Esecuzione forzata (in generale)

Paolo Vittoria
08 Maggio 2018

In questa bussola vengono analizzate: le forme dell'esecuzione forzata, la giurisdizione e la competenza, la sentenza di condanna e la sua efficacia come titolo esecutivo in rapporto alle impugnazioni, la notificazione del titolo esecutivo e del precetto ed il termine ad adempiere, i tipi di esecuzione forzata ed i corrispondenti atti che vi danno inizio ed, infine, le opposizioni all'esecuzione.
Le forme dell'esecuzione forzata

L'art. 474, comma 1, c.p.c. dice che «L'esecuzione forzata non può aver luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile»; segue, nel comma 2, l'elencazione degli atti, cui la forza di titolo esecutivo è attribuita direttamente dallo stesso art. 474 c.p.c., e degli altri atti cui tale forza è espressamente attribuita dalla legge.

L'art. 179, comma 3, c.p.c. dichiara così che costituiscono titolo esecutivo le condanne a pene pecuniarie previste dal codice, pronunciate con ordinanza del giudice istruttore: un esempio ne è quella prevista dall'art. 118, comma 3, c.p.c. con cui è sanzionabile il terzo che rifiuta di consentire sulla persona e sulle cose in suo possesso le ispezioni che appaiono indispensabili per conoscere i fatti della causa.

Dal canto loro gli artt. 2910, 2911 e 2930 a 2933c.c. - indicandone scopi ed effetti e al tempo stesso limiti e confini - danno conto delle diverse forme d'esecuzione forzata previste e regolate dal codice di procedura, al quale rimandano. All'elencazione contenuta nelle norme appena richiamate - l'espropriazione forzata, l'esecuzione per consegna e rilascio o degli obblighi di fare o di non fare - il codice civile aggiunge all'art. 2932 c.c. quella dell'obbligo di concludere un contratto, che una parte si sia assunto e che, non osservato spontaneamente, può esserlo attraverso la pronuncia della sentenza che ne produce gli effetti.

L'insieme delle disposizioni sull'esecuzione forzata dettate dai due codici si è nel tempo arricchito delle misure di coercizione indiretta. Queste, volte a sollecitare la spontanea esecuzione di provvedimenti diversi dalla condanna al pagamento di somme di denaro, non sono però applicabili nel campo delle controversie di lavoro subordinato pubblico o privato ed ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'art. 409 c.p.c..

Sono state introdotte nel libro terzo, titolo IV - bis, c.p.c., con l'art. 614-bis c.p.c. [ciò in base all'art. 13, comma 1, cc-ter), d.l. 27 giugno 2015, n. 83, inseritovi in sede di conversione con l'allegato alla l. 6 agosto 2015, n. 132]. Dall'art. 13.9. del decreto sono state dette applicabili già ai procedimenti pendenti alla data dell'entrata in vigore del decreto-legge, così sostituendo l'art. 614-bis, nel testo in precedenza recato dall'art. 49.1. l. 18 giugno 2009, n. 69 ed intitolato all'Attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare.

Peraltro - come del resto reso evidente dalla loro qualificazione - si tratta di mezzi di indiretta coazione a tenere il comportamento dovuto in vista dell'attuazione dell'obbligo imposto dal provvedimento di condanna e quindi di indiretta sollecitazione ad adeguarvisi spontaneamente, sì da evitare la soggezione all'esecuzione coattiva nelle sue pertinenti forme.

La giurisdizione sull'esecuzione forzata e l'impignorabilità: un rinvio e dei cenni riassuntivi

Sull'argomento si rimanda a P. Vittoria, Beni impignorabili, su www.ilProcessoCivile.it.

É qui sufficiente uno sguardo d'insieme.

Il difetto di giurisdizione esecutiva è rilevabile d'ufficio: l'art. 37 c.p.c. non distingue infatti tra i diversi modi d'esercizio della giurisdizione, sicché il processo esecutivo, una volta iniziato, si presta ad essere chiuso dal giudice dell'esecuzione con un'ordinanza che dichiara tale difetto, ordinanza a sua volta soggetta ad opposizione agli atti esecutivi [Sez. Un. 26 ottobre 2000, n. 1139, GC 2001, I, 731].

Non è per contro ammesso il regolamento preventivo di giurisdizione, mezzo ad istanza di parte, esperibile nel giudizio di cognizione.

Il che si trae dall'art. 41, comma 1, c.p.c. secondo il quale «Fino a che la causa non sia decisa nel merito in primo grado» e dall'art. 367, comma 1, c.p.c., dove è detto che «il giudice istruttore o il collegio» possono disporre con ordinanza la sospensione del processo, una volta che sia depositata davanti a loro la copia del ricorso per regolamento preventivo rivolto alla Corte di cassazione: espressioni, quelle evidenziate, che fanno esclusivo riferimento al giudizio di cognizione [così a partire da Sez. Un. 19 ottobre 2000, n. 1124, GI 2001, 687 e sino a Sez. Un. 19 maggio 2016, n. 10320].

Ciò detto a riguardo del difetto di giurisdizione esecutiva, va aggiunto che, ad impedire il corso ulteriore dei processi che iniziano col pignoramento, può essere non solo il rilievo di un difetto di giurisdizione, ma anche la disciplina propria del bene che si è voluto pignorare, quante volte, secondo tale disciplina, non si prestino ad appartenere se non allo specifico soggetto, contro cui la condanna pecuniaria è stata pronunziata.

Però, la condanna ad eseguire una prestazione pecuniaria non implica una specifica destinazione dei mezzi utili all'adempimento, sicché è solo col pignoramento del denaro o dei beni da convertirsi in denaro per adempiervi, che può sorgere una questione relativa ad una loro specifica destinazione atta a sottrarli all'espropriazione.

Se poi il processo esecutivo non sia fatto chiudere con ordinanza del giudice dell'esecuzione che rilevi l'impignorabilità, questa potrà essere fatta valere mediante l'opposizione all'esecuzione per impignorabilità di cui all'art. 615, comma 2, c.p.c..

Diversa, invece, è la vicenda delle esecuzioni forzate in forma specifica.

La condanna alla consegna o rilascio o all'esecuzione di un'obbligazione di fare o non fare individua il concreto risultato della sua esecuzione, sicché, salvo il limite posto dall'art. 2933, comma 2, c.c., il risultato indicato nella sentenza di condanna non si presta ad essere rimesso in discussione nella fase esecutiva.

In conclusione, quando il processo esecutivo è chiuso con ordinanza che rileva il difetto di giurisdizione o l'impignorabilità, il rimedio dato al creditore pignorante è in ogni caso l'opposizione agli atti esecutivi; mancato il rilievo ufficioso dell'uno o altro impedimento a che il processo prosegua, spetterà al debitore esecutato proporre l'opposizione per impignorabilità prevista dall'art. 615, comma 2, c.p.c..

La competenza e le norme che la disciplinano

La disciplina dell'esecuzione forzata come tipo di tutela è completata, nel c.p.c., dalle norme che regolano la competenza.

Si tratta degli artt. 9, 26 e 26-bis, e 28 c.p.c..

L'art. 9, comma 2, c.p.c. dispone che il tribunale è competente in modo esclusivo per l'esecuzione forzata; dal canto suo l'art. 28 c.p.c. dice che tale competenza, quanto al territorio, non è derogabile.

Gli artt. 26 e 26-bisc.p.c. indicano poi in base a quali fattori e per le diverse forme di esecuzione forzata si individua poi il tribunale competente.

L'art. 26, comma 1, c.p.c. dispone che per l'esecuzione forzata su cose mobili o immobili è competente il giudice del luogo in cui le cose si trovano. Aggiunge che se le cose immobili non sono interamente comprese nella circoscrizione di un solo tribunale, si applica l'art. 21 c.p.c.: a sua volta, questo, al secondo periodo del primo comma dispone che «Qualora l'immobile sia compreso in più circoscrizioni giudiziarie, è competente il giudice della circoscrizione nella quale è compresa la parte soggetta a maggior tributo verso lo Stato; quando non è sottoposto a tributo è competente ogni giudice nella cui circoscrizione si trova una parte dell'immobile».

Secondo Cass. civ., 23 febbraio 2007 n. 4213, in forza del combinato disposto degli artt. 21 e 26 c.p.c., la competenza per l'esecuzione forzata d'una pluralità di beni immobili dello stesso debitore siti in più circoscrizioni giudiziarie appartiene per l'insieme ad ogni tribunale in cui si trova una parte dei beni pignorati; sicché del processo risulterà investito, a discrezione del creditore pignorante e per l'intero complesso dei beni pignorati, quello tra i diversi possibili tribunali che il creditore deve indicare già nell'atto di pignoramento come quello da lui scelto come competente. Qualora al primo segua il pignoramento d'altri immobili, la competenza spetta pur sempre, ex art. 561 c.p.c., al tribunale dove già pende il precedente processo esecutivo e se il secondo pignoramento sia iniziato dopo che per i beni pignorati con il precedente pignoramento si è già tenuta la prima udienza fissata per l'autorizzazione della vendita, per gli altri si procederà alla vendita in modo separato [la sentenza è in GC 2007, I, 2116 e in RDP 2008, 1449 con nota in parte critica di Munoz de Mello, Un orientamento solo in parte condivisibile in tema di competenza nell'espropriazione di immobili non interamente compresi nella circoscrizione di un solo tribunale].

Sul punto, tuttavia, sono state espresse opinioni in dottrina nel senso che se «il processo esecutivo abbia ad oggetto più immobili non rientranti nella circoscrizione del tribunale dinanzi al quale sia stato incardinato il processo il giudice dovrà dichiarare la propria incompetenza in relazione a quelli dei beni pignorati che non si trovino nell'ambito territoriale di competenza dell'ufficio giudiziario»: così Soldi, 185].

Peraltro, appare che l'art. 578 c.p.c. somministri un argomento nel senso che oggetto del medesimo processo esecutivo contro lo stesso debitore possano essere immobili diversi, pur ubicati in diverse circoscrizioni giudiziarie, ma sottoposti a pignoramento con il medesimo atto o con atti diversi in base al medesimo titolo esecutivo. Come rileva Cirulli, 119 e ss., p. 139, l'art. 578 c.p.c. dispone infatti che «Se una parte dei beni pignorati è situata nella circoscrizione di altro tribunale, con l'ordinanza che dispone la vendita il giudice dell'esecuzione può disporre che l'incanto avvenga, per quella parte, davanti al tribunale del luogo».

Passando ad altro argomento, va detto che l'art. 26 c.p.c., al comma 3, dispone che «Per l'esecuzione forzata degli obblighi di fare e non fare è competente il giudice del luogo dove l'obbligo deve essere adempiuto».

Dell'art. 26, comma 2, c.p.c. il testo è stato invece riformulato, in sede di conversione, dall'art. 19.1. lett. a) del d.l. 12 settembre 2014, n. 132 conv. con modif. in l. 10 novembre 2014, n. 162: questo testo, in forza del comma 6-bis, aggiunto appunto in sede di conversione all'art. 19, è stato detto applicabile ai procedimenti iniziati a decorrere dal trentesimo giorno dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto e perciò a decorrere dal 13.9.2014.

Nella sua attuale conformazione è così caduto l'originario secondo comma, in cui si stabiliva, che «Per l'espropriazione forzata di crediti è competente il giudice del luogo dove risiede il terzo debitore»; al suo posto è stata introdotta la seguente disposizione a diverso oggetto: - «Per l'esecuzione forzata su autoveicoli, motoveicoli e rimorchi è competente il giudice del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede».

L'art. 26-bis c.p.c. - intestato Foro relativo all'espropriazione forzata di crediti - è stato introdotto dall'art. 19.1. lett. b) del d.l. n. 132/2014, convertito per questa parte senza modifiche dalla l. 162 del 2014, ed è parimenti soggetto quanto all'inizio della sua applicazione alla disciplina del comma 6-bis dello stesso art. 19 sopra richiamato e perciò ha iniziato ad operare dal 13.9.2014.

L'art. 26-bis c.p.c. ha da un lato introdotto ex novo la disposizione dettata al primo comma, secondo la quale «Quando il debitore è una delle pubbliche amministrazioni indicate all'art. 413, comma 5» - cioè le pubbliche amministrazioni nella cui sede il dipendente è o era addetto al momento della cessazione del rapporto - «per l'espropriazione forzata di crediti è competente, salvo quanto disposto da leggi speciali, il giudice del luogo dove il terzo debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede».

Dall'altro lato ha prescritto che «Fuori dei casi di cui al primo comma, per l'espropriazione forzata di crediti è competente il giudice del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede», laddove il secondo comma dell'art. 26 c.p.c. era formulato nel senso che «Per l'espropriazione forzata di crediti è competente il giudice del luogo dove risiede il terzo debitore».

La competenza per territorio per i casi di esecuzione forzata non può essere derogata dalle parti (art. 28, comma 1, c.p.c.).

L'art. 26-bis, comma 1, c.p.c.

Tornando a soffermarsi sulle disposizioni dettate dall'art. 26-bis c.p.c. va detto che la sua preferibile interpretazione appare quella per cui, in linea generale, competente per l'espropriazione è il giudice del luogo dove il debitore diretto ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede (comma 2), mentre il criterio di competenza già fissato dal comma 2 dell'art. 26, modificato nel 2014, quello del luogo di residenza, domicilio, dimora o sede del terzo debitore, resta operante per il caso che il pignoramento cade su credito vantato contro una delle pubbliche amministrazioni considerate nell'art.413, comma 5, c.p.c., credito derivante dal relativo rapporto di lavoro (Cass. civ., 9 luglio 2014, n. 15676).

La sentenza di condanna e la sua efficacia come titolo esecutivo in rapporto alle impugnazioni

L'art. 474 c.p.c. elenca i titoli esecutivi per tipi e rimanda alle ulteriori norme di legge che la forza di titolo esecutivo attribuiscono in modo espresso ad altri atti.

É sulla base d'uno di questi, in relazione alla specifica esecuzione da essi autorizzata e previa notifica del titolo, spedito in forma esecutiva (art. 475 c.p.c.) e del precetto (art. 480 c.p.c.), che l'esecuzione forzata ha inizio in una delle sue diverse forme, corrispondenti all'oggetto della condanna o dell'obbligo risultante dal titolo.

Merita soffermarsi in modo specifico sul titolo esecutivo rappresentato dalla sentenza di condanna.

Gli artt. 282 e 283 c.p.c. regolano l'efficacia esecutiva provvisoria, delle sentenze di primo e secondo grado, efficacia che deriva dalla loro stessa pronuncia, se non subisca in parte o in tutto sospensione in sede di impugnazione.

Efficacia che, non incisa per sé dalle pertinenti impugnazioni (art. 337, comma 1, c.p.c.), può essere però sospesa, in tutto o in parte, in sede di impugnazione (artt. 283, 373, 401 e 407 c.p.c.) e risultare affatto travolta dall'accoglimento di questa o tornare ad espandersi se l'impugnazione sia rigettata, salvo ad andare incontro alla medesima vicenda nel caso sia assoggettata ad ulteriore impugnazione.

Dal sistema delle norme richiamate emerge che la sentenza di condanna è assistita da forza esecutiva in corrispondenza della domanda in quanto e per la parte accolta, sì da consentire il passaggio all'esecuzione forzata, ma che questa forza è esposta a risultare affatto cancellata da una pronuncia di rigetto della domanda, nella misura in cui lo sia nelle fasi d'impugnazione.

Né è in modo espresso prevista la possibilità di una conservazione interinale degli effetti dell'esecuzione forzata in pendenza della successiva impugnazione della pronuncia di rigetto della domanda.

La conclusione parrebbe dunque essere quella, che l'efficacia esecutiva della sentenza di condanna cede alla sua riforma nei gradi successivi non diversamente da come la cautela cede al rigetto della domanda già in seguito al suo rigetto nel grado in cui la cautela è stata accordata (art. 669-novies, commi 3 e 4.2, c.p.c.).

Nel passaggio dal grado in cui la domanda è stata accolta a quello dell'impugnazione, l'efficacia esecutiva della decisione di primo grado, come di quella d'appello può d'altro canto essere fatta oggetto di provvedimenti sospensivi, destinati a rimanere riassorbiti dalla efficacia della decisione che, in una o altra direzione, pone termine al giudizio d'impugnazione.

Quanto sin qui descritto può ripetersi a proposito della vicenda cui dà luogo la riforma o la cassazione della sentenza non definitiva di merito che si fosse pronunciata positivamente sulla questione dell'an debeatur, giacchéciò varrà a privare di base la successiva sentenza che abbia intanto proceduto alla liquidazione del quantum [Cass. civ., 14 febbraio 2013, n. 3656 ha così dichiarato inammissibile il ricorso intanto proposto contro questa seconda sentenza; Cass. civ., 31 gennaio 2006, n. 2125, in un caso analogo aveva considerato non rilevante che la sentenza resa in sede di rinvio sull'an debeatur fosse tornata a risolvere la questione in senso affermativo].

Tutto questo in applicazione dell'art. 336, comma 2, c.p.c..

Peraltro, con le sentenze 8 febbraio 2013, n. 3074 e 12 marzo 2013, n. 3280, il tema ha conosciuto un intervento del Giudice di legittimità in parte orientato in senso diverso.

In particolare, Cass. civ., n. 3074/2013 ha infatti enunciato il seguente principio di diritto: «La Cassazione con rinvio della sentenza di appello confermativa di quella di primo grado costituente titolo esecutivo, ove l'esecuzione abbia avuto inizio sulla base di quest'ultima e sia poi proseguita con atti successivi alla pronuncia della sentenza cassata, determina, a norma dell'art. 336, comma 2, c.p.c., la caducazione soltanto di tali atti successivi, mentre restano fermi gli atti esecutivi pregressi e l'esecuzione può riprendere dall'ultimo di essi, salvo che, a norma dell'art. 283 c.p.c., il giudice di appello in sede di rinvio non sospenda l'esecutività della sentenza di primo grado, delibando le ragioni della disposta cassazione». La problematica affrontata nella sentenza è oggetto di commento nell'articolo Opposizione all'esecuzione e vicende del titolo esecutivo, in Treccani Il Libro dell'anno del diritto 2015, 560 e ss..

La successiva sentenza 8 luglio 2013, n. 16934 è tornata ad esprimersi in senso contrario.

La notificazione del titolo esecutivo e del precetto ed il termine ad adempiere

Primo atto prodromico al potersi procedere ad esecuzione forzata è la spedizione in forma esecutiva del titolo (art. 475, comma 3, c.p.c.), che non si può fare ad altri che alla parte a favore della quale il provvedimento è stato pronunciato o ai suoi successori e che recherà l'indicazione della parte a cui favore è spedita (art. 475, comma 2, c.p.c.).

A seconda della natura del titolo - la sentenza, gli altri provvedimenti dell'autorità giudiziaria (art. 474, comma 2, n. 1, c.p.c.), le scritture private autenticate e gli atti ricevuti da notaio o altro pubblico ufficiale (art. 474, comma 2, nn. 2 e 3, c.p.c.) - la spedizione in forma esecutiva è compito del cancelliere, del notaio o d'altro pubblico ufficiale (art. 474, comma 3, c.p.c.).

Senza giusto motivo non si può rilasciare alla stessa parte altra copia in forma esecutiva (art. 476, comma 1, c.p.c.). Le ulteriori copie chieste dalla parte interessata sono rilasciate dal capo dell'ufficio che ha pronunciato il provvedimento e negli altri casi dal presidente del tribunale, che provvedono con decreto (art. 476, commi 2 e 3, c.p.c.).

Al riguardo, peraltro, Cass. civ., 22 ottobre 2008, n. 25568 ha affermato che non è motivo di nullità del successivo pignoramento e di opposizione agli atti esecutivi la circostanza che l'inizio del processo esecutivo sia stato preceduto dalla notifica d'una successiva copia del titolo, spedita anch'essa in forma esecutiva, peraltro senza che fosse stato seguito il procedimento previsto dall'art. 476 c.p.c., dopo che una prima era stata già rilasciata e spedita.

La notifica del titolo spedito in forma esecutiva deve precedere quella del precetto nel solo caso, previsto dall'art. 477, comma 1, c.p.c., che si tratti di dare inizio all'esecuzione forzata in confronto non della parte di cui il titolo contiene la condanna, ma degli eredi.

La mancata osservanza di questa disposizione, cui dà luogo nel caso la contestuale notifica del titolo e del precetto, ridonda in una nullità procedimentale (Cass. civ., 14 luglio 2015, n. 14653 24 ottobre 1991, n. 11282) che può dedursi con opposizione agli atti esecutivi e però nel relativo termine, di venti giorni da tale congiunta notifica, restando altrimenti sanata.

Cass. civ., 14 luglio 2000 n. 9365 ha dal canto suo affermato che la morte del debitore sopravvenuta dopo la notifica del precetto comporta che per iniziare il processo esecutivo contro l'erede sia necessario rinnovare la notifica del titolo esecutivo e del precetto.

Se questa sia mancata, è del pignoramento tuttavia eseguito in confronto dell'erede, che dovrà essere fatta valere la nullità per non essere stato preceduto dalla notifica a questi del titolo e del precetto: ciò entro il termine di venti giorni dal primo atto di esecuzione (art. 617, comma 2, c.p.c.).

Se l'esecuzione forzata inizi già con il precetto

Dispone l'art. 5 c.p.c. che la competenza, come la giurisdizione, si determina in base alla legge vigente ed allo stato di fatto esistente al momento della domanda.

L'applicazione della norma nel processo esecutivo richiede di stabilire in quale degli atti di parte mediante i quali si esercita l'azione esecutiva la domanda è da considerare proposta.

La discussione si incentra essenzialmente sul se la domanda di tutela esecutiva è proposta già con il precetto o se non lo sia invece con l'atto che vi deve seguire perché la tutela possa essere erogata.

La giurisprudenza di legittimità è orientata da tempo ed in modo costante nel ritenere che il precetto sia atto di parte che deve precedere, ma non dà inizio al processo esecutivo.

In concreto, per individuare il momento in cui è proposta la domanda ci si avvale, nel processo di espropriazione forzata, della norma che stabilisce che esso inizia col pignoramento (art. 491 c.p.c.): in questo modo, invero, da un lato si determina l'assoggettamento dei beni all'espropriazione forzata, che è ciò in cui consiste uno degli effetti mediante i quali la giurisdizione esecutiva è esercitata, dall'altro è individuato il giudice competente a dare la tutela richiesta.

Stabilire poi il momento in cui è proposta la domanda si presenta di agevole soluzione nel processo di esecuzione specifica per obblighi di fare e non fare: esso è rappresentato dal deposito del ricorso con cui è chiesto al giudice di fissare le modalità di esecuzione (art. 612 c.p.c.): questo atto aggiunge alla già compiuta individuazione dell'oggetto del processo la richiesta di tutela rivolta al giudice.

É rispetto al processo di esecuzione forzata per consegna e rilascio, che aveva incontrato la maggiore resistenza la soluzione giurisprudenziale di indicare nell'accesso dell'ufficiale giudiziario il momento in cui la domanda è proposta e il processo ha inizio: la resistenza s'era alimentata dalla difficoltà che in tal modo le parti incontravano nell'opporsi all'esecuzione e questo per la ragione che, secondo la lettera degli artt. 615 e 624 c.p.c., anteriore alle modifiche poi apportatevi negli anni 2005-2006, era dato sospendere l'esecuzione intrapresa, ma non l'eseguibilità del titolo.

A decorrere dall'1.3.2006 è peraltro in vigore nel testo attuale il comma 1 dell'art. 608 c.p.c., secondo il quale l'esecuzione per consegna o rilascio «inizia con la notifica dell'avviso con il quale l'ufficiale giudiziario comunica almeno dieci giorni prima alla parte, che è tenuta a rilasciare l'immobile, il giorno e l'ora in cui procederà».

I tipi di esecuzione forzata ed i corrispondenti atti che vi danno inizio

Il libro terzo del c.p.c. inizia col titolo primo intestato al titolo esecutivo e al precetto e comprende gli artt. 474 a 482 c.p.c..

L'art. 474, comma 2, c.p.c. elenca i diversi tipi di titolo.

Seguono le norme comprese tra gli artt. 483 e 614 c.p.c.: disciplinano le diverse forme dell'esecuzione forzata, cui s'è venuto ad aggiungere un art. 614-bis c.p.c., sotto il titolo IV-bis intestato alle misure di coercizione indiretta.

Le precedono quelle relative alla notificazione del titolo esecutivo (art. 479 c.p.c.), spedito in forma esecutiva (artt. 475 e 476 c.p.c.), e del precetto (art. 480 c.p.c.), come condizione di validità degli atti che vi danno inizio secondo i suoi specifici tipi.

L'esecuzione forzata presenta connotati diversi a seconda dei beni e diritti che ne costituiscono l'oggetto.

La diversità delle forme è specchio della diversa natura dei beni e dei diritti destinati ad esserne investiti, che, se non risultano già dal titolo esecutivo, dovranno essere individuati attraverso un atto ulteriore, il pignoramento.

Questo secondo schema è quello proprio dei processi di espropriazione forzata, che, ordinati come sono alla soddisfazione d'un credito e non di un diritto relativo a un bene determinato, richiedono un'aggressione del patrimonio, se del credito sia mancata la soddisfazione da parte del debitore pur dopo la notificazione del precetto o comunque non in modo conforme all'intimazione in esso contenuta.

Aggressione che avviene col pignoramento, attraverso le diverse forme previste per l'espropriazione forzata di beni immobili (artt. 555 a 562 c.p.c.) o mobili (artt. 513 a 524 c.p.c.) e di crediti del debitore verso terzi o di cose del debitore in possesso di terzi (artt. 543, comma 2, n. 2) c.p.c.).

Dei beni mobili e immobili l'individuazione avverrà per atto di pubblico ufficiale, sollecitato dal creditore procedente; degli altri attraverso la provocazione rivolta al terzo di dichiararsi o meno debitore o detentore di beni del debitore principale.

Quando, al contrario, il bene oggetto della futura esecuzione forzata è già individuato dal titolo esecutivo - com'è nell'esecuzione per consegna o rilascio (artt. 605 a 611 c.p.c.) o in quella per l'attuazione coattiva degli obblighi di fare e non fare (artt. 612 a 614 c.p.c.) - una volta mancato lo spontaneo adempimento al precetto, il processo esecutivo inizierà o con un ricorso al giudice competente, cui sarà richiesto, nell'esecuzione forzata di obblighi di fare e di non fare, di designare per l'esecuzione coattiva un ufficiale giudiziario (artt. 612 a 614 c.p.c.) o nella diretta esecuzione delle operazioni di consegna (artt. 606 e 607) o di rilascio ancora da parte dell'ufficiale giudiziario (art. 608 c.p.c.).

Le opposizioni all'esecuzione

Della disciplina generale dell'esecuzione forzata possono considerarsi fare parte le norme dettate dai titoli quinto e sesto del libro terzo, dagli artt. 615 a 622 c.p.c..

Riguardano le opposizioni all'esecuzione (artt. 615, 616 e 618-bis c.p.c.), agli atti esecutivi (artt. 617 e 618 c.p.c.) e di terzo (artt. 619 a 622 c.p.c.).

Vi sono connesse le norme dettate dall'art. 624 c.p.c., sulla sospensione del processo esecutivo in seguito ad opposizione all'esecuzione proposta in base agli artt. 615 e 619 c.p.c., e dell'art. 618 c.p.c. sulla sospensione del processo in seguito ad opposizione agli atti esecutivi.

L'art. 184 disp. att. c.p.c. richiede che i ricorsi in opposizione all'esecuzione proposti a processo esecutivo iniziato contengano, oltre alle indicazioni previste dall'art. 125 c.p.c., quelle di cui ai nn. 4 e 5 dell'art. 163 del codice.

L'opposizione all'esecuzione non ancora iniziata

Dispone l'art. 615, comma 1, c.p.c. che «Quando si contesta il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata e questa non è ancora iniziata, si può proporre opposizione al precetto con citazione davanti al giudice competente per materia o valore e per territorio a norma dell'art. 27».

L'art. 27, comma 1, c.p.c. stabilisce poi che «Per le cause di opposizione all'esecuzione forzata di cui agli artt. 615 e 619 è competente il giudice del luogo dell'esecuzione»; aggiunge: «salva la disposizione dell'art. 480, terzo comma».

Il quale art. 480, comma 3, c.p.c. dispone che «Il precetto deve inoltre contenere la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio della parte istante nel comune in cui ha sede il giudice competente per l'esecuzione». Ma aggiunge: «In mancanza le opposizioni al precetto si propongono davanti al giudice del luogo in cui è stato notificato, e le notificazioni alla parte istante si fanno presso la cancelleria del giudice stesso».

Infine, l'art. 26 c.p.c. nel disciplinare il foro dell'esecuzione forzata, dopo aver stabilito che «Per l'esecuzione forzata su cose mobili o immobili è competente il giudice del luogo in cui le cose si trovano», prosegue richiamando l'art. 21, il quale, al secondo periodo del primo comma, regola il caso in cui «l'immobile sia compreso in più circoscrizioni giudiziarie», stabilendo che allora «è competente il giudice della circoscrizione nella quale è compresa la parte soggetta a maggior tributo verso lo Stato e, quando non è sottoposto a tributo, ogni giudice nella cui circoscrizione si trova una parte dell'immobile».

Mentre l'opposizione di terzo prevista dall'art. 619 c.p.c. presuppone un pignoramento già avvenuto, l'opposizione ex art. 615 c.p.c. può essere esperita prima ancora che l'esecuzione abbia inizio (art. 615, comma 1, c.p.c.).

Appunto per il caso che lo sia ad esecuzione non ancora iniziata, l'art. 27, comma 1, c.p.c., dopo aver individuato il giudice competente in quello del luogo dell'esecuzione, rinvia all'art. 480, comma 3, c.p.c. per il caso che l'opposizione sia proposta già contro il precetto.

Il codice invece non contempla il caso che, raggiunta dalla notifica del titolo esecutivo, la parte intenda contestare d'essere sulla sua base tenuta a darvi esecuzione.

La questione se possa già a seguito di tale notifica proporre opposizione alla esecuzione ha trovato, anche di recente, risposta negativa [così Cass. civ., 4 agosto 2016, n. 16281 in REF 2017, 343, nota D. Micali, (RI)qualificazione della domanda di opposizione e impugnazione), Note a margine di un rinnovato diniego dell'opposizione all'esecuzione (e agli atti) prima della notifica del precetto.

Tornando all'art. 480 c.p.c., va considerato che non vi è contemplato il caso che la parte che si fa a minacciare l'esecuzione dichiari bensì la residenza ed il domicilio suoi in un dato luogo, come tale ricompreso nell'ambito di competenza territoriale d'un certo giudice, ma senza che nel territorio di pertinenza di questo ricada alcun bene del debitore.

Se la disposizione dettata dal comma 3 dell'art. 480 c.p.c., così come scritta, fosse applicabile anche in questo caso, risulterebbe la possibilità della parte istante di scegliere il giudice cui l'altra deve rivolgere l'opposizione.

Della disposizione, la Corte costituzionale, con la sentenza 29 dicembre 2005, n. 480 [FI 2006, I 1004], ha bensì dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale, ma nei sensi di cui in motivazione e fornendo della disposizione una specifica chiave di lettura.

Ha detto - in estrema sintesi - che la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio fatta dal creditore procedente nel precetto è rilevante al fine di stabilire dove gli deve essere notificata la relativa opposizione; non lo è altrettanto se si tratta di individuare il giudice competente a deciderne, perché questo postula la presenza nel suo circondario di beni che vi possano essere assoggettati.

Di talché il debitore secondo il titolo, che voglia opporsi all'esecuzione minacciata col precetto (art. 615, comma 1, c.p.c.), se sostiene di non possedere alcun bene nella circoscrizione del giudice adito dal creditore, può promuovere il relativo giudizio davanti al giudice del luogo del suo domicilio o residenza, spettando al creditore procedente di dimostrare la competenza del giudice da lui adito, per esservi beni del debitore nel circondario del giudice davanti al quale ha citato il debitore.

Recente riaffermazione di questa regola è in Cass. civ., 9 agosto 2016, n. 16649.

Se sia stata minacciata un'esecuzione per consegna o rilascio, l'opposizione andrà rivolta al giudice del luogo in cui le cose mobili o immobili si trovano (art. 26, comma 1, c.p.c.); e se si tratti di opposizione ad esecuzione forzata di obblighi di fare o non fare l'opposizione andrà rivolta al giudice del luogo dove l'esecuzione minacciata dovrebbe avvenire (art. 26, comma 3, c.p.c.).

Quanto alla competenza per valore (art. 615, comma 1, c.p.c.), se si tratta d'opporsi ad una minacciata esecuzione per espropriazione, il valore sarà quello della somma richiesta con il precetto (art. 17, comma 1, c.p.c.), valore che, sino alla somma di cinquemila euro (art. 7, comma 1, c.p.c.), individua la competenza del giudice di pace [Cass. civ., 24 aprile 2009, n. 9784] ed altrimenti quella del tribunale (art. 9 c.p.c.).

Il valore, in caso di parziale pagamento intanto eseguito, va commisurato alla somma residua [così Cass. civ., 10 settembre 2015, n. 17895, che, in modo non diverso da Cass. civ., 2 dicembre 2008, n. 28627, ha richiamato l'attenzione sul punto se la reiterazione del precetto per un residuo del dovuto non travalichi nel caso concreto in una violazione del dovere di lealtà processuale di cui agli artt. 88 e 92, comma 1, c.p.c.].

Quanto alla competenza per materia (art. 615, comma 1, c.p.c.), ne sono esempi quella del giudice di pace in tema di opposizione all'intimazione di pagamento per violazione del codice della strada ai sensi degli artt. 6 e 7 del d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150 [Cass. civ., 7 febbraio 2017, n. 3156]; nella stessa materia, quello deciso da Cass. civ., 6 novembre 2015, n. 22782 ed ancora quello deciso da Cass. civ., 20 maggio 2016, n. 10395, ma qui in tema di opposizione a decreto di pagamento di spese di giustizia, disciplinata sempre dal d.lgs. n. 150/2011, nel caso all'art. 15.

La sospensione feriale dei termini processuali che, secondo la disposizione dettata dall'art. 92 r.d. n. 12/1941 sull'Ordinamento giudiziario non si applica ai procedimenti di opposizioni all'esecuzione, è da intendersi che neppure si applichi ai procedimenti relativi ad opposizioni agli atti esecutivi e di opposizione di terzo all'esecuzione, nonché a quelli di accertamento dell'obbligo del terzo di cui all'art. 548 c.p.c. (Cass. civ., 18 settembre 2017, n. 21568, pronunciata a proposito dell'appello avverso un provvedimento decisorio, avente valore di sentenza, reso nel procedimento esecutivo di obblighi di fare e non fare - Cass. civ., 25 gennaio 2012, n. 1030, resa in giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo).

L'opposizione per impignorabilità

La questione del se i beni che vi sono stati assoggettati lo possano essere costituisce il possibile oggetto dell'opposizione per impignorabilità (art. 615, comma 2, c.p.c.).

Ma la previsione normativa che il soggetto passivo dell'esecuzione forzata abbia a disposizione tale rimedio per far affermare che il bene [o il credito] non è possibile oggetto di espropriazione forzata esclude il rilievo di ufficio del difetto di giurisdizione da parte del giudice dell'esecuzione? O al contrario è possibile oggetto di rilievo di ufficio, a sua volta soggetto a controllo mediante opposizione agli atti esecutivi e, se il rilievo manchi, ad opposizione all'esecuzione oppure le due aree sono distinte?

La risposta appare questa.

Chiuso che sia il processo esecutivo dal giudice dell'esecuzione in base al rilievo d'ufficio del proprio difetto di giurisdizione, se contro questa ordinanza non sia proposta opposizione agli atti esecutivi da parte del creditore procedente, cessa la materia del contendere.

Se invece il processo esecutivo sia fatto proseguire, v'è luogo all'opposizione per impignorabilità da parte del debitore (art. 615, comma 2, c.p.c.). Questa diversa opposizione non comporta per sé la sospensione del processo esecutivo, che può però essere pronunziata dal giudice dell'esecuzione (art. 624, comma 1, c.p.c.); se non lo è, che il processo esecutivo si chiuda per difetto di giurisdizione può ancora essere disposto dal giudice dell'esecuzione davanti al quale è stato fatto proseguire.

Passando a considerare il rapporto tra esecuzione per espropriazione e opposizione agli atti va considerato che il fatto poi che questa non possa essere proposta oltre l'udienza fissata per la autorizzazione della vendita (art. 530, comma 2, c.p.c.), impedisce che nel corso successivo del processo possano essere fatte valere nullità pertinenti agli atti sin lì seguiti: non è per contro impedito il rilievo di ufficio del difetto di giurisdizione, trattandosi di vizio che interessa il processo e non un singolo atto e perciò lo stesso potere di provvedere sulla domanda [Sez. Un. 27 ottobre 1995, n. 11178, FI 1996, I, 3468].

Ne deriva che, non rilevato dal giudice dell'esecuzione il proprio difetto di giurisdizione, in sede di adozione d'ogni successivo provvedimento ed attraverso l'opposizione agli atti esecutivi è deducibile da chi vi abbia interesse la nullità dell'atto stesso per difetto di giurisdizione, dichiarato il quale dal giudice dell'esecuzione l'atto impugnato è annullato e il processo non può più proseguire.

Questo argomento ha dato occasione a successive pronunzie e più di recente a Cass. civ., 15 settembre 2017, n. 21379 e prima a Cass. civ., 15 luglio 2016, n. 14449.

Cass. civ., n. 21379/2017 ha considerato che la deduzione della nullità del pignoramento immobiliare per mancata o incompleta identificazione del bene che v'è stato sottoposto configura un motivo di opposizione agli atti, soggetto alla corrispondente disciplina, «fatta eccezione per la preclusione derivante dalla decorrenza del termine di cui all'art. 617 c.p.c., trattandosi di una nullità che non ammette sanatoria, in quanto impedisce al processo esecutivo di pervenire al suo scopo con l'espropriazione del bene».

Cass. civ., n. 14449/2016 ha dal canto suo enunciato il seguente principio di diritto in un caso in cui era venuto in discussione il modo in cui denunziare il difetto di jus postulandi del difensore che aveva sottoscritto l'atto di pignoramento: «La sussistenza di determinati vizi degli atti del processo esecutivo o comunque di situazioni invalidanti che si risolvono in nullità non sanabili in conseguenza della mancata proposizione dell'opposizione agli atti esecutivi di cui all'art. 617 c.p.c. nel termine da detta norma previsto, non comporta affatto la possibilità di proporre la stessa opposizione agli atti esecutivi di cui all'art. 617 c.p.c. avverso a quegli atti senza il rispetto del termine in questione, ma esclusivamente la possibilità che il vizio sia successivamente rilevato di ufficio dal giudice dell'esecuzione e che, laddove esso si riproduca in relazione a successivi atti del processo esecutivo, avverso questi ultimi sia possibile proporre opposizione agli atti ai sensi dell'art. 617 c.p.c., nel relativo termine perentorio decorrente dal giorno in cui essi siano compiuti, per far valere il vizio non sanato» (fermi restando gli sbarramenti preclusivi correlati alle conclusioni delle singole fasi del processo esecutivo, come precisato nella pronuncia resa da questa Corte a Sezioni Unite n. 11178/1995).

Il difetto di giurisdizione non può invece costituire oggetto di opposizione all'esecuzione, giacché oggetto di questa è la contestazione circa la esistenza, in capo alla parte che la minaccia o l'intraprende, del diritto a procedere ad esecuzione forzata, diritto la cui sussistenza prescinde dalla condizione giuridica del bene che vi è stato assoggettato e non è messa in discussione dalla circostanza che lo specifico bene o diritto che si è inteso sottoporre ad esecuzione mediante il pignoramento ne sia passibile o meno (Sez. Un. 27 luglio 2011, n. 16390 e prima Sez. Un. 31 marzo 2006, n. 7578 FI 2006, I, 3118).

L'opposizione all'esecuzione già iniziata

Se il processo esecutivo è già iniziato, l'opposizione all'esecuzione, come quella per impignorabilità, è proposta con ricorso al giudice davanti al quale il processo pende (art. 615, comma 2, c.p.c.).

Il giudice fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé e il termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto.

Le ragioni spese a fondamento dell'opposizione possono giustificare, su istanza del ricorrente, la sospensione dell'esecuzione con cauzione o senza (art. 624, comma 1, c.p.c.).

La sospensione va chiesta al giudice dell'esecuzione, che provvederà con ordinanza soggetta a reclamo ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c. (art. 624, comma 2, c.p.c.).

D'altra parte l'efficacia esecutiva del titolo o l'esecuzione forzata intanto avviata sulla sua base possono essere nel frattempo sospese nell'ambito del giudizio proposto per la sua impugnazione (artt. 283 e 373, 649 c.p.c.).

L'impugnazione del titolo e l'opposizione all'esecuzione forzata si fondano peraltro su ragioni diverse, le prime attinenti ai fatti costitutivi del diritto, le seconde a fatti impeditivi dell'esecuzione forzata o estintivi del diritto accertato nel titolo.

In altre parole, la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo disposta dal giudice della cognizione impedisce che l'esecuzione sia avviata o se già lo sia stata comporta che debba essere intanto sospesa; invece, avviata che sia stata l'esecuzione forzata sulla base del titolo esecutivo, la sospensione del processo esecutivo disposta dal giudice dell'esecuzione non toglie che le ragioni dell'opposizione all'esecuzione restino da accertare, sicché l'opposizione andrà coltivata dopo la fase introduttiva, nel termine che a tale scopo va assegnato dal giudice dell'esecuzione, in base all'art. 615, comma 1, c.p.c. [sull'argomento, Cass. civ., 22 giugno 2017, n. 1560].

Il terzo comma dell'art. 624 c.p.c. regola gli effetti dell'ordinanza pronunziata dal giudice dell'esecuzione, resa in base al primo comma, con cui il processo esecutivo è sospeso, o in base al secondo nel caso che contro l'ordinanza sia proposto reclamo e il reclamo, eventualmente proposto, sia stato respinto.

Orbene, se contro l'ordinanza di sospensione del processo esecutivo adottata dal giudice dell'esecuzione in base al primo comma non viene proposto reclamo ovvero il reclamo è rigettato, il giudizio di merito si estingue se, dopo la presentazione del ricorso al giudice dell'esecuzione nei modi stabiliti dall'art. 615, comma 1, c.p.c. il processo non è stato fatto proseguire nel termine perentorio assegnato ai sensi dell'art. 616 c.p.c..

In questo caso, il giudice dell'esecuzione, anche di ufficio e con ordinanza, dichiara l'estinzione del processo esecutivo.

L'ordinanza è a sua volta reclamabile ai sensi dell'art. 630, comma 3, c.p.c..

Le opposizioni agli atti esecutivi

Le opposizioni agli atti esecutivi sono disciplinate dagli artt. 617 e 618 c.p.c., il primo per quanto concerne la forma dell'opposizione, il secondo dettato a disciplina dei provvedimenti del giudice dell'esecuzione.

L'opposizione può investire gli atti del giudice dell'esecuzione (art. 487 c.p.c.) e quelli di parte, dalla notifica del titolo esecutivo e del precetto (art. 617, comma 1, c.p.c.) agli atti che li seguono (art. 617, comma 2, c.p.c.) come il pignoramento.

Non può invece investire gli atti dei suoi ausiliari: costoro non vanno infatti considerati come parti del processo né perciò sono legittimati passivi rispetto alle opposizione agli atti (così, a proposito del custode, Cass. civ., 25 luglio 2003, n. 11558 e 22 maggio 2006, n. 11928; a proposito dell'ufficiale giudiziario, Cass. civ., 30 luglio 2015, n. 19573 e del professionista delegato alle operazioni di vendita in base all'art. 591-bis, Cass. civ., 20 gennaio 2011, n. 1335 in GI 2011, 2111, nota L. Biffi, Sui rimedi contro gli atti degli ausiliari del giudice; a proposito del professionista delegato alle operazioni di vendita e dei compiti rispettivi suoi e del giudice dell'esecuzione, Cass. civ., 28 ottobre 2009, n. 22794).

Quanto all'ufficiale giudiziario, al custode, al professionista delegato alle operazioni di vendita, sono invece soggette all'opposizione le decisioni prese dal giudice sui reclami che contro quegli atti vengano presentati dalle parti.

Il termine per l'opposizione, fissato dall'art. 617, comma 2, c.p.c. in venti giorni, decorre dal giorno in cui l'atto contro il quale è rivolto è stato compiuto.

Decorre dall'atto di pignoramento nel caso dell'esecuzione forzata per espropriazione, quante volte, sebbene rivolto contro gli atti che lo devono precedere, cioè la notificazione del titolo esecutivo e del precetto, questa sia mancata.

Nel caso dell'esecuzione forzata per espropriazione, l'udienza fissata per l'audizione delle parti per provvedere sull'istanza di assegnazione o di vendita segna il limite temporale oltre il quale divengono improponibili le opposizioni agli atti esecutivi sin lì compiuti (art. 550, comma 3, c.p.c.): ciò con l'eccezione, di cui si è detto più avanti, delle opposizioni intese a far valere situazioni di nullità insanabile.

L'opposizione agli atti esecutivi è decisa con sentenza pronunciata in unico grado, sia quella proposta in base al comma 1 dell'art. 617c.p.c., sia ogni altra proposta, in base all'art. 617, comma 2, c.p.c., a denunzia della nullità di atti successivi.

L'opposizione di terzo

Chi pretende di avere la proprietà o un diritto reale sui beni pignorati può proporre ricorso al giudice dell'esecuzione.

Si è detto più sopra che, secondo l'art. 184 disp. att., il ricorso oltre alle indicazioni previste dall'art. 125 c.p.c., deve contenere quelle di cui ai nn. 4 e 5 dell'art. 163 c.p.c..

Il giudizio così iniziato prevede una fase destinata a svolgersi davanti al giudice dell'esecuzione, volta alla composizione della lite sulla base dell'accordo tra attore e parti del processo esecutivo circa l'appartenenza o meno del bene allo stesso attore: l'esito positivo di questa fase, nei limiti dell'accordo, mette fine al processo esecutivo ed a quello introdotto con l'opposizione.

Mancato l'accordo, il giudice dell'esecuzione provvede nei modi previsti dall'art. 616 c.p.c. per l'introduzione del giudizio di opposizione davanti a sé o la riassunzione della causa davanti al giudice competente, assegnando per procedervi un termine.

Riferimenti
  • Capponi, Manuale di diritto dell'esecuzione forzata, Torino, 2012, pp. 2 a 308 e 393 e ss.;
  • Cirulli, La competenza nel processo esecutivo, in Arieta - De Santis - Didone, Codice commentato delle esecuzioni civili, Torino, 2016, 118 e ss.;
  • Delle Donne, Delle opposizioni agli atti esecutivi [artt. 617 e 618 c.p.c.], in Commentario del codice di procedura civile, diretto da Comoglio - Consolo - Sassani - Vaccarella - VII Tomo primo, 2014, 299 e ss.;
  • Miccolis e Carnevale, in Commentario del codice di procedura civile, diretto da Comoglio - Consolo - Sassani - Vaccarella - VII Tomo primo, 2014, 373 e ss.;
  • Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, Padova, 2012;
  • Trinchi, agg. R. Conte, Codice di procedura civile commentato, diretto da Consolo, IV ed., Milano, 2010, tomo II, artt. 287-632, sub artt. 474 e ss.;
  • Vaccarella, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, Torino, 1983
  • Vittoria, Delle opposizioni all'esecuzione [artt. 615 e 616 c.p.c.], in Commentario del codice di procedura civile, diretto da Comoglio - Consolo - Sassani - Vaccarella - VII Tomo primo, 2014, 213 e ss..
Sommario