Affinità e parentelaFonte: Cod. Civ. Articolo 78
04 Giugno 2015
Inquadramento
La parentela, disciplinata dagli artt. 74 e ss. c.c., è il rapporto giuridicoesistente tra persone legate da un vincolo di consanguineità, derivante dal fatto naturale della procreazione. Storicamente, nel diritto romano, il vincolo di parentela scaturiva dalla patria potestas (adgnatio) ovvero si basava sul vincolo di sangue (cognatio). Sia nel caso di parentela derivante da adgnatio che da cognatio l'intensità del vincolo si computava per gradi, con un sistema di computo analogo a quello previsto dall'art. 76 c.c. Nell'ultima fase del diritto romano, Giustiniano, con la Novella 118, provvide a eliminare ogni residuo di rilevanza giuridica all'adgnatio, stabilendo che la successione ab intestato e la tutela fossero basate esclusivamente sulla cognatio. L'affinità, disciplinata dall'art. 78 c.c.,è, invece, il vincolo che lega un coniuge alla parentela di sangue dell'altro. L'istituto già conosciuto nel diritto romano era intimamente connesso al sorgere del matrimonium sine manu, che, a differenza della conventio in manu - che comportava il passaggio della moglie da una famiglia, intesa come gruppo agnatizio, ad un'altra - instaurava tra i coniugi e tra un coniuge ed i parenti dell'altro un rapporto denominato adfinitas.
L'art. 74 c.c. è stato oggetto di modificazioni da parte della l. n. 219/2012, che ha introdotto nuove disposizioni in materia di filiazione e di riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio, aventi quale scopo primario la parificazione tra lo status giuridico dei figli nati entro il matrimonio e i figli nati al di fuori di esso. L'art. 1, l. n. 219/2012, quindi, ha sostituito alla versione previgente della norma, una disposizione che si pone maggiormente in linea con l'esigenza di garantire la piena eguaglianza tra i figli, nel rispetto degli artt. 2, 3 e 30 Cost., sì da riconoscere che il vincolo di parentela si stabilisce tra persone che discendono da uno stesso stipite, sia per il caso in cui la filiazione sia avvenuta al di fuori del matrimonio, sia per il caso in cui la filiazione sia avvenuta in costanza di matrimonio. L'art. 74 c.c. novellato permette, quindi, la piena attuazione del principio di eguaglianza tra i figli, qualsivoglia sia il titolo della filiazione, ribadendo, peraltro, come il vincolo di parentela non sorga nei casi di adozione di persone maggiori d'età.
La legge non riconosce altri vincoli di parentela (il VII grado e oltre), salvo per alcuni aspetti specialmente determinati (art. 77 c.c.), ovverossia in tema di obbligazione alimentare. Per quanto concerne il diritto civile la parentela rileva sia nell'ambito dei diritti personali sia in quello dei diritti patrimoniali, soprattutto in tema di successione legittima - nella quale è titolo per l'acquisto dell'eredità (artt. 468, 565, 570, e 737 c.c.) -, di impedimenti alla celebrazione del matrimonio (art. 87, n. 1 c.c.) e al riconoscimento dei figli incestuosi (art. 251 c.c.), di mantenimento delle relazioni parentali del minore con entrambi i rami genitoriali dopo la crisi o l'invalidità del matrimonio, o la disgregazione della convivenza more uxorio (art. 155, comma 1 c.c. e art. 4, l. 8 febbraio 2006, n. 54). Ma la sua incidenza spazia in molti altri campi, e riguardano: l'obbligazione alimentare (art. 433 c.c.), l'esercizio della responsabilità genitoriale (art. 337-ter c.c.), l'interdizione e inabilitazione (art. 417 c.c.), l'amministrazione di sostegno (art. 406 c.c.), l'impresa familiare (art. 230-bis c.c.), la surrogazione dell'assicuratore (art. 1916 c.c.), la corresponsione delle indennità di mancato preavviso e di fine rapporto in caso di morte del prestatore di lavoro (art. 2122 c.c.), la risarcibilità dei danni morali per la morte di un parente, l'esclusione della dichiarazione di adottabilità di un minore (art. 11, comma 1, l. 4 maggio 1983, n. 184), la protezione del diritto morale d'autore (artt. 23, 93, 96, l. 22 aprile 1941, n. 633), la successione nel contratto di locazione di immobili urbani in caso di morte del conduttore (art. 6, l. 27 luglio 1978, n. 392; art. 3, l. 9 dicembre 1998, n. 431), e numerosi altri istituti, in relazione ai quali ha avuto occasione di pronunciarsi anche la giurisprudenza.
L'affinità è un effetto legale del matrimonio che non fa nascere un rapporto giuridico e non attribuisce uno status, ma è una relazione rilevante per gli effetti di volta in volta indicati dalla legge in vari settori dell'ordinamento. Relativamente al diritto civile essa determina la nascita di alcuni diritti, fra i quali, quelli spettanti ai familiari che partecipano all'impresa familiare (art. 230-bis c.c.), il diritto agli alimenti (artt. 433, 434 c.c.), il diritto all'indennità di mancato preavviso e al trattamento di fine rapporto in caso di morte del prestatore di lavoro (art. 2122 c.c.), il diritto alla successione nel contratto di locazione della casa di abitazione (art. 6, l. 27 luglio 1978, n. 392). L'affinità rileva anche ai fini della scelta del tutore (art. 348 c.c.), della legittimazione all'istanza di interdizione e di inabilitazione (art. 417 c.c.), della promozione dell'amministrazione di sostegno (art. 406 c.c.), della nascita di obblighi (principalmente quello della corresponsione degli alimenti previsto dall'art. 433, nn. 4 e 5 c.c. a carico dei generi, delle nuore e dei suoceri), degli impedimenti al matrimonio [tra gli affini in linea retta all'infinito, anche nel caso in cui l'affinità deriva da matrimonio dichiarato nullo o sciolto o per il quale è stata pronunciata la cessazione degli effetti civili, e tra gli affini in linea collaterale entro il secondo grado (art. 87, n. 4 e 5 c.c.)]. L'affinità determina, inoltre, divieti (di riconoscimento dei figli nati tra persone tra le quali esiste un vincolo di affinità in linea retta, previsto dall'art. 251 c.c.), e incapacità [gli affini entro il quarto grado degli amministratori non possono essere eletti alla carica di sindaco (art. 2399 c.c.), non possono assumere le funzioni di curatore o di commissario giudiziale nel fallimento (artt. 28, comma 2, e 173, n. 3, l. fall., non possono votare nel concordato fallimentare e nel concordato preventivo (artt. 127, comma 3, e 177, comma 4, l. fall.].
Effetti: nullità del matrimonio ed impedimento al matrimonio nel diritto civile e nel diritto canonico
I rapporti di parentela risultano essere rilevanti non solo quando il matrimonio sia valido, ma anche nel caso in cui venga dichiarato nullo, a norma dell'art. 128 c.c.. Tale previsione è dettata da un atteggiamento di favor verso la prole, che si considera legittima pur quando solo uno dei coniugi sia in buona fede o addirittura quando entrambi siano in mala fede. Parentela, affinità e adozione costituiscono situazioni impeditive alla celebrazione del matrimonio tra soggetti che siano legati tra loro dai suddetti vincoli. Per il diritto civile, tali divieti non hanno eguale intensità, visto che in alcuni casi sono inderogabili, mentre in altri casi sono derogabili mediante l'autorizzazione del tribunale. È inderogabile il divieto in caso di parentela in linea retta; tale limite opera anche nella linea collaterale fino al terzo grado, ma può essere rimosso solo in tale ultima ipotesi mediante autorizzazione giudiziale (non invece nell'ipotesi di parentela collaterale di secondo grado). Nell'adozione piena, il divieto sussiste anche tra adottante e adottato, visto che quest'ultimo acquista lo stato di figlio legittimo degli adottanti (art. 27, comma 1, l. n. 184/1983), così come tra l'adottante ed i discendenti dell'adottato, tra più figli adottati con adozione legittimante o fra figli legittimi o naturali e adottivi a seguito di adozione legittimante da parte della stessa coppia. Non sussiste, invece, tra adottato e parenti in linea collaterale dell'adottante, poiché tali soggetti non sono legati da alcun rapporto di parentela tra di loro. L'adozione legittimante, pur facendo venir meno ogni rapporto tra l'adottato e la sua famiglia d'origine, mantiene però fermi gli eventuali divieti matrimoniali derivanti dal pregresso rapporto con la famiglia stessa. Ove il divieto non sia inderogabile è possibile ottenere un'autorizzazione dal tribunale, a seguito di procedimento di volontaria giurisdizione (ai sensi dell'art. 737 c.p.c.). La legittimazione ad instaurare detto procedimento compete ai soli nubendi, che devono depositare congiuntamente un ricorso al tribunale ordinario nella cui circoscrizione hanno la residenza, o, alternativamente in uno dei due tribunali competenti, in caso di residenze diverse. I nubendi devono indicare nel ricorso i motivi per cui chiedono l'autorizzazione, motivi che sono valutati dal tribunale ed il cui accoglimento o rifiuto deve essere motivato nel decreto emesso dal tribunale. Tale decreto deve essere notificato ai nubendi e al p.m. ed è reclamabile da parte degli istanti o del PM, nel termine perentorio di dieci giorni dalla sua notifica, davanti alla Corte d'appello, che decide con ordinanza non impugnabile, emessa in camera di consiglio. In caso di mancato reclamo, nel termine predetto, il decreto acquista efficacia. In caso di non accoglimento sia del ricorso che del reclamo davanti alla Corte d'appello, non è mai possibile il ricorso per Cassazione. I nubendi potranno, invece, depositare altro ricorso al tribunale indicando motivi diversi e sopravvenuti. Per il diritto canonico (can. 1076), l'impedimento matrimoniale di parentela esiste tra tutti gli ascendenti e discendenti sia legittimi che naturali, ed in linea collaterale fra parenti fino al terzo grado incluso, sicché il matrimonio, eventualmente contratto è nullo. Non è dispensabile in linea retta ed in linea collaterale in primo grado, ed è fatto divieto di contrarre matrimonio anche nel caso in cui sussista il dubbio che i nubendi siano parenti in linea retta ovvero di primo grado in linea collaterale. Negli altri casi, trattandosi di mera prescrizione di diritto ecclesiastico, è sempre possibile chiederne la dispensa, anche se più o meno facile a seconda che esso stesso sia di grado maggiore o minore (si considera quando consiste nel più remoto dei gradi proibiti, vale a dire nel terzo grado, negli altri casi l'impedimento di grado maggiore). Quanto al potere di chiedere dispensa, i principi posti dal Concilio Vaticano II dispongono che ai singoli vescovi sia data facoltà di dispensare, in un caso particolare, da una legge generale ecclesiastica i fedeli sui quali, a norma del diritto, esercitano la loro autorità, ogni qual volta ritengano che ciò sia utile al loro bene spirituale, purché dalla suprema autorità della Chiesa non sia stata fatta qualche speciale riserva in proposito.
Le vicende del matrimonio costitutive del vincolo di affinità: la morte di un coniuge; la dichiarazione di nullità del matrimonio; il divorzio
L'istituto dell'affinità presuppone l'esistenza di un matrimonio valido e di un vincolo di parentela legittima o naturale - quest'ultima nei limiti in cui assume rilevanza nel nostro ordinamento - che fa capo al coniuge del soggetto di cui si tratta. Si è cercato di circoscrivere l'ambito di applicazione dell'istituto e così si è affermato che i coniugi, uniti dal vincolo di coniugio, non sono affini tra di loro; che tra i nuclei familiari dei coniugi non si genera alcun rapporto di affinità; che gli affini di un coniuge non sono tra di loro affini; che il nuovo coniuge del binubo non è affine rispetto agli affini del primo matrimonio. L'ultimo comma dell'art. 78 c.c. enuncia un principio di carattere generale in base al quale l'affinità non viene meno a causa di morte, anche senza prole, del coniuge da cui deriva, fatto salvo, in ogni caso, l'obbligazione alimentare, che viene meno ex art. 434 c.c. Il vedovo e la vedova, pertanto, rimangono legati dal vincolo con i parenti del coniuge deceduto, ma cessano le obbligazioni alimentari (art. 433, n. 4 e 5 c.c.): 1) quando la persona che ha diritto agli alimenti contragga nuove nozze; 2) quando il coniuge, da cui derivi l'affinità, ed i figli nati dalla sua unione con l'altro coniuge, siano morti. L'art. 78 c.c., sempre all'ultimo comma, recita che l'affinità cessa se il matrimonio è dichiarato nullo (Trib. Bologna 2 dicembre 2009). Resta comunque sempre operante l'impedimento matrimoniale di cui al n. 4 dell'art. 87 c.c., divieto peraltro che può essere superato ove l'affinità derivi da matrimonio nullo a fronte dell'autorizzazione del tribunale. La declaratoria di nullità del matrimonio, da cui deriva l'affinità, esclude poi il carattere incestuoso del figlio generato dagli affini, che lo potranno riconoscere, previa autorizzazione del tribunale per i minorenni o di quello ordinario, a seconda dell'età del figlio (artt. 251 c.c., art. 35 disp. att. c.c.). L'art. 78 c.c. non fa alcun accenno all'ipotesi del divorzio, vuoi come cessazione degli effetti civili del matrimonio, vuoi come scioglimento dello stesso. Nel silenzio normativo si può ritenere che anche il divorzio non escluda il vincolo di affinità: perciò solo con il passaggio a nuove nozze del coniuge verrà meno l'obbligo alimentare degli affini (Cass, sez. I, 7 giugno 1978, n. 2848). Il regime delle unioni civili
La l. 76/2016, istitutiva delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, ha esteso a questo nuovo modello familiare buona parte delle previsioni normative relative al matrimonio. Tra queste non rientra peraltro l'art. 78 c.c.; un'interpretazione estensiva è nel contempo preclusa dall'art. 1, comma 20, l. 76/2016, che esclude l'operatività delle previsioni del codice civile, che non siano espressamente richiamate. Ne consegue che tra la parte dell'unione civile ed i parenti dell'altra non si instaura rapporto alcuno di affinità; non troveranno dunque applicazione le norme in precedenza richiamate.
Casistica
*Scheda aggiornata alla Legge sulle Unioni Civili Bussole di inquadramento |