Fondo patrimoniale: costituzione e pubblicitàFonte: Cod. Civ. Articolo 167
14 Gennaio 2022
Inquadramento
L'atto costitutivo del fondo patrimoniale è il negozio giuridico per effetto del quale determinati beni (immobili, mobili registrati e titoli di credito) vengono destinati a far fronte ai bisogni della famiglia, assoggettandoli a precisi vincoli di inalienabilità ed inespropriabilità (art. 167 c.c.). L'art. 1, comma 13, della l. 20 maggio 2016, n. 76, dispone che alle unioni civili (cioè all'unione costituita tra due persone maggiorenni dello stesso sesso) si applicano le disposizioni di cui alle sezioni II, III, IV, V e VI del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile. Il legislatore ha in tal modo introdotto una disciplina che tende ad una sostanziale equiparazione fra lo stato coniugale e quello derivante dall'unione civile. Pertanto, anche le parti dell'unione civile possono costituire un fondo patrimoniale. L'art. 1, comma 20, della citata l. n. 76/2016, ha poi stabilito che, al solo fine di assicurare l'effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella detta legge. Dunque, anche nel prosieguo della presente trattazione, adotteremo lo stesso criterio di richiamo. Il fondo patrimoniale può essere costituito dai coniugi o dalle parti dell'unione civile (solo con atto fra vivi) o da un terzo (con atto fra vivi o con testamento), prima o durante il matrimonio o l'unione civile; naturalmente, poiché presupposto essenziale del fondo patrimoniale è il matrimonio o l'unione civile, finché il matrimonio o l'unione civile non sarà costituita, non sarà celebrato la costituzione del fondo non produce effetti. L'atto costitutivo del fondo può prevedere anche il trasferimento della proprietà dei beni vincolati, per cui oltre alla costituzione del vincolo di destinazione, si produrrà anche l'effetto traslativo; di conseguenza dovranno essere rispettate tutte le prescrizioni formali e sostanziali a ciò necessarie. Della costituzione del fondo deve essere data pubblicità mediante l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio (artt. 162 e 163 c.c.) oppure a margine dell'atto di costituzione dell'unione civile, e, laddove abbia ad oggetto beni immobili, anche attraverso la trascrizione nei registri immobiliari (art. 2647 c.c.). Inoltre, se l'atto costitutivo del fondo determina anche il trasferimento di diritti reali, deve essere trascritto, oltre che in base all'art. 2647 c.c., anche ai sensi dell'art. 2643 c.c. secondo i normali criteri.
Natura giuridica
Il negozio costitutivo del fondo patrimoniale, se per atto tra vivi, è una convenzione matrimoniale. In tal senso si è espressa la Cassazione in una nota sentenza allorché si è per la prima volta pronunciata sul problema se l'atto costitutivo del fondo patrimoniale possa includersi o meno tra le convenzioni matrimoniali: «se si tiene presente il concetto di convenzione matrimoniale desumibile dall'art. 159 c.c., il quale lo ancora alla comunione legale dei beni, disponendo che la (diversa) convenzione è necessaria per derogare al suddetto regime patrimoniale legale della famiglia, potrebbe sorgere il dubbio che la costituzione del fondo patrimoniale, limitandosi ad imprimere un vincolo su dati beni, non attuerebbe alcuna deroga del regime legale, onde la sua estraneità alla nozione di convenzione matrimoniale. In dottrina si è osservato che deve riconoscersi la natura di convenzione matrimoniale all'atto costitutivo del fondo patrimoniale con cui i coniugi imprimono il vincolo di destinazione familiare a beni che già loro appartengono in regime di comunione legale, alterando il suddetto regime (art. 210, comma 1, c.c.). Questa concezione restrittiva, peraltro rifiutata dai suoi stessi sostenitori, non può accogliersi perché imprime all'istituto natura giuridica diversa, a seconda dell'oggetto cui si riferisce e nonostante la sostanziale identità degli interessi tutelati dalle norme che lo prevedono in ogni sua applicazione. Appare preferibile, pertanto, la tesi che comprende il fondo patrimoniale (con esclusione della fattispecie testamentaria), nella sua unità funzionale, nell'area delle convenzioni matrimoniali le quali riflettono la disciplina della proprietà o dell'acquisto dei beni e dei redditi tra coniugi ed in questa ampia nozione rientra certamente l'atto costitutivo del fondo patrimoniale che importa in ogni caso un limite alla libera disponibilità dei beni da parte dei coniugi per il vincolo di destinazione ai bisogni familiari su di essi esistenti, vincolo che è senza dubbio più intenso di quello che deriva dal regime della comunione legale (cfr. l'art. 170 c.c. circa i limiti dell'esecuzione sui beni e sui frutti)» (Cass. 27 novembre 1987, n. 8824). La Suprema Corte ha poi ribadito tale orientamento in numerose pronunce (fra cui Cass. 8 ottobre 2008, n. 24798; Cass. 25 marzo 2009, n. 7210 e, soprattutto, Cass., S.U., 13 ottobre 2009, n. 21658) cosicché deve ritenersi principio ormai consolidato. L'eventuale partecipazione di terzi non determina mutamento dell'illustrata natura giuridica. Inoltre, l'atto costitutivo del fondo patrimoniale è un negozio naturalmente ma non essenzialmente gratuito: non può, infatti, escludersi che la costituzione possa configurarsi come adempimento dell'obbligo di contribuzione ai bisogni della famiglia o che possa farsi dietro corrispettivo. In tal senso si è affermato che la costituzione del fondo predetto al fine di fronteggiare i bisogni della famiglia, invero, anche qualora sia effettuata da entrambi i coniugi, non integra adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, pertanto suscettibile di revocatoria. Resta salva l'ipotesi in cui si dimostri, in concreto, l'esistenza di una situazione tale da integrare, nella sua oggettività, gli estremi del dovere morale ed il proposito del solvens di adempiere unicamente a quel dovere mediante l'atto in questione (Cass. 12 dicembre 2014, n. 26223. Conformi: Cass. 23 marzo 2005, n. 6267; Cass. 27 gennaio 2011, n. 1881; Cass. 8 agosto 2013, n. 19029; Cass. 6 dicembre 2017, n. 29298). Sulla natura gratuita dell'atto costitutivo del fondo patrimoniale la giurisprudenza è pressoché costante (Cass. 17 gennaio 2007, n. 966; Cass. 7 ottobre 2008, n. 24757; Cass. 29 aprile 2009, n. 10052; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2530; Cass. 30 giugno 2015, n. 13343; Cass. 9 ottobre 2015, n. 20376; Trib. Padova 9 settembre 2016). La natura di atto di liberalità della costituzione del fondo patrimoniale ricorre non soltanto quando a costituire il fondo sia un terzo od uno solo dei coniugi, ma anche quando entrambi i coniugi conferiscano al fondo beni già di loro proprietà, rinunciando essi in modo gratuito alle facoltà insite nel diritto di proprietà in favore della famiglia, mediante il vincolo di indisponibilità dei beni e la destinazione dei frutti ai soli bisogni familiari (Cass. 6 maggio 2016, n. 9128). Per atto mortis causa, il negozio costitutivo del fondo patrimoniale è un normale testamento. Il negozio costitutivo di un fondo patrimoniale, anche quando proviene da entrambi i coniugi, è atto a titolo gratuito, che può essere dichiarato inefficace nei confronti dei creditori con l'azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.), rendendo i beni conferiti aggredibili solo a determinate condizioni, sì da ridurre la garanzia generale spettante ai creditori sul patrimonio dei costituenti (Trib. Padova 9 settembre 2016). In particolare, si afferma che ai fini della revocabilità dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale anteriore al sorgere del credito, è sufficiente che sussista in capo al debitore il dolo generico, consistente nella mera previsione di arrecare pregiudizio alle ragioni creditorie (Cass. 7 ottobre 2008, n. 24757). Analogamente, in tema di revocatoria ordinaria nei confronti di fondo patrimoniale costituito successivamente all'assunzione del debito, è sufficiente, ai fini della cd. scientia damni, la semplice consapevolezza del debitore di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore, ovvero la previsione di un mero danno potenziale, rimanendo, invece, irrilevanti tanto l'intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore, quanto la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo (Cass. 30 giugno 2015, n. 13343. Conf. Cass. 3 giugno 2020, n. 10522; Cass. 8 agosto 2007, n. 17418). Ai fini del vittorioso esperimento dell'azione revocatoria non è necessario che l'attore risulti titolare nei confronti del convenuto di un credito definitivamente accertato ma è sufficiente che egli possa vantare una ragione di credito, ovverosia, anche soltanto una legittima aspettativa di credito che non si riveli prima facie pretestuosa e che possa valutarsi come probabile. In secondo luogo, occorre che il debitore compia un atto idoneo ad incidere sul proprio patrimonio determinandone una alterazione peggiorativa nel senso tanto di una possibile riduzione dei cespiti attivi quanto di una ipoteca assunzione di nuovi obblighi o passività. Ciò posto, l'atto di costituzione di un fondo patrimoniale nel quale venga conferito l'intero patrimonio immobiliare (seppur in comunione indivisa) del debitore, deve considerarsi atto idoneo ad arrecare – a seconda dei casi – un pregiudizio alle ragioni dei creditori non soltanto in una prospettiva meramente quantitativa ma anche in una dimensione qualitativa, posta la nota limitazione di cui all'art. 170 c.c. (Trib. Brescia 23 giugno 2020; Trib. Sassari 1° marzo 2018). In tema di revocazione dell'atto di costituzione di un fondo patrimoniale la legittimazione passiva spetta ad entrambi i coniugi ancorché la stipula sia avvenuta soltanto tramite l'intervento di uno solo di essi (Cass. 27 gennaio 2012, n. 1242; Cass. 18 ottobre 2011, n. 21494). In senso opposto si è però affermato che l'azione revocatoria diretta a far valere l'inefficacia della costituzione di un fondo patrimoniale può incidere soltanto sulla posizione soggettiva del coniuge debitore, restando l'altro coniuge estraneo all'azione, ancorché egli sia stato uno dei contraenti nell'atto di costituzione del fondo. Ne consegue che il coniuge non debitore (come nella specie) non è litisconsorte necessario passivo dell'azione revocatoria e che, per tale ragione, non può essere condannato al pagamento, anche se in via solidale (come nella specie) delle spese del giudizio Cass. 29 aprile 2009, n. 10052). Inoltre, i figli dei coniugi che hanno proceduto alla costituzione di un fondo patrimoniale non sono parte necessaria nel giudizio, promosso dal creditore con azione revocatoria, diretto a far valere l'inefficacia di tale costituzione, atteso che il fondo patrimoniale non viene costituito a beneficio dei figli, ma per far fronte ai bisogni della famiglia, come è confermato dal fatto che esso cessa con l'annullamento, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio a norma dell'art. 171 c.c. (Cass. 14 febbraio 2018, n. 3641). Analogamente, la Suprema Corte ha stabilito che la costituzione del fondo patrimoniale determina soltanto un vincolo di destinazione sui beni confluiti nel fondo, affinché, con i loro frutti, sia assicurato il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, ma non incide sulla titolarità dei beni stessi, né implica l'insorgere di una posizione di diritto soggettivo in favore dei singoli componenti del nucleo familiare, neppure con riguardo ai vincoli di disponibilità. Ne consegue che deve escludersi che i figli minori del debitore siano litisconsorti necessari nel giudizio promosso dal creditore per sentire dichiarare l'inefficacia dell'atto con il quale il primo abbia costituito alcuni beni di sua proprietà in fondo patrimoniale (Cass. 3 agosto 2017, n. 19376). Dal punto di vista processuale, nel caso in cui l'azione revocatoria, diretta a far valere l'inefficacia dell'intero atto di costituzione di un fondo patrimoniale, trovi accoglimento limitatamente ai beni immobili di proprietà del debitore, senza che il creditore abbia specificato le ragioni in base alle quali le altre parti contraenti del fondo siano state convenute in giudizio, soltanto costui può essere ritenuto soccombente e condannato alla rifusione delle spese di lite (Cass. 24 giugno 2021, n. 18194). L'atto di costituzione di un fondo patrimoniale può essere anche oggetto di revocatoria fallimentare (Cass. 11 aprile 2013, n. 8882; Cass. 12 dicembre 2014, n. 26223; Cass. 6 dicembre 2017, n. 29298). Si ritiene inammissibile l'azione revocatoria nei confronti di un atto costitutivo di fondo patrimoniale, laddove il fondo sia stato già sciolto: l'effetto della inefficacia conseguente alla revocatoria sarebbe impedito dalla già prodotta inefficacia dovuta allo scioglimento volontario. Ciò anche nel caso in cui lo scioglimento in presenza di figli minori, fosse annullabile, essendo fatto per consenso dei genitori senza autorizzazione del giudice a tutela dei minori stessi, in quanto proprio perché il divieto di scioglimento è posto a vantaggio dei minori comporta che solo questi ultimi possono agire per far annullare l'atto di scioglimento e non già i terzi, sia pure creditori in revocatoria (Cass. 22 novembre 2019, n. 30517). Parimenti inammissibile è l'azione revocatoria qualora il soggetto che esercita l'azione revocatoria ordinaria vanti un credito garantito da ipoteca anteriormente iscritta proprio sul bene che è oggetto dell'atto dispositivo revocando (nella specie, costituzione di fondo patrimoniale); infatti, la declaratoria di inefficacia si palesa come mezzo eccedente lo scopo in quanto la titolarità del diritto di ipoteca esclude quel pericolo di infruttuosità dell'esecuzione nel quale si identifica l'eventus damni (Cass. 22 giugno 2020, n. 12121). Effetti
Con la costituzione del fondo patrimoniale determinati beni vengono destinati a far fronte ai bisogni della famiglia, per cui l'esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei a tali bisogni (art. 170 c.c.). In sostanza, i beni costituiti in fondo patrimoniale vengono assoggetti ad un particolare vincolo di destinazione. Il divieto di esecuzione sui beni del fondo patrimoniale non ha carattere assoluto, ma meramente relativo. L'art. 170 c.c. prevede che “l'esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia". Ciò significa che l'esecuzione, pur in presenza di un fondo patrimoniale opponibile, può sempre procedere per i debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi inerenti i bisogni della famiglia (Trib. Agrigento 13 maggio 2020). Dunque, in tema di fondo patrimoniale, il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo va ricercato nella relazione esistente tra gli scopi per cui i debiti sono stati contratti ed i bisogni della famiglia, con la conseguenza che l'esecuzione sui beni del fondo o sui frutti di esso può avere luogo qualora la fonte e la ragione del rapporto obbligatorio abbiano inerenza diretta ed immediata con i predetti bisogni (Cass. 19 giugno 2018, n. 16176). Pertanto, qualora si evinca una inerenza diretta con le esigenze familiari, l'esecuzione sui beni conferiti in fondo patrimoniale, può avere luogo anche per il soddisfacimento di una obbligazione di origine extracontrattuale (Cass. 18 luglio 2003, n. 11230). I beni costituenti fondo patrimoniale non possono essere sottratti all'azione esecutiva dei creditori quando lo scopo perseguito nell'obbligazione sia quello di soddisfare i bisogni della famiglia, da intendersi non in senso oggettivo, ma come comprensivi anche dei bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell'indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilità economiche familiari. All'uopo, il criterio identificativo dei crediti che possono essere realizzati esecutivamente sui beni conferiti nel fondo va ricercato non già nella natura delle obbligazioni, ma nella relazione esistente tra il fatto generatore di esse ed i bisogni della famiglia, sicché non assume rilievo la natura latamente pubblicistica del credito vantato (Cass. 25 febbraio 2020, n. 5017). In sintesi, il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento legittima l'esecuzione sui beni conferiti nel fondo patrimoniale va ricercato non nella natura della obbligazione, ma nella relazione tra il fatto generatore di essa ed i bisogni della famiglia. Il fondo patrimoniale non è aggredibile esecutivamente in relazione a debiti che hanno a che fare con redditi che derivano da attività svolte per finalità puramente speculative, difettando il collegamento con il soddisfacimento dei bisogni familiari a cui il fondo è destinato. E' tuttavia necessario l'accertamento di tali presupposti da parte del giudice di merito, avuto riguardo alle specifiche circostanze del caso concreto (Cass. 7 giugno 2021, n. 15741). La rispondenza o meno dell'atto ai bisogni della famiglia richiede una verifica estesa al riscontro di compatibilità con le più ampie esigenze dirette al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo familiare, cosicché l'estraneità non può considerarsi desumibile soltanto dalla tipologia di atto in sé per sé considerata (Cass. 25 ottobre 2021, n. 29983). Così, è stato deciso che ai sensi del combinato disposto degli artt. 169 e 170 c.c. e dei principi costituzionali in tema di famiglia, i beni costituiti nel fondo, non potendo essere distolti dalla loro destinazione ai bisogni familiari, non possono costituire oggetto di iscrizione di ipoteca ad opera di terzi, qualunque clausola sia stata inserita nell'atto di costituzione circa le modalità di disposizione degli stessi in difformità da quanto stabilito dal citato art. 169 c.c.; tuttavia, nel caso in cui i coniugi o uno di essi abbiano assunto obbligazioni nell'interesse della famiglia, qualora risultino inadempienti alle stesse, il creditore può procedere all'iscrizione d'ipoteca sui beni costituiti nel fondo, attesa la funzione di garanzia che essi assolvono per il creditore, in quanto correlati al soddisfacimento delle esigenze familiari (Cass. 23 luglio 2021, n. 21184). La proprietà dei beni costituenti il fondo patrimoniale spetta ad entrambi i coniugi, salvo che sia diversamente stabilito nell'atto di costituzione (art. 168, comma 1, c.c.). Dunque, il costituente il fondo patrimoniale (sia esso un solo coniuge, entrambi i coniugi o un terzo) può riservare a proprio favore la proprietà dei beni conferiti. Si crea così uno sdoppiamento tra il soggetto titolare dei beni ed i soggetti investiti del potere di amministrazione sugli stessi. A tal proposito, si è affermato che i coniugi hanno sui beni costituiti in fondo patrimoniale un diritto di natura reale analogo all'usufrutto. In altri termini, nell'ipotesi, in cui la costituzione del fondo non comporti un effetto traslativo, essendosi il coniuge o il terzo costituente riservato la proprietà dei beni, il conferimento nel fondo comporta l'assoggettamento degli stessi ad un vincolo di destinazione, con la costituzione di un diritto di godimento attributivo delle facoltà e dei doveri previsti dagli artt. 167 - 171 c.c. (Trib. Milano, 5 luglio 2012).
La dottrina G. Trapani, La costituzione del fondo patrimoniale ed il regime delle menzioni e delle allegazioni obbligatorie, Studio n. 3851 approvato dalla Commissione Studi del Consiglio Nazionale del Notariato il 23 aprile 2002 ha ritenuto astrattamente configurabili le seguenti ipotesi: 1) ove il costituente sia uno solo dei coniugi, è possibile a) che riservi a sé stesso la proprietà; b) che trasferisca la proprietà al coniuge; c) che conferisca la proprietà nel fondo, con attribuzione della stessa in capo ad entrambi; d) che il fondo abbia ad oggetto un bene, la cui proprietà sia attribuita dal costituente ad un terzo, contestualmente all'imposizione del vincolo; 2) ove costituenti siano entrambi i coniugi, è possibile a) che sia attribuita la proprietà ad uno solo dei coniugi; b) che sia riservata in capo ad entrambi; c) che sia conferita da parte di entrambi la piena proprietà; d) che il fondo abbia ad oggetto un bene, la cui proprietà sia attribuita ad un terzo, contestualmente all'imposizione del vincolo; 3) ove il costituente sia un terzo, è possibile a) che sia attribuita la proprietà ad uno solo dei coniugi; b) che sia attribuita la proprietà ad entrambi i coniugi; c) che la proprietà sia riservata al terzo; d) che il bene costituito in fondo patrimoniale, sia dal terzo contestualmente trasferito in proprietà ad un altro soggetto estraneo ai coniugi.
Un attento Autore (R. Lenzi, Struttura e funzione del fondo patrimoniale, in Riv. not., 1991, 53) ha così affermato la piena autonomia causale dell'atto costitutivo di fondo patrimoniale, caratterizzato proprio dalla destinazione di determinati diritti a far fronte ai bisogni della famiglia e da un connesso, probabile, effetto traslativo. Tale fattispecie è, quindi, un autonomo tipo negoziale a funzione destinatoria - attributiva necessaria e funzione traslativa eventuale. La causa del fondo è quindi tipica ed è relativa non solo all'imposizione del vincolo destinatorio sui beni che ne sono oggetto, ma anche all'effetto attributivo di un diritto. In altri termini, la costituzione del fondo patrimoniale determina soltanto un vincolo di destinazione sui beni confluiti nel fondo stesso, affinché con i loro frutti assicurino il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, ma non incide sulla titolarità della proprietà dei beni stessi (Cass. 29 novembre 2000, n. 15297; Trib. Firenze 14 settembre 2016). La circostanza che un credito inerisca ai bisogni della famiglia rende sempre e comunque legittima l'esecuzione, a prescindere dalla data di insorgenza del credito rispetto a quella di costituzione del fondo e dalla sua fonte (contrattuale od extracontrattuale) (Cass. 26 agosto 2014, n. 18248). In senso conforme, in materia di debiti di natura tributaria sorti per l'esercizio dell'attività imprenditoriale si è espressa Cass. 24 febbraio 2016, n. 3600). Con riguardo all'iscrizione ipotecaria effettuata sui beni di un fondo patrimoniale, l'art. 170 c.c., nel disciplinare le condizioni di ammissibilità dell'esecuzione, detta una regola applicabile anche all'iscrizione di ipoteca non volontaria, ivi compresa quella di cui all'art. 77, d.P.R. n. 602/1973, sicché l'esattore può iscrivere ipoteca su beni appartenenti al coniuge o al terzo, conferiti nel fondo, se il debito sia stato da loro contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari, ovvero - nell'ipotesi contraria - purché il titolare del credito, per il quale l'esattore procede alla riscossione, non fosse a conoscenza di tale estraneità. Viceversa, l'esattore non può iscrivere l'ipoteca su detti beni e l'eventuale iscrizione è illegittima se il creditore conosceva tale estraneità (Cass. 12 giugno 2020, n. 11335; Cass. 6 dicembre 2018, n. 31590). A tal proposito, la Cassazione ha precisato che in tema di riscossione coattiva delle imposte, l'iscrizione ipotecaria di cui d.P.R. 602/1973, ex art. 77, è ammissibile anche sui beni facenti parte di un fondo patrimoniale alle condizioni indicate dall'art. 170 c.c., sicché è legittima solo se l'obbligazione tributaria sia strumentale ai bisogni della famiglia o se il titolare del credito non ne conosceva l'estraneità ai bisogni della famiglia, circostanze che non possono ritenersi dimostrate, né escluse, per il solo fatto dell'insorgenza del debito nell'esercizio dell'impresa(Cass. 1° giugno 2021, n. 15252; Cass. 14 luglio 2021, n. 20008). L'onere della prova dei presupposti di applicabilità dell'art. 170 c.c., nell'ipotesi di iscrizione ipotecaria ex art. 77 del d.P.R. n. 602/1973, grava su chi intenda avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale, sicché il debitore deve dimostrare che il debito in relazione al quale si è proceduto all'iscrizione sia stato contratto per uno scopo estraneo ai bisogni della famiglia e che tale estraneità fosse conosciuta dal creditore che ha iscritto l'ipoteca (Cass. 11 luglio 2017, n. 17076). I soggetti
1. I coniugi o gli sposi. Ciascuno o ambedue i coniugi (o gli sposi, nel caso di costituzione prima del matrimonio), per atto pubblico, possono costituire un fondo patrimoniale (art. 167, comma 1, c.c.). La costituzione ad opera di entrambi i coniugi non presenta particolari criticità. Qualche problema in più presenta, invece, l'ipotesi di costituzione da parte di uno solo dei coniugi. Argomentando a contrario dal comma 2 dell'art. 167 c.c. (che prevede l'accettazione dei coniugi solo per il perfezionamento della costituzione del fondo patrimoniale per atto tra vivi effettuata dal terzo), si è sostenuto che la costituzione di un fondo patrimoniale da parte di un solo coniuge sarebbe un atto unilaterale, cioè si perfezionerebbe senza necessità dell'accettazione da parte dell'altro coniuge. A sostegno di tale opinione si rileva che la costituzione del fondo attribuisce all'altro coniuge solo poteri e non anche doveri e che la sfera patrimoniale dell'altro coniuge viene ampliata perché su di essa possano agire i creditori della famiglia prima di agire sui beni personali del coniuge. Prevale la tesi secondo cui la costituzione del fondo patrimoniale è pur sempre una convenzione matrimoniale, per cui è necessaria l'accettazione dell'altro coniuge. Ne consegue che, in caso di disaccordo tra i coniugi, non è possibile costituire il fondo patrimoniale. Se ciò è vero quando il coniuge costituente vincola un bene di sua proprietà esclusiva, a maggior ragione è indispensabile il consenso dell'altro coniuge quando vengono costituiti in fondo patrimoniale immobili di cui i coniugi sono comproprietari, in regime di comunione legale dei beni (perché trattasi di atto di straordinaria amministrazione che può essere compiuto solo con il consenso di entrambi i coniugi - art. 180 c.c.-) oppure in regime di separazione dei beni o quali beni personali (perché altrimenti, se si ammettesse la costituzione per atto unilaterale, sarebbe oggetto del fondo solo la quota spettante al coniuge costituente). Inoltre, evidentemente necessario è il consenso dell'altro coniuge quando l'atto costitutivo del fondo patrimoniale prevede, oltre alla costituzione del vincolo di destinazione, anche il trasferimento della proprietà dal coniuge costituente all'altro. Il minore ammesso a contrarre matrimonio è pure capace di prestare il consenso per tutte le relative convenzioni matrimoniali, per cui, se assistito dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale su di lui o dal tutore o dal curatore speciale nominato a norma dell'art. 90 c.c., può costituire anche un fondo patrimoniale (art. 165 c.c.). La convenzione stipulata senza la necessaria assistenza dei soggetti indicati è annullabile. Il minore emancipato a seguito della celebrazione del matrimonio può liberamente stipulare convenzioni matrimoniali dopo le nozze, sempre assistito dal proprio curatore ma senza necessità di alcuna autorizzazione. Laddove il curatore del minore emancipato fosse il coniuge e sussistesse conflitto di interessi, si renderà naturalmente necessaria la nomina di un curatore speciale. L'art. 1, comma 2, della l. 20 maggio 2016, n. 76, dispone che l'unione civile può essere costituita solo tra due persone maggiorenni dello stesso sesso; inoltre, l'art. 165 c.c. non è richiamato dall'art. 1, comma 13, di detta legge per cui, non essendo prevista la possibilità che un minore venga autorizzato a costituire una unione civile, ne consegue che il fondo patrimoniale non potrà essere costituito, in questo caso, da un minore. Si discute anche se sia possibile nominare un procuratore per la costituzione di un fondo patrimoniale. Secondo l'orientamento più restrittivo (e minoritario) le convenzioni matrimoniali avrebbero natura di atti personalissimi, per cui non sarebbe mai ammesso il conferimento di una procura per la loro stipulazione. È preferibile l'orientamento maggioritario, secondo cui è certamente ammessa la rappresentanza volontaria, con l'essenziale precisazione che si tratti di procuratori speciali con poteri specificamente determinati, giammai generali o genericamente determinati.
2. Le parti dell'unione civile. La disciplina del fondo patrimoniale si applica anche agli accordi conclusi all'interno delle unioni civili, di cui alla l. 20 maggio 2016, n. 76, per espresso richiamo previsto dall'art. 1, comma 13, della legge stessa.
3. Il terzo. Il fondo patrimoniale può essere costituito, sia prima che durante il matrimonio, da parte di un terzo, sia con atto fra vivi che con testamento (art. 167 c.c.). L'atto con cui il terzo costituisce il fondo è sostanzialmente una donazione, o più in generale un atto a titolo di liberalità, in quanto egli attribuisce ai coniugi la proprietà o il godimento dei beni vincolati. Pertanto, troverà applicazione, in caso di carenza normativa, la disciplina della donazione, salvo il giudizio di compatibilità con i principi che regolano la specifica materia del fondo patrimoniale. In particolare, la capacità del terzo è disciplinata dalle norme relative alla capacità di donare: solo chi ha la piena capacità di donare può costituire beni in fondo patrimoniale. Laddove il terzo voglia avvalersi di un procuratore speciale si applicherà la normativa in materia di mandato a donare (art. 778 c.c.). I motivi per i quali il disponente decide di costituire un fondo patrimoniale sono privi di rilevanza giuridica; questi ultimi infatti, restano nel suo foro interno e non incidono sulla gratuità della disposizione a favore dei coniugi. La dottrina prevalente esclude che nella costituzione ad opera del terzo si possa ravvisare una donazione obnuziale: questa è fatta in riguardo di un futuro matrimonio e si perfeziona senza accettazione del donatario (art. 785 c.c.), mentre la costituzione del fondo può essere fatta anche durante il matrimonio e la legge richiede espressamente l'accettazione dei coniugi. Inoltre, il fondo patrimoniale è caratterizzato da una causa tipica in quanto diretto a costituire sui beni che ne formano oggetto uno speciale vincolo in vista del soddisfacimento dei bisogni della famiglia, causa diversa ed autonoma rispetto all'atto di donazione per causa di matrimonio. Si è anche affermato che si sarebbe in presenza di una donazione modale, proprio per far emergere il peculiare vincolo che è impresso sui beni conferiti nel fondo dal terzo. È stato tuttavia obiettato che il vincolo di destinazione rappresenta un elemento essenziale dell'atto di costituzione del fondo, mentre il modus è elemento accessorio del negozio. La costituzione del fondo da parte del terzo deve essere accettata da entrambi i coniugi (art. 167, comma 2, c.c.). L'accettazione può essere fatta anche con atto pubblico separato. In tal caso, applicandosi i principi generali (art. 782 c.c.), la costituzione si perfeziona non al momento dell'accettazione, ma al momento in cui l'accettazione è notificata al costituente. Ne consegue che fino a che non avviene la notifica (e quindi il negozio non si è perfezionato), il terzo può revocare la proposta. Parimenti, la morte del proponente, intervenuta prima del perfezionamento del negozio, toglie efficacia alla proposta, a meno che questa non sia irrevocabile. Si ritiene che in caso di disaccordo dei coniugi circa l'accettazione della costituzione del fondo da parte del terzo non si possa far ricorso al giudice ai sensi dell'art. 181 c.c. in quanto il disaccordo che tale ricorso giustifica deve riguardare l'amministrazione dei beni già nel fondo e non anche l'opportunità di accettare il fondo. La legge non precisa la nozione di “terzo” ai fini della costituzione di un fondo patrimoniale. Ci si è allora chiesti: il terzo costituente può essere il figlio dei coniugi? Nel silenzio del legislatore, si è ammesso che il terzo costituente possa essere il figlio dei due coniugi purché egli, al pari di ogni altro soggetto, abbia la capacità di porre in essere un simile atto. Infatti, non sembrano rinvenirsi motivi ostativi nel ricomprendere il figlio nel concetto di “terzo”, posto che la legge non dice nulla né in positivo né in negativo, ma si limita ad indicare come fase necessaria per la costituzione del vincolo sul bene conferito per atto inter vivos dal terzo, l'accettazione dei coniugi, sul presupposto che tale convenzione importa in ogni caso obblighi di gestione in capo ai coniugi. In sostanza, può ritenersi “terzo” chiunque sia “non coniuge”, e quindi anche il figlio. Dunque, è perfettamente aderente alla funzione del fondo patrimoniale, che il terzo sia un soggetto non estraneo alla famiglia stessa, quanto piuttosto un soggetto, il figlio, che contribuisce a soddisfare i bisogni del nucleo di cui fa parte (S. Metallo, Atto di costituzione di fondo patrimoniale: il terzo costituente può essere il figlio, Quesito n. 119-2008/C, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e Materiali, 3/2008, 1370). Ancora, ci si è chiesti se il terzo possa essere una società, cioè se il fondo patrimoniale possa essere costituito a favore dei coniugi da parte di una società, ovviamente solo con atto inter vivos stante l'incapacità di testare degli enti. Dal dettato normativo non sembra emergere alcuna preclusione ad ammettere che “terzo” possa essere una società. La dottrina che si è occupata del problema (G. Trapani, La costituzione del fondo patrimoniale da parte di una società, Studio n. 2527 approvato dalla Commissione Studi del Consiglio Nazionale del Notariato il 13 settembre 2000) si è espressa in senso affermativo in quanto l'atto, pur gratuito, può presentarsi preordinato al soddisfacimento di un preciso interesse economico, rilevante per la società e per la sua proficua gestione, sia pure in senso mediato ed indiretto. In sostanza, conclude la dottrina da ultimo citata, «l'astratta ammissibilità di una fattispecie quale quella della costituzione del fondo patrimoniale da parte di una società implica un estremamente rigoroso controllo della sua strumentalità rispetto all'oggetto sociale e di liceità da parte del Notaio, potendo tale istituto essere utilizzato dalle parti per scopi apparentemente legittimi, ma in realtà al di fuori dell'oggetto sociale od in frode alla legge e, quindi, sanzionabili ex art. 1344 c.c.. Se, in vero, la mera gratuità dell'atto non esclude l'astratta corrispondenza di quest'ultimo ad un interesse sociale, sia pure mediato od indiretto, e dunque la sua strumentalità, solo un'analisi attenta e rigorosa in concreto della «reale» volontà delle parti può consentire l'emersione di un intento siffatto simulatorio contra legem». La forma
Atto fra vivi. Il legislatore ha stabilito, in termini generali, che le convenzioni matrimoniali devono essere stipulate per atto pubblico, a pena di nullità (art. 162 c.c.). Il concetto è stato poi ribadito specificamente in riferimento alla costituzione del fondo patrimoniale (art. 167, comma 1, c.c.). La norma testé citata va integrata con il disposto dell'art. 48 l. 16 febbraio 1913, n. 89 (Legge notarile) che prescrive la necessaria presenza di due testimoni per le convenzioni matrimoniali e le loro modificazioni. I pubblici ufficiali legittimati a ricevere le convenzioni matrimoniali, con l'osservanza della predetta forma ad substantiam (atto pubblico con due testimoni) sono dunque solo i notai. Naturalmente, se l'atto costitutivo del fondo importa anche trasferimento di diritti reali, dovranno essere rispettate tutte le prescrizioni di legge in materia di atti traslativi immobiliari (ad esempio, menzioni urbanistiche, allegazione dell'attestato di prestazione energetica, dichiarazioni relative alla c.d. conformità catastale, ecc.).
Il testamento. I coniugi possono costituire il fondo patrimoniale solo con atto fra vivi e non anche con testamento. La ragione è evidente: con la morte di uno dei coniugi si scioglie il matrimonio, per cui viene a mancare il necessario presupposto della costituzione del fondo. Di conseguenza, l'eventuale clausola di costituzione di fondo patrimoniale a favore della propria famiglia contenuta nel testamento di uno dei coniugi deve essere considerata nulla. Al contrario, il legislatore ha riconosciuto al terzo la possibilità di costituire il fondo anche con testamento. In questo caso, il testamento può rivestire una qualsiasi delle forme previste dalla legge: pubblico, olografo o segreto. Il testamento che contiene la costituzione del fondo patrimoniale è, dunque, un normale testamento che però produce un duplice effetto: da un lato, attribuisce (ai coniugi, ad uno di essi, o ad un terzo) la proprietà di beni o la titolarità di diritti a titolo di eredità o legato, e come tale è soggetto alle ordinarie regole della successione testamentaria; dall'altro, impone un onere di destinazione dei beni in fondo patrimoniale. Il tempo
Secondo i principi generali (art. 162, comma 3, c.c.) le convenzioni possono essere stipulate in ogni tempo, e quindi sia prima che durante il matrimonio. Il legislatore ha ribadito tale possibilità nell'art. 167, comma 3, c.c. il quale precisa che la costituzione può essere fatta anche durante il matrimonio. In tal modo il legislatore ha riconosciuto ai coniugi la possibilità di adeguare il regime patrimoniale della famiglia ai bisogni che possono di volta in volta presentarsi. Naturalmente la costituzione di fondo patrimoniale fatta prima del matrimonio è sottoposta alla condicio iuris della celebrazione del matrimonio stesso, per cui prima di tale momento si producono solo effetti preliminari. In altri termini, prima della celebrazione del matrimonio le convenzioni eventualmente stipulate producono immediatamente solo un effetto negoziale che consiste nella impegnatività e vincolatività per cui esse possono essere revocate solo con il consenso di tutte le parti originarie; una volta celebrato il matrimonio si producono ope legis ed ex nunc gli effetti propri della convenzione. Come tutte le convenzioni matrimoniali, anche la costituzione di un fondo patrimoniale deve essere annotata a margine dell'atto di matrimonio (artt. 162 e 163 c.c.); dall'annotazione devono risultare la data della convenzione, il notaio rogante e le generalità dei contraenti. Inoltre, l'art. 2647 c.c. dispone che la costituzione del fondo, ovviamente laddove vengano vincolati beni immobili, deve essere trascritta nei registri immobiliari. Anche se la legge tace sul punto, si ritiene pacificamente che la costituzione di fondo patrimoniale che opera il trasferimento della proprietà o di altri diritti reali debba essere trascritta, oltre che in base all'art. 2647 c.c., anche ai sensi dell'art. 2643 c.c. secondo le normali regole relative alla pubblicità immobiliare. La funzione di questa seconda trascrizione ex art. 2643 c.c., in aggiunta alla pubblicità di cui all'art. 2647 c.c., è quella tipica prevista dall'art. 2644 c.c. «le convenzioni matrimoniali, qualora producano uno degli effetti di cui agli artt. 2643 e 2684c.c., debbono essere assoggettate alla relativa trascrizione al fine di dirimere ogni eventuale conflitto tra più acquirenti dallo stesso autore. La pubblicità mediante trascrizione ai sensi dell'art. 2643 e dell'art. 2684 c.c. conserva, dunque, la sua piena autonomia in quanto, essendo diretta alla c.d. pubblicità dell'acquisto, è nettamente distinta sia dalla pubblicità a mezzo di annotazione (art. 162 c.c.), che attiene al regime generale della famiglia, sia dalla particolare forma di trascrizione di cui all'art. 2647, che si riferisce al particolare regime giuridico di un determinato bene» (Lo Sardo, La comunione convenzionale nel regime patrimoniale della famiglia, in Riv. not., 1991, 1342-1343). Il problema centrale relativo alla pubblicità dell'atto costitutivo del fondo patrimoniale è rappresentato dal coordinamento fra le due forme di pubblicità previste dalla legge (trascrizione nei registri immobiliari ed annotamento a margine dell'atto di matrimonio). Sul punto la giurisprudenza è unanime: la costituzione di fondo patrimoniale è opponibile ai terzi solo se viene annotata a margine dell'atto di matrimonio, così come disposto dall'art. 162, comma 4, c.c.; la trascrizione del vincolo per gli immobili, ai sensi dell'art. 2647 c.c., resta degradata a mera pubblicità-notizia (inidonea ad assicurare detta opponibilità) e non sopperisce al difetto di annotazione nei registri dello stato civile, che non ammette deroghe o equipollenti, restando irrilevante anche la conoscenza che i terzi abbiano acquisito altrimenti della costituzione del fondo (ex multis, Cass. 5 aprile 2007, n. 8610; Cass. 16 novembre 2007, n. 23745; Cass. 10 luglio 2008, n. 18870; Cass. 30 settembre 2008, n. 24332; Cass. 23 maggio 2011, n. 11319; Cass. 27 novembre 2012, n. 20995; Cass. 12 dicembre 2013, n. 27854; Cass. 24 marzo 2016, n. 5889; Trib. Frosinone 15 marzo 2016; Trib. Vicenza 24 novembre 2016). Su tale argomento in tempi non lontani la Suprema Corte si è pronunciata, in senso conforme, anche a Sezioni Unite (Cass., S.U., 13 ottobre 2009, n. 21658). Alle dette conclusioni - affermano i giudici - si perviene essenzialmente sulla base della considerazione che la l. n. 151/1975 ha abrogato l'ultimo comma dell'art. 2647 c.c. (che considerava la trascrizione del vincolo familiare requisito di opponibilità ai terzi) con ciò rendendo evidente l'intento del legislatore di degradare la trascrizione del fondo a pubblicità notizia e di riservare l'opponibilità del vincolo ai terzi all'annotazione di cui all'art. 162, ultimo comma, c.c. L'annotazione a margine dell'atto di matrimonio della data del contratto, del notaio rogante e delle generalità dei contraenti che hanno partecipato alla costituzione del fondo patrimoniale mira a tutelare, ancor più che per il passato, i terzi che pongono in essere rapporti giuridici con i coniugi. La detta funzione attribuita dalla annotazione ex art. 162 c.c. - consentire al terzo di ottenere una completa conoscenza circa la condizione giuridica dei beni cui il vincolo del fondo si riferisce attraverso la lettura del relativo contratto - e l'eliminazione dell'art. 2647,ultimo comma, c.c., consentono di affermare che la detta annotazione costituisce l'unica formalità pubblicitaria rilevante agli effetti della opponibilità della convenzione ai terzi e che la trascrizione del vincolo ex art. 2647 c.c. è stata degradata al rango di pubblicità-notizia. Il fondo patrimoniale risulta quindi sottoposto ad una doppia forma di pubblicità: annotazione nei registri dello stato civile (funzione dichiarativa); trascrizione (funzione di pubblicità notizia). Infatti quando la legge non ricollega alla trascrizione un particolare effetto ben determinato, si è in presenza di una pubblicità notizia. Il legislatore tutte le volte in cui ha voluto attribuire alla pubblicità determinati effetti lo ha detto esplicitamente, mentre laddove non ha detto nulla deve ritenersi trattarsi di pubblicità notizia. L'opponibilità ai terzi dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale (avente ad oggetto beni immobili) è quindi subordinata all'annotazione a margine dell'atto di matrimonio a prescindere dalla trascrizione del medesimo atto imposta dall'art. 2647 c.c.. L'esibizione in giudizio dell'atto di matrimonio recante l'annotazione della costituzione del fondo patrimoniale non è condizione sostanziale di opponibilità dell'atto ai terzi richiesta dall'art. 162 c.c., ma costituisce necessario adempimento dell'onere processuale della prova in giudizio (Cass. 12 ottobre 2017, n. 23955). I terzi interessati a conoscere il regime patrimoniale di determinati soggetti – e di conseguenza la disciplina cui sono assoggettati determinati immobili - hanno dunque l'unico onere di consultare i registri dello stato civile e non anche i registri immobiliari. In altri termini, l'annotazione nei registri dello stato civile a margine dell'atto di matrimonio costituisce il perno del sistema di pubblicità, fondamentale per far conoscere ai terzi quali siano il regime e le convenzioni patrimoniali di ciascuna famiglia. In sintesi, ai sensi degli artt. 162 e 163 c.c. affinché la pubblicità relativa alla stipula e alle modifiche delle convenzioni matrimoniali renda le stesse opponibili ai terzi è necessaria e sufficiente l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio iscritto nel registro depositato presso gli uffici del Comune di celebrazione, poiché è presso questi uffici che i terzi interessati hanno l'onere di recarsi per avere conoscenza di come siano stati regolati i rapporti patrimoniali tra i coniugi e non anche presso altri uffici (Cass. 16 giugno 2021, n. 17207). Sulla materia si è pronunciata anche la Corte Costituzionale (sent., 6 aprile 1995, n. 111) che ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 162, comma 4, 2647 e 2915 c.c., nella parte in cui non prevedono che, per i fondi patrimoniali costituiti a mezzo di convenzione matrimoniale su beni immobili, l'opponibilità ai terzi sia determinata dalla trascrizione dell'atto sui registri immobiliari, anziché dall'annotazione a margine dell'atto di matrimonio. In mancanza dell'annotazione, la convenzione è inopponibile ai terzi ed a nulla rileva l'effettiva conoscenza di essa che questi abbiano potuto acquisire in altra maniera: quando la legge dispone che per l'opponibilità di determinati atti è necessaria la pubblicità, questa non ammette deroghe od equipollenti (Cass. 19 novembre 1999, n. 12864; Cass. 8 ottobre 2008, n. 24798; Cass. 25 marzo 2009, n. 7210; Trib. Prato 25 novembre 2009). Così, ad esempio, si è affermato che in presenza di un atto di costituzione del fondo patrimoniale trascritto nei pubblici registri immobiliari, ma annotato a margine dell'atto di matrimonio successivamente all'iscrizione di ipoteca sui beni del fondo medesimo, l'esistenza del fondo non è opponibile al creditore ipotecario (Cass. 10 maggio 2019, n. 12545). In conclusione, l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio costituisce il perno del sistema di pubblicità delle convenzioni matrimoniali di ciascuna famiglia; l'omissione dell'annotazione non toglie efficacia alle convenzioni nei rapporti interni, ma rende solo le convenzioni stesse inopponibili ai terzi. Il notaio che ha stipulato una convenzione matrimoniale ha l'obbligo di richiedere l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio della convenzione stessa entro trenta giorni dalla data dell'atto (art. 34 bis disp. att. c.c.).Pertanto, il notaio che, dopo avere costituito un fondo patrimoniale, ometta di curare la relativa annotazione in margine all'atto di matrimonio, risponde nei confronti dei proprietari dei beni conferiti nel fondo del danno da essi patito in conseguenza dell'inopponibilità del vincolo di destinazione ai creditori, a nulla rilevando che sia stata comunque eseguita la trascrizione dell'atto, giacché quest'ultima non rende la costituzione del fondo patrimoniale opponibile ai terzi quando sia mancata la suddetta annotazione (Cass. 24 marzo 2016, n. 5889; Trib. Pisa 29 gennaio 2004; App. Roma 10 maggio 2007; Cass. 27 novembre 2012, n. 20995). Tuttavia, qualora il notaio rogante un atto di costituzione di alcuni beni immobili in fondo patrimoniale abbia omesso di chiederne l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio dei costituenti, e, pertanto, i beni stessi - stante l'inopponibilità, ai terzi, del vincolo - siano stati assoggettati a esecuzione forzata, il danno ricollegabile a detta esecuzione consiste nella perdita della proprietà e nella conseguente impossibilità di destinare i redditi di tali immobili a soddisfare i bisogni della famiglia da parte dei coniugi proprietari degli immobili stessi e costituenti il fondo; pertanto, correttamente il giudice del merito esclude che la semplice iscrizione di ipoteca possa costituire fonte di danni, atteso che la ridotta commerciabilità dei beni - a causa dell'iscritta ipoteca -non incide sul soddisfacimento dei bisogni della famiglia. Nessun danno subiscono i componenti della famiglia che, pertanto, non sono legittimati a reclamare, nei confronti del notaio, alcun risarcimento (Cass. 28 ottobre 2003, n. 16187). La giurisprudenza ha affermato che, poiché la responsabilità del notaio rogante per mancata tempestiva annotazione a margine dell'atto di matrimonio dell'atto costitutivo del fondo patrimoniale ha natura contrattuale, la prescrizione decorre dal verificarsi dell'inadempimento e quindi a partire dal trentesimo giorno dalla stipulazione dell'atto, cioè dalla scadenza del termine entro il quale chiedere l'annotazione (Trib. Biella, 20 luglio 1998). Il notaio può tuttavia liberarsi dalla responsabilità dimostrando di aver adempiuto la prestazione trasmettendo all'ufficio competente la richiesta (App. Napoli, 14 giugno 2011). Se, pertanto, l'omissione dell'annotazione a margine dell'atto di matrimonio sia riconducibile all'ufficiale dello stato civile, nella controversia che ne può scaturire legittimato passivamente non è il Comune ma direttamente lo Stato. Tale conclusione si spiega in quanto nell'esercizio della funzione di tenuta dei registri dello stato civile, il sindaco assume la veste di ufficiale di Governo e quindi agisce quale organo dello Stato in posizione di dipendenza gerarchica anche rispetto agli organi statali centrali (Ministero della giustizia) e locali di grado superiore (Procuratore della Repubblica) (Cass., S.U., 13 ottobre 2009, n. 21658). Inoltre, è stato deciso che nel giudizio avente ad oggetto l'accertamento della responsabilità del notaio rogante l'atto di costituzione di fondo patrimoniale per mancata annotazione dello stesso a margine dell'atto di matrimonio in relazione alla procedura esecutiva attivata su tali beni dal creditore personale di uno dei coniugi, deve essere fornita la prova dell'impignorabilità di tali beni qualora fosse stato annotato l'atto di costituzione del fondo patrimoniale. Pertanto, in difetto di allegazioni e produzioni documentali dalle quali evincere il rapporto tra le contratte e inadempiute obbligazioni e i bisogni della famiglia e la conseguente attitudine del vincolo di destinazione impresso ai beni costituiti in fondo patrimoniale a sottrarli alla garanzia patrimoniale generica di cui all'art. 2740 c.c., rimane precluso ogni apprezzamento in ordine al nesso di causalità tra la negligenza professionale del notaio e il danno lamentato. La costituzione del fondo patrimoniale, invero, non determina la impignorabilità dei beni qualora l'esecuzione sia preordinata alla soddisfazione di crediti rivenienti da obbligazioni contratte per scopi non estranei ai bisogni della famiglia (Trib, Ragusa 13 marzo 2018). Una sentenza di merito, non recente ma a nostro avviso molto significativa, ha addirittura affermato la mancanza di responsabilità del notaio che formuli in modo generico una richiesta di annotazione a margine dell'atto di matrimonio di un atto costitutivo di fondo patrimoniale, la inoltri ad un Comune diverso da quello in cui è stato celebrato il matrimonio e non rispetti così il termine di trenta giorni previsto per questo adempimento. Secondo i giudici, infatti, l'obbligazione gravante sul notaio si esaurisce nell'inoltro della richiesta e non implica che il notaio debba svolgere una qualche attività di vigilanza e di controllo sul pubblico ufficiale competente per assicurarsi che l'annotazione venga effettivamente apposta. L'istruzione contenuta nelle missive accompagnatorie degli atti è certamente generica; tuttavia essa è rivolta all'ufficio cui è demandata istituzionalmente la conservazione e l'aggiornamento degli atti di matrimonio, il quale non poteva ignorare quali fossero gli adempimenti di propria competenza conseguenti ad un atto costitutivo di fondo patrimoniale. Ogni ulteriore precisazione da parte del notaio avrebbe potuto apparire pedante. Evidentemente, l'impiegato del Comune che ha ricevuto e smistato gli atti non ha fatto attenzione al contenuto di essi e delle missive di accompagnamento, ovvero non era in grado di svolgere adeguatamente tale delicato compito. Nell'uno e nell'altro caso, comunque, nessuna responsabilità può derivarne al notaio. Infine, conclude il Tribunale, non si può imputare al notaio l'aver inviato la copia dell'atto destinata all'annotazione ad un Comune diverso da quello dov'era stato celebrato il matrimonio dei clienti. Se questa condotta certo viola l'art. 34 bis disp. att. c.c., gli interessati avrebbero sofferto soltanto un ritardo di qualche giorno, pertanto innocuo, se alla condotta negligente del notaio non si fosse sommata quella, altrettanto negligente, dei funzionari comunali (Trib. Bassano del Grappa, 3 febbraio 1994). Il fondo patrimoniale costituito dalle parti dell'unione civile è soggetto alla stessa disciplina in forza del richiamo contenuto nel comma 13 della legge n. 76/2016, ed in particolare alle regole formali di cui agli articoli 162 e 163 c.c. e deve essere annotato a margine dell'atto di costituzione dell'unione civile, per essere opponibile ai terzi, ai sensi degli articoli 162 comma 3 e 163 comma 3 c.c. (richiamati dal citato comma 13) della Legge ed ai sensi dell'art. 69, comma 1-bis, lettera a) del d.P.R. n. 396/2000; la pubblicità dichiarativa è quella affidata agli atti dello stato civile mentre la trascrizione di cui all'art. 2647 c.c. (e le annotazioni previste dall'art. 163 ultimo comma), come detto, è degradata a mera pubblicità notizia. |