Alienazione parentale: l’affidamento del minore al genitore alienato tutela il suo interesse?

31 Ottobre 2018

In caso di condotta alienante della madre che condiziona il figlio tanto da cancellare completamente il suo rapporto con il padre, l'interesse del minore risulta maggiormente tutelato dal restare con il genitore da cui si sente protetto o dall'essere messo in condizione, anche se contro la sua volontà, di ricostruire la relazione con entrambi i genitori?
Massima

In presenza di alienazione parentale si dimostra priva di capacità genitoriale la madre che, con i condizionamenti esercitati sul figlio, ha annientato il rapporto del minore con il padre, così compromettendo il suo equilibrio interiore, così da esporlo ad un alto rischio di relazioni sociali e affettive disfunzionali. Il minore va, perciò, affidato in via esclusiva al padre il quale, nel corso del giudizio, ha sempre mostrato particolare attenzione alle esigenze del figlio e ha manifestato rispetto verso la figura materna, ritenuta dallo stesso essenziale per la serenità del figlio, nonostante l'alto livello di conflittualità coniugale, così rivelando un'indubbia maturità.

Il caso

All'esito di un procedimento di separazione tra coniugi, che si concludeva, con l'affido condiviso del figlio minore della coppia e il collocamento dello stesso presso la madre, con contestuale predisposizione di un calendario di visita tra padre e figlio, il padre ricorreva contro la madre denunciandone l'atteggiamento ostruzionistico finalizzato a compromettere il regolare svolgimento del suo diritto di visita.

La resistente non negava tale circostanza, bensì la giustificava, esibendo a titolo di prova la denuncia sporta contro il ricorrente per gli atti di violenza sessuale commessi da quest'ultimo in danno del figlio, da cui era originato il procedimento penale a suo carico.

Nell'ambito del procedimento penale veniva disposto incidente probatorio sul minore al fine di accertarne la personalità, la capacità di comprensione e rievocazione dei fatti nonché l'esistenza di problematiche psicopatologiche ancora in corso.

Inoltre, stante la gravità dei fatti denunziati dalla madre, il Tribunale disponeva che gli incontri tra padre e figlio avvenissero presso il Consultorio familiare con l'ausilio di personale specializzato.

Nel corso di tali incontri, le operatrici avevano la possibilità di osservare non solo la relazione padre/figlio, ma anche quella tra il minore e la madre, la quale risultava rapportarsi morbosamente con il piccolo, irrigidendosi oltremodo all'idea che le operatrici potessero valutare la sua relazione con il minore e che quest'ultimo potesse incontrare il padre.

Lo stesso bambino, inoltre, riferiva alle operatrici di voler stare ininterrottamente insieme alla madre, identificata dal piccolo come figura genitoriale positiva, e non con il padre, che veniva invece descritto come cattivo e violento nei suoi confronti. All'idea di incontrare il padre, il bambino piangeva in maniera irrefrenabile, rievocando un episodio di subita violenza sessuale oggetto dell'indagine penale in corso.

Parallelamente, nel corso del procedimento penale in essere, la madre del minore dichiarava, tra le altre cose, di aver rinvenuto sul corpo del figlio segni simili a succhiotti al termine della permanenza presso l'abitazione paterna e di aver sentito il minore lamentarsi di un dolore all'ano che effettivamente si presentava arrossato. Inoltre, il figlio riferiva di aver visto sul computer del padre immagini pornografiche ritraenti scene erotiche tra uomini e di aver replicato con il padre i medesimi comportamenti.

Nell'ambito del procedimento penale, veniva conferito incarico ad una psicoterapeuta di accertare il quadro della personalità del minore, il quale risultava del tutto inattendibile sia per la tendenza alla suggestionabilità che per la presenza di vissuti inerenti alla conflittualità delle dinamiche familiari.

Contemporaneamente al processo penale e al giudizio civile de quo, si instaurava anche il procedimento ex art. 333 c.c. presso il Tribunale dei minori di Catanzaro, dove veniva disposta indagine psico-sociale in merito alle condizioni di vita del minore. Le operatrici del Consultorio riferivano così come il bambino si mostrasse socievole e sereno nei rapporti con il ramo materno della famiglia.

In tale complesso contesto, si riteneva necessario disporre CTU psicologica al fine di verificare, previa descrizione della personalità dei genitori e del figlio, le motivazioni di un atteggiamento di simile ostilità del bambino nei confronti della figura paterna.

All'esito di tale CTU emergeva come la madre avesse inesorabilmente condizionato e manipolato psicologicamente il figlio a danno del ricorrente, instaurando con il minore un rapporto simbiotico nel quale «la madre si confonde con il figlio e ciascuno fa propri i pensieri, le paure, le convinzioni dell'altro, in una relazione di profonda interdipendenza affettiva, alla quale rimane completamente estraneo il padre, che viene del tutto rifiutato dal figlio, addirittura convintosi di aver subito da quest'ultimo abusi sessuali e maltrattamenti e in grado di percepirne i soli aspetti negativi a fronte di quelli esclusivamente positivi della madre».

Il padre, che nel mentre era stato prosciolto da ogni capo di imputazione a lui ascritto in sede penale, dalla perizia risultava una figura genitoriale positiva per il bambino, in grado di relazionarsi con il piccolo in maniera corretta.

Tali risultanze portavano il Tribunale di Castrovillari a prendere una decisione di forte impatto emotivo sul minore: assecondare il legame del piccolo con la madre e il totale rifiuto mostrato nei confronti del padre, ovvero forzare il bambino in virtù della tutela del suo superiore interesse alla bigenitorialità.

Il Tribunale di Castrovillari optava con decisione per questa seconda via, scegliendo l'allontanamento del minore dalla madre, in quanto lesivo per la sua crescita, collocandolo per un periodo di mesi 6 presso una Comunità (non potendolo forzare al trasferimento immediato presso il padre a causa del netto rifiuto opposto dal bambino) e stabilendo che al termine di tale periodo il minore sarebbe stato trasferito presso l'abitazione del padre, a cui veniva affidato in maniera esclusiva.

Le visite con la madre e la famiglia materna, invece, sarebbero state del tutto sospese per i sei mesi in cui il minore si sarebbe trovato presso la comunità e oggetto di successiva regolamentazione al termine di tale periodo.

La questione

La questione in esame è la seguente: nel decidere in merito all'affidamento e al collocamento di un minore, bisogna accertare se il genitore stia facendo l'interesse del figlio nel tutelare il suo diritto alla bigenitorialità o se abbia innescato un meccanismo in grado di scatenare nel minore un rifiuto dell'altro genitore, ponendo in essere un caso di alienazione parentale.

In tale secondo caso, occorre riflettere in merito alla dicotomia insita nel concetto di superiore interesse del minore. Bisogna comprendere se tale interesse sia tutelato dando peso ai desideri del minore o garantendo, anche contro la sua stessa volontà, il suo diritto alla bigenitorialità. Serve analizzare se l'interesse del minore sia di restare con il genitore da cui si sente tutelato e protetto o essere messo nelle condizioni di fruire, seppur coartatamente, della relazione con entrambi i genitori.

Le soluzioni giuridiche

Se in ambito penalistico numerose sono state le sentenze, tra le quali Cass. pen., sez. IV, n. 27995/2009, che hanno provveduto a condannare il genitore affidatario, colpevole di aver eluso il provvedimento presidenziale in ordine all'affidamento del minore, impedendo in tal modo il corretto esercizio del diritto di visita, in ambito civilistico la questione è stata oggetto di un minor numero di pronunce giurisprudenziali. Ciò premesso, i precedenti più conosciuti vanno tutti nella direzione di ritenere prevalente il diritto alla bigenitorialità del minore rispetto alla volontà dello stesso, seppure si riconosca la possibilità che un simile agito possa creare un trauma nel bambino.

La sentenza Cass. 20 marzo 2013, n. 7041, che decideva in merito ad un caso in cui l'affidatario principale negativizzava la figura dell'altro genitore agli occhi del figlio, al punto che quest'ultimo non intendeva più incontrarlo o, in sua presenza, aveva comportamenti di deciso rigetto nei suoi confronti, si pronunciava nel senso di affermare che i comportamenti del genitore affidatario, nel ledere il fondamentale diritto alla bigenitorialità del minore, influenzavano anche il suo diritto a una crescita il più possibile serena ed equilibrata, incidendo inevitabilmente sul suo sano sviluppo psicologico.

Allo stesso modo, anchela sentenza Cass. n. 6919/2016, sul tema, stabilisce che «tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena».

Inoltre il giudizio prognostico «deve essere effettuato nell'esclusivo interesse morale e materiale della prole, esaminando la capacità dei genitori di crescere ed educare i figli nella nuova situazione creatasi a seguito della disgregazione dell'unione, tenendo nel dovuto conto, in base ad elementi oggettivi, il modo in cui i genitori in precedenza hanno svolto i propri compiti, le rispettive capacità di relazione affettiva, la loro personalità , l'ambiente sociale e familiare che ciascuno di loro può offrire alla prole, fermo restando in ogni caso il rispetto del principio della bigenitorialità, che deve essere inteso come presenza affettivo – relazionale di entrambi i genitori nella vita dei figli, in modo da garantire loro una stabile e salda relazione emotiva con entrambi i genitori, che hanno il dovere di collaborare per la loro cura, assistenza, educazione e istruzione» .

Pertanto, ai fini della pronuncia circa l'affidamento o collocamento della prole, non può prescindersi da un esame delle capacità dei genitori nell'individuazione dei prioritari interessi e bisogni della prole, tra i quali la capacità di riconoscere le loro esigenze affettive, che si identificano anche nel preservare i loro affetti e il loro diritto a godere della presenza di entrambi i genitori e dei parenti, e questo al di là della relazione personale tra la diade parentale e le famiglie d'origine.

Ancora una volta, quindi, nella sentenza in esame, viene riaffermato come la tutela della bigenitorialità debba essere considerata come l'interesse prioritario del minore anche nei casi in cui questo, a seguito del manifestarsi di condizioni riconducibili ad alienazione parentale, vi si oppone.

Osservazioni

Nel corso degli ultimi anni, la giurisprudenza sta dedicando particolare attenzione all'alienazione parentale.

Tra i doveri essenziali del genitore collocatario riveste un ruolo di primo piano quello di favorire il rapporto con l'altro genitore, dal momento che, salvo in casi eccezionali, entrambe le figure genitoriali risultano importanti nel percorso di crescita del minore, con il risultato che impedire il regolare svolgimento del rapporto genitore/figlio non potrà che avere ripercussioni deleterie sull'equilibrio psicofisico del minore.

Sul punto, però, non può non considerarsi la resistenza opposta dal minore al genitore non collocatario.

Seppur sia stato chiarito che neppure la resistenza del minore nei confronti dell'altro genitore a passare del tempo con il predetto possa essere utilizzata quale giustificazione per evitare gli incontri con l'altro genitore, o come causa di esclusione della colpevolezza per il genitore affidatario, che deve comunque garantire il rispetto di quanto stabilito nel provvedimento del giudice, in un contesto di alienazione parentale, è opportuno chiedersi quale possa essere effettivamente il cosiddetto best interest of child, il miglior interesse del minore.

In particolare, occorre riflettere se sia preferibile rispettare le volontà di un minore già fortemente provato che rifiuta drasticamente una figura genitoriale avendo sviluppato, di contro, un rapporto viscerale con l'altro, oppure tutelare il suo diritto alla bigenitorialità, anche contro la sua stessa dichiarata volontà.

Nel caso di specie, posto che non era più possibile procedere con un affidamento congiunto, a causa dell'elevata conflittualità tra coniugi, si è optato per un affido esclusivo in favore del padre.

Inoltre, quanto al collocamento, quando vi è il pericolo di danneggiare il minore, la scelta più ragionevole e più rispondente al suo interesse appare quella del temporaneo collocamento presso soggetti terzi fino al momento in cui il minore accetti di accogliere il genitore c.d. alienato nella sua sfera affettiva.

A parere di chi scrive, tuttavia, la soluzione applicata nel caso oggetto di valutazione da parte dei giudici di Castrovillari, ossia l'allontanamento immediato del minore dal genitore alienante, il contestuale collocamento in una comunità per sei mesi e il successivo collocamento presso il padre, è apparsa non completamente condivisibile, atteso l'elevato rischio di provocare nel minore potenziali danni psicologici.

Lo sradicamento improvviso dalla madre, alla quale il minore era visceralmente e, sicuramente, patologicamente legato, unito al rifiuto di quest'ultimo d'intrattenere qualsivoglia rapporto con il padre, non può non esporre il minore al rischio di ripercussioni psicologiche e non ci si può dire certi, in definitiva, che un simile provvedimento sia rispondente al suo superiore interesse.

Non va dimenticato, infatti, che l'interesse primario del minore è sempre quello di vivere e crescere nella propria famiglia, il quale costituisce anche un diritto fondamentale, riconosciuto a livello nazionale dall'art. 1 legge 3 maggio 1983, n. 184, in materia di adozione e affidamento del minore, e a livello internazionale da numerose Convenzioni.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.