Sospensione dell’esecuzioneFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 615
02 Luglio 2019
La sospensione disposta ex lege: nozione
Analogamente a quanto avviene nel processo di cognizione, anche la sospensione del processo esecutivo provoca un arresto della sequenza degli atti processuali; sicché, qualora l'esecuzione forzata sia stata sospesa, non può essere compiuto alcun atto esecutivo, a norma dell'art. 626 c.p.c., salvo diversa disposizione del g.e. A questo riguardo, una precisazione si impone: a differenza della sospensione del processo di cognizione disposta per ragioni di pregiudizialità (ferma l'ipotesi di sospensione su accordo delle parti ex art. 296 c.p.c.), la sospensione dell'esecuzione avviene solitamente per ragioni di opportunità. A tale principio fanno eccezione le ipotesi di sospensione disposta dalla legge – a causa della evidente analogia con il rapporto di pregiudizialità – come, ad esempio, la sospensione dell'espropriazione dei beni indivisi fino alla definizione del giudizio di divisione ex art. 601, comma 1, c.p.c. Si tratta cioè della cd. sospensione esterna disposta ex lege, espressamente regolata dall'art. 623 c.p.c. ed alla medesima disciplina va ricondotta la sospensione conseguente alla proposizione di una domanda di concordato preventivo ex art. 168 l. fall. ovvero, ancora, in caso di accordo di ristrutturazione dei debiti a norma dell'art. 182-bis, comma 3, l. fall. In linea generale può dirsi che il provvedimento con cui il giudice dell'esecuzione dispone la sospensione cd. esterna ha contenuto meramente dichiarativo, in quanto si limita alla mera presa d'atto della vicenda esterna (rispetto all'esecuzione) e dei suoi effetti sulla procedura. Accanto alla sospensione disposta dalla legge, il combinato disposto degli artt. 615 e 623 c.p.c. consente di qualificare come esterna anche la sospensione disposta dal giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo. Il riferimento è chiaramente alle fattispecie di impugnazione, in senso proprio, dei provvedimenti già esecutivi ma, non ancora, divenuti cosa giudicata. Rientrano, pertanto, nella fattispecie di cui all'art. 623 c.p.c. i casi regolati dalle seguenti norme: 1) art. 283 c.p.c., laddove prevede il potere sospensivo in capo al giudice di secondo grado in pendenza di appello; 2) art. 373 c.p.c., nella parte in cui riconosce il potere sospensivo al giudice di secondo grado in pendenza di ricorso per cassazione; 3) art. 401 c.p.c., che attribuisce il potere sospensivo al giudice della revocazione; 4) art. 407 c.p.c., secondo cui anche il giudice dell'opposizione di terzo è titolare del potere di sottrarre al provvedimento l'efficacia esecutiva; 5) art. 431 c.p.c., in forza del quale il giudice del lavoro può sospendere le sentenze di condanna a favore del lavoratore quando da queste può derivare all'altra parte gravissimo danno; 6) art. 649 c.p.c., secondo il quale il giudice può sospendere l'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo; 7) art. 668 c.p.c., che riconosce al giudice dell'opposizione all'intimazione di licenza o di sfratto il potere di sospendere l'efficacia esecutiva del titolo. Accanto alle norme ora richiamate va, da ultimo, collocato l'art. 615, comma 1, c.p.c. che, in seguito alla riforma del 2006, conferisce espressamente al giudice dell'opposizione a precetto (che di conseguenza finisce per essere considerato alla stregua del giudice dell'impugnazione) il potere di sospendere l'efficacia esecutiva del titolo (v. M. Nardelli, Sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo, su www.ilProcessoCivile.it). Gli effetti della sospensione esterna sulla esecuzione pendente
In tutte queste ipotesi la sospensione disposta dal giudice nell'impugnazione comporta non solo l'impossibilità di proseguire l'esecuzione già iniziata, ma impedisce all'avente diritto di intraprendere qualsiasi forma di esecuzione con la precisazione che, laddove il precetto sia stato già notificato, il termine di cui all'art. 481 c.p.c. è destinato a rimanere, di fatto, sospeso.
Riguardo all'impugnazione del provvedimento di sospensione ex art. 623 c.p.c. si ritiene che esso non sia soggetto a reclamo ma ad opposizione agli atti esecutivi, non avendo natura, né funzione cautelare (B. Capponi, Ri-sospensione dell'esecuzione, in Riv.es. forz., 2014, 586, nota critica ad App. Torino, 27 settembre 2013). Tuttavia la giurisprudenza di legittimità ha di recente sostenuto che il potere di sospensione cd. esterna, relativo cioè all'esecutività intrinseca del titolo azionato e devoluto al giudice del processo in cui esso si è formato può coesistere con quello di sospensione cd. interna, relativo cioè alla singola procedura esecutiva intrapresa sulla base di uno specifico titolo esecutivo. Ciò in quanto il giudice della procedura esecutiva è l'unico titolare del potere di sospenderla in concreto.
Le conclusioni raggiunte dalla Corte consentono di mettere meglio a fuoco il rapporto tra sospensione disposta dal giudice dell'impugnazione e quella dichiarata dal g.e. ed i rispettivi poteri. A ben guardare si tratta di poteri indipendenti, basati su presupposti diversi e regolati da specifiche discipline. Sicché nulla esclude che laddove il giudice dell'impugnazione abbia negato la sospensione, il debitore possa proporre opposizione (nei limiti in cui ciò è consentito) e chiedere al g.e. di provvedere sulla nuova istanza di sospensione. Va tenuto presente, infatti, che per consolidato e uniforme indirizzo giurisprudenziale, con l'opposizione all'esecuzione fondata su titolo giudiziale il debitore non può sollevare eccezioni inerenti a fatti estintivi o impeditivi anteriori a quel titolo, i quali sono deducibili esclusivamente nel procedimento preordinato alla formazione del titolo medesimo (Cass. civ., 19 dicembre 2006, n. 27159). Il g.e. non può mai sospendere l'efficacia esecutiva del titolo ma, a norma dell'art. 624 c.p.c., la sola esecuzione , mentre il giudice davanti al quale è impugnato il titolo (il giudice dell'impugnazione, quello dell'opposizione a precetto o il giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo) può sospendere sia l'efficacia esecutiva del titolo, sia l'esecuzione (B. Capponi, Manuale di diritto dell'esecuzione civile, Torino 2016, 457). Laddove l'esecuzione si svolga tra un creditore munito di titolo ed il debitore la caducazione definitiva del titolo comporta l'improcedibilità dell'esecuzione, con conseguente inefficacia degli atti esecutivi compiuti; di contro la conferma della efficacia esecutiva del titolo determina la prosecuzione della procedura esecutiva, a seguito di un'istanza di riassuzione ex art. 627 c.p.c.
Discorso diverso va fatto in caso di intervento di altri creditori muniti di titolo esecutivo. In questa ipotesi gli effetti della sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo del creditore procedente sono stati indagati dalle Sezioni unite della Corte di cassazione. Secondo la Corte la regola che vuole il titolo esecutivo dall'inizio alla fine della procedura va intesa nel senso che essa non presuppone necessariamente la continuativa sopravvivenza del titolo del creditore procedente, bensì la costante presenza di almeno un valido titolo esecutivo che giustifichi la perdurante efficacia dell'originario pignoramento. Sicché, qualora, dopo l'intervento di un creditore munito di titolo, sopravviene la caducazione del titolo esecutivo comportante l'illegittimità dell'azione esecutiva intrapresa dal creditore procedente, il pignoramento, se originariamente valido, rimane valido, bensì resta quale primo atto dell'iter espropriativo riferibile anche al creditore titolato intervenuto, che anteriormente ne era partecipe accanto al creditore pignorante (Cass. civ., Sez. Un., 7 gennaio 2014, n. 61; contra Cass. civ. 13 febbraio 2009, n. 3531). Tuttavia le Sezioni Unite hanno subordinato la legittimazione alla prosecuzione del giudizio alla sussistenza – non alternativa - di due diverse condizioni. Ed infatti, l'intervento consente al creditore con titolo di proseguire l'espropriazione a condizione che: i) l'azione esecutiva del creditore procedente si sia arrestata dopo l'intervento; ciò in quanto senza un valido pignoramento sul quale innestare l'atto di intervento, il processo viene caducato ex tunc, salva l'applicazione dell'art. 187-bis disp. att. c.p.c.; ii) il difetto del titolo del creditore procedente sia sopravvenuto, perché se originario impedirebbe ai creditori intervenuti con titolo la legittima prosecuzione del processo. Resta da dire che l'eventuale sospensione parziale del titolo esecutivo non consente la sospensione del processo esecutivo che prosegue limitatamente al credito per il quale il titolo ha conservato efficacia.
L'art. 624 c.p.c. attribuisce al g.e. il potere di sospendere la procedura davanti a sé pendente – a seguito dell'opposizione di cui agli artt. 615 e 619 c.p.c. – enunciando che a ciò provvede, concorrendo gravi motivi; tuttavia, in caso di competenza del giudice di pace prevale in dottrina la tesi che la domanda vada proposta in tribunale (R. Oriani, La sospensione dell'esecuzione (sul combinato disposto degli artt. 615 e 624 c.p.c.), in Riv. es. forz., 2006, 228). L'art. 624 non contiene alcun riferimento all'opposizione agli atti esecutivi; in tale particolare ipotesi è, infatti, l'art. 618 c.p.c. ad attribuire al g.e. il potere di pronunciare i provvedimenti che ritiene indilazionabili ovvero di sospendere la procedura. Il presupposto per la sospensione dell'esecuzione è, dunque, la proposizione di un ricorso ex art. 615, comma 2, c.p.c., ovvero 617, comma 2, c.p.c., o infine ai sensi dell'art. 619 c.p.c.; va chiarito che la sospensione non è una conseguenza obbligatoria ed automatica della proposizione dell'opposizione, né può essere disposta d'ufficio dal g.e. Anche se può essere concessa «in vista della proposizione di un giudizio di opposizione» (Cass. civ., 23 maggio 1997, n. 4604), o, in caso di rischi irreversibili, inaudita altera parte (Cass. civ., 9 luglio 2008, n. 18856), l'istanza di sospensione è solitamente vagliata nel rispetto del principio del contraddittorio. Quanto ai presupposti – integrati dai gravi motivi richiesti dall'art. 624 c.p.c. – va precisato che il g.e. verifica la sussistenza del fumus boni iuris: dispone cioè la sospensione, con cauzione o senza, se ritiene fondata l'opposizione con cui si deduce il venir meno della pretesa dell'istante – si ripete – per fatti impeditivi, modificativi o estintivi, successivi al formarsi del titolo esecutivo ovvero in relazione a questioni di illegittimità della procedura esecutiva. Quanto al periculum va detto che è in concreto integrato dalla stessa pendenza dell'esecuzione e che al giudice è affidato il compito di valutare l'interesse dell'istante a conseguire il diritto contenuto nel titolo e quello dell'esecutato a non subire un'esecuzione ingiusta. Occorre poi chiarire che una erronea valutazione del g.e. (o del collegio in sede di reclamo) in ordine alla sospensione in pendenza di opposizione non può determinare la perdita del diritto del debitore opponente di vedere riconosciuta l'inesistenza dell'azione esecutiva ovvero l'irregolarità degli atti esecutivi e l'inefficacia degli stessi: si tratta di un principio consolidato, affermato in più occasioni dalla giurisprudenza di legittimità.
L'accoglimento dell'opposizione non comporta l'automatica sospensione dell'esecuzione; è il caso della cd. sospensione parziale, fenomeno che si verifica ogni volta che la somma indicata nel precetto sia superiore a quella effettivamente dovuta (R. Oriani, Opposizione all'esecuzione, in Dig. civ., XII, Torino 1959, 589); ovvero quando il pignoramento abbia colpito beni in parte di proprietà di terzi oppure impignorabili. Discorso in parte diverso va fatto per l'accoglimento dell'opposizione agli atti perché ben può accadere che il vizio denunciato ex art. 617 c.p.c. non conduca alla sospensione della procedura ma solo alla rinnovazione dell'atto viziato. In termini più generali, si può dire che la funzione della sospensione nell'opposizione all'esecuzione è quella di coordinare l'esecuzione forzata con l'esito del giudizio di cognizione; nella opposizione di terzo la sospensione impedisce che il bene sia venduto a terzi, fintanto che non sia accertata l'effettiva titolarità del diritto pignorato in capo al debitore, e le va riconosciuta natura «conservativa». Il procedimento di sospensione e la natura cautelare
Il provvedimento di sospensione deve essere emesso con ordinanza, dopo aver sentito le parti ex art. 625, comma 1, c.p.c., nella prima udienza dell'opposizione, nel rispetto dell'art. 185 disp.att. c.p.c. Nei casi urgenti il g.e. può provvedere con decreto che deve contenere la data dell'udienza per attuare il contraddittorio delle parti, in seguito alla quale viene pronunciata ordinanza che conferma revoca o modifica il decreto emesso inaudita altera parte. Se in passato si riteneva che l'ordinanza di sospensione fosse revocabile e modificabile, la formulazione dell'art. 624, comma 2, c.p.c., successiva alla riforma del 2006, nella parte in cui sancisce la reclamabilità del provvedimento ex art. 669-terdecies c.p.c. ha indirettamente affermato l'irrevocabilità e l'immodificabilità del provvedimento, soggetto ad uno specifico mezzo di impugnazione, che ha concesso o negato la sospensione. In seguito alla novella del 2006 dottrina e giurisprudenza sono soliti riconoscere natura cautelare al provvedimento che sospende il processo esecutivo; pertanto anche l'art. 669-decies c.p.c., laddove prevede il potere del giudice di modifica o revoca dell'ordinanza cautelare (se si verificano mutamenti delle circostanze o si alleghino fatti anteriori ignoti), consente al medesimo g.e. di modificare o revocare la sospensione nei limiti di cui all'art. 669-decies c.p.c.
Quel che di sicuro si può dire è che quando la sospensione – negata in prima battuta dal g.e. – sia stata concessa dal collegio, investito del reclamo, non sembra che il g.e. abbia il potere di revocarla se non in presenza di circostanze sopravvenute. La natura cautelare deriverebbe, a ben guardare, dalla funzione propria della sospensione, di evitare che la prosecuzione di un'esecuzione ingiusta provochi un pregiudizio irreparabile al debitore, secondo lo schema noto della tutela cautelare. Non a caso, prima della riforma del 2005, la giurisprudenza aveva sopperito alla lacuna normativa della sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo in occasione dell'opposizione al precetto, con il ricorso alla tutela cautelare atipica ex art. 700 c.p.c. (fr. R. Oriani, L'imparzialità del giudice e l'opposizione agli atti esecutivi, in Riv. es. forz., 2001, 16 ss.). Una conferma della natura cautelare è in parte fornita espressamente dal dato normativo che oggi individua il reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. quale rimedio esclusivo contro il provvedimento che dispone (o nega) la sospensione del processo esecutivo e dal terzo comma dell'art. 624 c.p.c. che attua un meccanismo di estinzione del processo esecutivo, riportando in sede esecutiva la c.d. strumentalità attenuata introdotta dal legislatore del 2005 per le misure cautelari a contenuto anticipatorio (G. Olivieri, Riforma del procedimento cautelare, reclamabilità dell'inibitoria e opposizione all'esecuzione, in Giusto proc. civ., 2007, 29 ss.). Ferma la funzione lato sensu cautelare della sospensione dell'esecuzione, la particolare attitudine a raccordare l'esecuzione alle opposizioni, nonché particolari dati normativi costituiscono, tuttavia, elementi sufficienti per riconoscere al procedimento di sospensione una propria autonoma disciplina. Al riguardo basti segnalare che l'udienza di comparizione (v. art. 185, disp. att., c.p.c.), ovvero la c.d. prima fase sommaria è regolata dalle disposizioni comuni ai procedimenti camerali (v. artt. 737 e ss. c.p.c.); sicché le modalità di instaurazione del contraddittorio, i poteri istruttori del giudice (v. art. 738, comma 3, c.p.c.) e altri profili procedimentali non direttamente desumibili dalla disciplina positiva possono essere tratti dagli artt. 737 e ss. c.p.c. Si aggiunga che l'unica disposizione del procedimento cautelare espressamente richiamata dal comma 2 dell'art. 624 c.p.c., è l'art. 669-terdecies c.p.c. (ciò da un lato costituisce – come detto – un innegabile appiglio per applicare le altre disposizioni contenute negli artt. 669-bis e ss., dall'altro è espressione della volontà del legislatore di rinviare soltanto a quella norma; per le disarmonìe del sistema ed i dubbi sull'effettiva natura cautelare della sospensione v. Capponi, Manuale di diritto dell'esecuzione civile, cit., 462). Tornando al procedimento: l'ordinanza del g.e., sia essa di accoglimento sia di rigetto, è reclamabile per qualunque tipo di censura al collegio (dalla cui composizione è escluso il giudice dell'esecuzione che ha emesso la decisione); non sembra invece reclamabile il decreto emesso inaudita altera parte. Se di accoglimento, l'ordinanza collegiale sostituisce la decisione reclamata. Il provvedimento che decide sul reclamo è inimpugnabile. A questo punto si impone una precisazione: in base all'art. 624, comma 2, c.p.c., l'ordinanza che decide della sospensione è sempre reclamabile per espressa previsione normativa ogni volta che il provvedimento sia adottato nell'ambito delle opposizioni di merito (artt. 615, comma 2, e 619 c.p.c.); per il provvedimento sulla sospensione adottato nell'ambito dell'opposizione agli atti esecutivi, il legislatore ha previsto una generale clausola di compatibilità e l'art. 624, comma 4, c.p.c. ha esteso l'applicabilità del meccanismo che conduce all'estinzione anche alla sospensione disposta ex art. 618 c.p.c., senza però richiamare mai la disciplina del reclamo. Ai dubbi della dottrina – determinati dalla approsimativa formulazione del dato normativo – sulla legittimità del reclamo (del provvedimento sulla sospensione adottato dal g.e in sede di opposizione agli atti esecutivi), ha replicato la giurisprudenza di legittimità con diverse decisioni.
Lasciando da parte i problemi interpretativi inerenti alla versione precedente, il vigente art. 624, comma 3, c.p.c., prevede che, in caso di sospensione, «se l'ordinanza non viene reclamata o viene confermata in sede di reclamo, e il giudizio di merito non è stato introdotto nel termine perentorio assegnato ai sensi dell'art. 616, il g.e. dichiara, anche di ufficio, con ordinanza, l'estinzione del processo e ordina la cancellazione della trascrizione del pignoramento, provvedendo anche sulle spese. L'ordinanza è reclamabile ai sensi dell'art. 630, terzo comma». Provando a ricostruire la disciplina si può affermare che nella prima udienza dell'opposizione il g.e. provvede sulla sospensione ed assegna un termine perentorio per la prosecuzione nel giudizio di merito. Laddove tale giudizio (vale a dire la fase successiva ed eventuale dell'opposizione) non venga introdotto nel termine assegnato, il g.e., anche d'ufficio, dichiara l'estinzione del processo esecutivo, posto che la sospensione si è stabilizzata convertendosi in estinzione.
Disposta la sospensione possono, dunque, verificarsi due diversi esiti: i)se nel termine perentorio fissato dal g.e. una delle parti introduce la fase di merito (del giudizio di opposizione) l'espropriazione resta sospesa fino alla sentenza che decide l'opposizione; ovvero ii) se nessuna delle parti introduce il merito la sospensione determina, anche d'ufficio, l'estinzione dell'espropriazione. Pur nel silenzio della norma, alla sospensione disposta dal g.e. va equiparata la sospensione disposta dal collegio in sede di reclamo contro il provvedimento che aveva negato la sospensione, in quanto l'ordinamento processuale non prevede nessun altro provvedimento idoneo a rimuovere quello sommario sulla sospensione che, conseguentemente, si sarà stabilizzato (tuttavia, per Trib. Milano, 3 marzo 2016, in www.eclegal.it. se nessuna delle parti introduce il giudizio di merito di opposizione, nel caso di accoglimento del reclamo avverso l'ordinanza di rigetto dell'istanza di sospensione, l'esecuzione non si estingue e il collegio deve concedere un nuovo termine per l'introduzione del giudizio di merito; e per Trib. Campobasso, 13 maggio 2013, in Riv. es. forz., 2013, 744, con nota critica di R. Vaccarella, Estinzione del giudizio di opposizione all'esecuzione e sorte dell'ordinanza di sospensione, l'estinzione si produce soltanto in caso di mancata introduzione del giudizio di opposizione e non anche in caso di estinzione del giudizio tempestivamente introdotto).
Il provvedimento di estinzione riveste le forme dell'ordinanza. Il g.e., dopo la scadenza del termine perentorio previsto dall'art. 616 c.p.c., dispone, quindi, la comparizione delle parti e dichiara estinta la procedura esecutiva, dopo aver verificato la regolare instaurazione del contraddittorio e, da un punto di vista sostanziale, la sussistenza del presupposto per la estinzione costituito dalla mancata introduzione della causa di merito. L'art. 624, comma 3, c.p.c. prevede, sulla scorta di quanto previsto dall'art. 632 comma 1 c.p.c., che con la ordinanza di estinzione il g.e. dispone la cancellazione della trascrizione del pignoramento, provvedendo anche sulle spese. La disciplina dell'estinzione a seguito della sospensione è, quindi, quella prevista in via generale dall'art. 632 c.p.c. e il giudice dell'esecuzione, ove necessario, liquida i compensi spettanti agli ausiliari ed al delegato ex art. 591-bis c.p.c., ponendoli a carico dei creditori istanti.
Pur non essendo stata riprodotta dal legislatore del 2009 la formulazione dell'art. 624, comma 3, c.p.c. sulla salvezza degli atti compiuti, tale principio sembra rimanere immutato in forza degli artt. 632, comma 2 c.p.c. e 187-bis disp. att. c.p.c., per i quali l'estinzione non interferisce con l'assegnazione o l'aggiudicazione del bene nel frattempo già disposte. Rimane fermo che la suddetta ordinanza di estinzione è reclamabile ai sensi dell'art. 630, comma 3, c.p.c. Non solo. La precedente formulazione dell'art. 624, comma 3, c.p.c. disponeva che l'autorità della ordinanza di estinzione «non è invocabile in un diverso processo»; la norma attuale nulla prevede al riguardo. Ciononostante si ritiene comunemente che gli effetti del provvedimento di sospensione sono limitati al procedimento esecutivo nel quale è pronunciato, senza influire su altri procedimenti tra le stesse parti (Cass. civ., 27 marzo 2009, n.7537; Cass. civ., 26 giugno 1993, n. 7089). Gli effetti della sospensione
In pendenza della sospensione del processo, l'art. 626 c.p.c. vieta – come anticipato – il compimento di alcun atto esecutivo, salva l'ipotesi in cui il g.e. disponga diversamente; in breve, al giudice sono consentiti soltanto quegli atti necessari e/o opportuni tendenti alla conservazione o all'amministrazione dei beni pignorati: il giudice può, quindi, nominare un amministratore o autorizzare la liberazione del bene pignorato, la conversione del pignoramento, la limitazione dei mezzi di espropriazione ex art. 483 c.p.c. o la sostituzione del custode. È, dunque, evidente che durante il periodo in cui l'esecuzione è sospesa, il giudice dell'esecuzione non è privo di giurisdizione; per questa ragione la questione concernente la validità degli atti nel frattempo compiuti non può essere oggetto di regolamento di giurisdizione ma di opposizione agli atti esecutivi (principio risalente a Cass. civ., 7 maggio 1973, n. 1195 in Giust. civ., 1973, I, 874). Quanto ai limiti temporali, gli effetti della sospensione si producono sempre con efficacia ex nunc: operano cioè dal giorno dell'emanazione del provvedimento sospensivo, senza interessare l'efficacia e la validità degli atti già compiuti, che può essere superata soltanto a fronte di un accertamento che attesti l'infondatezza della pretesa azionata (art. 336, comma 2, c.p.c.) ovvero dalla sentenza che accoglie l'opposizione. Il suddetto divieto è, inoltre, destinato a cessare, allorquando venga rigettata l'opposizione o si estingua il relativo giudizio.
La riassunzione del processo esecutivo
Le forme ed i termini di riassunzione dell'esecuzione – a seguito del venir meno della fase di quiescenza – sono disciplinate dall'art. 627 c.p.c. L'atto di impulso è integrato da un ricorso avente la forma-contenuto di cui all'art. 125 c.p.c., da compiere nel termine perentorio, solitamente indicato dal giudice nel provvedimento che disponeva la sospensione. In mancanza, il processo esecutivo va riassunto nel termine perentorio di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado o dalla comunicazione della sentenza d'appello che rigetta l'opposizione. Qualora il termine perentorio sia stato indicato dal giudice, occorre tenere presente la regola secondo la quale questo non può essere inferiore ad un mese e superiore a tre (art. 307, comma 3, c.p.c.). Diverse sono le questioni sulla individuazione del momento a partire dal quale la sospensione può considerarsi cessata. Alla luce della natura cautelare del provvedimento sospensivo, si può sostenere che la sentenza di primo grado, provvisoriamente esecutiva, di rigetto dell'opposizione, renda inefficace (ex art. 669-novies, comma 3, c.p.c.) l'ordinanza di sospensione; a ritenere diversamente sarebbe necessario il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado (o la comunicazione della sentenza di appello che rigetta l'opposizione), con il rischio di far prevalere l'accertamento sommario che ha portato alla pronuncia del provvedimento di sospensione, a discapito dell'accertamento reso dalla sentenza di primo grado sull'opposizione, non ancora divenuta cosa giudicata formale.
Contro il provvedimento adottato dal giudice sulla istanza di riassunzione può proporsi opposizione agli atti esecutivi. Se, tuttavia, viene proposta una istanza di estinzione della procedura per mancata riassunzione della stessa nei termini, il provvedimento adottato dal giudice deve essere impugnato con un reclamo ex art. 630 c.p.c.
Bussole di inquadramento |