Convenzioni matrimonialiFonte: Cod. Civ. Articolo 159
07 Febbraio 2022
Inquadramento
Le convenzioni matrimoniali sono gli accordi con i quali gli sposi (se le convenzioni sono stipulate prima del matrimonio) o i coniugi (se le convenzioni sono stipulate dopo il matrimonio), da soli o con l'intervento di terzi, scelgono e regolamentano il regime patrimoniale della famiglia (cioè l'insieme delle regole che disciplinano la titolarità e l'amministrazione dei beni dei coniugi), derogando, in tutto o in parte, al regime legale della comunione dei beni. In verità nel nostro ordinamento manca la definizione precisa di “convenzione matrimoniale”, ma questa può desumersi indirettamente dall'art. 159 c.c. laddove stabilisce che il regime patrimoniale legale della famiglia, in mancanza di diversa convenzione, è costituito dalla comunione dei beni. Tale definizione non è del tutto soddisfacente in quanto in alcune ipotesi essa nasce da fonti diverse dall'accordo (ad esempio, ai sensi dell'art. 167 c.c. il fondo patrimoniale può essere costituito anche per testamento). Dunque, con una convenzione matrimoniale i coniugi possono modificare il regime della comunione dei beni,ampliandolo o restringendolo (dando così vita ad una comunione convenzionale) oppure possono escluderlo del tutto optando per il diverso regime della separazione dei beni o, ancora, possono, in aggiunta al regime “di base” a carattere generale (comunione o separazione), stabilire per determinati beni specificamente individuati un regime particolare consistente nella loro segregazione e destinazione a far fronte ai bisogni della famiglia (fondo patrimoniale).
L'art. 1, comma 13, l. 20 maggio 2016, n. 76, dispone che il regime patrimoniale dell'unione civile tra persone dello stesso sesso, in mancanza di diversa convenzione patrimoniale, è costituito dalla comunione dei beni. In materia di forma, modifica, simulazione e capacità per la stipula delle convenzioni patrimoniali si applicano gli articoli 162, 163, 164 e 166 del codice civile. Le parti non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto dell'unione civile. Si applicano le disposizioni di cui alle sezioni II, III, IV, V e VI del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile.
Il legislatore ha in tal modo introdotto una disciplina che tende ad una sostanziale equiparazione fra lo stato coniugale e quello derivante dall'unione civile.
L'unica differenza è meramente terminologica, in quanto le convenzioni in esame vengono definite non più “matrimoniali” ma “patrimoniali”.
Le convenzioni “patrimoniali” nell'unione civile, e le loro modifiche sono dunque soggette alle stesse norme dettate dal codice civile per le convenzioni “matrimoniali”, in forza del richiamo contenuto nel comma 13 della legge n. 76/2016, ed in particolare alle regole formali di cui agli articoli 162 e 163 c.c. e ai limiti contenutistici previsti dall'art. 210 c.c. per la comunione convenzionale (oltre che ai limiti “generali” contenuti negli artt. 160, 161 e 166-bis c.c.).
Tutta l'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale in tema di regimi patrimoniali e convenzioni matrimoniali è dunque riferibile anche alle c.d. convenzioni patrimoniali relative alle unioni civili.
L'art. 1, comma 20, della citata l. n. 76/2016, ha poi stabilito che, al solo fine di assicurare l'effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella detta legge.
Dunque, anche nel prosieguo della presente trattazione, adotteremo lo stesso criterio di richiamo.
Natura giuridica
Le convenzioni matrimoniali sono sostanzialmente dei contratti in quanto accordi aventi contenuto patrimoniale, caratterizzati da una disciplina specifica. Le norme generali dettate per i contratti sono applicabili in quanto non siano incompatibili con la specifica disciplina delle convenzioni matrimoniali.
I limiti
Nella stipulazione delle convenzioni matrimoniali l'autonomia patrimoniale dei coniugi incontra precisi limiti fissati dal legislatore. In primo luogo, gli sposi non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio (art. 160 c.c.). Le convenzioni stipulate non osservando tale divieto sono affette da nullità assoluta ed insanabile in quanto stipulate in violazione di norme imperative. Si ritiene che la nullità di singole clausole non determini la nullità dell'intera convenzione, a meno che la parte nulla non abbia costituito il motivo determinante dell'intero accordo ai sensi dell'art. 1419 c.c.. Si discute se l'inderogabilità stabilita dall'art. 160 c.c. si riferisca, oltre evidentemente ai diritti e doveri di carattere direttamente patrimoniale, anche a quelli di natura strettamente personale che la legge ricollega al matrimonio. In ogni caso, si osserva, i diritti ed i doveri personali sarebbero ugualmente inderogabili per la natura di ordine pubblico delle norme che li prevedono. In secondo luogo, è nulla ogni convenzione che comunque tenda alla costituzione di beni in dote (art. 166-bis c.c.). Il divieto in parola opera dal 21 settembre 1975 (data di entrata in vigore della l. 19 maggio 1975, n. 151, Riforma del diritto di famiglia), per cui le doti ed i patrimoni familiari costituiti prima di tale data continuano ad essere disciplinati dalle norme anteriori (come espressamente stabilito dall'art. 227, l. n. 151/1975). Ancora, laddove gli sposi vogliano che i propri rapporti patrimoniali siano in tutto o in parte regolati da leggi alle quali non sono sottoposti o dagli usi, non possono pattuirlo genericamente ma devono enunciare in modo concreto il contenuto dei patti con i quali intendono regolare i loro rapporti (art. 161 c.c.). In altri termini, non è consentito ai coniugi regolare i rapporti patrimoniali attraverso un riferimento generico a leggi straniere o usi, ma è indispensabile che questi siano esattamente individuati e chiaramente enunciati, in modo da consentire ai coniugi stessi ed ai terzi una immediata e precisa conoscenza dei diritti ed obblighi assunti. Dunque, i coniugi possono certamente adottare un regime patrimoniale straniero purché le relative norme vengano non soltanto genericamente richiamate ma riprodotte nella convenzione, della quale costituiscono clausole aventi natura contrattuale (e quindi come tali interpretate). Naturalmente le norme straniere adottate non devono essere in contrasto con norme imperative dell'ordinamento nazionale. È opportuno però sottolineare che l'art. 30, l. 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), stabilisce che i rapporti patrimoniali tra coniugi sono regolati dalla legge applicabile ai loro rapporti personali (cioè dalla legge nazionale comune o, nel caso di coniugi aventi diverse cittadinanze o più cittadinanze comuni, dalla legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata). Tuttavia, i coniugi possono convenire per iscritto che i loro rapporti patrimoniali siano regolati dalla legge dello Stato di cui almeno uno di essi è cittadino o nel quale almeno uno di essi risiede. Dunque, l'autonomia negoziale dei coniugi è sensibilmente ampliata in quanto per la conclusione degli accordi di cui all'art. 30 citato è richiesta la sola forma scritta e non la forma solenne prevista dall'art. 162 c.c. e si ammette quel “richiamo generico” che è invece vietato dall'art. 161 c.c.. Infine, nella stipulazione di convenzioni matrimoniali i coniugi devono osservare il disposto dell'art. 210 c.c. il quale vieta: a) di comprendere nella comunione convenzionale i beni previsti dall'art. 179 c.c. lett. c) (di uso strettamente personale), d) (che servono all'esercizio della professione), e) (ottenuti a titolo di risarcimento del danno o di indennità per la perdita della capacità lavorativa); b) di derogare alle regole dettate, in materia di comunione legale, per l'amministrazione dei beni in comunione (art. 180 e ss. c.c.) e all'uguaglianza delle quote (art. 194 c.c.), limitatamente, però, ai beni che formerebbero oggetto di comunione legale. Il Ministero dell'Interno, nel Regolamento dello Stato Civile (Guida all'Applicazione – Massimario per l'Ufficiale di Stato Civile, 2014), precisa che in merito alla regolamentazione del regime patrimoniale fra i coniugi, si ritiene che ai matrimoni celebrati all'estero, dinanzi all'autorità italiana, fra cittadini italiani o fra un cittadino ed un non cittadino, si debba applicare la legge italiana: quindi anche gli artt. 159 e 162 c.c. Se, invece, il matrimonio si celebra dinanzi all'autorità locale, in un paese in cui vale una disposizione di legge contraria a quella stabilita dall'art. 159 c.c., l'assenza di una dichiarazione degli sposi in ordine al loro regime patrimoniale, in quel paese varrà a costituire fra essi la separazione dei beni, mentre in Italia, una volta trascritto il relativo atto, varrà a costituire la comunione dei beni, non sembrando applicabile a cittadini italiani, in Italia, una legge straniera. Se gli sposi, nell'atto di matrimonio, abbiano espresso una volontà negoziale conformemente ad una legge straniera, essa, per poter essere opposta ai terzi in buona fede, deve essere da questi conosciuta od essere conoscibile (art. 30, comma 3, l. 31 maggio 1995, n. 218, e art. 162 c.c.). A tal fine, su istanza di parte, è possibile annotare la comunicazione dell'autorità diplomatica o consolare Italiana relativa al regime patrimoniale dei coniugi nel paese di celebrazione.
Il tempo della stipulazione
Le convenzioni possono essere stipulate in ogni tempo (art. 162, comma 3, c.c.), e quindi sia prima che durante il matrimonio. La scelta del regime della separazione dei beni può anche essere fatta nell'atto di celebrazione del matrimonio (art. 162, comma 2, c.c.). In tal modo il legislatore ha riconosciuto ai coniugi la possibilità di adeguare il regime patrimoniale della famiglia ai bisogni che possono di volta in volta presentarsi. Naturalmente le convenzioni matrimoniali stipulate prima del matrimonio sono sottoposte alla condicio iuris della celebrazione del matrimonio stesso, per cui prima di tale momento producono solo effetti preliminari. In altri termini, prima della celebrazione del matrimonio le convenzioni eventualmente stipulate producono immediatamente solo un effetto negoziale vincolante per cui esse possono essere revocate solo con il consenso di tutte le parti originarie; una volta celebrato il matrimonio si producono ope legis ed ex nunc gli effetti propri della convenzione. Dalla possibilità di stipulare in ogni tempo convenzioni matrimoniali discende il corollario della libera modificabilità (intesa sia nel senso di mutamento integrale, sia nel senso di cambiamento di soltanto alcune clausole dell'originaria convenzione) delle stesse anche dopo la celebrazione del matrimonio. Così, ad esempio, i coniugi possono passare dal regime di comunione legale dei beni a quello della separazione, o viceversa. L'autonomia dei coniugi incontra un limite nell'art. 194 c.c., che è espressamente richiamato dall'art. 162, comma 2, c.c. Pertanto, se i coniugi si trovano in regime di comunione legale e stipulano una convenzione matrimoniale per adottare il diverso regime della separazione o di comunione convenzionale con oggetto più ristretto di quello legale, tale convenzione può avere effetti solo ex nunc e non può eliminare gli acquisti compiuti anteriormente ad essa dai coniugi né il necessario procedimento di divisione dei beni oggetto degli acquisti medesimi. In altre parole, i coniugi, in costanza di matrimonio, non possono convenire di adottare il regime di separazione con effetto retroattivo, neppure con retroattività limitata inter partes. La convenzione tra i coniugi, che esprime l'opzione per la cessazione della comunione legale e per il correlativo passaggio alla separazione dei beni, esaurisce in se stessa quell'incidenza sul regime dei rapporti patrimoniali tra i coniugi che la qualifica come convenzione matrimoniale modificativa, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 163 c.c. e la rende come tale soggetta ai requisiti di forma costitutiva di cui all'art. 162 c.c. Tale non è, invece, considerabile la convenzione in virtù della quale avviene il passaggio dalla situazione potenziale di divisibilità (conseguente al pregresso scioglimento) all'attualità (derivante dal compimento della divisione) dell'attribuzione a ciascuno dei coniugi dell'esclusiva titolarità di uno o più diritti o cespiti precedentemente comuni. Questa divisione non incide, infatti, su una situazione giuridica di comunione legale speciale (alla quale soltanto è riferibile la disciplina degli art. 162 e 163 c.c.), che non esiste più nel momento in cui viene posta in essere la divisione convenzionale, alla quale, perciò, torna applicabile la disciplina di forma e di sostanza che regola la divisione ordinaria (Cass. 11 novembre 1996, n. 9846). È pacifico che l'atto modificativo debba rivestire, a pena di nullità, la medesima forma (atto pubblico) dell'atto modificato e che al primo debbano necessariamente partecipare tutte le persone (o i loro eredi) che avevano partecipato al secondo. Un'unica eccezione alla libera modificabilità delle convenzioni matrimoniali è contenuta nell'art. 2 l. 10 aprile 1981, n. 142 (Modifiche ad alcune norme relative alle convenzioni tra coniugi), il quale prevede la necessaria preventiva autorizzazione del giudice per il mutamento dopo la celebrazione del matrimonio, di convenzioni matrimoniali stipulate per atto pubblico prima dell'entrata in vigore della legge stessa (6 maggio 1981). La competenza a concedere l'autorizzazione in parola appartiene al tribunale ordinario del luogo di residenza della famiglia (o, se questa non è stata fissata, del luogo di residenza di uno dei coniugi), il quale provvede in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero (art. 38, commi 2 e 3, disp. att. c.c., e artt. 737 e ss. c.p.c.). Soggetti legittimati a proporre l'istanza sono i coniugi, i quali devono sottoscrivere entrambi il ricorso. Il provvedimento è soggetto a reclamo secondo le norme ordinarie e questo può essere proposto dai ricorrenti (se negativo) o dal pubblico ministero (se positivo). Orientamenti a confronto
I soggetti
Soggetti delle convenzioni matrimoniali (cioè coloro che possono stipularle) sono necessariamente gli sposi (se le convenzioni sono stipulate prima del matrimonio) o i coniugi (se le convenzioni sono stipulate dopo il matrimonio), da soli o con l'intervento di terzi. In casi particolari (v. art. 167 c.c.) alle convenzioni matrimoniali possono partecipare anche i terzi, senza con ciò mutare la propria natura giuridica. Si discute se sia possibile nominare un procuratore per la stipula di una convenzione matrimoniale. Secondo l'orientamento più restrittivo (e minoritario) le convenzioni matrimoniali avrebbero natura di atti personalissimi, per cui non sarebbe mai ammesso il conferimento di una procura per la loro stipulazione (Oberto G., Commento all'art. 159 c.c., in Sesta M. (a cura di) Il codice della famiglia Giuffrè 2009, 885; Ieva M., Le convenzioni matrimoniali, in Zatti P. (diretto da), Trattato di Diritto di Famiglia, vol. III, Regime patrimoniale della famiglia, Anelli F., Sesta M. (a cura di), Giuffrè 2002, 27 e ss.). In realtà si ammette certamente la rappresentanza volontaria, con l'essenziale precisazione che si tratti di procuratori speciali con poteri specificamente determinati, giammai generali o genericamente determinati. La procura deve in ogni caso essere rilasciata per atto pubblico (art. 1392). La semplice procura "ad nubendum" costituisce uno strumento sostitutivo della simultanea presenza degli sposi avanti all'Ufficiale dello stato civile e di manifestazione del consenso alle nozze, che interviene tramite la volontà manifestata dal procuratore, sicché il mandato conferitogli in favore del regime patrimoniale della separazione dei beni, non è sufficiente all'instaurazione del detto regime, che richiede l'accordo di entrambi i nubendi. Pertanto, il che la procura dello sposo contenga anche la scelta del regime della separazione dei beni non è certamente sufficiente, in mancanza di un'espressa adesione al riguardo della sposa, a far ritenere perfezionato un consenso dei nubenti in relazione al regime patrimoniale della famiglia, tenuto conto che dal combinato disposto degli artt. 159 e 162 c.c., si evince, inequivocabilmente, che a tal fine si richiede una "convenzione", ossia un accordo bilaterale (Cass. 14 agosto 2020, n. 17175). La Cassazione (Cass., sent., 8 maggio 2015, n. 9425) si è pronunciata sulla responsabilità disciplinare del notaio che abbia ricevuto una procura generale contenente una clausola che attribuisce al procuratore la facoltà di stipulare convenzioni matrimoniali. La Corte di Appello aveva ritenuto l'atto nullo (e quindi il notaio responsabile) considerando tale clausola manifestamente contraria all'ordine pubblico in quanto non è consentito che l'esercizio dei diritti e doveri personalissimi attinenti al regime patrimoniale della famiglia, sul piano delle scelte, possa essere delegato a terzi. La Suprema Corte accoglie invece il ricorso del professionista e, pur non entrando nel merito della validità di tale procura, esclude la responsabilità del notaio. Infatti - afferma la corte di legittimità – indubbiamente sussiste un indirizzo della dottrina che, sulla base della natura personale delle convenzioni matrimoniali in quanto finalizzate alla realizzazione di fini inerenti allo status matrimoniale, esclude la legittimità del conferimento di una procura avente ad oggetto la facoltà di stipulare dette convenzioni. Tuttavia, si riscontra anche un orientamento dottrinario in senso contrario che valorizza il profilo patrimoniale di tali convenzioni, ritenendo che il potere di rappresentanza conferito con la procura ha ad oggetto diritti di natura patrimoniale, e che le convenzioni matrimoniali non incidono direttamente sullo status personale dei coniugi. Manca dunque un indirizzo consolidato nell'uno o nell'altro senso ai fini della valutazione della configurabilità o meno della infrazione disciplinare addebitata al notaio. Infine, la Cassazione non condivide neppure l'affermazione della manifesta contrarietà all'ordine pubblico della procura generale posto che la sussistenza di un indirizzo della dottrina che ritiene l'ammissibilità di una siffatta procura esclude in radice una tale evenienza, considerato l'ordine pubblico come il complesso dei principi e dei valori che informano l'organizzazione politica dello Stato, e che sono immanenti nell'ordinamento giuridico vigente nello Stato in una determinata fase storica. Derogando al principio generale che non riconosce capacità negoziale al minore, l'art. 165 c.c. stabilisce che il minore ammesso a contrarre matrimonio (che quindi abbia compiuto sedici anni ex art. 84 c.c.) è pure capace di prestare il consenso per tutte le relative convenzioni matrimoniali, le quali sono valide se egli è assistito dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale su di lui o dal tutore o dal curatore speciale nominato a norma dell'art. 90 c.c.. Le convenzioni stipulate senza la necessaria assistenza dei soggetti indicati è annullabile. Il minore emancipato a seguito della celebrazione del matrimonio può liberamente stipulare convenzioni matrimoniali dopo le nozze, sempre assistito dal proprio curatore ma senza necessità di alcuna autorizzazione. Laddove il curatore del minore emancipato fosse il coniuge e sussistesse conflitto di interessi, si renderà naturalmente necessaria la nomina di un curatore speciale. L'art. 1, comma 2, della l. 20 maggio 2016, n. 76, dispone che l'unione civile può essere costituita solo tra due persone maggiorenni dello stesso sesso; inoltre, l'art. 165 c.c. non è richiamato dall'art. 1, comma 13, di detta legge per cui, non essendo prevista la possibilità che un minore venga autorizzato a costituire una unione civile, ne consegue che il fondo patrimoniale non potrà essere costituito, in questo caso, da un minore. Gli inabilitati, essendo capaci di contrarre matrimonio, possono stipulare convenzioni matrimoniali con la necessaria assistenza del curatore già nominato; se questi non è stato ancora nominato, si provvede alla nomina di un curatore speciale (art. 166 c.c.). La legge tace circa la capacità dell'interdetto giudiziale di stipulare convenzioni matrimoniali. La ragione è evidente: poiché l'interdetto per infermità di mente non può contrarre matrimonio (art. 85 c.c.), conseguentemente non si pone il problema della stipula delle convenzioni matrimoniali. Infine si discute se l'interdetto legale abbia la capacità di stipulare le convenzioni in esame. Forma delle convenzioni matrimoniali
Il legislatore ha stabilito che le convenzioni matrimoniali devono essere stipulate per atto pubblico, a pena di nullità (art. 162 c.c.). La norma testé citata va integrata con il disposto dell'art. 48, l. 16 febbraio 1913, n. 89 (Legge notarile) che prescrive la necessaria presenza di due testimoni per le convenzioni matrimoniali e le loro modificazioni e per le dichiarazioni di scelta del regime di separazione dei beni. In materia di rimborsi e restituzioni conseguenti allo scioglimento della comunione legale dei beni tra coniugi, il riconoscimento del debito, operato durante il matrimonio da uno dei coniugi in favore della comunione, non importa una modifica delle convenzioni matrimoniali e non è pertanto richiesta l'adozione della forma dell'atto pubblico (Cass. 30 marzo 2018, n. 7957). I pubblici ufficiali legittimati a ricevere le convenzioni matrimoniali, con l'osservanza della predetta forma ad substantiam (atto pubblico con due testimoni) sono dunque il notaio e, per i cittadini residenti all'estero, il console (d.lgs. 3 febbraio 2011, n. 71, Ordinamento e funzioni degli uffici consolari). Il Ministero dell'Interno, nel Regolamento dello Stato Civile (Guida all'Applicazione – Massimario per l'Ufficiale di Stato Civile, 2011), precisa che la scelta del regime patrimoniale effettuata all'estero successivamente al matrimonio (art. 30, l. n. 218/1995) dovrà essere riconosciuta efficace in Italia ed annotata a margine dell'atto di matrimonio: a tal fine, l'ufficiale di stato civile verificherà che le convenzioni matrimoniali siano state formate da chi, secondo la legge del luogo, svolge funzioni analoghe a quelle notarili tanto da assumere veste analoga a quella di un atto pubblico. Secondo l'ordinamento italiano è indispensabile che tali convenzioni siano stipulate per atto pubblico e presentino le stesse caratteristiche e gli stessi effetti, nei confronti dell'autorità locale dello Stato estero, che avrebbero se fossero state stipulate in Italia. Alle suddette condizioni, potranno essere annotate a margine dell'atto di matrimonio. Poiché il regime della separazione dei beni può essere scelto anche nell'atto di celebrazione del matrimonio (art. 16, comma 2, c.c.), soggetti legittimati a ricevere la dichiarazione sono l'ufficiale dello stato civile o il ministro di culto (anche non cattolico) che celebra le nozze. Anche in tal caso devono essere rispettate, a pena di nullità, le prescrizioni di forma innanzi viste: l'atto di matrimonio è infatti un atto pubblico e la celebrazione deve avvenire alla presenza di due testimoni (art. 107 c.c.). Tale manifestazione di volontà, da parte degli sposi, costituisce una vera e propria convenzione matrimoniale, per la quale il legislatore, nell'intento di semplificare le formalità, ha ritenuto opportuno prescindere dall'intervento del notaio. Non sono necessarie formule sacramentali. In giurisprudenza si è affermato che è priva di efficacia la dichiarazione effettuata dalle parti davanti dinanzi al ministro di culto di voler aderire al regime di separazione dei beni, se tale indicazione non è contenuta nell'atto di matrimonio trascritto (Trib. Salerno 4 agosto 2002). In senso contrario si è espressa, invece, la Cassazione secondo cui l'opzione relativa al regime di separazione dei beni manifestata in forma scritta, alla presenza di due testimoni, davanti al sacerdote di culto cattolico che celebra le nozze, benché non annotata nell'atto di matrimonio trascritto nei registri dello stato civile, conserva la sua validità nei rapporti interni tra i coniugi (Cass. 27 settembre 2017, n. 22594). Le convenzioni matrimoniali e le successive modificazioni devono essere annotate a margine dell'atto di matrimonio (artt. 162 e 163 c.c.). Si tratta di una forma di pubblicità, per così dire, generale, per cui sono oggetto di annotazione tutte le convenzioni matrimoniali in qualunque tempo stipulate (sia anteriori che posteriori al matrimonio), qualunque sia il loro oggetto (beni mobili o immobili) e anche se non si riferiscono a beni determinati. Anche la dichiarazione di scelta della separazione dei beni resa alla celebrazione delle nozze deve essere annotata a margine dell'atto di matrimonio dall'ufficiale dello stato civile, sia in caso di matrimonio da lui stesso celebrato sia nel caso in cui riceva dal ministro del culto l'atto di matrimonio ai fini della trascrizione. L'art. 2647 c.c. prevede inoltre la trascrizione nei registri immobiliari delle convenzioni matrimoniali con le quali si deroga - in maniera ampia attraverso la convenzione, ovvero occasionalmente attraverso l'acquisto di beni personali - al principio della comunione degli acquisti. Dunque, il sistema attuale dopo la novella della l. n. 151/1975 prevede per le convenzioni matrimoniali due distinte forme di pubblicità. Il problema centrale relativo alla pubblicità dei regimi patrimoniali della famiglia è rappresentato dal coordinamento fra la trascrizione di cui all'art. 2647 c.c. e l'annotazione di cui all'art. 162 c.c. In giurisprudenza prevale nettamente l'orientamento secondo cui l'opponibilità a terzi delle convenzioni matrimoniali è assicurata non dalla trascrizione bensì dall'annotazione del relativo atto a margine dell'atto di matrimonio, come chiaramente affermato dall'art. 162, comma 4, c.c.. A sostegno di tale tesi la Cassazione, nella nota pronuncia del 27 novembre 1987, n. 8824, ha rilevato che il nuovo testo dell'art. 2647 c.c. dopo la novella di cui alla L. n. 151/1975, non riproduce l'ultimo comma dell'articolo stesso che nella stesura precedente disponeva che i vincoli derivanti da convenzioni matrimoniali non potevano essere opposte ai terzi finché non fossero stati trascritti. In tale contesto normativo, all'annotazione è dunque riconosciuta efficacia di pubblicità dichiarativa, mentre la trascrizione ha efficacia di pubblicità-notizia: : l'art. 162 c.c. condiziona l'opponibilità ai terzi delle convenzioni patrimoniali del regime matrimoniale alla annotazione del relativo atto a margine dell'atto di matrimonio (Cass. 23 maggio 2011, n. 11319). I terzi interessati a conoscere il regime patrimoniale di determinati soggetti – e di conseguenza la disciplina cui sono assoggettati determinati immobili - hanno dunque l'unico onere di consultare i registri dello stato civile e non anche i registri immobiliari. In altri termini, l'annotazione nei registri dello stato civile a margine dell'atto di matrimonio costituisce il perno del sistema di pubblicità, fondamentale per far conoscere ai terzi quali siano il regime e le convenzioni patrimoniali di ciascuna famiglia. In sintesi, ai sensi degli artt. 162 e 163 c.c. affinché la pubblicità relativa alla stipula e alle modifiche delle convenzioni matrimoniali renda le stesse opponibili ai terzi è necessaria e sufficiente l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio iscritto nel registro depositato presso gli uffici del Comune di celebrazione, poiché è presso questi uffici che i terzi interessati hanno l'onere di recarsi per avere conoscenza di come siano stati regolati i rapporti patrimoniali tra i coniugi e non anche presso altri uffici (Cass. 16 giugno 2021, n. 17207). La disposizione di cui all'art. 162, comma 4, c.c. assume dunque i connotati di una norma speciale rispetto alla norma generale di cui all'art. 2647 c.c., con la conseguenza che la trascrizione nei registri immobiliari, con riferimento alle convenzioni matrimoniali, esplica la funzione di mera pubblicità-notizia (Trib. Padova 20 maggio 2016; Trib. Frosinone 15 marzo 2016). Sulla materia si era pronunciata anche la Corte Costituzionale (Corte cost. sent., 6 aprile 1995, n. 111) che ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 162, comma 4, 2647 e 2915 c.c., nella parte in cui non prevedono che, per i fondi patrimoniali costituiti a mezzo di convenzione matrimoniale su beni immobili, l'opponibilità ai terzi sia determinata dalla trascrizione dell'atto sui registri immobiliari, anziché dall'annotazione a margine dell'atto di matrimonio. In mancanza dell'annotazione, la convenzione è inopponibile ai terzi ed a nulla rileva l'effettiva conoscenza di essa che questi abbiano potuto acquisire in altra maniera: quando la legge dispone che per l'opponibilità di determinati atti è necessaria la pubblicità, questa non ammette deroghe od equipollenti (Cass. 19 novembre 1999, n. 12864; Cass. 8 ottobre 2008, n. 24798; Cass. 25 marzo 2009, n. 7210; Trib. Prato 25 novembre 2009). Così, ad esempio, si è affermato che in presenza di un atto di costituzione del fondo patrimoniale trascritto nei pubblici registri immobiliari, ma annotato a margine dell'atto di matrimonio successivamente all'iscrizione di ipoteca sui beni del fondo medesimo, l'esistenza del fondo non è opponibile al creditore ipotecario (Cass. 10 maggio 2019, n. 12545). L'omissione dell'annotazione non toglie efficacia alle convenzioni nei rapporti interni, ma rende solo le convenzioni stesse inopponibili ai terzi. In tal senso si è affermato che l'opzione relativa al regime di separazione dei beni manifestata in forma scritta, alla presenza di due testimoni, davanti al sacerdote di culto cattolico che celebra le nozze, benché non annotata nell'atto di matrimonio trascritto nei registri dello stato civile, conserva la sua validità nei rapporti interni tra i coniugi (Cass. 27 settembre 2017, n. 22594).
Alle dette conclusioni - affermano i giudici - si perviene essenzialmente sulla base della considerazione che la l. n. 151/1975 ha abrogato l'ultimo comma dell'art. 2647 c.c. (che considerava la trascrizione del vincolo familiare requisito di opponibilità ai terzi) con ciò rendendo evidente l'intento del legislatore di degradare la trascrizione del fondo a pubblicità notizia e di riservare l'opponibilità del vincolo ai terzi all'annotazione di cui all'art. 162, ultimo comma, c.c. L'annotazione a margine dell'atto di matrimonio della data del contratto, del notaio rogante e delle generalità dei contraenti che hanno partecipato alla costituzione del fondo patrimoniale mira a tutelare, ancor più che per il passato, i terzi che pongono in essere rapporti giuridici con i coniugi. La detta funzione attribuita dalla annotazione ex art. 162 c.c. - consentire al terzo di ottenere una completa conoscenza circa la condizione giuridica dei beni cui il vincolo del fondo si riferisce attraverso la lettura del relativo contratto - e l'eliminazione dell'art. 2647, ultimo comma, c.c., consentono di affermare che la detta annotazione costituisce l'unica formalità pubblicitaria rilevante agli effetti della opponibilità della convenzione ai terzi e che la trascrizione del vincolo ex art. 2647 c.c. è stata degradata al rango di pubblicità-notizia. Il fondo patrimoniale risulta quindi sottoposto ad una doppia forma di pubblicità: annotazione nei registri dello stato civile (funzione dichiarativa); trascrizione (funzione di pubblicità notizia). Infatti quando la legge non ricollega alla trascrizione un particolare effetto ben determinato, si è in presenza di una pubblicità notizia. Il legislatore tutte le volte in cui ha voluto attribuire alla pubblicità determinati effetti lo ha detto esplicitamente, mentre laddove non ha detto nulla deve ritenersi trattarsi di pubblicità notizia. Il notaio che ha stipulato una convenzione matrimoniale ha l'obbligo di richiedere l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio della convenzione stessa entro trenta giorni dalla data dell'atto (art. 34-bis disp. att. c.c.). Il Ministero dell'Interno, nel Regolamento dello Stato Civile (Guida all'Applicazione – Massimario per l'Ufficiale di Stato Civile, 2014), ritiene che si debba procedere alla richiesta annotazione di convenzioni matrimoniali, ai sensi dell'art. 162 del codice civile, anche se la registrazione dell'atto pubblico al riguardo formato dal notaio non sia stata ancora effettuata, ma l'atto sia stato inviato all'ufficio del registro per tale adempimento. Pertanto, il notaio che, dopo avere costituito un fondo patrimoniale, ometta di curare la relativa annotazione in margine all'atto di matrimonio, risponde nei confronti dei proprietari dei beni conferiti nel fondo del danno da essi patito in conseguenza dell'inopponibilità del vincolo di destinazione ai creditori, a nulla rilevando che sia stata comunque eseguita la trascrizione dell'atto, giacché quest'ultima non rende la costituzione del fondo patrimoniale opponibile ai terzi quando sia mancata la suddetta annotazione (Cass. 24 marzo 2016, n. 5889; Trib. Pisa 29 gennaio 2004; App. Roma 10 maggio 2007; Cass. 27 novembre 2012, n. 20995). Tuttavia, qualora il notaio rogante un atto di costituzione di alcuni beni immobili in fondo patrimoniale abbia omesso di chiederne l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio dei costituenti, e, pertanto, i beni stessi - stante l'inopponibilità, ai terzi, del vincolo - siano stati assoggettati a esecuzione forzata, il danno ricollegabile a detta esecuzione consiste nella perdita della proprietà e nella conseguente impossibilità di destinare i redditi di tali immobili a soddisfare i bisogni della famiglia da parte dei coniugi proprietari degli immobili stessi e costituenti il fondo; pertanto, correttamente il giudice del merito esclude che la semplice iscrizione di ipoteca possa costituire fonte di danni, atteso che la ridotta commerciabilità dei beni - a causa dell'iscritta ipoteca -non incide sul soddisfacimento dei bisogni della famiglia. Nessun danno subiscono i componenti della famiglia che, pertanto, non sono legittimati a reclamare, nei confronti del notaio, alcun risarcimento (Cass. 28 ottobre 2003, n. 16187). La giurisprudenza ha affermato che, poiché la responsabilità del notaio rogante per mancata tempestiva annotazione a margine dell'atto di matrimonio dell'atto costitutivo del fondo patrimoniale ha natura contrattuale, la prescrizione decorre dal verificarsi dell'inadempimento e quindi a partire dal trentesimo giorno dalla stipulazione dell'atto, cioè dalla scadenza del termine entro il quale chiedere l'annotazione (Trib. Biella, 20 luglio 1998). Il notaio può tuttavia liberarsi dalla responsabilità dimostrando di aver adempiuto la prestazione trasmettendo all'ufficio competente la richiesta (App. Napoli, 14 giugno 2011). Se, pertanto, l'omissione dell'annotazione a margine dell'atto di matrimonio sia riconducibile all'ufficiale dello stato civile, nella controversia che ne può scaturire legittimato passivamente non è il Comune ma direttamente lo Stato. Tale conclusione si spiega in quanto nell'esercizio della funzione di tenuta dei registri dello stato civile, il sindaco assume la veste di ufficiale di Governo e quindi agisce quale organo dello Stato in posizione di dipendenza gerarchica anche rispetto agli organi statali centrali (Ministero della giustizia) e locali di grado superiore (Procuratore della Repubblica) (Cass., S.U., 13 ottobre 2009, n. 21658). Inoltre, è stato deciso che nel giudizio avente ad oggetto l'accertamento della responsabilità del notaio rogante l'atto di costituzione di fondo patrimoniale per mancata annotazione dello stesso a margine dell'atto di matrimonio in relazione alla procedura esecutiva attivata su tali beni dal creditore personale di uno dei coniugi, deve essere fornita la prova dell'impignorabilità di tali beni qualora fosse stato annotato l'atto di costituzione del fondo patrimoniale. Pertanto, in difetto di allegazioni e produzioni documentali dalle quali evincere il rapporto tra le contratte e inadempiute obbligazioni e i bisogni della famiglia e la conseguente attitudine del vincolo di destinazione impresso ai beni costituiti in fondo patrimoniale a sottrarli alla garanzia patrimoniale generica di cui all'art. 2740 c.c., rimane precluso ogni apprezzamento in ordine al nesso di causalità tra la negligenza professionale del notaio e il danno lamentato. La costituzione del fondo patrimoniale, invero, non determina la impignorabilità dei beni qualora l'esecuzione sia preordinata alla soddisfazione di crediti rivenienti da obbligazioni contratte per scopi non estranei ai bisogni della famiglia (Trib, Ragusa 13 marzo 2018). Una sentenza di merito, non recente ma a nostro avviso molto significativa, ha addirittura affermato la mancanza di responsabilità del notaio che formuli in modo generico una richiesta di annotazione a margine dell'atto di matrimonio di un atto costitutivo di fondo patrimoniale, la inoltri ad un Comune diverso da quello in cui è stato celebrato il matrimonio e non rispetti così il termine di trenta giorni previsto per questo adempimento. Secondo i giudici, infatti, l'obbligazione gravante sul notaio si esaurisce nell'inoltro della richiesta e non implica che il notaio debba svolgere una qualche attività di vigilanza e di controllo sul pubblico ufficiale competente per assicurarsi che l'annotazione venga effettivamente apposta. L'istruzione contenuta nelle missive accompagnatorie degli atti è certamente generica; tuttavia essa è rivolta all'ufficio cui è demandata istituzionalmente la conservazione e l'aggiornamento degli atti di matrimonio, il quale non poteva ignorare quali fossero gli adempimenti di propria competenza conseguenti ad un atto costitutivo di fondo patrimoniale. Ogni ulteriore precisazione da parte del notaio avrebbe potuto apparire pedante. Evidentemente, l'impiegato del Comune che ha ricevuto e smistato gli atti non ha fatto attenzione al contenuto di essi e delle missive di accompagnamento, ovvero non era in grado di svolgere adeguatamente tale delicato compito. Nell'uno e nell'altro caso, comunque, nessuna responsabilità può derivarne al notaio. Infine, conclude il Tribunale, non si può imputare al notaio l'aver inviato la copia dell'atto destinata all'annotazione ad un Comune diverso da quello dov'era stato celebrato il matrimonio dei clienti. Se questa condotta certo viola l'art. 34-bis disp. att. c.c., gli interessati avrebbero sofferto soltanto un ritardo di qualche giorno, pertanto innocuo, se alla condotta negligente del notaio non si fosse sommata quella, altrettanto negligente, dei funzionari comunali (Trib. Bassano del Grappa, 3 febbraio 1994). Il Ministero dell'Interno, nel Regolamento dello Stato Civile (Guida all'Applicazione – Massimario per l'Ufficiale di Stato Civile, 2014), precisa che per il caso di mancata annotazione su di un atto di matrimonio trascritto in un certo comune (dove è residente uno degli sposi) dell'avvenuta scelta del regime della separazione dei beni, che invece risulta regolarmente apposta sul medesimo atto di matrimonio registrato in altro comune, giova innanzitutto premettere che l'annotazione della scelta operata dagli sposi di seguire il regime della separazione dei beni è prescritta dall'art. 162, comma 4, del codice civile, a fine di pubblicità: tale scelta, infatti, non potrà essere opposta ai terzi se non compare annotata nell'atto di matrimonio. Inoltre l'omissione dell'annotazione può ingenerare gravi responsabilità in capo all'ufficiale dello stato civile proprio per la conseguente inopponibilità ai terzi della scelta operata dai coniugi: quindi diventa essenziale sanare l'omissione presso tutti i comuni nei quali l'atto di matrimonio sia stato o debba essere iscritto o trascritto. Ciò detto, nel caso in cui l'omessa indicazione della scelta operata dagli sposi in ordine al loro regime patrimoniale possa essere assimilata ad un errore commesso nella stesura della trascrizione, si ritiene ammissibile la correzione mediante un'apposita annotazione che renda conto dell'integrazione operata dall'ufficiale dello stato civile. È possibile, infatti, ricorrere all'istituto della correzione in ogni ipotesi di errore od omissione la cui rimozione, non conducendo ad un mutamento dello status della persona cui l'atto si riferisce e non incidendo sul contenuto sostanziale dell'atto, ripristini la giusta corrispondenza tra atto e realtà. Ovviamente gli effetti sananti dell'annotazione de qua decorreranno dalla data della sua apposizione. Le convenzioni “patrimoniali” nell'unione civile, e le loro modifiche sono soggette alle stesse norme dettate dal codice civile per le convenzioni “matrimoniali”, in forza del richiamo contenuto nel comma 13 della legge n. 76/2016, ed in particolare devono essere annotate a margine dell'atto di costituzione dell'unione civile, per essere opponibili ai terzi, ai sensi degli articoli 162 comma 3 e 163 comma 3 c.c. (richiamati dal citato comma 13) della Legge ed ai sensi dell'art. 69, comma 1-bis, lettera a) del d.P.R. n. 396/2000. La pubblicità dichiarativa è quella affidata agli atti dello stato civile mentre la trascrizione di cui all'art. 2647 c.c. (e le annotazioni previste dall'art. 163 ultimo comma), come detto, è degradata a mera pubblicità notizia. Casistica
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