Indagini difensive
17 Luglio 2015
Inquadramento
Le indagini difensive o, più propriamente, le investigazioni difensive costituiscono un insieme di facoltà riconosciute alle parti private del processo dal Titolo VI-bis del libro V del c.p.p. Esse rappresentano la concreta attuazione del diritto di difendersi provando, esplicitamente introdotto nella Costituzione in conseguenza della modifica dell'art. 111 Cost., quale indispensabile corollario del diritto alla prova e del principio del contraddittorio nella formazione della prova. L'assetto normativo, improntato ad uno stretto formalismo, tende dunque a riequilibrare i poteri della difesa rispetto a quelli dell'accusa, fermo restando che l'attività d'indagine del difensore si differenzia da quella svolta dalla pubblica accusa in quanto inevitabilmente facoltativa e incompleta, oltreché del tutto discrezionale quanto all'utilizzo nel procedimento e nel processo; l'attività del difensore è, inoltre, sfornita di poteri in senso lato coercitivi, per quanto esistano ipotesi nelle quali, mediante l'intervento dell'autorità giudiziaria, divenga possibile imporre l'atto d'indagine a soggetti terzi: è il caso del sommario informatore che rifiuti di rispondere al difensore (artt. 391-bis, commi 10 e 11, c.p.p.), ovvero del sequestro di documentazione che la pubblica amministrazione rifiuti di mettere a disposizione (art. 391-quater c.p.p.) oppure dell'accesso a luoghi privati o non aperti al pubblico senza il consenso di chi ne abbia la disponibilità (art. 391-septies c.p.p.). Tuttavia, ragioni di natura pratica e strategica, relegano al rango dell'eccezionalità le predette ipotesi. I risultati delle investigazioni difensive svolte nel rispetto dei parametri normativi, saranno utilizzabili, a discrezione della difesa, nelle diverse fasi del procedimento e del processo, imponendo al giudicante un obbligo di valutazione e motivazione (Cass. pen., Sez. II, 30 gennaio 2002, n. 13552; Cass. pen., Sez. II, 27 maggio 2008, n. 28662) ed acquisendo pari dignità dimostrativa rispetto a quelli dell'accusa (Cass. pen., Sez. V, 5 febbraio 2010, n. 17698). Per contro, pare sempre più difficile per la difesa dolersi del mancato esercizio di poteri probatori officiosi da parte del giudice, laddove le lacune probatorie sul versante difensivo possano essere colmate mediante lo svolgimento di una completa attività d'investigazione difensiva (Cass. pen., Sez. II, 4 luglio 2012, n. 32880). Ne consegue che ai diritti riconosciuti dalla legge corrisponde, per il difensore, un preciso dovere deontologico di valutazione in merito alla necessità di svolgere attività d'investigazione difensiva (Cfr. R. Bricchetti – E. Randazzo, Le Indagini della Difesa, Milano, 2012, p. 32).
Ambiti di svolgimento ed utilizzo
L'art. 327-bis c.p.p. precisa che le investigazioni difensive possono esser svolte “in ogni stato e grado del procedimento, nell'esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione”: a quest'ampia previsione, si aggiunge l'art. 391-nonies c.p.p. che istituisce la facoltà d'investigazione preventiva, ovvero posta in essere “per l'eventualità che si instauri un procedimento penale”. Le indagini della difesa possono dunque precedere l'iscrizione della notizia di reato nell'apposito registro e svolgersi dopo la richiesta di rinvio a giudizio (indagini difensive suppletive) e dopo il provvedimento che dispone il giudizio (indagini difensive integrative), come chiaramente prevede l'art. 430 c.p.p. (Cass. pen., Sez. V, 13 gennaio 2015, n. 13505): quest'ultimo proietta la facoltà d'investigazione difensiva oltre il dibattimento e la sentenza che definisca il primo grado di giudizio. In tema di giudizio d'appello, ad esempio, l'esito dell'attività d'indagine difensiva potrà costituire la base per formulare una richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ai sensi del primo ma, soprattutto, del secondo comma dell'art. 603 c.p.p. A tali ampi limiti cronologici corrisponde una rilevante estensione dei temi probatori, posto che, quanto all'oggetto, le investigazioni difensive possono essere dirette a ricostruire non soltanto i fatti relativi all'accertamento della responsabilità e gli altri profili sostanziali, bensì anche quelli dai quali dipende l'applicazione di norme processuali (art. 187, comma 2, c.p.p.): si pensi alla valutazione di attendibilità dei testi oppure ai presupposti per l'applicazione dell'art. 500, comma 5, c.p.p. (acquisizione delle dichiarazioni precedentemente rese dal teste in ipotesi di violenza, minaccia o promessa di utilità) ovvero dell'art. 512, comma 1, c.p.p. (lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione). Se il contributo conoscitivo che le indagini difensive possono apportare sembra non incontrare limiti cronologici, occorre però considerare che, laddove si passi al piano dell'utilizzo in concreto delle stesse, le regole per l'acquisizione probatoria proprie del grado di giudizio nel quale ci si trovi possono comportare delle limitazioni all'ingresso nel processo dei relativi elementi istruttori: è il caso del processo d'appello secondo il rito abbreviato relativamente al quale è stato affermato il principio che, in ipotesi di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, le prove dichiarative devono essere assunte dal giudice con conseguente inammissibilità della produzione di verbali formati unilateralmente dalle parti (Cass. pen., Sez. VI, 22 ottobre 2014, n. 1400; Cass. pen., Sez. III, 26 maggio 2010, n. 35372); ovvero del giudizio di cassazione, per il quale è pacifico che i profili di stretta legittimità, ai quali è vincolato l'esame della Corte, precludono l'ingresso di qualunque novum attinente ai profili di merito del processo (Cass. pen., Sez. III, 19 ottobre 2001, n. 43307). L'attività d'investigazione difensiva o, per meglio dire, la documentazione degli esiti di tale attività, può trovare ampio spazio nei riti alternativi quali il giudizio abbreviato e l'applicazione della pena su richiesta, ovvero in ambiti sub procedimentali eventuali: nella fase cautelare, gli elementi raccolti dalla difesa potranno essere direttamente presentati al G.I.P. chiamato a decidere in merito all'applicazione della misura, che avrà l'obbligo di valutarli autonomamente (art. 292, comma 2, lett. c-bis)), ovvero potranno essere depositati in funzione di una richiesta di revoca o attenuazione della misura (Cass. pen., Sez.V, 10 aprile 2003, n. 21713.) oppure, ed è l'ipotesi più frequente, saranno utilizzati in funzione del giudizio di riesame delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva (art. 309 c.p.p.), ovvero del procedimento camerale d'appello ex art. 310 c.p.p. avverso le ordinanze diverse da quelle istitutive delle misure e, in particolare, contro l'ordinanza reiettiva della richiesta cautela personale (Cass. pen., Sez. V, 10 giugno 2014, n. 42487). Per tutti queste ipotesi, le modifiche normative introdotte in materia cautelare dalla l. 47/2015 (si pensi, tra le altre, all'accertamento del presupposto di attualità del pericolo di fuga o di reiterazione del reato) sembrano offrire spazi ancor più significativi alle indagini della difesa.
Ancora, le indagini della difesa possono offrire un importante contributo in relazione agli istituti della messa alla prova (artt.168-bis c.p. e art. 464-bis c.p.p.), della non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) e, più in generale, nell'ambito dell'esecuzione penale con particolare riferimento alle misure alternative alla detenzione (artt. 47 e ss., l. 354/1975). In relazione alle disposizioni della l. 231/2001 (responsabilità amministrativa delle persone giuridiche per fatti costituenti reato), ormai applicabili ad una vasta serie di ipotesi in ragione del progressivo ampliamento del catalogo dei reati presupposto, lo svolgimento di investigazioni difensive è certamente consentito e particolarmente rilevante in funzione della fase cautelare dello specifico procedimento sanzionatorio. In ultimo, gli esiti delle investigazioni difensive sono utilizzabili anche in giudizi diversi da quello penale, purché la disciplina del processo ad quem lo consenta: la Corte di cassazione civile ha più volte affermato che gli atti dell'indagine penale (e, dunque, anche gli esiti delle investigazioni difensive) trovano ingresso quale “prove atipiche” nel giudizio civile mediante produzione documentale e devono essere valutate alla stregua di presunzioni semplici (Cass. civ., Sez. II, 14 maggio 2014, n.10599; Cass. civ., Sez. lav., 22 ottobre 2014, n.22384). A prescindere dalla fase o dal grado nel quale le investigazioni difensive vengano svolte, esse incontrano comunque un rigoroso limite territoriale: la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare che gli atti raccolti dal difensore mediante investigazioni compiute all'estero son inutilizzabili, dovendosi ritenere praticabile il solo canale delle rogatorie internazionali (Cass. pen., Sez. I, 29 maggio 2007, n. 23697). Soggetti
La facoltà d'investigazione difensiva è riconosciuta in primo luogo al “difensore”, che è responsabile del suo corretto svolgimento sul piano giuridico e deontologico: non è un caso che l'art. 55 del Codice deont. preveda che il difensore che si avvalga di ausiliari quali consulenti tecnici o investigatori privati ovvero di sostituti o collaboratori possa decidere quali informazioni e documenti mettere a disposizioni degli stessi e debba sempre imporre il vincolo del segreto e l'obbligo di comunicare soltanto a lui gli esiti delle attività. Per compiere attività d'indagine il difensore necessita di incarico professionale risultante da atto scritto (art. 327-bis, comma 1, c.p.p.): non è dunque richiesto specifico mandato per poter svolgere le investigazioni difensive che rappresentano una delle facoltà connesse allo svolgimento del mandato defensionale. La sola eccezione a questa regola è individuata dall'art. 391-nonies c.p.p. che, per le investigazioni preventive, impone “apposito mandato” con “sottoscrizione autenticata” e “indicazione dei fatti ai quali si riferisce”: nel silenzio della legge, al decisivo quesito in merito all'ampiezza che debba avere l'indicazione dei fatti nel mandato onde non pregiudicare l'assistito, è stata fornita risposta dalle “Regole di Comportamento del Penalista nelle Investigazioni Difensive” approvate dall'Unione delle Camere Penali Italiane, le quali prevedono che esso debba indicare “i fatti ai quali si riferisce in modo sintetico al solo fine della individuazione dell'oggetto di tale attività, con esclusione di ogni riferimento ad ipotesi di reato” (Regole UCPI, art. 2). Il difensore è individuato dal codice di rito senza ulteriori specificazioni, il che fa pacificamente ritenere che l'espressione si riferisca al difensore di qualunque parte privata cui la legge riconosca il diritto di difesa, ivi compreso il danneggiato e la persona offesa dal reato.
Consulente, investigatore e sostituto del difensore sono gli ulteriori soggetti legittimati allo svolgimento delle investigazioni difensive: essi operano su un piano comunque subordinato rispetto al difensore, dipendendo dal mandato ovvero dalla delega che devono ottenere prima di svolgere qualunque atto d'indagine. Anche dal punto di vista delle possibilità operative esistono delle diversità: ai sensi dell'art. 391-bis c.p.p., consulenti ed investigatori possono svolgere in autonomia soltanto il colloquio non documentato con le persone informate, mentre l'assunzione di sommarie informazioni verbalizzate e l'acquisizione della dichiarazione scritta sono riservate al difensore al suo sostituto. Coerentemente, l'art. 197 c.p.p. prevede un'assoluta incompatibilità a testimoniare nel processo penale per il difensore che abbia svolto attività d'investigazione difensiva ovvero per chi abbia contribuito alla formazione del verbale di sommarie informazioni difensive o all'acquisizione di dichiarazione scritta: consulenti ed investigatori potranno invece essere sentiti e anche riferire de relato in merito a quanto appreso nel corso di colloqui non formalizzati. Colloquio non documentato, ricezione di dichiarazione scritta e assunzione documentata d'informazioni rappresentano le tre modalità attraverso le quali il difensore può acquisire elementi conoscitivi ed istruttori attraverso la narrazione di persone informate sui fatti (art. 391-bis c.p.p.): complessivamente, costituiscono i mezzi d'investigazione difensiva più comunemente utilizzati. Il trasferimento d'informazioni tra la persona informata e i soggetti della difesa presuppone, in ogni caso, che vengano dati gli avvertimenti previsti dal comma 3 dell'art. 391-bis c.p.p.: a seguito dell'entrata in vigore del nuovo Codice deontologico forense, gli avvertimenti “devono essere documentati per iscritto” pena la sanzione disciplinare della censura (art. 55, commi 6 e 12, Cod. deont.). Particolare menzione meritano quelli previsti dalle lettere d) ed e): il primo facoltizza il testimone a non rispondere o non rendere la dichiarazione scritta e deve essere letto in relazione a quanto prescritto della successiva lettera f); laddove la persona informata decida di rispondere, le false dichiarazioni (ma non la reticenza) saranno punibili ai sensi dell'art. 371-ter c.p. La lettera e) fissa il principio del “divieto di indagine sull'indagine” che trova il proprio corrispondente, quanto al P.M. e alla P.G., negli artt. 362 e 351 c.p.p.: è comunque pacifico che, fermo il divieto di domandare quanto chiesto e risposto, la persona informata sui fatti già esaminata dalla controparte possa essere riascoltata sugli stessi temi, fatta eccezione per l'ipotesi in cui il P.M. faccia uso del potere di segretazione attribuitogli dall'art. 391-quinquies c.p.p. Il sistema, volto a tutelare la segretezza dell'indagine pubblica o privata, si completa con l'art. 430-bis c.p.p. che inibisce alle parti processuali di assumere informazioni dalla persona ammessa a testimoniare ai sensi dell'art. 507 c.p.p., indicata nella richiesta di incidente probatorio oppure nella lista presentata dalle altri parti.
Esaurito tale incombente preliminare, il colloquio non documentato, potrà poi svolgersi senza ulteriori formalità: nulla peraltro esclude che il difensore, dopo aver saggiato la qualità delle informazioni fornite dalla persona sentita, decida di acquisirne le dichiarazioni con le diverse modalità previste dal codice di rito. Il rilascio di dichiarazione scritta richiede, invece, che il difensore proceda ad autenticare la sottoscrizione del dichiarante e rediga una relazione da allegare alla dichiarazione nella quale verranno riportati la data, le generalità del dichiarante e del difensore, l'attestazione di aver rivolto gli avvisi e la sintesi dei fatti sui quali verte la dichiarazione (art. 391-ter, comma 1, c.p.p.). L'assunzione di sommarie informazioni difensive implica la redazione di un verbale con l'osservanza delle disposizioni previste dagli artt. 134 e ss. c.p.p. “in quanto applicabili” (art. 391-ter, comma 3, c.p.p.): attesa la laconica formula di rinvio e l'apparente assenza di sanzioni processuali, in taluni casi le formalità di verbalizzazione sono state ingiustamente sottovalutate con la conseguenza che la giurisprudenza di legittimità ha confermato l'inutilizzabilità del verbale mancante della sottoscrizione in ogni foglio (Cass. pen., Sez. II, 20 gennaio 2011, n. 6524), ovvero delle generalità della persona che riceve le informazioni, della sottoscrizione, nonché dell'autentica della stessa (Cass. pen., Sez. II, 16 gennaio 2013, n. 20460). Non risultano, invece, decisioni che abbiano ritenuto applicabile al mezzo d'indagine in questione l'art. 134, comma 3, c.p.p., che impone la riproduzione fonografica in caso di verbalizzazione in forma riassuntiva: tuttavia il Codice deontologico forense prescrive che il verbale possa essere redatto in forma riassuntiva soltanto quando è disposta la riproduzione fonografica o con altri mezzi (art. 55, comma 10, Cod. deont.). Qualora la persona che viene sentita renda dichiarazioni auto indizianti, il difensore è tenuto a sospenderne l'esame e le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro chi le ha rese (art. 391-bis, comma 9, c.p.p.): pur non essendo espressamente richiamato, si è ritenuto che anche il comma 2 dell'art. 63 c.p.p. trovi applicazione in materia di investigazioni difensive, col risultato che le dichiarazioni auto indizianti rese da chi sin dall'inizio avrebbe dovuto essere sentito in qualità di imputato o persona sottoposta ad indagini saranno inutilizzabili erga omnes (Cass. pen., Sez. II, 17 ottobre 2007, n. 47394). Di norma, all'esame della persona informata possono partecipare il difensore e il suo ausiliario, ma non è escluso che l'esame si svolga in presenza del consulente tecnico della difesa o dell'investigatore privato: regole particolari sono previste per l'esame di persone di minore età. Come già accennato in precedenza, la difesa non dispone di poteri coercitivi che le possano garantire la presentazione della persona informata e la disponibilità a rispondere: le legge consente, tuttavia, di rivolgersi al pubblico ministero o al giudice al fine di ottenerne l'audizione che si svolgerà davanti al P.M. oppure davanti al giudice mediante incidente probatorio. Questa seconda modalità è l'unica possibile laddove la persona da sentire rivesta la qualità di indagato o imputato nel medesimo procedimento o in procedimento connesso (art. 391-bis, commi 10 e 11).
In ultimo, il codice di rito non impone particolari formalità per la convocazione della persona da sentire, salva l'eccezione prevista dal comma 5 dell'art. 391-bis c.p.p., ove la necessità di dare prova del preavviso implica che lo stesso avvenga con un mezzo documentabile; ulteriori ipotesi di convocazione scritta sono tuttavia previste dal Codice deontologico forense. Obbligo di convocazione scritta della persona informata
Prove documentali
In materia di investigazioni difensive la disciplina delle prove documentali è decisamente scarna: si limita, infatti, al solo art. 391-quater c.p.p. che regola la richiesta di documenti in possesso della pubblica amministrazione. La disposizione non fa cenno alla documentazione detenuta da privati, ancorché rappresentati da gruppi societari operanti in settori di interesse pubblico, né prevede alcun valido meccanismo acquisitivo in ipotesi di rifiuto di fornire i documenti ovvero di mancata risposta: autorizza, infatti, a sollecitarne il sequestro al P.M., mediante il richiamo agli artt. 367 e 368 c.p.p., l'applicazione dei quali, tuttavia, risulta limitata alle indagini preliminari. A fronte di tale oggettiva insufficienza, si è rivelata, spesso, più efficace la disciplina prevista dagli artt. 22 e ss. della l. 241/1990 (disciplina dell'accesso ai documenti amministrativi) la quale definisce tempi certi per la risposta della P.A. e rimedi praticabili in ipotesi di silenzio o rifiuto: la giurisprudenza amministrativa, dopo qualche iniziale incertezza, sembra essersi da ultimo arrestata sul riconoscimento della percorribilità alternativa dei “rimedi” previsti dal c.p.p. e dalla legge sul diritto d'accesso ai documenti amministrativi. In ultima analisi, il diritto d'accesso ai documenti amministrativi è azionabile da chiunque possieda un qualificato interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti quale, appunto, la difesa della propria posizione in un processo penale (T.A.R. Napoli, Sez. VI, 2 gennaio 2013, n. 15). Sopralluoghi
Tutti i soggetti della difesa possono compiere “accessi ai luoghi” al fine di individuare elementi rilevanti per sostenere la posizione processuale dell'assistito, sia esso l'indagato come la persona offesa: il codice di rito distingue due ipotesi a seconda che i luoghi siano liberamente accessibili (art. 391-sexies c.p.p.), ovvero si tratti di luoghi privati o non aperti al pubblico (art. 391-septies c.p.p.). Nel secondo caso, laddove chi ha la disponibilità del luogo neghi l'accesso, il giudice potrà autorizzarlo con decreto, previa richiesta del difensore: a questa situazione, la giurisprudenza di merito ha equiparato l'ipotesi in cui i beni immobili siano sottoposti a sequestro (Trib. Napoli, Ufficio G.I.P. - 4, decreto 27 aprile 2009). L'art. 391-septies, comma 3, fissa criteri particolarmente restrittivi per l'ipotesi in cui il luogo costituisca abitazione: in questo caso l'accesso sarà consentito solo per accertare le tracce o gli altri effetti materiali del reato. Come nel caso dell'assunzione di informazioni da persone informate, si ritiene in giurisprudenza che il ricorso ai poteri autoritativi del giudice implichi l'indicazione dell'utilità a fini investigativi dell'atto richiesto e che l'eventuale provvedimento negativo non sia impugnabile. Durante l'accesso il difensore, se del caso coadiuvato dai propri ausiliari (collaboratori, consulenti, investigatori privati) potrà prendere visione dello stato di luoghi e cose, descriverli ed eseguire tutti i rilievi tecnici, fotografici o audiovisivi che risultino utili. La giurisprudenza ha però chiarito che i poteri del difensore sono assimilabili a quelli di ispezione ma non di perquisizione: ne discende che il difensore o i suoi ausiliari non possono ricercare documenti ed acquisirne copia, così superando i limiti imposti dall'art. 391-quater c.p.p. (Cass. pen., Sez. II, 12 ottobre 2005, n. 42588). Le attività svolte a seguito dell'accesso “possono” essere registrate in un verbale, la redazione del quale rappresenta dunque una semplice facoltà della difesa. L'accesso ai luoghi può rappresentare l'occasione per l'espletamento di atti non ripetibili (art. 391-decies, comma 2, c.p.p.) ovvero che riguardino elementi naturalmente soggetti a modificazione o dispersione: la documentazione di tali atti, ovvero il verbale con eventuali allegati, può essere direttamente inserita nel fascicolo formato ai sensi dell'art. 431 c.p.p. Il pubblico ministero ha facoltà di assistere ma non è previsto alcun obbligo di preavviso a carico della difesa: tale obbligo, peraltro, è stato ritenuto “implicito” dalla giurisprudenza di merito. Diverso è il caso degli accertamenti tecnici non ripetibili (art. 391-decies, comma 3, c.p.p.), per i quali deve essere dato avviso “senza ritardo” al P.M. per l'esercizio delle facoltà previste dall'art. 360 c.p.p.: il P.M. potrà conseguentemente partecipare, nominando se necessario un proprio consulente, ovvero formulare riserva di incidente probatorio. In ogni caso, in sede di accesso e di accertamento tecnico deve ritenersi preclusa ai soggetti della difesa qualunque attività che possa alterare permanentemente lo stato dei luoghi o delle cose (per l'ipotesi del prelevamento di campioni o asportazione di frammenti: Trib. Napoli, Ufficio G.I.P., cit.; Trib. Lanciano, 14 marzo 2003). Casistica
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