Donazione e animus donandi

Mauro Di Marzio
12 Febbraio 2018

L'art. 769 c.c. definisce la donazione come il contratto con cui, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l'altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un'obbligazione. Mediante la donazione si realizza dunque, in presenza del requisito dell'animus donandi, consistente ad un dipresso nella consapevolezza di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi tenuti, un arricchimento del patrimonio del donatario, con correlativo depauperamento del donante, il quale dispone di un proprio diritto nei confronti del donatario ovvero assume verso di lui un'obbligazione.
Inquadramento

L'art. 769 c.c. definisce la donazione come il contratto con cui, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l'altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un'obbligazione. Mediante la donazione si realizza dunque, in presenza del requisito dell'animus donandi, consistente ad un dipresso nella consapevolezza di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi tenuti, un arricchimento del patrimonio del donatario, con correlativo depauperamento del donante, il quale dispone di un proprio diritto nei confronti del donatario ovvero assume verso di lui un'obbligazione.

Si tratta di un contratto la cui disciplina è tuttavia collocata a chiusura del secondo libro, intitolato alle successioni. Difatti «è sicura la prevalenza della volontà del donante, come risulta da svariate disposizioni, le quali importano accostamento, sotto molteplici aspetti, alle disposizioni testamentarie. Tanto nel testamento che nella donazione manca quella caratteristica contrapposizione di interessi che dà luogo al contratto e in esso si conciliano. Nella loro formazione non c'è contrasto; questo potrà aver luogo successivamente, cioè tra donante e donatario o i loro eredi, oppure tra onerato ed onorato nelle disposizioni testamentarie qualora il rapporto sia perfetto. Tali contrasti sono estranei alla formazione dei rispettivi atti» (B. Biondi, Le donazioni, Torino, 1961, 580). Trattandosi di contratto, si applicano alla donazione le regole dettate per i contratti in generale, salvo le espresse deroghe, ovvero le disposizioni incompatibili con la particolare natura della donazione (U. Carnevali, Le donazioni, in Tratt. Rescigno, VI, 2, Torino, 1997, 493).

È in particolare contratto a titolo gratuito, connotato cioè dall'assenza di corrispettivo; consensuale, perché si perfeziona con la manifestazione di volontà delle parti; normalmente traslativo, poiché consiste, generalmente, nel trasferimento di un diritto; formale, poiché richiede di regola l'atto pubblico (art. 782 c.c.), nonché la presenza di due testimoni (art. 48, l. 16 febbraio 1913, n. 89).

Atti a titolo gratuito, atti di liberalità, donazione

Il carattere della gratuità, di cui si è fatta menzione, vale tuttavia soltanto a delimitare il genere entro cui il contratto di donazione si inquadra, genere al quale appartiene un ampio numero di atti negoziali, che donazioni non sono, nei quali alla prestazione di una parte non si contrappone una corrispettiva prestazione dell'altra: basti pensare — salvo quanto subito si dirà — al contratto di comodato, che, alla stregua dell'art. 1803, comma 2, c.c., è essenzialmente gratuito, ovvero, al mutuo senza interessi e al mandato o deposito senza corrispettivo, ovvero, quanto ai contratti innominati, al contratto di sponsorizzazione, in cui, in genere, pur emergendo un sacrificio patrimoniale dello sponsor cui non corrisponde una controprestazione, risulta palese il suo interesse economico, rappresentato dalla pubblicità del nome e del marchio, la qual cosa esclude la riconducibilità della sponsorizzazione alle liberalità (v. Cass. civ., 21 maggio 1998, n. 5086).

Ciò che, oltre all'animus donandi, distingue i negozi a titolo gratuito dagli atti di liberalità ed in particolare dalla donazione è il nesso di correlazione tra l'arricchimento di una parte e l'impoverimento dell'altra, impoverimento caratterizzante le liberalità, ma estraneo ai negozi a titolo gratuito.

Anche la Suprema Corte afferma che per aversi donazione non basta l'elemento soggettivo o spirito di liberalità, consistente nella consapevolezza di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi in alcun modo costretti, ma occorre anche l'elemento oggettivo costituito dall'incremento del patrimonio altrui (l'arricchimento del donatario) ed il depauperamento di chi ha disposto del diritto o assunto l'obbligo (l'impoverimento del donante), mentre non assumono rilievo i motivi interni psicologici che inducono a compiere la donazione (Cass. civ., 26 maggio 2000, n. 6994).

E tuttavia occorre segnalare che siffatta affermazione, pur nella sua astratta esattezza, merita secondo molti di essere riconsiderata laddove va a circoscrivere la nozione di impoverimento, perlopiù concepita sulla base di una vetusta identificazione tra esso e la diminuzione del patrimonio, la quale conduce ad escludere che possa parlarsi di impoverimento nel caso di prestazioni di fare ovvero di ogni altro negozio che, pur arrecando all'altra parte un beneficio patrimoniale, non dia in tal senso luogo ad una contrazione del patrimonio del disponente, ovvero (come nel mutuo senza interessi) comporti un impoverimento solo temporaneo (v. tra gli altri A. Gianola, La donazione di fare, in Riv. dir. civ., 2001, 385). In effetti, considerata la finalità della disciplina dettata per gli atti di liberalità, laddove diretta a tutelare i diritti dei legittimari, appare arduo reputare che il comodato di durata magari pluridecennale di un immobile di ingente valore (v. per un'ipotesi simile App. Milano, 17 dicembre 2004, ovvero il mutuo senza interessi da restituirsi anch'esso nell'arco temporale di decenni, non determini impoverimento del disponente. E tuttavia, nel risolvere la questione, non può per altro verso omettersi di considerare che un allargamento dell'ambito della donazione, attraverso una riconsiderazione della nozione di impoverimento, condurrebbe ad estendere l'iperformalismo della donazione a figure negoziali che vi sono tradizionalmente estranee, con conseguente complicazione dei traffici giuridici.

Nell'ambito dei negozi a titolo gratuito, poi, occorre distinguere la più ristretta categoria degli atti di liberalità, che non si esauriscono tuttavia nella donazione, la quale è soltanto il principale atto di liberalità, potendosi configurare liberalità che donazioni non sono (A. Torrente, La donazione, Giuffrè, 1956, 11), le liberalità non donative, appunto, soggette per un verso a talune norme dettate per la donazione, ai sensi dell'art. 809 c.c., per altro verso alle norme in tema di collazione (art. 737 c.c., il quale estende l'istituto anche alle donazioni ivi definite indirette). In tal senso varrà per ora richiamare la previsione dell'art. 809 c.c., volto all'individuazione delle norme sulle donazioni applicabili agli altri atti di liberalità: così ad esempio l'adempimento del terzo (art. 1180 c.c.), la remissione del debito (art. 1236 c.c.), il contratto a favore di terzo (art. 1411 c.c.), la rendita perpetua di cui all'art. 1862, comma 2, c.c., la rendita vitalizia a favore di un terzo (art. 1875 c.c.), l'assicurazione a favore di un terzo (art. 1920 c.c.).

Lo spirito di liberalità

«Nella definizione del nostro codice che vuole che il contratto di donazione sia conchiuso per spirito di liberalità del donante, la confusione tra causa e motivo appare più insidiosa che mai» (A. C. Jemolo, Lo «spirito di liberalità», in Studi giuridici in memoria di Filippo Vassalli, II, Torino, 1960, 975). Vi è chi intende lo spirito di liberalità come motivo individuale e contingente che induce il donante a dismettere un proprio diritto o a contrarre un'obbligazione (G. Oppo, Adempimento e liberalità, Milano, 1947, 76). Vi è chi, secondo l'opinione che appare prevalente, colloca l'animus donandi sul piano dello scopo, tipico e costante, configurabile ogniqualvolta il donante attribuisca al donatario un vantaggio patrimoniale con la consapevolezza di non esservi obbligato (per tutti, di recente, P. Gallo, La causa della donazione, in G. Bonilini, Trattato di diritto delle successioni e delle donazioni, VI, Giuffrè, 2009, 367). La causa della donazione, in tale prospettiva, risulta inscindibilmente connessa all'elemento soggettivo, identificato per l'appunto nell'animus donandi (A. Torrente, La donazione, Giuffrè, 1956; G. Balbi, La donazione, Milano, 1964). Vi è per converso chi ha sostenuto la tesi della acausalità della donazione (G. Capozzi, Successioni e donazioni, II, Giuffrè, 1982, 790), ma la soluzione contrasta con l'espressa qualificazione normativa della donazione quale contratto, che, come tale, è necessariamente causale secondo la previsione dettata dall'art. 1325 c.c.. La problematicità della enucleazione della causa della donazione ha indotto d'altronde a ritenere che essa abbia al riguardo un rilievo particolarmente debole e tenue, debolezza tuttavia compensata dal formalismo particolarmente intenso richiesto per la stipulazione dell'atto (G. Gorla, Il contratto, Giuffrè, 1954, 85).

In giurisprudenza si afferma che l'intento di donare, quale volontà del donante diretta a compiere a favore di un altro soggetto un'attribuzione patrimoniale gratuita, priva cioè di controprestazione, consiste nella coscienza del donante del compimento di un'elargizione patrimoniale ad altri in assenza di un vincolo giuridico che determini tale comportamento: pertanto, lo spirito di liberalità richiamato dall'art. 769 c.c. si identifica non con un intento benefico o altruistico, ma con lo scopo obbiettivo che si raggiunge attraverso il negozio e che ne costituisce la causa, cioè, la gratuita attribuzione del bene al donatario. Ciò vale anche per le cosiddette donazioni indirette, in cui la liberalità è raggiunta attraverso l'utilizzazione strumentale di negozi diversi (Cass. civ., 16 ottobre 1976, n. 3526; Cass. civ., 13 maggio 1980, n. 3147). Perciò, affinché un atto dispositivo possa qualificarsi come donazione non è sufficiente che il medesimo sia compiuto a titolo gratuito, ma occorre anche che la disposizione patrimoniale sia animata da spirito di liberalità, ossia effettuata a titolo di mera e spontanea elargizione, fine a se stessa (Cass.civ., 28 agosto 2008, n. 21781, che ha escluso che potesse essere qualificata donazione un atto bilaterale, finalizzato a regolare rapporti di buon vicinato, col quale era stato concesso al proprietario di un edificio confinante di aprire una piccola finestra al di sopra del colmo del tetto del fabbricato del concedente). In breve, lo spirito di liberalità è da intendere come «consapevole determinazione dell'arricchimento del beneficiario mediante attribuzioni od erogazioni patrimoniali operate nullo iure cogente» (Cass. civ., 13 maggio 1980, n. 3147).

In tale prospettiva viene ad esempio negata natura di liberalità ai negozi attributivi di beni conclusi in sede di separazione coniugale (Cass. civ., 11 novembre 1992, n. 12110). Difatti, gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti attribuzioni patrimoniali da parte dell'uno nei confronti dell'altro e concernenti beni mobili o immobili, non risultano collegati necessariamente alla presenza di uno specifico corrispettivo o di uno specifico riferimento ai tratti propri della donazione, e — tanto più per quanto può interessare ai fini di una eventuale loro assoggettabilità all'actio revocatoria di cui all'art. 2901 c.c. — rispondono, di norma, ad un più specifico e più proprio originario spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell'evento di separazione consensuale, ovvero divorzio, evento che, sfuggendo da un lato alle connotazioni classiche dell'atto di donazione vero e proprio (tipicamente estraneo, di per sé, ad un contesto, quello della separazione personale, caratterizzato proprio dalla dissoluzione delle ragioni dell'affettività), e dall'altro a quello di un atto di vendita (attesa oltretutto l'assenza di un prezzo corrisposto), svela, di norma, una sua «tipicità» propria la quale poi, volta a volta, può, ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all'art. 2901 c.c., colorarsi dei tratti dell'obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della «gratuità», in ragione dell'eventuale ricorrenza o meno nel concreto dei connotati di una sistemazione «solutorio-compensativa» più ampia e complessiva, di tutta quella vasta serie di possibili rapporti maturati nel corso della convivenza matrimoniale (Cass. civ., 14 marzo 2006, n. 5473; v. pure Cass. civ., 12 aprile 2006, n. 8516). Per converso, è stata ritenuta ammissibile l'azione revocatoria ordinaria del trasferimento di immobile, effettuato da un genitore in favore della prole in ottemperanza ai patti assunti in sede di separazione consensuale omologata, poiché esso trae origine dalla libera determinazione del coniuge e diviene «dovuto» solo in conseguenza dell'impegno assunto in costanza dell'esposizione debitoria nei confronti di un terzo creditore, sicché l'accordo separativo costituisce esso stesso parte dell'operazione revocabile e non fonte di obbligo idoneo a giustificare l'applicazione dell'art. 2901, comma 3, c.c. (Cass. civ., 22 gennaio 2015, n. 1144). Parimenti, la costituzione del fondo patrimoniale per fronteggiare i bisogni della famiglia (artt. 167 ss. c.c.) non può essere intesa come adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura un atto tipico di liberalità, anche quando i coniugi conferiscano beni di proprietà comune, il quale, allorché la famiglia si sia dissolta a seguito di separazione dei coniugi, non ha altra finalità che quella di sottrarre alla garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.) i beni costituiti nel fondo medesimo, con la conseguenza che, ove la stipulazione dell'indicato atto sia avvenuta nel periodo «sospetto», esso è suscettibile di revocatoria fallimentare, a norma dell'art.64l. fall. in caso di fallimento di uno dei coniugi (Cass. civ., 2 dicembre 1996, n. 10725; Cass., 3 marzo 1998, n. 2340; Cass. civ., 20 giugno 2000, n. 8379; Cass. civ., 23 marzo 2005, n. 6267; Cass. civ., 2 febbraio 2006, n. 2327; Cass. civ., 16 luglio 2010, n. 16760; Cass. civ., 8 agosto 2013, n. 19029).

L'oggetto della donazione

La donazione può avere ad oggetto la disposizione di qualunque diritto, suscettibile di comportare l'impoverimento del donante e l'arricchimento del donatario. Oggetto della donazione può essere anche la cessione di un credito. La Suprema Corte ha difatti avuto modo di chiarire che la cessione del credito è un negozio a causa variabile che può assolvere a diverse funzioni (vendita, donazione, adempimento e garanzia), nel quale il trasferimento del credito può avvenire a titolo gratuito o oneroso ed al quale si applica il principio della cosiddetta «presunzione di causa», che può anche non essere indicata nello stesso negozio (Cass. civ., 3 aprile 2009, n. 8145). Anche la cessione del contratto, che è essa stessa un contratto, può essere stipulata, a prescindere dalla natura del contratto ceduto, a titolo oneroso o gratuito (Cass. civ., 15 marzo 2004, n. 5244).

La donazione non può avere ad oggetto beni futuri (art. 771 c.c.), né beni altrui. È stato da ultimo stabilito che la donazione di cosa altrui o parzialmente altrui, sebbene non espressamente vietata, è nulla per difetto di causa, sicché la donazione del coerede avente ad oggetto la quota di un bene indiviso compreso nella massa ereditaria è nulla, atteso che, prima della divisione, quello specifico bene non fa parte del patrimonio del coerede donante; tuttavia, qualora nell'atto di donazione sia affermato che il donante è consapevole dell'altruità della cosa, la donazione vale come donazione obbligatoria di dare (Cass. civ., S.U., 15 marzo 2016, n.5068; Cass. civ., 5 gennaio 2017, n.144).

Secondo un consolidato indirizzo della Suprema Corte, nell'ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare, si configura la donazione indiretta dell'immobile e non del denaro impiegato per l'acquisto, sicché, in caso di collazione, secondo le previsioni dell'art. 737 c.c., il conferimento deve avere ad oggetto l'immobile e non il denaro (Cass. civ., 4 settembre 2015, n. 17604; Cass. civ., 25 ottobre 2005, n. 20638; per l'esercizio dell'azione di riduzione v. Cass. civ., 12 maggio 2010, n. 11496).

La donazione può avere ad oggetto la costituzione del diritto di usufrutto (Cass. civ., 17 maggio 2010, n. 12045), ovvero di superficie (Cass. civ., 22 febbraio 2001, n. 2606) o di servitù (Cass. civ., 17 dicembre 1970, n. 2701).

Ai sensi dell'ultimo inciso dell'art. 769 c.c., la donazione può avere ad oggetto anche l'assunzione di un'obbligazione a favore del donatario, il quale in tal modo acquista un diritto di credito nei confronti del donante. Si è già accennato che, secondo l'opinione prevalente, la norma è da intendere riferita alle sole obbligazioni di dare e non a quelle di fare, le quali, pur potendo comportare un vantaggio per il donatario, non determinano l'impoverimento del donante (G. Azzariti, Le successioni e le donazioni, Napoli, 1990, 854).

Al riguardo la Suprema Corte, muovendo dal citato dato normativo, ha affermato che il contratto di donazione può essere, a norma dell'art. 769 c.c., non solo ad effetti traslativi ma anche ad effetti obbligatori, limitandosi a far sorgere un semplice rapporto d'obbligazione in cui il donante assume la posizione di debitore nei confronti del donatario, il quale viene arricchito dall'acquisto di un diritto di credito senza alcun sacrificio (Cass. civ., 8 luglio 1983, n. 4618, ove si precisa che l'accordo, invece, attraverso cui un soggetto assuma per spirito di liberalità il debito di altro soggetto verso un terzo, non integra una donazione tipica non verificandosi a vantaggio del debitore alcun arricchimento, che potrebbe conseguire solo alla liberazione propria dell'accollo privativo ex art. 1273, comma 2, c.c., ma realizza tuttavia una donazione indiretta che resta assoggettata, circa la forma, alla disciplina propria dell'atto attraverso il quale si realizza la liberalità).

La donazione indiretta

Lo scopo liberale che connota la donazione, ossia l'arricchimento del donatario, si può realizzare non soltanto in via diretta, mediante il contratto di donazione, ma anche in via indiretta, ossia avvalendosi di negozi con causa propria diversa da quella liberale. Si discorre in tal caso di donazione indiretta (figura espressamente contemplata dall'art. 737 c.c., il quale la sottopone a collazione) che è reputata valida ed efficace anche se non sia stata adottata la forma dell'atto pubblico, essendo sufficiente l'osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità. Come si è già accennato, poi, alle liberalità non donative si applicano alcune regole delle donazioni secondo il disposto dell'art. 809 c.c..

Afferma in tal senso la Suprema Corte che la donazione indiretta consiste nell'elargizione di una liberalità che viene attuata, anziché con il negozio tipico descritto nell'art. 769 c.c., mediante un negozio oneroso che produce, in concomitanza con l'effetto diretto che gli è proprio e in collegamento con altro negozio, l'arricchimento animo donandi del destinatario della liberalità medesima (Cass. civ., 21 ottobre 2015, n. 21449); ed aggiunge che per la validità delle donazioni indirette è sufficiente la forma prescritta per il negozio tipico utilizzato (tra le molte Cass. civ., 25 marzo 2013, n. 7480; Cass. civ., 10 aprile 1999, n. 3499; Cass. civ., 28 novembre 1988, n. 6416).

Alle donazioni indirette (nelle quali si colloca il caso comunissimo, già menzionato, dell'acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto) è stato di recente ricondotto il trasferimento per spirito di liberalità di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli dal beneficiante a quello del beneficiario realizzato a mezzo banca, attraverso l'esecuzione di un ordine di bancogiro impartito dal disponente, non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione tipica ad esecuzione in diretta; ne deriva che la stabilità dell'attribuzione patrimoniale presuppone la stipulazione dell'atto pubblico di donazione tra beneficiante e beneficiario, salvo che ricorra l'ipotesi della donazione di modico valore (Cass. civ., S.U., 27 luglio 2017, n. 18725 v. M. Di Marzio, Trasferimento gratuito di strumenti finanziari a mezzo biancogiro: è donazione (diretta) e occorre la forma solenne, in IlFamiliarista.it).

Si rinviene nella pronuncia una ricognizione dei casi in cui la giurisprudenza ha riconosciuto la sussistenza di una donazione indiretta, come tale affrancata dalla necessità della forma solenne. In taluni casi la donazione indiretta si realizza uno actu: i) il contratto a favore di terzo; ii) la cointestazione della somma di denaro, appartenente in realtà ad uno solo dei cointestatari, depositata su un conto acceso presso un istituto di credito; iii) la cointestazione di buoni postali fruttiferi; iv) l'adempimento del debito altrui eseguito dal terzo per spirito di liberalità verso il debitore; v) la compravendita, o altro negozio oneroso, ad un corrispettivo di gran lunga inferiore o superiore al valore del bene trasferito; vi) la rinuncia abdicativa. Altre volte il risultato liberale si raggiunge mediante la combinazione di più negozi o atti, come nel caso della intestazione di beni a nome altrui, nella quale la dazione del denaro, anche quando fatta dal beneficiante al beneficiario, assume un valore semplicemente strumentale rispetto allo scopo di fare acquistare la proprietà del bene a quest'ultimo.

Le Sezioni Unite rammentano poi che, al contrario, la donazione diretta è stata riconosciuta: i) in caso di trasferimento effettuato dal depositante del libretto di deposito a risparmio; ii) in caso di emissione di titoli di credito in favore del beneficiario, come cambiali, assegni bancari o assegni circolari; iii) in caso di accollo interno effettuato per spirito di liberalità.

Viene dunque escluso dalle Sezioni Unite che possa considerarsi come liberalità non donativa il trasferimento di strumenti finanziari, effettuato per spirito di liberalità, da un conto ad un altro attraverso l'operazione di bancogiro. Difatti tale operazione non dà luogo ad una relazione negoziale trilatera, ed in definitiva non determina l'arricchimento del donatario ed il depauperamento del donante per spirito di liberalità mediante il ricorso ad uno strumento giuridico diverso dalla donazione. Viceversa, l'intervento della banca costituisce mera esecuzione di un atto negoziale ad essa esterno, intercorrente tra il beneficiante e il beneficiario, atto negoziale che, solo, giustifica lo spostamento patrimoniale dall'uno all'altro. Si è dunque di fronte non ad una donazione attuata indirettamente, ma ad una donazione tipica, nel contesto della quale l'operazione di bancogiro costituisce mera modalità esecutiva del trasferimento dei titoli dall'uno all'altro.

Vale ancora rammentare che una liberalità non donativa può ricorrere anche in presenza di atti non negoziali, quali l'astenersi dall'interrompere la prescrizione; il non indicare la natura personale del denaro impiegato nell'acquisto di un bene in comunione legale dei coniugi; il realizzare un'opera sul fondo altrui con rinuncia all'indennità dell'art. 936 c.c. (Cass. civ., 27 luglio 2000, n. 9872). E può realizzarsi mediante il deposito di somme presso una banca con successiva emissione di libretti di deposito intestati ai futuri eredi (Cass. civ., 18 novembre 1974, n. 3669); mediante il versamento da parte del cointestatario di somme proprie su un conto bancario cointestato con firma e disponibilità disgiunte (Cass. civ., 10 aprile 1999, n. 3499); mediante il deposito da parte di uno dei contitolari di titoli in un conto in contitolarità (Cass. civ., 22 settembre 2000, n. 12552); mediante l'effettuazione, successivamente alla donazione, di migliorie apportate da parte del donante sul bene donato (Cass. civ., 4 agosto 1982, n. 4381); mediante la permuta di un immobile con buoni del tesoro oggetto di una pregressa donazione tra le parti (Cass. civ., 9 maggio 1979, n. 2658); mediante la sostituzione a sé di un diverso acquirente, al quale viene fornito il denaro per il pagamento del prezzo, nell'arco temporale tra il preliminare e il definitivo (Cass. civ., 19 marzo 1980, n. 1851); mediante il mandato ad amministrare con obbligo di versare la rendita al beneficiario (Cass. civ., 6 giugno 1969, n. 1987); mediante l'assunzione del debito altrui realizzata per spirito di liberalità (Cass. civ., 3 giugno 1982, n. 3394); mediante la vendita di un immobile per un corrispettivo pari al valore catastale, manifestamente inferiore a quello reale, così da dar luogo ad un negotium mixtum cum donatione (Cass. civ., 8 luglio 1983, n. 4618).

Il preliminare di donazione

Il preliminare di donazione è nullo, perché, evidentemente, l'arricchimento del donatario in seguito effettuato mediante il contratto definitivo non costituirebbe attribuzione patrimoniale operata nullo iure cogente, ma avrebbe ormai natura di atto dovuto, al quale il donante potrebbe essere costretto attraverso l'applicazione dell'art. 2932 c.c..

In tal senso la Suprema Corte ha affermato che la convenzione che contenga una promessa di attribuzione dei propri beni a titolo gratuito configura un contratto preliminare di donazione che è nullo, in quanto con esso si viene a costituire a carico del promittente un vincolo giuridico a donare, il quale si pone in contrasto con il principio secondo cui nella donazione l'arricchimento del beneficiario deve avvenire per spirito di liberalità, in virtù cioè di un atto di autodeterminazione del donante, assolutamente libero nella sua formazione (Cass. civ., 12 giugno 1979, n. 3315; nello stesso senso Cass. civ., 18 dicembre 1996, n. 11311, e, da ult., in motivazione Cass. civ., 8 giugno 2017, n. 14262). Nello stesso senso la dottrina (per tutti A. Torrente, Op. cit., 242).

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