Esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare

Paolo Vittoria
06 Marzo 2017

Gli artt. 2931 e 2933 c.c. prevedono che «se non è adempiuto un obbligo di fare, l'avente diritto può ottenere che esso sia eseguito a spese dell'obbligato nelle forme stabilite dal codice di procedura civile», e che «se non è adempiuto un obbligo di non fare, l'avente diritto può ottenere che sia distrutto, a spese dell'obbligato, ciò che è stato fatto in violazione dell'obbligo».
Inquadramento

Gli artt. 2931 e 2933 c.c. prevedono l'uno che «Se non è adempiuto un obbligo di fare, l'avente diritto può ottenere che esso sia eseguito a spese dell'obbligato nelle forme stabilite dal codice di procedura civile», l'altro - al primo comma - che «Se non è adempiuto un obbligo di non fare, l'avente diritto può ottenere che sia distrutto, a spese dell'obbligato, ciò che è stato fatto in violazione dell'obbligo» e - al secondo comma - che «Non può essere ordinata la distruzione della cosa e l'avente diritto può solo conseguire il risarcimento dei danni, se la distruzione della cosa è di pregiudizio all'economia nazionale».

Disciplinata poi sotto l'aspetto processuale dagli artt. 612 a 614c.p.c., l'esecuzione forzata della condanna per violazione di un obbligo di fare o non fare ha da ultimo visto ampliato il suo strumentario attuativo attraverso la disciplina dettata con l'art. 614-bis c.p.c.: ciò, prima nella forma prevista dall'art. 49, comma 1, l. 18 giugno 2009, n. 69, specificamente intitolato all'attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare ed inserito nel codice come completamento del titolo IV del libro terzo, e in seguito trasferito ad un apposito titolo IV-bis, sotto la rubrica «Delle misure di coercizione indiretta» (questo con l'art. 13.1., lett. cc-ter, d.l. 27 giugno 2015, n. 83, conv. in l. 6 agosto 2015, n.132).

Ne risulta la possibilità di sperimentare una duplice alternativa forma di tutela con la correlativa disciplina procedimentale.

  1. La prima volta a realizzare il risultato, consegnato al provvedimento giudiziale, attraverso operazioni materiali ordinate a conformare la situazione di fatto a quella imposta dal titolo esecutivo;
  2. la seconda, mediante una misura di coercizione indiretta, costituita da una condanna pecuniaria, di cui è rimesso alla parte chiedere di corredare il titolo esecutivo, e suscettibile di dar luogo ad una esecuzione forzata per espropriazione, esperibile nel caso che manchi quella spontanea e tutte le volte che la parte obbligata incorra in un comportamento diverso da quello dovuto in base al titolo.

Peraltro come ogni altra obbligazione, quella di fare o non fare si presta ad essere tutelata già in via cautelare.

Ma l'attuazione dei provvedimenti cautelari non dà luogo ad un procedimento distinto dal giudizio in cui sono presi, bensì alla loro diretta attuazione sotto il controllo del giudice che li adotta, sicché, quando è questa ad essere richiesta, non sarà necessario procedere alla previa notifica del titolo esecutivo e del precetto, altrimenti prevista dall'art. 612 c.p.c.. Incidentalmente si può osservare che lo stesso vale per l'attuazione dei provvedimenti possessori: ciò in forza dell'art. 703, comma 2, c.p.c., che rimanda a sua volta agli artt. 669-bis e ss e secondo il quale è in base a questi che il giudice provvede sulle domande di reintegrazione e manutenzione nel possesso (Cass. 12 marzo 2008 n. 6621); e questo non solo se si tratta appunto di dare attuazione ai provvedimenti temporanei pronunciati sul corrispondente ricorso previsto dall'art. 703, comma 1, c.p.c., ma anche a quelli richiesti quanto alla reintegrazione del possesso ed ai relativi provvedimenti temporanei indispensabili, dall'art. 704, comma 2, c.p.c. (Cass. 8 agosto 2014, n. 17845).

Questo però non lo si può dire per le statuizioni pronunciate con la sentenza che chiude il giudizio fatto proseguire sulla domanda iniziale in base all'art. 703, comma 4, c.p.c., ma si sulle domande relative al possesso proposte per fatti che avvengono nel corso del giudizio, giacché la disposizione contenuta nel primo comma dell'art. 704 c.p.c. ha riguardo solo alla competenza e non alle modalità di esecuzione.

Ulteriore spazio applicativo del modulo dell'esecuzione per obblighi di fare è stato individuato dalla giurisprudenza di legittimità in relazione all'esecuzione dell'obbligo di consegna dei minori (a partire da Cass., Sez.Un., 15 dicembre 1982, n. 6912, GC 1983, I, 792, nota Finocchiaro A., Ancora sull'esecuzione forzata dei provvedimenti di affidamento della prole).

Quanto ai provvedimenti temporanei ed urgenti previsti dall'art. 708, comma 3, c.p.c., discussa n'è l'applicazione del modulo proprio dell'attuazione dei provvedimenti cautelari quale previsto dall'art. 669-duodecies c.p.c. (resa in tema di regolamento di competenza, Cass. 10.5.2001 n. 6472 dà conto di una costante giurisprudenza che consente l'alternativo ricorso al giudice che ha emesso il provvedimento ovvero al giudice dell'esecuzione forzata). I provvedimenti in questione sono soggetti al reclamo alla corte d'appello previsto dall'art. 708, comma 4, e possono essere modificati dal giudice istruttore, secondo quanto previsto dall'art. 709, comma 4: il provvedimento del giudice istruttore, non è invece soggetto al reclamo, ma può essere modificato o revocato dallo stesso giudice (secondo quanto affermato da Cass., 4 luglio 2014, n. 15416, in GI 2014, 2725, nota Giabardo, FI 2014, I, 2779, nota Cea e in Famiglia e diritto, 2015, 235 nota Giorgetti).

Esclusa dalla giurisprudenza di legittimità è invece nella materia del rapporto di lavoro privato l'esecuzione forzata della sentenza di condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro del prestatore di lavoro il cui licenziamento sia stato dichiarato nullo (tra le tante Cass. 19 novembre 2010 n. 23493 - Cass.,4 settembre 1990, n. 9125; Cass., 11 ottobre 1988, n. 112).

Il titolo esecutivo e la competenza

La disposizione contenuta nell'art. 612, comma 1, c.p.c., con cui inizia la disciplina dettata per questo tipo di esecuzione dal codice, disposizione che non ha subito modifiche nel tempo, si apre con la frase «Chi intende ottenere l'esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di un obbligo di fare o di non fare ......» : se intesa letteralmente, la frase condurrebbe ad affermare che il tipo di esecuzione forzata può essere condotto solo sulla base d'una sentenza e perciò d'una sentenza di condanna a tenere lo specifico comportamento di fare o non fare in essa indicato.

Né questa interpretazione potrebbe essere considerata in contrasto con quella che era stata la coeva formulazione dell'art. 474 c.p.c., la quale, a proposito dei titoli esecutivi di formazione giudiziale, si limitava a dire equiparati alla sentenza gli altri provvedimenti cui la legge avesse attribuito espressamente efficacia esecutiva e che nel testo in vigore reca la sola aggiunta degli «altri atti» cui questa forza è espressamente attribuita dalla legge.

Ma l'interpretazione dottrinale della norma è da tempo assestata nel senso di attribuire pari efficacia «ai provvedimenti giudiziali, che pur non rivestano la forma della sentenza» (così già Andrioli, in Commento al codice di procedura civile, III, Del processo di esecuzione, Napoli, 1957, 327): si intende in quanto costituiscano esercizio di giurisdizione di cognizione e provvedano in modo definitivo sulla domanda che ha dato origine al procedimento (si consideri il caso dell'ordinanza che chiude il procedimento sommario di cognizione: art. 702-ter, comma 6, c.p.c.).

Titolo esecutivo sarà dunque in questi casi la sentenza (art. 282 c.p.c.) o il provvedimento che in altra forma concluda già in primo grado il giudizio di cognizione con una pronunzia di condanna a fare o ad astenersi dal fare.

Discussa è stata invece la possibilità che questo tipo di esecuzione possa essere condotto in base al verbale di conciliazione giudiziale - sul punto, tra gli altri, che si esprimono in senso affermativo, sulla scorta non dell'originario, ma del novellato testo dell'art. 474, n. 1), c.p.c., Pucciariello, Dell'esecuzione forzata di obblighi di fare e non fare, cit., pp. 104 e ss., in considerazione del dato per cui il verbale di conciliazione costituisce titolo esecutivo secondo quanto disposto ora dall'art. 185, comma 3, c.p.c..

Quanto alla competenza per l'esecuzione, essa è regolata dall'art. 26, co. 3, e spetta al giudice del luogo dove l'obbligo deve essere adempiuto; questo peraltro in quanto si seguano le forme del processo esecutivo, non quando si tratti di eseguire provvedimenti interinali adottati nel corso del giudizio di cognizione, come nel caso dell'art. 708, comma 3, c.p.c..

L'interpretazione del titolo

Alla riflessione della dottrina e della giurisprudenza si è proposta la questione - del resto propria non solo di questa specifica forma di esecuzione forzata - se l'estensione dell'accertamento e della condanna che si sono avuti nella fase di cognizione, possa essere ricostruita solo in base al titolo esecutivo o se invece non si presti ad esserlo anche sulla base degli atti del giudizio di cognizione, secondo quanto sarebbe peraltro onere della parte istante sostenere e provare nel giudizio di opposizione.

L'indirizzo seguito dalla giurisprudenza di legittimità sino ad epoca non recente è stato in linea di principio nel primo senso, ma a partire dagli anno '90, si registra nella giurisprudenza di legittimità un orientamento inteso a considerare che nei poteri del giudice dell'esecuzione rientri il risalire alla formulazione delle domande delle parti ed anche agli atti del processo in cui la sentenza è stata pronunciata, allo scopo di superare incertezze, lasciate nel titolo esecutivo dalla formulazione del dispositivo e della relativa motivazione [lo stato della giurisprudenza è ricostruito nelle due sentenze omologhe delle SU appresso riportate, con separato riferimento all'esecuzione forzata per obblighi di fare e di non fare ed all'esecuzione forzata per espropriazione, tendenzialmente favorevole nel primo campo e contrario nel secondo a proposito di un'interpretazione extratestuale].

Più di recente, decisioni di legittimità - pronunciate peraltro non con specifico riferimento all'esecuzione forzata in discorso e che hanno incontrato forti critiche in dottrina - si sono espresse nel senso che una interpretazione extratestuale sia ammissibile.

Hanno enunciato in proposito il seguente principio di diritto: - «Il titolo esecutivo giudiziale, ai sensi dell'art. 474, comma 2, c.p.c. non si identifica né si esaurisce, nel documento giudiziario in cui è consacrato l'obbligo da eseguire, essendo consentita l'interpretazione extratestuale del provvedimento sulla base degli elementi ritualmente acquisiti nel processo in cui esso si è formato» (così, Cass., Sez. Un., 2 luglio 2012, n. 11066 e 11067, REF 2012, 355 e 2013, 73 e qui con considerazioni critiche di Sassani, Zucconi Galli Fonseca, Fabiani, Delle Donne, Pilloni e adesive di Bellè, raccolte sotto il titolo Le Sezioni Unite riscrivono i requisiti (interni ed esterni) del titolo esecutivo: opinioni a confronto intorno a Cass., S.U., n. 11067/2012; e Cass., Sez. Un., 2 luglio 2012 n. 11067, FI 2012, I, 3019, nota S. L. Gentile, L'esecuzione forzata del titolo esecutivo non numerario, adesiva, con specifico riferimento al contenzioso in materia di lavoro e previdenza. A commento critico delle decisioni, cfr., altresì, Della Pietra, L'autsourcing del titolo esecutivo (e dei provvedimenti giudiziali in genere: si parva licet componere magnis), in Il processo esecutivo. Liber amicorum Romano Vaccarella, a cura di Capponi - Sassani - Storto - Tiscini,Torino, 2014, 223 e ss., nonché De Propris, Prospettive su condanna, titolo esecutivo e sua possibile eterointegazione, ivi, 325 e ss. e REF 2014, 343 in nota alla massima estratta da Cass., 13 gennaio 2013, n. 1027, sentenza che si può leggere anche in REF 2013, 1027.

Nelle considerazioni svolte in REF 2013,73, e riprese nella nota «C'era una volta il titolo esecutivo» (in FI 2014, I, 1282) Fabiani osserva che il fenomeno dell'esecuzione specifica di obblighi di fare e non fare non è assimilabile all'espropriazione forzata e che non riguardo a questa, ma sì alla prima «.. il giudice dell'esecuzione gode di un potere di interpretazione ed integrazione del titolo esecutivo particolarmente ampio ...».

A proposito del principio di diritto appena richiamato ed invocato in una vicenda di esecuzione forzata per obblighi di fare, Cass., 27 aprile 2015, n. 8480, REF 2015, 656 ha osservato che la portata di Sez. Un. 11066/2012 - come applicata dalla successiva giurisprudenza delle sezioni semplici - «.. si riferisce pur sempre ai casi in cui il titolo esecutivo appaia non idoneamente determinato o determinabile. Secondo il suo stesso tenore testuale, tale pronunzia . . . ribadisce (punto 5) come evidente premessa della sua disamina che essa si riferisce ai casi in cui occorra superare incertezze lasciate da alcuni aspetti del documento-sentenza, in ordine all'esatta estensione dell'obbligo dichiarato con quest'ultima (e negli altri tipi di provvedimento cui la legge ricollega efficacia esecutiva), sempre escludendosi la possibilità di sovvertire il significato della sentenza chiaro alla luce del dispositivo e della relativa motivazione».

In precedenza, Cass. 16 aprile 2013, n. 9161, in base al principio di diritto affermato da Sez.Un. 11066/2012 e richiamando Cass. 1027/2013, aveva ritenuto ammissibile l'integrazione del titolo esecutivo rappresentato da sentenza d'appello, integrazione realizzata mediante rinvio espresso alla condanna di primo grado, benché contenuta in pronuncia dichiarata nulla in sede di impugnazione; Cass. 31 ottobre 2014 n. 23159 aveva dal canto suo ritenuto essere consentita l'interpretazione extratestuale del provvedimento sulla base degli elementi ritualmente acquisiti nel processo in cui esso si è formato, purché le relative questioni siano state trattate nel corso dello stesso e si possano intendere univocamente definite, essendo mancata, piuttosto, la concreta estrinsecazione della soluzione come operata nel dispositivo o perfino nel tenore stesso del titolo.

Successivamente, Cass. 1 ottobre 2015, n. 19641, pronunciata su opposizione a precetto per pagamento di somma di denaro, avrebbe dal canto suo richiamato il principio di diritto affermato dalle SU e così anche la massima estratta da Cass., sez. lav., 19 novembre 2014, n. 24669, la quale suona nel senso che, qualora il titolo esecutivo non consenta l'esatta quantificazione del credito, incombe sul creditore opposto, attore in senso sostanziale, l'onere di fornire, in caso di contestazione, la prova della esattezza degli importi intimati.

In precedenza, la stessa sezione lavoro della Cassazione e perciò fuori del campo dell'esecuzione forzata di obblighi di fare e non fare, nella sentenza 31 maggio 2013 n. 13811, aveva in linea di principio escluso la possibilità di riferimento ad elementi esterni, peraltro in un caso in cui dall'opponente era stato messo in discussione l'importo del dovuto, quale dichiarato nella sentenza fatta valere come titolo esecutivo.

Il procedimento

L'esecuzione forzata, preceduta, al solito, dalla notificazione del titolo esecutivo e del precetto (art. 479 c.p.c.), inizia col deposito del ricorso nella cancelleria del giudice dell'esecuzione, cui si chiede di determinare le modalità dell'esecuzione (art. 612, comma 1, c.p.c.).

Al deposito nella cancelleria dell'ufficio giudiziario competente segue la formazione del fascicolo d'ufficio (art. 488, comma 1, c.p.c.) e da parte del giudice la fissazione dell'udienza e la convocazione delle parti con decreto loro notificato (artt. 136 e 612, comma 2, c.p.c.).

Il giudice dell'esecuzione provvede con ordinanza nella quale «designa l'ufficiale giudiziario che deve procedere all'esecuzione e le persone che debbono provvedere al compimento dell'opera non eseguita o alla distruzione di quella compiuta» (art. 612, comma 2, c.p.c.).

Il giudice provvede sentita la parte obbligata, che va dunque convocata con decreto.

L'ordinanza del giudice conterrà - con riferimento a quanto disposto nel titolo esecutivo e sulla base del precetto - l'indicazione del risultato da conseguire attraverso l'esecuzione forzata e la designazione del soggetto cui è affidato il concreto compito di realizzare il risultato finale di adeguare la situazione di fatto a quella finale dovuta.

L'ufficiale giudiziario può farsi assistere dalla forza pubblica.

Di fronte ad eventuali difficoltà, dovrà chiedere istruzioni al giudice dell'esecuzione, che con decreto darà le opportune disposizioni.

Cass. 30 settembre 2015 n. 19572 ha affermato che, se, in seguito ad opposizione all'esecuzione, ne è disposta la sospensione, questo vale a far sì che l'esecuzione non possa intanto proseguire, ma non incide su quanto in esecuzione del titolo sia stato già fatto, che non può perciò essere rimosso; ciò - secondo Cass. 20 maggio 2014, n. 12053 - sarà invece possibile effetto dell'accoglimento di un'opposizione agli atti esecutivi proposta contro i precedenti provvedimenti adottati per l'esecuzione del titolo.

Il titolo e la sua esecuzione

Perché ne sia dovuta e possibile l'esecuzione forzata, da un lato dal titolo deve risultare che è stata pronunciata condanna a rimuovere una situazione di fatto che viola un'obbligazione di fare o di non fare, dall'altro che alla data in cui l'esecuzione è intrapresa mediante il ricorso al giudice competente, è rimasta senza esito la minaccia di richiederne l'esecuzione coattiva, contenuta nel precetto e preceduta dalla notificazione del titolo.

Eliminare coattivamente questa situazione di fatto, se permane oltre il tempo assegnato all'obbligato con il precetto, è ciò che dà contenuto al processo di esecuzione forzata, dove si tratta di individuare e stabilire attraverso quali concrete operazioni il risultato si presta ad essere attinto.

Dunque, nel giudizio di cognizione si accerta la presenza di uno stato fatto che viola il diritto dell'attore; in quello di esecuzione si individuano e mettono in atto i modi per ricondurre il mutato stato di fatto a quello di diritto, che dal convenuto, obbligato a farlo, non è stato ripristinato spontaneamente.

Anche nel processo di esecuzione forzata si esplica perciò un'attività di accertamento, qui del permanere dello stato di fatto, quale dichiarato nel titolo e peraltro dopo l'inutile trascorrere del termine assegnato nel precetto; ma questo secondo accertamento è compiuto non in funzione dello stabilire se lo stato di fatto è contrario a diritto, ma del perdurare d'una situazione di fatto non conforme al suo dover essere e perciò in funzione della realizzazione coattiva del diritto già accertato.

Derivano da ciò una prima serie di conseguenze peraltro in modo pacifico enunciate nella giurisprudenza di legittimità.

Assunto a esempio di titolo esecutivo la sentenza di condanna, varrà a fondarne l'esecuzione coattiva già il fatto che sia pronunziata in primo grado (art. 282 c.p.c.) e che, alla data in cui il ricorso al giudice dell'esecuzione previsto dall'art. 612 c.p.c. è depositato, la provvisoria esecutività della decisione, nel frattempo impugnata, non sia stata sospesa (artt. 351 e 373 c.p.c.).

Lo sia e vi faccia seguito l'accoglimento dell'impugnazione, anche solo in secondo grado, se in questo caso l'esecutività non ne sia sospesa (art. 373 c.p.c.), quand'anche il processo esecutivo si sia concluso con l'attuazione del precedente comando cognitorio come inteso dal giudice dell'esecuzione, s'apre la via alle restituzioni (art. 336 c.p.c.), che di necessità conseguono alla cassazione (art. 389 c.p.c.); mentre, se l'impugnazione sia respinta si tratterà di far proseguire l'esecuzione se sia rimasta sospesa.

E questo estendendo al caso la disciplina prevista dall'art. 627 c.p.c. per la ripresa del processo esecutivo che sia sospeso in seguito ad opposizione (Cass., 3 settembre 2007, n. 1853).

(Quanto poi al modo in cui la cassazione della sentenza fatta valere come titolo esecutivo incide sul processo esecutivo in corso, anche con riguardo all'esito del giudizio di rinvio, se vuoi, Vittoria, Opposizione all'esecuzione e vicende del titolo esecutivo, in Treccani, Il libro dell'anno 2015, 560, a commento di Cass. 2955/2013, 9161/2013, 14048/2013, 16934/2013 a confronto con Cass. 3074/2013 e Cass. n. 3280/2013).

Dalle vicende del titolo, vanno quindi distinte quelle della sua esecuzione nell'ambito del processo esecutivo.

Una prima situazione è quella che si determina quando, raggiunta dal precetto, la parte muove contestazione a riguardo della eseguibilità coattiva della decisione che l'altra assume contenere la condanna al fare o disfare indicato nel precetto oppure assume di non dovere porre in essere ulteriori attività, avendo già adeguato la situazione di fatto a quella prescritta dalla decisione che nel precetto si minaccia di eseguire in modo coattivo: queste contestazioni sostanziano il contenuto di un'opposizione all'esecuzione e ne seguono il regime, che nel tempo, come esposto più sotto, è stato quello ordinario, della sentenza appellabile, come è ritornato ad esserlo (Cass., 31 agosto 2015, n. 17314; Cass.,23 giugno 2014 n. 14208; Cass.,9 marzo 2012 n. 3722).

Una seconda situazione è quella suscettibile di determinarsi a processo iniziato: in presenza di difficoltà, che dunque richiedono da parte del giudice dell'esecuzione l'indicazione dei modi per superarle, spetta al giudice dell'esecuzione interpretare il titolo e fissare il modo d'eseguirlo.

Giudizio e comandi questi, che consistono dunque non nell'accertare se il diritto dell'attore a non dover subire lo stato di fatto determinato dal convenuto sia stato violato, che è l'oggetto del giudizio di cognizione, ma se lo stato di fatto, già giudicato contrario a diritto, permane e cosa va fatto per rimuoverlo, che è il risultato che va attinto nel processo di esecuzione (Cass. 30 marzo 2016 n. 6148 ha così messo in rilievo che, nell'esecuzione forzata di obblighi di fare, il giudice chiamato ad adottare i provvedimenti ex art. 612 c.p.c. è dominus della sola interpretazione della sentenza di condanna costituente titolo esecutivo che, se si trova ad essere oggetto d'impugnazione, è destinata ad essere o meno confermata e ciò indipendentemente dall'interpretazione che ne abbia dato il giudice della esecuzione, perché la diversità dei due processi osta a che quanto ritenuto nel processo di esecuzione valga a formare giudicato in quello di cognizione).

Nella misura in cui le parti non contestino l'interpretazione del titolo, ma discutano del se le modalità indicate per attuare il comando siano idonee o le sole adeguate, l'ordinanza del giudice può costituire oggetto di opposizione agli atti esecutivi (Cass., 5 giugno 2007, n. 13071; Cass., 6 maggio 2010 n. 10959). In seguito alla quale, il giudice dell'esecuzione, in base all'art. 624 c.p.c. , potrà essere richiesto di sospenderla ed il relativo provvedimento sarà suscettibile di impugnazione col reclamo previsto dall'art. 669-terdecies c.p.c., secondo quanto disposto dall'art. 624, comma 2, c.p.c..

Se invece vi sia stato contrasto tra le parti circa la portata dell'accertamento uscito dal giudizio di cognizione e le misure stabilite dal giudice per l'esecuzione del titolo riflettano la soluzione di questo contrasto, la sostanza della decisione sarà omologa a quella propria d'una sentenza resa su opposizione all'esecuzione e ne seguirà il regime: il ricorso per cassazione e prima l'appello dopo che con l'art. 49, comma 2, l. 18 giugno 2009, n. 69 è stato ripristinato il testo dell'art. 616, precedente alla modifica, che vi era stata apportata dall'art. 14 l. 24 febbraio 2006, n. 52 appunto nel contrario senso di dichiarare non impugnabile la sentenza resa sull'opposizione all'esecuzione (Cass. 9 marzo 2012 n. 3722; Cass., 23 giugno 2014 n. 14208).

Non impugnato da una o dall'altra parte il provvedimento che in presenza di contestazioni sulla portata del titolo determina le modalità della sua attuazione in relazione al titolo come interpretato dal giudice dell'esecuzione, possibile oggetto di ulteriore discussione potrà essere la conformità a questo provvedimento dell'attuazione che in concreto ne è seguita, ma la soluzione di tale questione da parte del giudice si presterà ora ad opposizione agli atti e non all'esecuzione.

Il precetto

A proposito del contenuto del precetto è stato considerato (da Cass. 18 agosto 2003 n. 3992), che «chi intende ottenere l'esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di obblighi di fare (o di non fare) deve chiedere al giudice dell'esecuzione che siano determinate le modalità dell'esecuzione (art. 612, 1° comma), specificando la prestazione indicata nel titolo, che egli si attende che il debitore esegua».

Il regime dei provvedimenti del giudice dell'esecuzione

Nell'esecuzione forzata di obblighi di fare e non fare, il titolo esecutivo indica il risultato che deve essere raggiunto e l'ordinanza del giudice dell'esecuzione stabilisce come lo si deve raggiungere (così parafrasando le parole spese nell'inquadrare il fenomeno da Cass. 18 marzo 2003 n. 3992, FI 2003, I, 2033 e Cass. 2041, al n. 4.2, nel decidere di un caso in cui la realizzazione del risultato richiedeva il rilascio di un'autorizzazione amministrativa).

Osservò la corte: - «Il fatto che, in base alle opere da realizzare, il consulente tecnico aveva prospettato la necessità di munirsi del nulla osta del genio civile e del comune di Palermo ed il pretore aveva seguito questa indicazione, non comporta limitazione del diritto sostanziale dei creditori, perché si tratta di richieste amministrative, che non solo il pretore poteva e doveva chiedere, ma si ponevano come strumenti indispensabili per l'attuazione del diritto indicato nel titolo: esse appartenevano alla fase esecutiva del procedimento e non incidevano sulla posizione sostanziale dei creditori» (in senso analogo, ad escludere che il contrasto tra le parti integrasse ragione di opposizione all'esecuzione, Cass. 6 maggio 2010 n. 10959).

Dunque, all'area del potere giurisdizionale attribuito al giudice nel campo dell'esecuzione forzata degli obblighi di fare e non fare appartiene, nel confronto tra le parti, individuare e disporre tutto quanto è necessario e fattibile nel caso concreto per l'attuazione del comando che risulta dal titolo esecutivo, si tratti di ripristinare lo stato arbitrariamente modificato o di rendere fruibile dall'avente diritto il risultato che v'era ragione di attendersi dallo spontaneo adempimento dell'obbligo di fare ed è invece mancato.

E' questione che attiene all'opposizione agli atti esecutivi, il lamentare da parte dell'obbligato, che il medesimo risultato potrebbe essere conseguito anziché come stabilito nell'ordinanza del giudice della esecuzione, in termini meno gravosi, ma altrettanto satisfattivi dell'interesse dell'avente diritto [casi ricondotti appunto all'area dell'opposizione agli atti esecutivi, quelli decisi da Cass. 5 giugno 2007 n. 13071, Cass., 16 novembre 1994, n. 9696).

L'essere l'opposizione agli atti inammissibile, perché proposta oltre il termine dovuto, non esclude che il giudice dell'esecuzione possa ritornare sulla disposizione in precedenza data con un suo precedente provvedimento, se non abbia ancora avuto esecuzione, secondo quanto previsto dall'art. 487 c.p.c. (Cass. 19 febbraio 1993 n. 2021).

Se non si esaurisca in un'ordinanza assimilabile a quelle rese a chiusura della fase sommaria di un'opposizione all'esecuzione, caso nel quale chi vi è interessato può chiedere sia fissato il termine per iniziare il giudizio di merito, assume invece natura di sentenza resa su opposizione all'esecuzione, il provvedimento del giudice dell'esecuzione forzata per obblighi di fare o non fare, con cui il giudice dirime una controversia insorta tra le parti circa la portata del titolo esecutivo.

La decisione sull'opposizione all'esecuzione è allora soggetta al regime ordinario d'impugnazione, articolato sui successivi rimedi dell'appello e del ricorso per cassazione.

Per le decisioni pronunciate nell'intervallo di tempo compreso tra le date dell'1.3.2006 e del 4.7.2009 è stato invece in vigore un ultimo periodo dell'art. 616 c.p.c. - poi soppresso con l'art. 49.2. l. 18 giugno 2009, n. 69 - a norma del quale la causa di opposizione all'esecuzione era decisa con sentenza non impugnabile, sì da esserlo perciò solo con ricorso per cassazione (Cass. 31 agosto 2015 n. 17314; Cass., 6 dicembre 2011, n. 26204).

Le spese

La liquidazione delle spese occorse per l'esecuzione, anticipate dalla parte istante e riportate in una nota, che è vistata dall'ufficiale giudiziario, è fatta del giudice dell'esecuzione, nella misura in cui è ritenuta giustificata e lo è con decreto d'ingiunzione, secondo le regole stabilite nell'art. 642 c.p.c.

Ne risulta che il decreto è suscettibile di esecuzione provvisoria.

Rimedio contro il decreto, l'opposizione prevista dall'art. 645 c.p.c..

Va rimarcato che la liquidazione delle spese e così l'emissione del relativo decreto possono intervenire già nel corso del procedimento e per quelle fino al momento sostenute.

Le spese per la cui liquidazione è predisposto dall'art. 614 c.p.c. il mezzo del decreto ingiuntivo emesso dal giudice dell'esecuzione comprendono non solo quelle relative alle operazioni materiali, ma anche quelle di difesa tecnica (Cass., 26 maggio 2003, n. 8339, REF 2004, 444, nota M. Farina, Le spese giudiziali nel processo di esecuzione forzata di obblighi di fare e non fare. Una lettura costituzionalmente orientata della Cassazione dell'art. 614 c.p.c.).

Cass., 20 luglio 2016, n. 14961 ha poi affermato che l'opposizione al decreto rientra tra i procedimenti soggetti alla regola dell'esclusione dalla sospensione feriale dei termini prevista dagli artt. 1 e 3 della l. n. 742/1969 e art. 92 ord. giud. perché si tratta di domanda ordinata al sollecito ristoro delle anticipazioni alle quali il creditore è stato costretto dall'inadempimento del debitore e dunque sono di completamento per l'effettiva tutela delle sue ragioni.

Quanto al possibile oggetto dell'opposizione, Cass. 3 dicembre 2009 n. 253394 ha considerato che, come nelle spese liquidate con il decreto sulla base della nota vistata dall'ufficiale giudiziario rientrano quelle anticipate dalla parte istante e pagate al prestatore d'opera, così la parte che ha subito l'esecuzione può contestarne l'ammontare, peraltro in confronto del proprio creditore e non del prestatore d'opera, che può essere invece chiamato in giudizio dalla parte istante per far accertare nei rapporti tra loro il giusto compenso; Cass., 15 novembre 1993, n. 11270 aveva in precedenza affermato che l'opposizione può ben investire la congruità delle spese e la loro effettiva sopportazione.

Decidendo in tema di esecuzione per consegna e rilascio, Cass. 15 maggio 2007 n. 11197 (FI 2008, I, 1607, nota Porreca, Brevi considerazioni sulla condanna alle spese nell'ordinanza di convalida di sfratto), ha poi affermato che se al precetto segue lo spontaneo adempimento, per il recupero degli onorari e diritti relativi alla notificazione del titolo esecutivo e del precetto va proposta domanda nelle forme del giudizio ordinario.

La conclusione del processo esecutivo e i suoi effetti

Cass. 31 ottobre 2014 n. 23182 ha affermato che «Nel processo di esecuzione di obblighi di fare o di non fare, dal principio di irretrattabilità dei risultati del processo esecutivo discende la definitività della constatazione di chiusura della procedura esecutiva, contenuta nel verbale delle operazioni dell'ufficiale giudiziario, compiute in ottemperanza all'ordinanza del giudice dell'esecuzione, sempreché il verbale e l'ordinanza non siano stati impugnati per vizi concernenti la non conformità di quanto eseguito o disposto rispetto al titolo esecutivo. Ne consegue che, sopravvenuta la definitività della constatazione della chiusura della procedura esecutiva, al creditore procedente, che pure ritenga non perfettamente eseguito il comando giudiziale, resta preclusa la facoltà di azionare ulteriormente il medesimo titolo esecutivo».

Riferimenti
  • Borrè, Esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, Napoli, 1966;
  • Bruschetta E., Studi per una teoria dell'esecuzione forzata degli obblighi di fare e non fare, REF 2012, 124;
  • CEA, Il controllo dei provvedimenti nell'interesse della prole e dei coniugi e la fine della guerra dei vent'anni, FI 2014, I, 2782;
  • Fabiani, Orientamenti giurisprudenziali sull'art. 612 c.p.c., nota a Cass. 10 aprile 1992 n. 4407, FI 1994, I, 2864;
  • Fabiani, Osservazione a Cass. 1 febbraio 2001, n. 1071, FI 2001, I, 1027;
  • Fabiani, Osservazione a Cass. 12 maggio 2003, n. 7198, 25 marzo 2003 del n. 4377, Cass., 18 marzo 2003 del n. 3992, Cass. 18 marzo 2003 del n. 3990. FI 2003, 2033;
  • FORTIERI, L'esecuzione forzata di obblighi di fare e non fare, in Codice commentato delle esecuzioni civili, diretto da Arieta, De Santis e Didone, Utet giuridica, 2016, pp. 1578 a 1644;
  • Giabardo, Non reclamabilità dei provvedimenti del giudice istruttore ex art. 709, comma 4°, c.p.c., GI 2014, 2725;
  • Giorgetti, Famiglia e diritto 2015, 235, Sono reclamabili i provvedimenti del giudice istruttore, ex art. 707, comma 4, c.p.c., di modifica o di revoca di quelli presidenziali?
  • MERLIN, Questioni in tema di oggetto del giudizio di opposizione all'esecuzione, di eccezione di compensazione in sede esecutiva e di interpretazione del titolo esecutivo giudiziale, nota a Trib. Trento 24 giugno 2004, REF 2005, 165 e 173;
  • PUCCIARIELLO, Dell'esecuzione forzata di obblighi di fare e non fare, in Commentario del Codice di procedura civile, diretto da Comoglio, Consolo, Sassani e Vaccarella, VII, Tomo primo, Torino, 2014, pp. 87 a 137;
  • SOLDI, Manuale dell'esecuzione forzata, Padova 2012, 1114 e ss.;
  • Vullo, Artt. 706-711, Codice di procedura civile commentato, diretto da Claudio Consolo, IV ed, artt. 833-840, Milano, 2010.
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