La citazione della compagnia assicuratrice quale responsabile civile nel processo a carico del medico curante

26 Ottobre 2018

La recente riforma in materia di responsabilità medica operata dalla legge 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. Gelli-Bianco) ha lasciato irrisolte alcune questioni sostanziali e procedurali. Tra queste si inserisce il tema relativo alla citazione della compagnia assicuratrice quale responsabile civile nel processo penale a carico del medico imputato di lesioni o di omicidio colposo nell'esercizio della professione sanitaria.
Abstract

La recente riforma in materia di responsabilità medica operata dalla legge 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. Gelli-Bianco) ha lasciato irrisolte alcune questioni sostanziali e procedurali. Tra queste si inserisce il tema relativo alla citazione della compagnia assicuratrice quale responsabile civile nel processo penale a carico del medico imputato di lesioni o di omicidio colposo nell'esercizio della professione sanitaria.

L'obbligo assicurativo per il medico

I recenti interventi adottati dal Legislatore in materia di responsabilità medica hanno reso “obbligatoria” l'assicurazione del medico curante in relazione all'attività professionale dallo stesso svolta.
A partire dal decreto legge 138/2011 (convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148) è stato infatti introdotto l'obbligo per il professionista di stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall'esercizio della propria attività.
Con il successivo d.P.R. 137/2012 è stato ulteriormente ribadito l'obbligo della stipula di una polizza professionale a tutela del cliente.
Da ultimo la l. 24/2017, al fine di garantire efficacia alle azioni risarcitorie promosse dai danneggiati, ha stabilito che ciascun esercente la professione sanitaria debba provvedere alla stipula di un'adeguata polizza assicurativa per i casi di colpa grave.
Tuttavia, gli artt. 10, comma 6, e 12, comma 6, della medesima legge rimandano però a un successivo decreto attuativo l'indicazione dei requisiti minimi delle polizze assicurative.
Pertanto, dopo i primi due decreti attuativi riguardanti l'istituzione dell'Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità (d.m. 29 settembre 2017) e l'istituzione e regolamentazione dell'elenco che individua gli enti e le istituzioni pubbliche e private, nonché le società scientifiche e le associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie chiamate a elaborare le linee guida (d.m. 2 agosto 2017), si è ancora in attesa dell'emanazione dei decreti in materia assicurativa ai sensi degli artt. 10 e 12 della l. 24/2017.
La mancata emanazione di tali decreti rende attuale, in sede processuale, il problema della citazione della compagnia assicurativa nel processo penale a carico del medico curante.
Con il presente contributo si vuole, in linea generale, analizzare il tema della citazione del responsabile civile da parte dell'imputato. Nel corso della trattazione si avrà modo infine di soffermarsi sullo specifico caso della responsabilità medica in sede penale.

Il responsabile civile

Come è noto, la figura del responsabile civile si ricava dal dettato normativo dell'art. 185, comma 2, c.p., secondo cui ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di quest'ultimo.
Si pensi ai padroni e ai committenti che rispondono per danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici o compiuti nell'esercizio delle incombenze a cui erano adibiti (art. 2049 c.c.); ai proprietari e agli usufruttuari di veicoli per danni cagionati dal conducente (art. 2054 co. 3 c.c.); all'albergatore per la sottrazione, perdita e deterioramento di cose appartenenti ai clienti (nei limiti dell'art. 1784 c.c.), all'armatore di una nave o all'esercente di un aeromobile per danni commessi dall'equipaggio (artt. 274 e 878 cod. nav.), alla società assicuratrice nei casi di responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e de natanti (art. 144 d.lgs. 209/2005 che riproduce l'abrogato art. 18 l. 990/1969).
Esso può dunque partecipare attivamente al processo penale, in quanto obbligato in base alle leggi civili a risarcire il danno per il fatto del colpevole. Non è invece legittimato nell'ipotesi in cui l'obbligazione non risieda nella legge ma nel contratto eventualmente stipulato con il soggetto imputato.
L'art. 83 c.p.p.individua quali soggetti legittimati a richiederne la partecipazione in giudizio la parte civile e il pubblico ministero.
Quest'ultimo, in particolare, ha facoltà ai sensi dell'art. 77, comma 4, c.p.p. nei casi di assoluta urgenza, quando l'azione civile nell'interesse del danneggiato incapace per infermità di mente o per età minore non possa tempestivamente essere esercitata da colui al quale spetta la rappresentanza o l'assistenza, ovvero dal curatore speciale.
A norma dell'art. 83, comma 2, c.p.p. il termine sancito per chiedere l'autorizzazione alla citazione è il dibattimento, sebbene debba considerarsi necessaria prima la costituzione di parte civile (che può avvenire per l'udienza preliminare oppure fino a che non siano compiuti gli accertamenti relativi alla regolare costituzione delle parti nel dibattimento di primo grado).
È altresì riconosciuta al responsabile civile la facoltà di intervento per sostenere la posizione dell'imputato e impedire quindi la condanna al risarcimento del danno. Il termine ultimo in questo caso coincide con gli accertamenti relativi alla regolare costituzione delle parti nel dibattimento di primo grado (art. 85 c.p.p.).
Tale facoltà non è invece attribuita all'imputato, salvo il caso in cui ad essere citata sia la società assicuratrice per reati conseguenti alla circolazione dei veicoli o dei natanti. Ciò non deriva però da una espressa previsione normativa, bensì da un'importante e risalente sentenza additiva della Corte Costituzionale che ha di fatto ridisegnato i confini applicativi dell'art. 83 c.p.p., estendendo la legittimazione attiva a richiedere la citazione del responsabile civile anche all'imputato.

La citazione del responsabile civile da parte dell'imputato. Le indicazioni della Corte costituzionale

Per meglio comprendere la questione, è opportuno in prima analisi esaminare i principali arresti giurisprudenziali che hanno portato al riconoscimento della facoltà di chiamata in garanzia anche in sede penale del responsabile civile da parte dell'imputato.
Come è noto, con sentenza n. 112/1998, la Corte costituzionale ha riconosciuto all'imputato la facoltà di chiedere l'autorizzazione alla citazione del responsabile civile nel processo penale, in particolare della società assicuratrice chiamata ex lege a rispondere dei danni derivanti da circolazione dei veicoli a motore e natanti.
La pronuncia in oggetto trae origine da una questione di legittimità costituzionale sollevata dal pretore di Ancona in relazione all'art. 83 c.p.p. per contrasto con gli artt. 3, 24, 97 Cost.
Il giudice a quo osservava che il sistema delineato dalla normativa dell'epoca (l. 24 dicembre 1969, n. 990 sostituita dal d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209) prevedeva – in base all'art. 18 – che colui che ha subìto un danno potesse esercitare direttamente l'azione nei confronti dell'assicuratore. Allo stesso modo l'art. 23 della suddetta legge prevedeva che, nel giudizio promosso contro l'assicuratore, doveva essere chiamato anche il responsabile del danno (danneggiante), configurando quindi una sorta di litisconsorzio necessario.
In ragione di ciò, nel processo civile nulla impediva allo stesso danneggiante convenuto di chiamare in garanzia il proprio assicuratore. Ciò sulla base dell'art. 106 c.p.c. al quale è correlato sul piano sostanziale l'art. 1917 ult. comma c.c., secondo cui l'assicuratore «è obbligato a tenere indenne l'assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto».
Tale possibilità però non era riconosciuta nell'ambito del processo penale, nel quale l'imputato non aveva facoltà di coinvolgere in qualità di responsabile civile la propria assicurazione nel caso di responsabilità da circolazione stradale.
Considerata dunque la natura “obbligatoria” dell'assicurazione e la funzione “plurima” del rapporto di garanzia, in quanto destinato a salvaguardare tanto la vittima quanto il danneggiante, secondo la Corte, tale situazione deve portare a un allineamento dei poteri processuali di “chiamata” esercitabili in sede penale rispetto a quelli del processo civile. Solo in questo modo, sarebbe stato possibile evitare che l'effettività della predetta funzione potesse rimanere pregiudicata dalle scelte operate soltanto dall'attore-parte civile.
Da qui la declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 83 c.p.p. per violazione del principio di uguaglianza nella parte in cui non prevede che, nel caso di responsabilità civile derivante dalla assicurazione obbligatoria prevista dalla legge 24 dicembre 1969, n. 990, l'assicuratore possa essere citato nel processo penale a richiesta dell'imputato.
A ben vedere, non si tratta dell'unica pronuncia di rilievo. Ad essa sono succedute altre decisioni, ma di segno contrario, laddove, infatti, è stata di volta in volta dichiarata l'infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate.
In particolare, con sentenza n. 75/2001 la Corte costituzionale ha escluso che alla posizione dell'assicuratore in base alla l. 990/1969 debba equipararsi quella dell'esercente l'aeromobile per danni provocati da un sinistro in base all'art. 878 cod. nav., come pure la società assicurativa nei casi di assicurazione facoltativa.
Nella specie, venivano sottoposte all'attenzione dei giudici delle leggi ben due questioni.
La prima dal tribunale di Termini Imerese, che sollevava un dubbio di legittimità costituzionale connesso alla preclusione per l'imputato alla chiamata in garanzia in sede penale della società esercente l'aeromobile coinvolto nel sinistro sulla base del disposto dell'art. 878 cod. nav.
Tale norma, infatti, prevede che l'esercente sia responsabile dei fatti dell'equipaggio per quanto riguarda l'aeromobile. Con la conseguenza che il danneggiato è legittimato ad esercitare un'azione diretta nei confronti dell'esercente l'aeromobile, ma non lo è invece il danneggiante.
Sul punto la Corte sottolineava preliminarmente il particolare rigore con il quale devono essere attuate le disposizioni che regolano l'ingresso in sede penale di parti diverse da quelle necessarie.
Il sistema delineato dal nuovo codice di rito è volto infatti a circoscrivere nei limiti dell'essenzialità tutte le forme di cumulo processuale, poiché un eventuale incremento delle regiudicande – specie se, come quelle civili, estranee alle finalità tipiche del processo penale – rischierebbe di appesantire l'iter procedimentale, a pregiudizio delle esigenze di celerità nelle cadenze e nei tempi di definizione del giudizio (in contrasto peraltro con lo stesso art. 111 co. 2 Cost.).
In questa prospettiva, ad avviso della Corte, i principi racchiusi nella sentenza n. 112/1998 non possono trovare applicazione estensiva nell'ipotesi in esame, al punto da giustificare un allineamento dei poteri processuali tanto in sede civile quanto in sede penale.
Così, nel caso dell'esercente l'aeromobile, non vi sarebbe quella funzione di garanzia “plurima” prevista dalla normativa in materia di circolazione stradale.
Del resto, soltanto al danneggiato è riconosciuta un'azione diretta in sede civile. Manca invece un rapporto interno di “garanzia” tra danneggiante ed esercente l'aeromobile nei termini delineati dall'art. 1917, ult. comma, c.c.
Di conseguenza l'imputato potrà solo rivalersi nei confronti del responsabile civile in via di regresso, laddove abbia adempiuto all'obbligazione di risarcire il danno derivante da sentenza di condanna. Questo però non comporta il riconoscimento della facoltà di richiedere l'autorizzazione alla citazione quale responsabile civile nel procedimento penale nel quale è tratto in giudizio come imputato.
Venendo alla seconda questione, il tribunale di Alba, sezione distaccata di Bra sosteneva l'illegittimità costituzionale dell'art. 83 c.p.p., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevede che l'imputato possa citare il proprio assicuratore della responsabilità civile facoltativa.
Secondo il giudice rimettente, l'imputato che abbia stipulato liberamente un contratto di assicurazione della responsabilità civile ha possibilità, ove citato in sede civile, di chiamare in garanzia l'assicuratore a norma dell'art. 106 c.p.c., non potendo fare altrettanto in sede penale, in ragione del tenore letterale dell'art. 83 c.p.p. e dell'interpretazione stricto sensu intesa della pronuncia della sentenza n. 112/1998.
Per i giudici delle leggi, tuttavia, l'assunto è manifestamente infondato: con l'ordinario contratto di assicurazione, infatti, l'assicuratore non assume alcun obbligo risarcitorio nei confronti dei terzi, ma soltanto un obbligo di tenere indenne l'assicurato che ne faccia richiesta ai sensi dell'art. 1917, comma 2, c.c. In sostanza, manca il presupposto soggettivo processuale dell'esercizio diretto dell'azione civile da parte del danneggiato, con l'ovvia conseguenza di rendere la posizione dell'assicuratore diversa rispetto a quella che caratterizza la figura del responsabile civile, a norma dell'art. 185 c.p.
Si tratta, in definitiva, di un'interpretazione eccentrica rispetto alla fattispecie esaminata dalla Corte in occasione della sentenza n. 112/1998.
Veniamo così ad analizzare l'ordinanza n. 300/2004 della Corte vostituzionale.
In questo caso, il tribunale di Padova nella propria ordinanza di rimessione, segnalava un possibile contrasto dell'art. 83 c.p.p. con gli artt. 3, 24 e 97 Cost., nella parte in cui non prevede che l'imputato possa proporre istanza di citazione del responsabile civile derivante dalla normativa in materia di infortuni sul lavoro e di previdenza sociale nonché rispetto a quanto previsto dall'art. 28 Cost.
Il processo era a carico di un soggetto imputato del reato di lesioni colpose aggravate (artt. 590 e 583 c.p., con violazione dell'art. 2087 c.c. e degli artt. 375 e 377 d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547) per aver consentito, quale responsabile del settore tecnico di un ospedale civile, che un lavoratore operasse per diciassette anni nella centrale termica e curasse la manutenzione di tubature coibentate con amianto, senza avvertirlo dei rischi della lavorazione e senza predisporre misure di protezione. In questo modo gli causava una malattia professionale consistente in una placca pleurica con rilevante riduzione della capacità respiratoria.
Con la costituzione di parte civile, il difensore dell'imputato chiedeva la citazione, in qualità di responsabili civili, della unità locale socio-sanitaria quale pubblica amministrazione per il fatto illecito del proprio dipendente Inps quali responsabili ex lege.
Sul punto, la Corte costituzionale osservava, in primo luogo, che la responsabilità civile dello Stato e degli enti pubblici per fatti dei dipendenti, prevista dall'art. 28 Cost., assolve ad una funzione di tutela del solo danneggiato e non anche del danneggiante. Non è infatti il dipendente che risarcisce il danno provocato da suoi “atti compiuti in violazione di diritti” ad aver diritto di rivalsa nei confronti dell'amministrazione pubblica di appartenenza, essendo semmai il contrario.
Quanto al secondo profilo, affermava che l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali è da considerarsi obbligatoria ex lege. Tuttavia, anche in questo caso, non sussiste un rapporto interno di “garanzia” tra l'imputato-danneggiante e l'istituto assicuratore omologo a quello valorizzato dalla sentenza n. 112 del 1998. Va infatti considerato che gli artt. 10 e 11 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 riconoscono soltanto all'istituto assicuratore, che abbia corrisposto le indennità previste dalla legge (e non, dunque, il risarcimento del danno) il diritto di regresso contro le persone civilmente responsabili, ivi compreso il datore di lavoro, quando il fatto integra un reato perseguibile d'ufficio. Ne consegue la declaratoria di manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal giudice rimettente.
Più di recente la Corte costituzionale, con sent. 6 dicembre 2017 n. 34, si è occupata anche della posizione della assicurazione professionale chiamata come responsabile civile dal notaio, imputato in un procedimento penale per reati fallimentari.

Il Gup di Bolzano sollevava questione di legittimità costituzionale invocata dalla difesa dell'imputato – notaio – a seguito di costituzione di parte civile e contestazione in via suppletiva da parte del Pubblico Ministero dei reati di natura colposa degli artt. 217, comma 1, numeri 3) e 4), e 219, comma 2, numero 1), del citato r.d. 267/1942.
Il difensore chiedeva di essere autorizzato a chiamare in giudizio, quale responsabile civile, la Compagnia assicurativa del proprio assistito, sul rilievo che si trattava di assicurazione per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale obbligatoria per legge (art. 3, comma 5, lett. e) d.l 13 agosto 2011, n. 138 convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148).
La Corte costituzionale ha respinto tale censura di illegittimità costituzionale.
I giudici delle leggi hanno infatti riconosciuto che si tratta di assicurazione obbligatoria che – per un verso – garantisce l'assicurato – per l'altro – è destinata a tutelare anche l'interesse del terzo danneggiato dall'attività notarile alla certezza del ristoro del pregiudizio patito.
Hanno però sottolineato che il Legislatore non si è spinto sino a prevedere la possibilità di un'azione diretta del danneggiato nei confronti dell'assicuratore, sulla falsariga di quella che caratterizza la responsabilità civile automobilistica.
Tale elemento appare dirimente nella misura in cui esclude che la posizione dell'assicuratore possa essere inquadrata nel paradigma del responsabile civile ex lege, per come delineato dall'art. 185, comma 2, c.p. Di conseguenza è preclusa anche la facoltà di citazione del responsabile civile da parte dell'imputato.

La citazione della compagnia di assicurazione professionale nel processo penale a carico del medico

A questo punto, è possibile soffermarsi sul tema principale del presente contributo.
Si tratta di capire se, alla luce del mutato quadro normativo, sia consentito al medico accusato in sede penale di reati concernenti la professione, chiamare in garanzia come responsabile civile la propria assicurazione.
Come già anticipato, l'esercente la professione sanitaria è già tenuto ad avere una copertura assicurativa a tutela dei rischi derivanti dall'attività medico-sanitaria.
Ciò a partire dalla previsione dell'art. 3, comma 5, lett. e) decreto l. 138/2011 (convertito in l. 14 settembre 2011, n. 148), secondo cui: «a tutela del cliente, il professionista è tenuto a stipulare idonea assicurazione per i rischi derivante dall'esercizio dell'attività professionale. Il professionista deve rendere noti al cliente, al momento dell'assunzione dell'incarico, gli estremi della polizza stipulata per la responsabilità professionale e il relativo massimale. Le condizioni generali delle polizze assicurative di cui al presente comma possono essere negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai Consigli Nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti».
L'art. 5 d.P.R. 137/2012 invece ha stabilito che «il professionista è tenuto a stipulare, anche per il tramite di convenzioni collettive negoziate dai consigli nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti, idonea assicurazione per i danni derivanti al cliente dall'esercizio dell'attività professionale, comprese le attività di custodia di documenti e valori ricevuti dal cliente stesso. Il professionista deve rendere noti al cliente, al momento dell'assunzione dell'incarico, gli estremi della polizza professionale, il relativo massimale e ogni variazione successiva. La violazione della disposizione di cui al comma 1 costituisce illecito disciplinare».
Da ultimo l'art. 10, comma 3,l. 24/2017 prevede che: «al fine di garantire efficacia alle azioni di cui all'art. 9 e all'art. 12 co. 3, ciascun esercente la professione sanitaria operante a qualunque titolo in strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche o private provvede alla stipula, con oneri a proprio carico, di un'adeguata polizza di assicurazione per colpa grave».
È pacifica quindi la natura obbligatoria ex lege dell'assicurazione professionale.
Tuttavia, l'art. 10, comma 6, della medesima legge prevede l'emanazione di un decreto attuativo che stabilisca i requisiti minimi delle polizze assicurative, con previsione di classi di rischio, requisiti minimi di garanzia e altri dettagli.
Tali elementi sono volti a uniformare le condizioni relative alle polizze assicurative per strutture sanitarie ed esercenti la professione sanitaria. Esse però non incidono di fatto sull'applicabilità della disposizione normativa, attualmente vigente, che impone l'obbligo assicurativo in capo al medico, sia esso libero professionista o pubblico dipendente.
A sostegno della vigenza “attuale” dell'art. 10 l. 24/2017 si pone la circostanza che la sua applicazione non è di per sé subordinata all'emanazione dei decreti attuativi, come invece espressamente previsto per il successivo art. 12 l. 24/2017 riguardante l'azione diretta del danneggiato nei confronti dell'assicurazione del danneggiante.
L'art. 12, comma 6,l. 24/2017 prevede infatti che: «alle disposizioni del presente articolo si applicano a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al co. 6 dell'art. 10 con il quale sono determinati i requisiti minimi delle polizze assicurative per le strutture sanitarie e sociosanitarie e per gli esercenti le professioni sanitarie».

In conclusione

Alla stregua delle considerazioni sopra svolte, è possibile affermare che la citazione come responsabile civile della società assicurativa da parte dell'imputato rientri nel paradigma dell'art. 83 c.p.p., secondo una lettura costituzionalmente orientata alla luce della nota sentenza n. 112/1998.
Pertanto, se nell'ambito del giudizio civile il danneggiante può chiamare in garanzia l'assicurazione ex art. 1917 c.c., l'esperimento della medesima azione in sede penale dovrà essere consentita mediante l'autorizzazione alla citazione della compagnia assicuratrice del medico quale responsabile civile.
Rimane tuttavia da chiarire, sulla scorta dei principi sul punto delineati dalla Corte costituzionale, se la mancata attuazione dell'azione diretta del danneggiato nei confronti della compagnia assicurativa rappresenti un ostacolo al riconoscimento in sede penale di una legittimazione alla chiamata in garanzia del responsabile civile riservata al solo imputato.
Del resto, con sentenza n. 112/1998, i giudici delle leggi avevano riconosciuto tale facoltà all'imputato, basandosi soprattutto su un quadro normativo che già consentiva l'esperimento di un'azione diretta sia del danneggiato sia del danneggiante nei confronti della società assicurativa.
Tali questioni dovranno necessariamente essere affrontate dai giudici di merito e dalla Corte di cassazione, nell'attesa di un intervento risolutivo da parte del Legislatore attraverso l'emanazione dei più volte citati decreti attuativi.

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