Il consenso informato espresso per il paziente incapace all'autodeterminazione terapeuticaFonte: L. 22 dicembre 2017 n. 219
05 Febbraio 2019
Gli incapaci
Sotto la rubrica «Minori e incapaci», l'art. 3 della nuova legge sul consenso informato e sulle dichiarazioni anticipate di trattamento (l. n. 219/2017) accomuna il regime giuridico degli “incapaci(legali)”, agli effetti dell'espressione del consenso informato per i trattamenti sanitari. Minori, interdetti giudiziali (ovvero, «ai sensi dell'art. 414 c.c.»), inabilitati e persone sottoposti ad a.d.s., sono assoggettate ad un trattamento positivo omogeneo, in quanto, agli effetti del consenso/dissenso informato medico-sanitario, la loro volontà è manifestata, in luogo di essi, da parte del rappresentante legale, in ogni caso «tenendo conto della volontà espressa» dall'incapace. Opportunamente, nulla precisa la nuova legge con riguardo al regime giuridico degli interdetti legali. Dato che l'incapacità d'agire in forma sanzionatoria che li riguarda è parziale in quanto limitata «alla disponibilità e all'amministrazione dei beni» (art. 32, comma 4, c.p.). L'interdetto legale è capace di esprimere autonomamente consenso o dissenso al trattamento medico che lo concerne. In presenza di un minore di anni 18, il consenso/dissenso informato è espresso, in modo autonomo e senza necessità di autorizzazione giudiziale di sorta (ex artt. 320 o 374 c.c.) dagli esercenti la responsabilità genitoriale, oppure, se il minore è orfano, da parte del tutore (comma 2). La nuova legge disciplina poi la posizione dell'interdetto, disponendo che il consenso informato vada espresso, in suo luogo, da parte del tutore (art. 3, comma 3 l. n. 219/2017 ). L'inabilitato è considerato soggetto pienamente capace di esprimere decisioni in tema di salute, senza necessità di assistenza del curatore, come d'altro canto riteneva la prevalente dottrina, la quale evidenziava che l'art. 394 c.c. richiama la ridotta capacità di agire unicamente con riferimento al compimento di “atti di amministrazione”, dotati di contenuto patrimoniale e non personale (comma 4, prima parte). Solo nella seconda parte della norma (art. 3, comma 4 l. n. 219/2017), la novella disciplina l'ipotesi in cui il disabile sia sottoposto alla misura dell'a.d.s., come se quest'ultimo istituto fosse ancillare rispetto all'interdizione. In realtà, se è vero che l'interdizione continua formalmente ad essere prevista e disciplinata dall'ordinamento, seppur nel codice sia collocata logisticamente in posizione citeriore rispetto all'a.d.s. (nel capo II del titolo XII del libro I del Codice civile), essa ha progressivamente perduto la tradizionale primazia che in passato rivestiva, prima della l. n. 6/2004, in quanto in passato rappresentava l'unico strumento di tutela degli infermi di mente, a beneficio del nuovo istituto di protezione degli incapaci; l'a.d.s. (Trib. Modena 15 novembre 2004, in Giur. it., 2005, 714 con nota di E. Montserrat Papalettere; Cass. 10 marzo 2010, n. 4866, in Giur. it., 2010, 2301, con nota di C. Rufo Spina; Cass. 28 luglio 2013, n. 18171, in Dir. Fam. Pers., 2014, 64; sulla primazia dell'a.d.s., Cass. 12 giugno 2006, n. 13584, in Giust. Civ., 2006, 2722; in Dir. Fam. Pers., 2006, 1671). La progressiva perdita di rilevanza dell'interdizione nell'ordinamento interno, susseguente non solo agli enunciati di civiltà e progresso portati dalla l. n. 6 /2004 nella ricerca di una protezione personalizzata del disabile (“un vestito su misura”), ma anche all'interpretazione che di quest'ultima legge ha fornito, prima la giurisprudenza più sensibile ai valori della persona e poi l'insegnamento nomofilattico (v. la celebre pronunzia c.d. Englaro Cass. n. 21748/2007; in Trib. Modena 23 marzo 2018, in personaedanno, con nota adesiva di R. Rossi; v. anche A. Cerrato, Il consenso informato prestato dall'ads deve tener conto della volontà del beneficiario in ilFamiliarista.it; Quot. Dir., 25 giugno 2018, con nota di Fiorendi; Foro it., 2018, 12, in corso di pubblicazione, con annotazione redazionale anonima). Al punto che da tempo era stato suggerito di ritenere tacitamente abrogate le vecchie, obsolete ed anacronistiche risposte protettive (P. Cendon, Un altro diritto per i soggetti deboli, l'amministrazione di sostegno e la vita di tutti i giorni, in L'amministrazione di sostegno, a cura di G. Ferrando, Milano, 2005, 21 e ss.). Il rifiuto delle scelte terapeutiche
Una tipologia di contrasto è prevista e disciplinata dalla nuova legge, laddove la stessa insorga fra a.d.s. e medico. In particolare, l'art. 3, comma 5 l. n. 219/2017 disciplina un intervento risolutivo da parte del giudice tutelare, laddove insorga contrasto tra rappresentante legale dell'incapace (maggiorenne o minorenne) in materia sanitaria(o, forse meglio, nuncius) ed il medico, con riferimento al rifiuto delle cure da praticare a beneficio del disabile, rifiuto dal primo manifestato; cure che, invece, il medico ritenga necessarie ed indispensabili per la salute del paziente. Secondo un decreto del Tribunale di Pavia la remissione della facoltà di rifiutare le cure all'amministratore di sostegno, senza autorizzazione del g.t., susciterebbe dubbi di legittimità costituzionale; dubbi che l'Ufficio patavino ha rimesso al giudizio della Corte Costituzionale (Trib. Pavia 24 marzo 2018, in Ilfamiliarista, 9 maggio 2018, con nota di R. Masoni, Potere dell'a.d.s. di rifiutare le cure senza l'intervento del g.t.: il Tribunale di Pavia solleva questione di legittimità). La norma di legge, in modo inesatto, si riferisce al “rappresentante legale dell'inabilitato”, che, ex comma 4, in realtà, in materia non subisce limitazione di capacità di agire, potendo decidere autonomamente della propria salute. Lessicalmente, la disposizione richiama essenzialmente le ipotesi di contrasto insorto tra a.d.s., ovvero, tutore dell'interdetto, o genitore o tutore del minore, e medico. In tal caso, è prevista la remissione della decisione al giudice tutelare (art. 3, comma 5 l. n. 219/2017), su ricorso del rappresentante legale dell'incapace o dei soggetti di cui all'art. 406 c.c. o da parte del medico o del rappresentante della struttura sanitaria. Il legislatore del 2017 ha omesso di disciplinare l'ipotesi opposta rispetto a quella testè considerata, per quanto la stessa possa essere di non agevole configurazione nella prassi nosocomiale. Ci riferiamo al caso in cui l'a.d.s. (o il tutore) richieda all'equipe medica la prosecuzione delle cure già intraprese, ma il medico opponga un rifiuto, ritenendo che, viceversa, la prosecuzione delle stesse risulti ormai inutile o dannosa (o, addirittura, potrebbe configurare accanimento terapeutico) per la persona incapace. In tale eventualità potrebbe ipotizzarsi che il legislatore minus dixit quam voluit disciplinando la sola, paradigmatica e statisticamente maggiormente ricorrente, ipotesi del rifiuto delle cure espresso dall'a.d.s., senza peraltro ritenere di escludere il caso testè considerato, con susseguente remissione anche di questa questione al g.t.. In tal caso, l'ipotesi pare assimilabile a quella del “conflitto” insorto, in presenza di DAT, tra fiduciario e medico, con riguardo alla disapplicazione delle disposizioni anticipate di trattamento, di cui all'art. 4, comma 5, ult. parte l. n. 219/2017. In tal caso, la decisione è rimessa al giudice tutelare. In alternativa, potrebbe ritenersi che il silenzio serbato legislativamente sia stato consapevole, intendendo rimetterne la scelta al medico curante. Come è già stato condivisibilmente suggerito (M. Piccinni, Decidere per il paziente: rappresentanza e cura della persona dopo la l. n. 219/2017, in Nuova giur. Civ. Comm., 2018, 7-8, 1118), la prima soluzione si appalesa maggiormente in armonia col sistema normativo delineato dalla novella, oltre a risultare assimilabile (per analogia) all'ipotesi del conflitto insorto tra fiduciario e medico con riguardo alla disapplicazione delle DAT ex art. 4, comma 5 cit.. Secondo il Trib. Vercelli 31 maggio 2018 (R. Masoni Legge sul consenso informato: quale conseguenze in caso di contrato tra ads e beneficiario sulle scelte terapeutiche? in ilFamiliarista.it) nella norma in esame sarebbe individuabile, per una «piuttosto evidente svista del legislatore», una lacuna, non essendo disciplinata l'ipotesi del contrasto insorto tra a.d.s. e rappresentato-paziente, che intenda «contestare le scelte terapeutiche» dal primo espresse. La soluzione sarebbe quella di ritenere egualmente applicabile l'art. 3, comma 5 l. n. 219/2017, «sulla base di un'interpretazione costituzionalmente conforme della legge». In realtà, ci pare non di lacuna trattarsi, ma di falso problema. Il contrasto tra le scelte che l'a.d.s. intenda intraprendere per il beneficiario, laddove quest'ultimo non sia daccordo, è già risolto dallo statuto dell'amministrazione di sostegno, laddove è previsto che il g.t. in tal caso «adott(i) gli opportuni provvedimenti» (art. 410, comma 2, c.c.). Apparentemente non disciplinata sarebbe pure l'ipotesi di un contrasto insorto tra un minore (un grande minore) e il genitore (o tutore) con riguardo alle cruciali scelte terapeutiche che lo concernono. In tal caso, il contrasto insorge tra un soggetto privo di capacità di agire ex art. 2 c.c. e il suo rappresentante legale. Ebbene, siffatta tipologia di contrasto non pare giuridicamente sussistente dato che solo quest'ultimo, per effetto di consapevole scelta legislativa, è legittimato a esprimere la volontà del minore (che ne è privo) con riguardo alle scelte di salute (a tenore dell'art. 3, comma 2 l. n. 219/2017). Solo questa volontà è vincolante, salvo contrasto, per il medico, che è «tenuto al rispetto di tale volontà» (art. 1, comma 6 l. cit.). Appare però trasparente che il legale rappresentante sia tenuto ad esprimere il consenso o il dissenso alle terapie per il minore avendo riguardo ai suoi desideri, ricostruendone la volontà, come pure la sua storia personale («tenendo conto della volontà del minore»: art. 3, comma 2 l. cit.). Profilo processuale
Come ha sottolineato un recente provvedimento organizzatorio del Tribunale di Mantova 13 aprile 2018, nonostante il silenzio serbato dal legislatore, alla parentesi giudiziaria riguardante il contrasto insorto tra legale rappresentante e medico sulle cure da praticare all'incapace (ex art. 3, comma 5 l. n. 219/2017), si applicano le consuete ed agili forme camerali (artt. 737 e ss. c.p.c.). La decisione conclusiva è trasfusa in un decreto (art. 43 disp. att. c.c.), reclamabile al tribunale in formazione collegiale (art. 45 disp. att. c.c.). Dal punto di vista della competenza territoriale, il ricorso va depositato innanzi al giudice del luogo dove ha domicilio il disabile. Non è prevista partecipazione obbligatoria del p.m., va assicurato il contraddittorio, senza necessariamente la fissazione di udienza. In sede decisoria alla delicata valutazione del giudice, come ha insegnato la pronunzia c.d. Englaro, è rimessa la ricostruzione della volontà espressa dal disabile in materia di cure e trattamenti prima di cadere in condizione di disabilità e che il rappresentante è tenuto a manifestare al medico agli effetti dei trattamenti praticabili nel suo interesse. Nell'attività di ricostruzione delle volontà, assumono rilievo le dichiarazione assunte dal g.t. a sommarie informazioni ex art. 738, ult. comma, c.p.c., anzitutto da parte dell'interessato che potrà essere sentito; da parte dei familiari, parenti, amici, vicini di casa e, in genere, da parte delle persone di fiducia del disabile, in grado di riferire sulle convinzione etico-religiose di quest'ultimo con riguardo alla vita, alla morte, al fine vita e, in particolare, con riguardo al limite dallo stesso fissato, rispetto alle cure ed al rifiuto di determinati trattamenti, quali, ad es., alimentazione ed idratazione artificiale, oggi del tutto disponibili da parte dell'interessato (art. 1, comma 5, l. n. 219/2017). Al riguardo, rilevano pure ulteriori fonti di informazione, quali scritti o documenti risalenti al medesimo, manifestazione delle sue più intime e profonde convinzioni in materia, in grado di sciogliere il contrasto tra medico e suo rappresentante legale. D'altro canto, è pure ipotizzabile che la persona incapace, prima di cadere in tale stato di incapacità di autodeterminazione, mai si sia espressa con riguardo alla propria salute, alla terapie da ricevere o rifiutare o al fine vita, ovvero, che il rappresentante legale, il quale dovrebbe essere interprete e portavoce della sue intime volontà in materia, mai abbia intrattenuto rapporti personali, come nei casi di nomina di un professionista, ovvero di nomina alla funzione di un organo istituzionale, come il sindaco, o il responsabile dei servizi sociali o sanitari. In tal caso, la risoluzione del conflitto assume per il giudice una particolare problematicità, delicatezza ed anzi drammaticità. Al riguardo, soccorre ancora una volta la pronunzia c.d. Englaro che, in uno specifico passo, richiama un criterio subordinato, laddove precisa che, in ogni caso, il tutore deve agire «nell'esclusivo interesse dell'incapace, nella ricerca del best interest». A fronte di contrasto emerso sulle scelte terapeutiche da praticare a beneficio dell'incapace ed in assenza di d.a.t. scritte, in definitiva, in tal caso, la scelta è rimessa ad una valutazione giudiziale soggettiva, al limite dell'arbitrio, che sempre deve avere quale punto di riferimento cruciale l'interesse dell'incapace. |