Riduzione del pignoramento

Giacinto Parisi
18 Luglio 2019

La riduzione del pignoramento costituisce uno strumento a disposizione del debitore per rimediare agli eccessi nell'uso del procedimento di espropriazione forzata e, quindi, all'uso abnorme del processo esecutivo, fermo restando che esso non attiene a contestazioni dell'an o del quomodo dell'esecuzione, rispetto alle quali permane la necessità di promuovere le opposizioni ex artt. 615 o 617 c.p.c.
Inquadramento

La riduzione del pignoramento costituisce uno strumento a disposizione del debitore per rimediare agli eccessi nell'uso del procedimento di espropriazione forzata e, quindi, all'uso abnorme del processo esecutivo (per tale affermazione, da ultimo, cfr. Trib. Salerno, 11 gennaio 2016, n. 86), fermo restando che esso non attiene a contestazioni dell'an o del quomodo dell'esecuzione, rispetto alle quali permane la necessità di promuovere le opposizioni ex artt.615 o 617c.p.c. Ove, infatti, si contesti l'eccessività della pretesa, si verterà in tema di opposizione all'esecuzione (Cass. civ., 7 dicembre 2000, n.15533; contra Cass. civ., 3 settembre2007, n. 18533), mentre il rimedio in esame è finalizzato esclusivamente ad eliminare la divergenza tra credito per il quale si agisce e valore dei beni pignorati.

La differenza con il rimedio di cui all'art.483c.p.c., del quale, in ogni caso, l'istituto in esame condivide la ratio, consiste nella circostanza per cui mentre il primo riguarda il concorso di più espropriazioni, la riduzione opera all'interno di una singola espropriazione (Verde-Capponi, 113).

La natura della riduzione è discussa. Secondo una prima opinione (cfr., tra gli altri, D'Amico, 593; Verde, 786) al creditore è sempre consentito pignorare beni di valore superiore all'importo del proprio credito, per evitare il rischio di rimanere insoddisfatto in caso di intervento di altri creditori. Addirittura, secondo una parte della dottrina, il creditore procedente avrebbe quasi un onere di agire in tal modo nell'interesse dei potenziali creditori concorrenti (Borrè, 293).

Coerentemente la riduzione del pignoramento avrebbe natura di mero rimedio di opportunità affidato alla discrezionalità del giudice (Verde, 786). Inoltre, nell'esercizio di tale discrezionalità, il giudice dovrebbe tenere conto della possibilità di eventuali ulteriori interventi, in particolar modo dei creditori privilegiati, che, anche se intervenuti tardivamente, conserverebbero intatto il loro diritto di prelazione.

Secondo altra opinione (Lepri, 119; Consolo, 802), invece, il pignoramento eccessivo, e, quindi, realizzato oltre il titolo, è illegittimo, con la conseguenza che la riduzione in forza dell'art.496 c.p.c. costituisce un rimedio di legittimità. Depongono in tale senso: il dato letterale dell'art.474 c.p.c., che prevede i requisiti di certezza e liquidità del credito, che verrebbero a perdere qualunque contenuto concreto ove si svincolasse il pignoramento dai limiti del titolo; la previsione dell'art.494,ult.comma,c.p.c. che fa riferimento, ai fini della sottoposizione a vincolo di una somma di denaro in luogo di altri beni, ad una somma pari all'importo del credito vantato dal creditore procedente e di quelli intervenuti, oltre alle spese, con un aumento di due decimi; infine, anche il dato dell'art. 499 c.p.c., che prevede in capo al creditore procedente un vero e proprio diritto di prelazione, di fonte processuale, conseguente all'intervento di altri creditori che si siano rifiutati di estendere il pignoramento, configurando, quindi, soltanto in capo a questi ultimi un onere di estensione.

Coerentemente con l'impostazione appena esposta lo strumento processuale in esame avrebbe natura di rimedio di legittimità, volto a rimuovere una situazione antigiuridica; secondo tale impostazione, la discrezionalità del giudice (riconosciuta dall'uso del verbo “può”) ha, quindi, ad oggetto esclusivamente l'apprezzamento del valore del bene pignorato (Consolo, 800).

La giurisprudenza di legittimità aderisce al primo dei due orientamenti sopra illustrati, ritenendo inesistente un principio attraverso il quale si possa qualificare come di per sé illecita la richiesta di pignoramento da chiunque provenga e comunque sia stata posta in essere, proprio alla luce della presenza nel sistema della discrezionalità del giudice, prevista dall'art.496 c.p.c. (Cass. civ., 22 febbraio 2006, n. 3952; cfr. anche Trib. Bari, 21 novembre 2011, n.3705); peraltro l'assenza di illiceità del pignoramento “eccessivo” esclude la stessa ammissibilità di una domanda di risarcimento dei danni ex art.2043c.c. (Cass. civ., 1° aprile 2005, n. 6895).

A fronte di tale conclusione, si deve, comunque, segnalare che, in presenza di un eccesso nell'impiego del mezzo esecutivo connotato da dolo o colpa grave, è giustificata non solo l'esclusione dall'esecuzione dei beni in eccesso, ma anche la condanna del creditore procedente per responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c., la quale può essere pronunciata dallo stesso giudice con il provvedimento che, riguardo ai beni liberati dal pignoramento, chiude il processo esecutivo, restando in tal caso la difesa del creditore affidata all'opposizione agli atti esecutivi (Cass. civ., 3 settembre 2007, n. 18533).

Ambito di applicazione

Parte della dottrina (Satta, 313) esclude l'operatività dell'istituto in esame nell'espropriazione mobiliare presso il terzo, in forza della considerazione per cui non è giustificabile che il debitore possa ottenere dal terzo il pagamento integrale, mentre il creditore procedente corra il rischio di rimanere insoddisfatto in caso di riduzione del pignoramento.

A tale opinione, si obietta, tuttavia, che la disposizione in esame non può che riferirsi, per la sua collocazione sistematica, a tutte le forme di espropriazione (Martinetto, 204) e che il pagamento del terzo nei confronti del debitore pignorato tanto dovrà essere autorizzato in quanto non danneggi il creditore (Verde, 786).

La questione appare solo in parte risolta dall'art.546, comma2,c.p.c., secondo cui, in caso di pignoramento eseguito presso più terzi, il debitore può chiedere la riduzione proporzionale dei singoli pignoramenti a norma dell'art.496 c.p.c. ovvero la dichiarazione di inefficacia di taluno di essi. In tal caso, l'esercizio dell'azione di riduzione del pignoramento presuppone la prova che il pignoramento presso terzi si sia effettivamente perfezionato con la positiva dichiarazione del terzo.

Il rimedio in esame è ritenuto, inoltre, applicabile, oltre che al caso in cui l'eccesso di pignoramento derivi dalla pluralità di beni aggrediti, anche là dove il pignoramento abbia ad oggetto un unico bene, applicandosi analogicamente l'art.2872c.c. in materia di riduzione di ipoteche (Martinetto, 204; Verde, 787). Altra parte della dottrina sostiene, invece, l'inammissibilità della riduzione nel caso in cui il pignoramento abbia ad oggetto un solo bene indivisibile o non suscettibile di essere scomposto in più parti dotate di autonomia funzionale (Soldi, 131).

Il rapporto tra ammontare dei beni pignorati e necessità del processo esecutivo non può essere aprioristicamente determinato dal momento che, nel corso del processo, è consentito l'intervento dei creditori i quali, se privilegiati, concorrono sul ricavato in forza della causa di prelazione e, se chirografari, concorrono con gli altri creditori, purché naturalmente spieghino un intervento tempestivo. Pertanto, il creditore pignorante è legittimato ad espropriare più di quanto sarebbe necessario per soddisfare il suo credito ed il giudice cui sia richiesta la riduzione del pignoramento deve tener conto di questa eventualità nell'esercizio del potere discrezionale di cui all'articolo496 c.p.c. (Cass. civ., 22 febbraio 2006, n. 3952).

Procedimento

Sulla domanda di riduzione del pignoramento sussiste la competenza esclusiva del giudice dell'esecuzione, che vi può procedere anche d'ufficio; pertanto non è configurabile il vizio di ultrapetizione qualora tale riduzione sia disposta, nell'ambito di procedura esecutiva con più debitori assoggettati all'espropriazione, su istanza non formulata da tutti i soggetti legittimati a richiederla (Cass. civ., 16 gennaio 2006, n. 702). Il giudice è il dominus dell'espropriazione forzata, anche se la stessa domanda potrà formare oggetto di verifica e successiva cognizione in sede di opposizione agli atti esecutivi, ove invece detta domanda non può essere proposta per la prima volta (Cass. civ., 9 dicembre 1992, n.13021).

Non sono previste forme particolari per la proposizione dell'istanza di riduzione: l'unico limite processuale consiste nella circostanza per cui essa deve essere portata a conoscenza del creditore pignorante e degli intervenuti, il che avverrà di solito in un'apposita udienza che il giudice deve fissare, anche là dove egli intenda procedere d'ufficio.

Il provvedimento di riduzione assume la forma dell'ordinanza: in essa il giudice individua i beni da liberare, fornisce eventuali disposizioni al custode e ordina la cancellazione della trascrizione (Verde, 787).L'ordinanza, sebbene per legge modificabile e revocabile finché non abbia avuto esecuzione, ha effetto immediato ed il rimedio esperibile avverso la medesima è quello dell'opposizione agli atti esecutivi (Cass. civ., 15 ottobre 2010, n.21325), la cui decisione è impugnabile con ricorso per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost. (Cass. civ. 21 agosto 1992, n. 9726).

Secondo l'opinione tradizionale della dottrina (Martinetto, 195; Verde, 787), l'istanza di riduzione del pignoramento è inammissibile se proposta prima dell'udienza di autorizzazione alla vendita. L'assunto si fonda sulla necessità di evitare di frustrare le aspettative dei creditori che fino a quel momento possono tempestivamente intervenire nel processo esecutivo. Tale affermazione, contro la quale si registrano alcune opinioni di segno opposto (Consolo, 781), trae origine da una concezione della procedura esecutiva nella quale si configura un onere del creditore procedente di pignorare beni per un valore superiore a quello del credito da lui azionato, per tenere conto anche delle eventuali pretese di altri creditori potenziali intervenienti.

In particolare, a sostegno di tale interpretazione, è stato anche evidenziato il tenore letterale dell'art.496 c.p.c., che impone di sentire il creditore pignorante e i creditori intervenuti, a differenza dell'art.495 c.p.c., il quale prevede genericamente che le parti siano sentite; da tale differenza conseguirebbe la possibilità di rifiutare la riduzione, ove si ritenga probabile l'intervento di altri creditori, sempre astrattamente possibile (Verde, 787).

L'opinione sopra esposta è stata tuttavia smentita dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale non esiste alcun limite temporale alla presentazione dell'istanza di riduzione (Cass. civ., 15 novembre 1999, n. 12618; Cass. civ., 28 luglio 1999, n. 8221). Tale assunto, funzionale all'affermazione del c.d. principio della “giusta esecuzione”, che impone di ritenere prevalente l'interesse del debitore alla libera disponibilità dei beni pignorati rispetto al rischio di future incapienze, trova fondamento sui seguenti presupposti: nella mancanza di espressa previsione di un momento iniziale per la presentazione dell'istanza; nell'esigenza di garantire in qualunque fase il controllo di legalità sull'operato del creditore; nella rafforzata concezione della procedura espropriativa come procedura esecutiva individuale caratterizzata da elementi propri, diversi da quelli delle procedure concorsuali; e, infine, nella ritenuta illegittimità del pignoramento eccessivo.

Pertanto il provvedimento è assunto con riferimento esclusivo all'importo dei crediti e delle spese del creditore procedente e dei creditori già intervenuti, al momento della richiesta del debitore esecutato o della decisione d'ufficio del giudice dell'esecuzione.

Al fine di stabilire l'esistenza dei presupposti per la concessione della riduzione, e, cioè, l'eccedenza del pignorato rispetto al valore dei crediti, il giudice deve, in primo luogo, calcolare il valore dei crediti e delle spese del creditore procedente e di quelli intervenuti; all'uopo tiene conto della somma risultante dal titolo esecutivo o, in mancanza, della somma indicata nel ricorso per intervento; in particolare, si evidenzia come la contestazione di quest'ultimo non possa essere anticipata ad un momento anteriore alla fase satisfattiva del processo.

La necessità di prendere in considerazione a tale fine anche i creditori che possano ancora eventualmente intervenire dipende invece dalla soluzione degli indicati problemi inerenti la natura del rimedio e il termine a quo della riduzione.

L'ulteriore operazione da compiere è quella di calcolare il valore dei beni pignorati: a tal fine il giudice fa riferimento, nell'espropriazione mobiliare presso il debitore, ai valori indicati dall'ufficiale giudiziario nel verbale di pignoramento; nell'espropriazione presso terzi, alla dichiarazione del terzo; nell'espropriazione immobiliare, alla disposizione dell'art.568 c.p.c., sicché sussiste il potere del giudice, qualora il valore del bene così determinato si palesi manifestamente inadeguato, di utilizzare gli elementi forniti dalle parti e di far ricorso ad uno stimatore.

Riferimenti
  • Consolo, Note in tema di estensione del pignoramento e sua opponibilità, in Riv. dir. proc., 1980;
  • Borrè, Pluralità di espropriazioni per lo stesso titolo e difesa del debitore, in Riv. dir. proc., 1970;
  • D'Amico, Riduzione del pignoramento ex art. 496 c.p.c. ed infondatezza della domanda di risarcimento del danno derivante da pignoramento eccessivo, in Riv. esec. forz., 2006;
  • Lepri, La riduzione del pignoramento prima dell'udienza per l'assegnazione o la vendita, in Riv. esec. forz., 2000;
  • Martinetto, Gli accertamenti degli organi esecutivi, Milano, 1963;
  • Satta, Commentario al codice di procedura civile, III, Milano, 1962;
  • Soldi, I rimedi contro l'abuso dell'espropriazione forzata, in Riv. esec. forz., 2008;
  • Verde, voce Pignoramento in generale, in Enc. dir., XXXIII, Milano, 1983, 786;
  • Verde, Capponi, Profili del processo civile, III, Napoli, 1998.

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