ed elemento soggettivo di riferimento. Se ciò rappresenta un necessario punto di partenza, occorre sottolineare la rilevanza attribuita dalle più recenti interpretazioni alle condotte poste in essere dai singoli, condotte che trovano la loro base, e il fondamentale momento di identificazione, nel carattere religioso, quasi caratterizzato da fanatismo (come ha evidenziato la Sez. II) dell'associazione. Proprio l'identificazione nei valori religiosi dell'islamismo estremista sembra rappresentare la fonte costitutiva della associazione, con la realizzazione di quella che è stata definita una sorta di imposizione esterna dell'atto costitutivo della associazione stessa. Molto rilevante appare la necessità conseguente di distinguere il momento dell'adesione a una tale associazione con compartecipazione dei valori identificativi fondanti, ampiamente diffusi, conoscibili e conosciuti, con i successivi atti di partecipazione, che nella valutazione giurisprudenziale intanto rileveranno in quanto ci sia stata pregressa adesione, ma si siano poi caratterizzati in modo concreto per la loro inequivoca direzione alla realizzazione di attività a carattere terroristico o di supporto alla associazione (in questo senso la Sez. V). L'interpretazione richiamata consente dunque di raggiungere in modo completo, con pieno rispetto del criterio di offensività e tipicità, quella tutela che il Legislatore ha apprestato con la previsione dell'art. 270-bis c.p., che tuttavia non può prescindere dai caratteri di queste attività, dall'evoluzione delle forme di interconnessione e dalla globalizzazione dei contatti e delle istruzioni che questo tipo di associazione caratterizzano, sicché appare quanto meno di difficile comprensione, rispetto alla ratio della disciplina, pensare di poter richiedere a livello probatorio e di indagine la prova di un effettivo, concreto e materiale contatto di ogni aderente con il vertice organizzativo di un tal tipo di associazione, sostanzialmente così rinunciando a far valere il valore obiettivizzante di tutti i dati materiali che valgono a colorare il concetto di partecipazione nell'interpretazione più recente della Corte di cassazione. DE MARINIS Considerazioni minime intorno al tentativo di arruolamento, tra legislazione prassi giurisprudenziale, in Diritto penale contemporaneo, 2017; FASANI, Il decreto antiterrorismo – Le nuove fattispecie antiterrorismo: una prima lettura, in Dir. Pen. proc. 2015, n. 8, 947; MARINO, Lo statuto del terrorista: tra simbolo e anticipazione, in Diritto penale contemporaneo, 1/2017. MASARONE, Politica criminale e diritto penale nel contrasto al terrorismo internazionale. Tra normativa interna, europea ed internazionale, Napoli, 2013; VIGANÒ, Terrorismo di matrice islamico – fondamentalista e art. 270-bis c.p. nella recente esperienza giurisprudenziale, in Cass. Pen. 2007, p. 3953. |