Denunzia al collegio sindacale

Salvatore Sanzo
22 Luglio 2015

La norma dell'art. 2408 c.c., pur modificata solo in minima parte dalla riforma organica del diritto della società di capitali, si colloca nel nuovo sistema con una portata decisamente rinnovata, alla stregua del mutato contesto normativo. Svolgono un ruolo determinante in tal senso, da un lato, la significativa “privatizzazione” del controllo nelle s.p.a., dall'altro, il deciso “distacco” della disciplina della s.r.l. da quella delle s.p.a. (con il correlato impedimento, in linea di principio, ad operare una integrazione per i casi di vuoto normativo), e, dall'altro ancora, il collegamento espresso con il nuovo testo (profondamente rinnovato) dell'art. 2406 c.c.
Inquadramento

La norma dell'art. 2408 c.c., pur modificata solo in minima parte dalla riforma organica del diritto della società di capitali, si colloca nel nuovo sistema con una portata decisamente rinnovata, alla stregua del mutato contesto normativo. Svolgono un ruolo determinante in tal senso, da un lato, la significativa “privatizzazione” del controllo nelle s.p.a., dall'altro, il deciso “distacco” della disciplina della s.r.l. da quella delle s.p.a. (con il correlato impedimento, in linea di principio, ad operare una integrazione per i casi di vuoto normativo), e, dall'altro ancora, il collegamento espresso con il nuovo testo (profondamente rinnovato) dell'art. 2406 c.c. In linea generale può registrarsi un indirizzo normativo diretto a rafforzare i poteri dell'organo di controllo interno, sempre però in coerenza con una duplice linea di tendenza che, per un verso, mira ad evitare, per quanto possibile, l'intervento giudiziario, e, per altro verso, attribuisce palese rilevanza al ruolo dei soci titolari di una percentuale qualificata di partecipazione al capitale sociale, anche con riguardo agli effetti conseguenti alla denuncia.

Se dunque resta inalterata la legittimazione individuale del socio ad attivare il procedimento di controllo che si innesca per effetto della sua denuncia, chiaramente diverse ne sono le conseguenze a seconda che il soggetto denunciante rappresenti una minoranza qualificata o meno. Con l'effetto, in caso di denuncia di minoranza qualificata, di obbligo di immediata attivazione del collegio sindacale, sia sotto il profilo dello svolgimento delle indagini, sia sotto quello della relazione (propositiva) all'assemblea dei soci, che, nei casi di “rilevante gravità” dei “fatti censurabili”, può addirittura essere direttamente convocata dall'organo di controllo.

La norma, che è di diretta applicazione anche nelle s.r.l. in cui sia presente l'organo di controllo, in forza del richiamo operato dall'art. 2477 c.c., segna peraltro una differenza rispetto alla previsione dell'art. 2409 c.c.: con riguardo a quest'ultima, infatti, assumono rilevanza soltanto le “gravi irregolarità nella gestione”, laddove, nell'ottica dell'art. 2408 c.c. la funzione di controllo tocca i più diversi aspetti della vita societaria, essendo rilevanti anche soltanto i “fatti censurabili”, a prescindere dalla loro incidenza, diretta od indiretta, in ambito gestorio.

Considerazioni di ordine generale

La trattazione dell'argomento in oggetto può prendere le mosse dalla nuova disciplina, introdotta ormai dodici anni addietro, con la riforma organica delle società di capitali: tale forma di indagine consente di verificare che, a volte, modificazioni generali di sistema possono produrre un impatto significativo anche su norme di legge che (al pari dell'art. 2408 c.c.) abbiano in realtà subito modificazioni secondarie nel contesto complessivo della riforma.

L'affermazione che precede è, sotto certi aspetti, un'anticipazione delle conclusioni cui si perverrà all'esito di queste brevi riflessioni sulla denuncia al collegio sindacale, presidio fondamentale nel sistema di controllo interno della società per azioni.

In questo periodo di vigenza delle nuove norme in materia, infatti, parrebbe si sia assistito ad un fenomeno (che non si sa bene quanto fosse stato previsto e voluto dal legislatore del 2003) per effetto del quale, come conseguenza della obiettiva privatizzazione dei sistemi di controllo interno, si è prodotto un sostanziale “declino” del procedimento giudiziario di controllo, indubbiamente favorito, da un lato, dalla eliminazione della legittimazione attiva del Pubblico ministero per tutti i casi in cui la s.p.a. non faccia ricorso al mercato del capitale di rischio, e, dall'altro lato, dalla (ormai definitivamente affermata) sua inapplicabilità alle società a responsabilità limitata; e nel contempo, soprattutto in epoca più recente, parrebbe assistersi ad una significativa rivalutazione del procedimento di controllo che muove dalla denuncia ex art. 2408 c.c.

Un simile assunto ha valore evidentemente relativo: ciò, soprattutto perché – se si fa eccezione per le società quotate, la cui disciplina impone la comunicazione al mercato anche di siffatte vicende interne – dall'esterno si può effettuare un monitoraggio munito di qualche attendibilità esclusivamente con riguardo ai provvedimenti giudiziari emessi in materia di denunzia al Tribunale, risultando invece molto difficile (ove non addirittura impossibile) avere notizia della quantità e della qualità dei procedimenti di denuncia al collegio sindacale.

Quel che parrebbe certo è che una simile tendenza al rafforzamento del procedimento di controllo interno a discapito del procedimento di controllo giudiziario risulterebbe in linea con l'orientamento legislativo finalizzato a favorire una “privatizzazione” della rilevanza delle irregolarità gestorie, anche in quegli ambiti di maggior interesse pubblicistico, rappresentati dalle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.

Certo, all'operatore giudiziario non appaiono secondari anche ulteriori aspetti che finiscono con il privilegiare il percorso “interno”: tra questi meritano menzione, quanto meno, il minor costo rispetto al percorso giudiziario e la più ristretta pubblicizzazione della vicenda, che entrambi incidono, direttamente e indirettamente, sul patrimonio del socio che assuma l'iniziativa della denuncia.

Posta la premessa che precede che, come accennato, sotto certi aspetti, è già anche una conclusione, è possibile svolgere qualche riflessione sullo stato attuale, normativo, operativo, dottrinale e giurisprudenziale, del sistema della “denunzia”, quale strumento di attuazione (in forma squisitamente repressiva, certamente non preventiva) del controllo interno nella società per azioni.

In evidenza: Corte Costituzionale

Corte Cost. 29 dicembre 2005 n. 481 ha definitivamente chiarito l'inapplicabilità, nel nuovo sistema, del procedimento di controllo giudiziario alle s.r.l., con una pronuncia relativa ad una fattispecie concreta in cui la società interessata era priva del collegio sindacale: pur essendo stata accolta dagli interpreti come una decisione che avrebbe lasciato margini di dubbio con riguardo a fattispecie in cui l'organo di controllo fosse stato presente (giusta il richiamo operato dall'art. 2477, comma 4, c.c. alle disposizioni sul collegio sindacale previste per la società per azioni), le pronunce giurisprudenziali (di merito) successive hanno registrato un orientamento costante nel senso di escludere in forma assoluta l'applicabilità del procedimento di controllo giudiziario al tipo s.r.l.

La “denunzia al collegio sindacale”: breve premessa

Il sistema procedimentale delineato dall'art. 2408 c.c. non ha conosciuto, come accennato sopra, significative innovazioni all'esito della riforma organica del 2003, che pure ha apportato alcuni interventi modificativi nel testo normativo.

Oggi, come già all'interno della disciplina originaria del codice, il procedimento che si potrebbe definire di “denunzia interna” è articolato in due distinti sub-procedimenti, che si differenziano a seconda del “peso” del socio denunziante in termini di partecipazione azionaria.

Le differenze disciplinari tra sistemi “vecchio” e “nuovo” si individuano essenzialmente:

  • nel fatto che, per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, la norma oggi in vigore attribuisce un ruolo significativo anche alla denunzia di un socio che rappresenti una quota modesta di partecipazione al capitale sociale (appena il 2%), con un quorum peraltro modificabile dallo statuto solo in ribasso;
  • in una innovata previsione, che evidentemente aspira ad assumere il ruolo di principio di chiusura del sistema (quasi a volerne sancire una sorta di “circolarità”), a mente della quale, là dove i fatti oggetto di censura abbiano il carattere della “gravità”, si determina automaticamente l'applicabilità dell'art. 2406, comma 2, c.c., in linea di massima destinato a regolare gli obblighi di comportamento dei sindaci di fronte ad omissioni degli amministratori, accertate all'esito dell'ordinario esercizio del potere/dovere di controllo.

Soprattutto quest'ultima appare una modifica significativa dal punto di vista sistematico, poiché la tecnica di costruzione della norma parrebbe proprio indirizzata a porre in risalto la visione unitaria, che il legislatore assume ed intende promuovere, della funzione di controllo interno, sia pure in un'ottica come si è detto fortemente “privatizzata”: i comportamenti imposti in determinati contesti al collegio sindacale non mutano con il mutare della “fonte” che abbia consentito di accertare il fatto censurabile, ma è il fatto “gravemente” censurabile in sé, comunque ne sia stata accertata la commissione, a fare insorgere l'obbligo di assunzione di determinate iniziative da parte dell'organo di controllo interno.

Legittimazione e soglie di rilevanza

Come si è appena accennato, l'art. 2408, comma 1, c.c. contempla una legittimazione individuale (“ogni socio”) alla formulazione della denuncia. Il medesimo art. 2408, 2° comma, c.c., però connette alla denuncia effetti procedimentali (parzialmente) diversi (e potrebbe dirsi sotto certi profili “obbligati”) nei casi in cui la denuncia sia presentata da “tanti soci” che rappresentino il 5% del capitale, in una s.p.a. a partecipazione “chiusa”, ovvero il 2%, in una società che faccia ricorso al mercato del capitale di rischio (salve previsioni statutarie che fissino parametri ancor minori, per entrambi i tipi di società).

Secondo la previsione normativa, dunque, qualunque socio è legittimato a denunciare al collegio sindacale “i fatti che ritiene censurabili”: diverso parrebbe essere, invece, almeno in linea astratta, il comportamento imposto all'organo di controllo interno a seconda della fonte della denuncia.

Sicché, secondo la previsione dell'art. 2408, comma 1, c.c., ove si tratti di una minoranza non qualificata, il collegio sembra doversi limitare a “tenere conto” della denunzia nella relazione per l'assemblea, senza che si determini l'insorgere di un particolare dovere di indagine.

Ove, invece, secondo la previsione dell'art. 2408, comma 2, c.c., la denuncia provenga da una minoranza qualificata, il collegio “deve indagare senza ritardo” ed è comunque tenuto a formulare all'assemblea “le sue conclusioni ed eventuali proposte”.

Con una scelta tecnica di costruzione della norma che, sotto certi profili, lascia perplessi, sempre secondo la previsione dell'art. 2408, comma 2 c.c. – e, dunque, solo in stretta correlazione con l'ipotesi in cui la denuncia provenga da una minoranza qualificata –, là dove ricorrano i presupposti dell'art. 2406, comma 2, c.c. (vale a dire il riscontro di “gravi fatti censurabili” e la “urgente necessità di provvedere”) il collegio sindacale è tenuto a convocare (si intende, senza indugio) l'assemblea, allo specifico scopo di consentire di discutere e di deliberare sui fatti accertati all'esito dell'indagine.

Continua a destare perplessità la discriminazione normativa, mantenuta nel passaggio dal codice del 1942 alla disciplina del 2003, sul comportamento che l'organo di controllo è tenuto ad adottare, parametrata non già alla natura, alla gravità ed alla fondatezza dei fatti denunciati, bensì (almeno in apparenza) soltanto alla soglia di partecipazione capitaria di cui sia titolare il denunziante: come se una denunzia formulata da una minoranza sia, per definizione, meno fondata o meno attendibile di quella formulata da una minoranza maggiormente “qualificata” ma, paradossalmente, solo in termini “quantitativi”.

Il tema della legittimazione alla denuncia implica - come sempre quando il legislatore si riferisce genericamente al “socio” nell'attribuire diritti, doveri o poteri - lo scioglimento di alcuni nodi interpretativi con riguardo ai casi peculiari circa la titolarità della partecipazione azionaria.

Parrebbe difficile negare che la legittimazione di cui qui si parla rientri nel novero dei cosiddetti “diritti amministrativi” cui si riferisce l'art. 2352, comma 6, c.c., con la conseguenza che:

  • in caso di pegno e di usufrutto di azioni, la legittimazione, salve pattuizioni contrarie, compete sia al socio in senso proprio, sia all'usufruttuario sia al creditore pignoratizio;
  • in caso di sequestro compete al custode;
  • in caso di titolare sottoposto ad amministrazione di sostegno, competerà al beneficiario ovvero all'amministratore, a seconda delle previsioni del relativo provvedimento di nomina circa l'attribuzione e la ripartizione tra i due dei diritti ammnistrativi connessi alla titolarità della partecipazione.

Parrebbe poi doversi ritenere che, in caso di azioni in comunione indivisa, la legittimazione competa, ai sensi dell'art. 2347 c.c., al rappresentante comune degli azionisti comproprietari.

Una breve considerazione conclusiva: discutere di legittimazione con riguardo ai procedimenti di denunzia al collegio sindacale, evidentemente non può essere considerato come discutere di legittimazione in ambito processuale. Nel senso che, evidentemente, la denuncia di un fatto gravissimo che provenga da un “non socio”, certamente non per questo potrebbe essere ignorata dal collegio, tenuto conto che i fatti oggetto di denunzia (nel sistema “circolare” cui si accennava) finiscono per rientrare sempre nell'oggetto specifico della funzione di controllo, che rappresenta l'oggetto tipico dell'attività del collegio sindacale.

I procedimenti di cui si parla rappresentano dunque una sorta di “presidio minimo interno”, a tutela di coloro che sono individuati come legittimati alla proposizione di essi: con la conseguenza che le disposizioni qui in esame fissano le regole di comportamento indefettibili che i sindaci debbono assumere di fronte ad una denunzia “titolata”, ma certo non esauriscono il novero delle condotte che essi debbono tenere nel pieno svolgimento della funzione di controllo.

I fatti (ed i soggetti) “censurabili”

Non sfugge, anche ad una lettura solo superficiale, che il legislatore abbia inteso porre ad oggetto della denunzia qui in esame (e dunque della funzione di controllo specifico e di indagine che essa denunzia è in grado di attivare) non necessariamente una condotta “illegittima”, ma anche soltanto un contegnoinopportuno”.

Probabilmente il vero discrimine tra l'area di operatività della previsione dell'art. 2408 c.c. e quella dell'art. 2409 c.c. sta proprio in ciò: la denunzia dell'art. 2408 c.c. può avere ad oggetto anche soltanto fatticensurabili”, cioè eventi non necessariamente illegittimi e non necessariamente dannosi, ma anche solo inopportuni, che magari siano sintomatici di un problema più profondo, che dunque deve essere oggetto dell'indagine da parte del collegio sindacale.

Un primo punto importante parrebbe essere rappresentato dal riferimento ai “fatti” anziché alle “condotte”.

Anche in questo caso non sfugge la differenza semantica tra l'art. 2408 c.c. e l'art. 2409 c.c.: quest'ultimo si riferisce alle conseguenze di condotte attive dell'operato degli amministratori (“… abbiano compiuto gravi irregolarità …”), laddove la prima norma non intende circoscrivere l'oggetto della denuncia ad eventi dinamici, anzi sottolinea il profilo statico del dato rilevante, con il riferimento al “fatto”.

Non solo: il fatto censurabile, stando al testo della norma, parrebbe non dover necessariamente attenere alla gestione, cioè alla condotta degli amministratori, poiché la disposizione di legge non ne circoscrive in nessun modo l'area di incidenza.

Dunque:

  • non necessariamente una condotta, ma anche soltanto un evento che assuma rilievo, in termini di censurabilità, sotto il profilo statico;
  • non necessariamente “illegittimo”, ma semplicemente “censurabile”, contrario dunque anche a regole non giuridiche, ma solo economiche o tecniche, di opportunità, magari persino semplicemente etiche, purché evidentemente rilevanti nell'interesse della società (e dunque tali da giustificare la censurabilità della violazione di esse);
  • soprattutto, non necessariamente un fatto “gestorio”, riferibile in senso ampio, cioè, all'amministrazione della società: potrebbe persino trattarsi allora di un fatto censurabile che concerna un sindaco.

I due riferimenti essenziali dovrebbero essere quindi la “censurabilità” del fatto e la “pertinenza” di esso con lo svolgimento dell'attività sociale e con la funzione di controllo dell'organo destinatario della denuncia.

In evidenza: Tribunale Roma

“… è sufficiente che i soci chiedano ai sindaci di indagare in ordine a fatti sintomatici che possono in ipotesi configurare, ove accertati, cattiva gestione dell'impresa da parte degli amministratorisenza che ciò necessariamente presupponga un inadempimento da parte dei componenti dell'organo di gestione del contratto di mandato che li vincola al rispetto delle norme legali e statutarie che governano l'attività sociale, potendosi muovere delle ‘censure' anche sul piano dell'opportunità economica e dell'osservanza delle regole di tecnica gestoria… dunque, non vi è coincidenza tra i ‘fatti censurabili' di cui all'art. 2408 c.c. e quelli costitutivi astrattamente sottesi all'azione volta ad accertare la responsabilità (contrattuale) degli amministratori verso la società…” (Trib. Roma, 17 marzo 2003, in Foro it., 2004, I, 941).

Forma ed effetti della denunzia: il procedimento di cui all'art. 2408, comma 1 c.c.

Sin dalla vigenza del codice del 1942, si è sempre ritenuto che la denunzia (da chiunque provenga), tanto quella dell'art. 2408, comma 1, quanto quella dell'art. 2408, comma 2, c.c., non debba avere alcuna forma minima necessaria, sicché essa può anche essere formulata oralmente ed ovviamente (ed a maggior ragione) anche in corso di adunanza assembleare.

Diversi, invece, almeno stando alla previsione testuale della norma, sono gli effetti sull'attività dei sindaci, a seconda che la denuncia provenga da una minoranza qualificata o meno.

Laddove infatti il denunciante non raggiunga il quorum minimo sancito dall'art. 2408, comma 2 c.c., l'art. 2408, comma 1 c.c. sancisce che il collegio sindacale debba semplicemente “tenere conto” della denuncia ricevuta nella relazione indirizzata all'assemblea: la locuzione (certamente atecnica e, per di più ambigua) fa pensare ad una sorta di prescrizione “in bianco”.

Il legislatore, di fronte alla denuncia di una minoranza magari davvero “minima”, non prevede specificamente cosa debba fare il collegio sindacale, ma non manca di chiarire che anche di detta denuncia si debba tenere conto.

Sembrerebbe quasi doversi ritenere che l'espressione usata sia equivalente ad una sorta di “divieto di ignorare”: cioè non sarebbe mai consentito al collegio sindacale di trascurare del tutto una denuncia di un socio sol perché esso è titolare di una porzione irrisoria del capitale sociale.

Non solo: la norma chiarisce che il collegio debba sempre e comunque “tenere conto” della denuncia nella relazione destinata all'assemblea.

Il che equivale a dire che il consesso dei soci deve ricevere una relazione del collegio sindacale sulla denuncia, da chiunque essa provenga e qualunque ne sia la fondatezza.

L'obbligo di redigere una relazione, all'evidenza, può essere adempiuto correttamente solo all'esito di un'indagine sulla denunzia stessa: indagine che, chiaramente, sarà conforme e coerente con la specificità, con la serietà, con l'attendibilità e con la gravità dei fatti denunciati.

E dunque, là dove ci si trovi in presenza di una denunzia che appaia palesemente infondata (o perché i fatti siano del tutto inverosimili o addirittura falsi, o perché i sindaci reputino ragionevolmente che essa sia ispirata, ad esempio, a finalità emulative) essi potranno certamente limitarsi a segnalare di averla ricevuta e di avere ritenuto superfluo ogni accertamento: ma comunque ne dovranno “tenere conto” nella relazione stessa.

In evidenza: Giurisprudenza di merito

Il termine “relazione”, nel regime previgente – con valutazione che però potrebbe considerarsi estensibile anche alla disciplina odierna, che sul punto non registra sostanziali variazioni – era stato considerato in senso non necessariamente documentale, da parte della giurisprudenza di merito, essendosi affermato che “la legge non prevede che la relazione dei sindaci ex art. 2408 c.c. sia allegata al verbale di assemblea ed è pertanto sufficiente che sui fatti censurati i sindaci ne abbiano riferito oralmente all'assemblea, anche se non hanno redatto una relazione scritta” (Trib. Vicenza 23 marzo 1999, in Dir. Fall., 1999, II, 566). Nel medesimo senso: “per i sindaci non costituisce irregolarità grave il non menzionare nella relazione annuale una denunzia ricevuta, se il collegio ha provveduto tempestivamente ad investigare con esito negativo sui fatti censurabili e ne ha riferito oralmente in assemblea” (App. Milano, 10 giugno 1991, in Giur it., 1992, I, 2, 235).

All'opposto, là dove essi reputino la denuncia fondata e, peraltro, attinente a fatti gravi e rilevanti (sul tema si ritornerà a breve, trattando della denunzia disciplinata dall'art. 2408, comma 2 c.c.) dovranno svolgere indagini approfondite ed eventualmente, ove le stesse dovessero indurre al convincimento circa il suo fondamento, coinvolgere senza indugio l'assemblea.

In evidenza: Tribunale Torino

In tal senso, sempre in epoca anteriore alla riforma del 2003 (ma con enunciato che sarebbe difficile ritenere non applicabile anche alla disciplina attuale), si era ritenuto che “anche quando la denunzia al collegio sindacale sia presentata da un numero di soci che rappresentino meno di un ventesimo del capitale sociale, il collegio può svolgere indagini e deve convocare immediatamente l'assemblea se la denunzia appare fondata e vi è urgente necessità di provvedere” (Trib. Torino, 6 ottobre 1980, in Giur. Comm., 1981, II, 635).

Una delle aporie della struttura della norma dell'art. 2408 c.c. sembra essere quella di considerare come denuncia potenzialmente fondata e attinente a fatti rilevanti solo quella di cui all'art. 2408, comma 2 c.c.: non altrimenti sembrerebbe doversi spiegare il fatto che, oggi, così come prima della riforma del 2003, la previsione concernente la convocazione dell'assemblea non costituisce oggetto di una disposizione di legge autonoma rispetto ad esso art. 2408, 2° comma c.c.: il che appare anomalo, risultando quasi scontato che la gravità e la fondatezza del fatto censurabile, evidentemente, trascendono la fonte della conoscenza di esso (e dunque la qualificazione del denunciante) poiché fondano l'obbligo comportamentale dei sindaci alla stregua delle regole generali di condotta dell'organo di controllo.

Segue: il procedimento di cui all'art. 2408, comma 2 c.c.

Allorché la denunzia provenga da una minoranza qualificata, la condotta che il collegio sindacale deve adottare viene indicata in forma più dettagliata dal legislatore, che impone all'organo di controllo di “indagare senza ritardo sui fatti denunciati” e poi di “presentare le sue conclusioni ed eventuali proposte all'assemblea”.

Al di là delle parole utilizzate, la lettura “comparata” delle due norme lascia intendere che, a fronte di una denuncia proveniente dalla minoranza qualificata (a differenza di quanto accade nel caso disciplinato dall'art. 2408, comma 1, c.c.):

  • il collegio sindacale non può omettere di fare luogo ad un'indagine specifica sui fatti denunciati;
  • tale indagine deve essere effettuata senza alcun differimento temporale: il che potrebbe comportare anche l'insorgere di un problema di impegno “straordinario” dei sindaci nell'esercizio della funzione di controllo. Nell'espletamento delle funzioni di indagine e di controllo, infatti, pare legittimo ritenere che trovino applicazione, tra le altre, le previsioni dell'art. 2403 bis c.c.: sul punto potrebbe porsi (e, nel concreto, spesso si pone) un problema circa l'eventuale limitazione dell'esercizio del potere/dovere di controllo dei sindaci, sia pure in forma indiretta, da parte dell'organo gestorio. Ci si riferisce, da un lato, alla possibilità, per i sindaci, sancita dall'art. 2403 bis, comma 4, c.c., di avvalersi di propri dipendenti ed ausiliari che non versino in situazioni (lato sensu) conflittuali; dall'altro lato, e soprattutto, dalla possibilità per gli amministratori, riconosciuta dall'art. 2403 bis, comma 5, c.c., di rifiutare agli ausiliari ed ai dipendenti dei sindaci l'accesso alla documentazione riservata;
  • all'esito dell'indagine, non è sufficiente che essi si limitino ad un richiamo nella propria relazione ai fatti oggetto della denuncia, ma si rende necessario che formulino specifiche conclusioni su detti fatti e, evidentemente ove li ritengano sussistenti nella denunciata censurabilità, anche eventuali proposte sui rimedi e/o sulle reazioni da adottare.

Questi sono, come si è già accennato più sopra, i presidi minimi a tutela dei diritti della minoranza qualificata, la quale è legittimata ad esigere che il collegio sindacale ponga in essere le condotte descritte con le modalità indicate dalla norma, ma ciò non esaurisce certo il novero delle condotte che il collegio sindacale deve assumere e che trovano la regolamentazione loro propria nelle disposizioni che disciplinano in generale, appunto, i doveri ed i poteri del collegio. Ed infatti, nel sistema attuale, l'art. 2408, 2° comma c.c., come si è avuto modo accennare ripetutamente, contempla l'eventualità che il collegio sindacale accerti la fondatezza della denuncia e, per giunta, verifichi che l'indagine espletata faccia emergere fatti che integrino i presupposti di cui all'art. 2406, 2° comma c.c., cioè il verificarsi(benché la rubrica dell'art. 2406 c.c. continui a riferirsi, oggi come in passato, ad “omissioni” degli amministratori, in realtà sembra trattarsi di una svista del riformatore, poiché l'art. 2406, 1° comma c.c. regolamenta tuttora un caso specifico di condotta omissiva dell'organo gestorio, ma il “nuovo” art. 2406, 2° comma c.c. disciplina indistintamente condotte omissive e commissive parrebbe non necessariamente degli amministratori) da parte dell'organo gestorio, di “fatti censurabili di rilevante gravità”, in una situazione in cui “vi sia urgente necessità di provvedere”.

Ha fatto molto discutere tra i commentatori della riforma del 2003 la scelta del legislatore di modificare la formula dell'art. 2408, 2° comma c.c., eliminando dall'interno di essa una fattispecie autonoma di accertamento di “irregolarità” gestoria ed inserendo un richiamo alla previsione dell'art. 2406, 2° comma c.c.. Nel sistema previgente, invece, era lo stesso art. 2408, 2° comma c.c. a fissare i presupposti per la convocazione immediata dell'assemblea, ancorandoli all'avvenuto accertamento della “fondatezza” della denunzia, in una situazione in cui vi fosse “urgente necessità di provvedere”.

In questo caso, un esame comparato delle discipline lascia constatare che, fermo essendo rimasto il presupposto dell'urgente necessità di provvedere, la differenza sta nel fatto che, mentre in precedenza, l'iniziativa di convocazione dell'assemblea era legata all'accertamento della “fondatezza della denuncia”, oggi essa si riconnette alla “rilevante gravità” dei fatti censurabili. Il che dovrebbe indurre a ritenere che oggi, ai fini di ritenere legittimato il collegio alla convocazione dell'assemblea, non sia più sufficiente accertare la fondatezza della denuncia, ma sia necessario altresì che i fatti censurabili siano risultati accertati (l'accertamento dovendo ritenersi evidentemente implicito nella valutazione degli stessi) e che essi abbiano i requisiti appunto della rilevante gravità.

Resta sostanzialmente fermo invece il presupposto ulteriore, rappresentato dalla “urgente necessità di provvedere”, che si trovava nel “vecchio” art. 2408, comma 2 c.c. e che oggi è “trasferito” nel “nuovo” art. 2406, comma 2 c.c.

Sotto certi profili, sul piano concreto ci si trova in presenza di quella che, con un parallelismo grammaticale, potrebbe definirsi quasi una sorta di endiadi: pare difficile immaginare, infatti, un caso in cui, accertato un fatto di rilevante gravità non vi sia necessità di provvedere urgentemente. Sicché, accertati i fatti, ritenutane la gravità e considerata l'urgente necessità di provvedere in merito, il collegio sindacale dovrà convocare senza indugio l'assemblea, dandone preventiva comunicazione al presidente del consiglio di amministrazione.

E nel contempo, parrebbe davvero difficile ipotizzare che il collegio sindacale, accertato un fatto di rilevante gravità, per il quale sia necessario provvedere urgentemente, non si ponga anche il problema delle ulteriori iniziative che quale organo di controllo esso possa essere chiamato doverosamente ad assumere nel corretto esercizio di una funzione anche di interesse pubblico, che trascende dunque gli interessi della società (i quali, nel nuovo contesto normativo, molto spesso finiscono per coincidere con gli interessi di quella maggioranza di cui gli amministratori sono la principale espressione).

In quest'ottica, e del tutto a prescindere dall'ovvia applicazione della disposizione dell'art. 2406, comma 2 c.c., il collegio sindacale, ad avviso di chi scrive, di fronte all'accertamento di fatti gravemente censurabili, dovrà affrontare al proprio interno (senza indugio e senza che ciò minimamente interferisca con la celebrazione dell'assemblea di cui alla norma testé richiamata) sia la questione concernente l'eventuale esercizio dell'azione sociale di responsabilità ai sensi dell'art. 2393, comma 3 c.c., sia la questione dell'eventuale denuncia al tribunale delle irregolarità accertate, nella misura in cui le stesse rientrino nei parametri oggettivi dell'art. 2409 c.c.: iniziative, queste, reciprocamente autonome, mirando l'una al conseguimento del ristoro del pregiudizio subito dalla società e l'altra ad un intervento giudiziario che ponga rimedio (in forma repressiva, ma sotto certi profili anche preventiva) alle gravi irregolarità accertate.

Riferimenti normativi e giurisprudenziali

Norme:

Art. 2408 del Codice Civile

Art. 2406 del Codice Civile

Giurisprudenza:

Corte Cost. 29 dicembre 2005 n. 481

Trib. Roma, 17 marzo 2003

Trib. Torino 6 ottobre 1980

App. Milano 10 giugno 1991

Sommario