L'assegnazione della casa coniugale in Italia e in Europa
29 Aprile 2019
Il quadro normativo italiano
Per casa coniugale si intende l'immobile, comprensivo dei beni mobili presenti, finalizzato alla esistenza domestica della famiglia, il luogo, cioè, ove viene stabilito l'habitat domestico, il centro di interessi in cui si esprime ed articola la vita familiare. La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 454/1989, ha statuito che il giudice della separazione non realizza tanto un titolo di legittimazione ad abitare per uno dei coniugi, quanto conserva la destinazione dell'immobile con il suo arredo nella funzione di residenza familiare: effetto principale del provvedimento di assegnazione è pertanto quello di stabilizzare, a tutela della prole minorenne (o anche di quella maggiorenne non ancora autosufficiente senza la propria colpa), la preesistente organizzazione che rinviene nella casa familiare il suo momento di aggregazione ed unificazione, escludendo uno dei coniugi da tale cotesto e concentrando la detenzione in favore, oltre che della prole, dell'altro coniuge. Il diritto all'assegnazione della casa coniugale spetta al genitore con cui convivono i figli minorenni o maggiorenni non autonomi conviventi, e ciò indipendentemente dal fatto che sia o meno titolare di un diritto reale o personale di godimento sull'immobile. In materia di separazione e divorzio, il disposto all'art. 155quater c.c., come introdotto dalla l. 8 febbraio 2006, n. 54, con l'esplicito riferimento all'interesse dei figli conferma che il godimento della casa familiare è finalizzato alla tutela della prole in genere e non più all'affidamento dei figli minori, mentre, in assenza di prole, il titolo che giustifica la disponibilità della casa familiare, sia esso un diritto di godimento o un diritto reale, del quale sia titolare uno dei coniugi o entrambi, è giuridicamente irrilevante, ne consegue che il giudice non potrà adottare con la sentenza di separazione un provvedimento di assegnazione della casa coniugale (Cass. civ. sez. I, 24 luglio 2007, n. 16398. Conformi: Cass. civ. sez. I, 22 marzo 2007, n. 6979; Cass. civ. n. 18440/2013). In caso di divorzio, l'art. 6, l. n. 898/1970, al comma 6 recita: «L'abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età. In ogni caso ai fini dell'assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole». Si aggiunga a ciò, che le Sezioni Unite sono intervenute con sentenza n. 11297/1995, risolvendo un contrasto giurisprudenziale manifestatosi anche in sede di legittimità affermando che «anche nel vigore della l. 6 marzo 1987 n. 74, il cui art. 11 ha sostituito l'art. 6 l. 1 dicembre 1970 n. 898, la disposizione del comma 6 di quest'ultima norma, in tema di assegnazione della casa familiare, non attribuisce al giudice il potere di disporre l'assegnazione a favore del coniuge che non vanti alcun diritto - reale o personale - sull'immobile e che non sia affidatario della prole minorenne o convivente con figli maggiorenni non ancora provvisti, senza loro colpa, di sufficienti redditi propri» (Cass. civ. sez. un., 28 ottobre 1995, n. 11297, in Arch. civ. 1996, 455). Unico parametro, sia in caso di separazione che in caso di divorzio, applicabile dal giudice al fine di assegnare la casa coniugale è, in primo luogo, la tutela della prole e dell'interesse di questa a permanere nell'ambiente domestico e, in mancanza di prole, rinvio alla normativa relativa alla proprietà o al possesso. La matrimonial home, denominata indifferentemente anche family home o dwelling house costituisce, nella fase fisiologica della vita familiare, il centro degli affetti nonché un elemento fondamentale del patrimonio della famiglia; essa viene così definita nel Family Law Act del 1996 sez. 63. Inoltre la sezione 63 dell'Act dispone che, al fine dell'individuazione della casa familiare, i coniugi abbiano posto su di essa un vincolo di destinazione, intendendo fruirne, in continuità di matrimonio, in qualità di matrimonial home of theirs. Nelle ipotesi di separazione, divorzio o rottura delle civil partnership spetta al giudice disporre, nell'ambito della regolazione dei rapporti economici, la divisione dei matrimonial assets, ovvero dei beni acquistati in continuità di matrimonio, tra i quali rientra sempre la family home, a prescindere da quando e da come essa sia stata acquistata; data l'ampia discrezionalità lasciata alle Corti negli ordinamenti di common law nella ripartizione dei beni della famiglia, i provvedimenti giudiziari non necessariamente effettueranno una suddivisione matematica degli stessi ed in certe ipotesi, tenuto conto delle necessità del caso concreto, della durata del rapporto affettivo e del contributo apportato alla famiglia da ciascun membro, potranno disporre il frazionamento anche dei non matrimonial assets. Quanto alla sorte della casa familiare, essa potrà essere assegnata ad uno dei due coniugi, al quale potrà essere anche trasferita in proprietà malgrado lo stesso non ne sia comproprietario, oppure potrà essere venduta con lo scopo di ottenere un capitale che sarà poi diviso per l'acquisto di nuove soluzioni abitative. In ogni caso, i giudici, valutano discrezionalmente le necessità concrete e attuali della famiglia. In tal senso le decisioni sulla casa familiare verranno prese nell'ambito di un'ampia analisi che verterà su tutti gli aspetti dei rapporti patrimoniali della family, realizzando, così, un approccio, molto diverso dalla realtà dell'ordinamento italiano, in cui prima vengono assunti i provvedimenti relativi al mantenimento della prole e all'assegnazione dell'abitazione e solo successivamente vengono effettuati lo scioglimento della comunione legale e la divisione patrimoniale. Nell'ordinamento spagnolo, proprio come in quello italiano e nelle altre legislazioni europee, l'assegnazione della casa familiare costituisce una delle questioni maggiormente rilevanti in sede di separazione o divorzio. L'art. 96 del código civil spagnolo, nell'ambito del capitolo IX relativo a los efectos comunes a la nulidad, separación y divorcio, prevede espressamente che, nella fase patologica del rapporto matrimoniale, «in mancanza di accordo dei coniugi approvato dal giudice, il godimento della casa familiare e degli oggetti di uso ordinario spetta ai figli e al coniuge al quale siano affidati. Quando alcuni figli siano affidati a un genitore e i restanti all'altro, il giudice potrà ordinare che il godimento di tali beni spetti al coniuge non titolare, per il tempo stabilito in via prudenziale, sempre che, valutate tutte le circostanze, tale soluzione sia ragionevole e l'interesse del suddetto coniuge sia quello maggiormente meritevole di tutela. Per disporre della casa familiare e dei beni indicati, nel caso di assegnazione al coniuge non titolare, sarà richiesto il consenso di entrambe le parti, o, eventualmente, l'autorizzazione giudiziale». Tale norma va letta in combinato con l'art. 29 della Costituzione spagnola, il quale dispone, tra i principi guida della politica economica e sociale, quello della tutela della famiglia, in particolar modo con riferimento ai bambini, siano essi nati dentro o fuori il matrimonio, i quali hanno diritto ad aiuto ed assistenza durante tutta la minore età. Tra le maggiori differenze tra l'ordinamento italiano e quello spagnolo vi è la previsione, di cui all'art. 96, comma 3, código civil, in cui si prevede espressamente, seppur in via di eccezionalità, la possibilità che, anche in assenza di figli, l'abitazione possa essere goduta, per un tempo determinato stabilito prudentemente dal giudice e valutate le circostanze di necessità del caso concreto, dal coniuge maggiormente meritevole di tutela. In capo a quest'ultimo spetta l'onere della prova circa l'assenza di autonomia economica, tale da non permettere il reperimento e godimento di un'autonoma e dignitosa soluzione abitativa. Nell'ordinamento francese la casa familiare, secondo quanto disposto dall'art. 215, comma 2, code civil, è il luogo di residenza scelto dai coniugi di comune accordo e, indipendentemente dalla proprietà o comproprietà sulla stessa e dal regime patrimoniale scelto, in continuità di matrimonio i coniugi non possono autonomamente disporre dell'immobile e dei beni in esso contenuti, ad esempio vendendolo o concedendolo in locazione a terzi, senza il consenso dell'altro, secondo quando previsto dal comma 3 della predetta norma. L'ordinamento francese, all'art. 265-2 c.c., permette ai coniugi, durante il procedimento di divorzio, di accordarsi, mediante atto notarile, circa la divisione dei beni della famiglia e, nello specifico, riguardo la sorte della casa familiare, la quale potrà essere trasferita a titolo di piena proprietà, concessa in locazione o in prestito ad uno di essi, oppure alienata a terzi. Nel caso in cui non si pervenga ad alcuna soluzione pacifica e collaborativa, spetta al giudice, valutati l'interesse preminente dei figli e la necessità del coniuge economicamente più debole, assegnare a titolo provvisorio il diritto di abitare nella casa familiare, solitamente disposto a favore del genitore affidatario in via esclusiva o prevalente della prole (art. 255 c.c.). L'art. 285-1 c.c. dispone che «se la casa coniugale appartiene personalmente ad uno dei coniugi, il giudice la può concedere in locazione al coniuge che esercita da solo o in comune la potestà genitoriale sui figli, se questi risiedono abitualmente nella casa e sempre nel loro interesse. Il giudice fissa la durata della locazione e la può rinnovare fino alla maggiore età dei figli. Il giudice può rescindere il contratto di locazione se nuove circostanze lo giustificano». Si configura, in tal modo, il c.d. baile forcé, un affitto forzato che appare disposto maggiormente nell'interesse dei figli alla conservazione dell'habitat domestico, piuttosto che a favore del coniuge non proprietario, il quale dovrà corrispondere un canone di locazione stabilito dal giudice. Inizialmente, il codice civile tedesco, il Bürgerliches Gesetzbuch o BGB, disciplinava espressamente la sorte dell'abitazione coniugale, denominata ehewohnung, in caso di separazione personale dei coniugi, ma non nell'ipotesi di divorzio, la cui regolamentazione era affidata al Regolamento sul trattamento della casa coniugale del 1944. Oggi l'HausratsVO è stato definitivamente abrogato dalla legge di riforma del regime patrimoniale dei coniugi (Gesetz zur Anderung des Zugewinnausgleichs und vormundschaftsrechts) del 2009 e, pertanto, le disposizioni in tema di assegnazione della casa coniugale e di divisione degli altri beni della famiglia, in entrambe le ipotesi di rottura dei rapporti affettivi matrimoniali, trovano un'espressa collocazione nell'ambito del BGB. Il paragrafo 1361(b) del codice civile tedesco, titolato Ehewohnung bei Getrenntleben (casa coniugale in caso di vita separata), al primo comma, dispone espressamente che «se i coniugi vivono separati l'uno dall'altro o se uno di essi vuole vivere separato, un coniuge può pretendere che l'altro gli conceda l'uso esclusivo della casa coniugale o di una parte di essa, qualora questo si renda necessario per evitare un iniquo pregiudizio, in considerazione delle esigenze dell'altro coniuge. Un iniquo pregiudizio può essere determinato se l'interesse dei figli che vivono in casa è pregiudicato». A differenza dell'ordinamento italiano, nel quale la sorte della casa familiare è disposta nell'interesse esclusivo della prole alla conservazione del proprio habitat domestico, nella legislazione tedesca emerge una primaria attenzione ai rapporti tra gli sposi, nell'ottica di evitare che le necessità abitative dell'uno ledano i diritti e i bisogni dell'altro. Ai fini dell'assegnazione della casa familiare, pertanto, il giudice dovrà valutare oggettivamente le condizioni della comunione di vita e, in particolar modo, la possibilità di pervenire ad un accordo di coabitazione tra gli sposi, oppure, in caso contrario, provvedere in favore del coniuge impossibilitato a lasciare l'immobile, tenendo conto anche dell'interesse dei figli alla prosecuzione della vita nella casa a loro familiare. In conclusione
L'opportunità di poter continuare ad abitare nella casa coniugale anche dopo la rottura del rapporto di coppia assume rilevanza per ciascuno degli ex coniugi, non soltanto da un punto di vista prettamente economico ma anche e soprattutto da un punto di vista affettivo e psicologico. Risulta utile conoscere la normativa afferente l'assegnazione della casa coniugale non soltanto del nostro ordinamento, ma anche degli ordinamenti dei maggiori Paesi Europei, al fine di coglierne le principali differenze. Ciò pure in virtù degli oramai innumerevoli rapporti sussistenti tra persone appartenenti a ordinamenti differenti (si pensi alle c.d. coppie multiculturali), che inevitabilmente conducono ad un intreccio tra ordinamenti che necessitano, quanto più possibile, di uniformità, in linea con le inarrestabili riforme del diritto di famiglia a cui tutt'oggi assistiamo. |