Con sentenza n. 387 dell'8/05/2019 il Tribunale di Asti in composizione monocratica, Giudice dott. Claudia Beconi, ha condannato a 6 mesi di reclusione e 6.000 euro di multa il legale rappresentante di un'azienda agricola del cuneese per aver alterato denominazioni di origine di prodotti agroalimentari, nella specie, il vino “Barolo”, poiché effettuava le operazioni di vinificazione delle uve Nebbiolo al di fuori del territorio previsto dal relativo disciplinare di produzione.
La condanna attiene sia a condotte tentate che consumate del delitto previsto dall'art. 517-quater c.p., ed inoltre alla falsa attestazione resa in atto pubblico in riferimento alla dichiarazione nel registro di vinificazione vidimato dal Ministro delle Politiche Agricole e Forestali presso l'Ufficio di Asti relativamente al luogo di svolgimento delle attività di vinificazione e di imbottigliamento, aggravato dal fine di trarne profitto (artt. 483, 61 n. 2 c.p.).
La vicenda processuale. All'esito di articolate indagini, gli operanti del NAS di Alessandria evidenziavano che l'indagato, titolare di un'azienda agricola situata fuori dai confini del territorio autorizzato alla produzione del vino “Barolo” aveva dichiarato di effettuare le operazioni di vinificazione, invecchiamento ed imbottigliamento presso l'azienda agricola del cognato sita in Barolo, dei cui locali disponeva in comodato d'uso gratuito. Per tale sito aveva ottenuto i relativi registri vidimati dall' Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF).
Il processo si svolgeva con rito abbreviato ed il Giudice, ampiamente motivando in tema di valutazione delle prove, perveniva ad una sentenza di condanna ritenendo che «nessuno degli elementi addotti dall'imputato è in grado di confutare il quadro accusatorio».
La qualificazione giuridica dei fatti. Al di là dell'esito processuale definitivo della vicenda nella pendenza dei termini per l'impugnazione, la sentenza in commento suscita interesse nella parte in cui motiva sulla qualificazione giuridica dei fatti essendo la prima pronuncia, per quanto consta, che abbia ritenuto sussistente il delitto punito dall'art. 517-quater c.p..
Il primo elemento esaminato dal Giudice è la riconducibilità del vino “Barolo” ad una denominazione di origine per la quale siano state osservate la normativa interna, comunitaria ed internazionale; tale condizione, è il presupposto per l'applicabilità dell'art 517-quater c.p. per esplicita previsione del comma 4 del medesimo.
Il vino “Barolo” è stato riconosciuto come prodotto DOC con d.P.R. 23/04/1966 e successivamente come DOCG con d.P.R. 1/07/1980; il relativo disciplinare è stato da ultimo aggiornato con d.m. 17/04/2015. Esso prevede, all'art. 5, per quanto qui interessa, che «le operazioni di vinificazione e di invecchiamento obbligatorio devono essere effettuate nella zona delimitata nell'art. 3». Il territorio a ciò deputato è meticolosamente stabilito indicando non solo i comuni ma anche, in seno a questi, precisi confini.
Afferma il Giudice che tale disposizione del disciplinare è stata introdotta, «all'evidenza, per tutelare l'interesse dei produttori a circoscrivere la zona di vinificazione, anche in ottica di valorizzazione della stessa area geografica in cui le uve vengono coltivate». Ad avviso del giudicante si verte senza dubbio nella fattispecie prevista dall'art. 517-quater c.p. e non nella diversa ipotesi dell'art. 517 c.p. aggravato ex art 517-bis c.p. Ciò perchè non si ravvisa nei fatti alcun «comportamento idoneo ad ingannare i consumatori sulle caratteristiche intrinseche del prodotto che, con riguardo alla materia prima utilizzata e della procedura seguita, ha i requisiti per essere classificato come Barolo DOCG». Sul punto si richiama la sentenza della Corte di Cassazione, sez. III n. 28354 dell'8/07/2016 (Rv 267455-01) secondo la quale l'art. 517-quaterc.p. «afferma in maniera esplicita la rilevanza penale della contraffazione e dell'alterazione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari, fornendo una tutela anche più ampia di quella riconducibile all'art. 517 c.p., perché non richiede l'idoneità delle indicazioni fallaci ad ingannare il pubblico dei consumatori, orientando la tutela verso gli interessi economici dei produttori ad utilizzare le indicazioni geografiche o le denominazioni di origine».
La sentenza di legittimità richiamata aveva tuttavia riguardo alla presenza di alcuni vitigni indicati contrariamente al vero in un vino il cui nome non era protetto da alcuna privativa. Per questo la Corte ha ritenuto non ravvisabile la fattispecie prevista dall'art. 517-quater c.p.
In precedenza tuttavia, la stessa Corte di Cassazione aveva inquadrato negli artt. 515, 517-bisc.p. i fatti di vendita di prosciutto San Daniele e prosciutto di Parma le cui attività di affettamento erano avvenute con modalità diverse da quelle del disciplinare (cfr. Cass. Pen, sez III, 21/01/2014 n. 2617 in CED Cassazione penale 2014).
La lunga strada per l'affermazione dell'art. 517-quater c.p.. L'introduzione dell'art. 517-quater c.p., è del 2009, ad opera della l. n. 99/2009 intitolata «diposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese»; in precedenza, tuttavia, le norme codicistiche a tutela dell'industria e del commercio erano già state ampliate con la previsione, fra le altre, dell'art. 517-bis ad opera del d.lgs. n. 507/1999. Tale norma, intitolata “aggravante”, si applica quando le fattispecie previste dagli artt. 515, 516 e 517 c.p. abbiano ad oggetto alimenti o bevande la cui denominazione di origine sia protetta dalle norme vigenti. Fino ad allora le DOP trovavano la loro tutela, anche penale, nelle singole norme che le istituivano come tali. Il d.lgs. n. 507/1999, provvedeva a depenalizzare i reati previsti dalle norme in materia di alimenti contestualmente introducendo l'art. 517-bis c.p.. La nuova disposizione, dunque, si poneva a presidio di tutte quelle violazioni cui in precedenza le leggi speciali conferivano tutela penale.
L'articolo ora menzionato, tuttavia, non richiede che le DOP e le IGT siano istituite in osservanza delle normative interne, comunitarie ed internazionali; tale presupposto, al contrario, è condizione di punibilità dell'art. 517-quater c.p..
Se il legislatore del 2009 ha avvertito l'esigenza di introdurre una norma speciale rispetto all'art. 517-bis c.p. si comprende solo con riguardo a tale presupposto.
Le DOP e le IGT devono la loro esistenza ad un particolare “legame” con il territorio, “comprensivo dei fattori naturali, umani e di tradizione”, come recita l'art. 29 del Codice della proprietà industriale (l. n. 30/2005). Definizioni ancora più pregnanti sono contenute nei Regolamenti Europei CE 1151/2012 e CE 1308/2013.
Tale concetto è, all'evidenza, ben diverso da una generica indicazione di “origine o provenienza”, quale ad esempio quella richiesta dall'art. 515 c.p. in tema di frode nell'esercizio del commercio. In tal senso, ad esempio, la Corte di Cassazione ha ritenuto sussistere il delitto ora menzionato nel caso di un produttore di carne di cui dichiarava la provenienza da allevamenti italiani, contrariamente al vero (cfr. Cass. Pen. sez. III, 22/05/2008 n. 27105, in CED Cassazione penale 2008). Quanto all'art. 517 c.p. il concetto di provenienza ed origine è inteso in senso giuridico, non geografico, ossia di riferibilità ad un determinato produttore.
Non solo, ma l'art. 517-quater c.p. svincola del tutto, al primo comma, la punibilità della condotta dalla vendita, sia nella forma anticipata della detenzione per la vendita che della vera e propria offerta al pubblico. Ciò perché si intende tutelare le DOP in sé e per sé, indentificabili tramite il disciplinare di produzione. Difatti, pur non essendo classificabili come veri e propri marchi, le denominazioni di origine come tali si atteggiano, sia nella formulazione della fattispecie penale, sia perché sono in effetti definite come beni oggetto di proprietà industriale dalla l. n. 30/2005 che ne disciplina anche la modalità di acquisizione su domanda contenente, appunto, il disciplinare di produzione e registrazione nel registro tenuto dalla Commissione Europea.
Non è allora chi non veda la centralità di tale atto che conferisce ad un determinato prodotto la qualifica di DOP o IGT.
Tanto ciò è vero che nell'art. 517-quater c.p. tali qualifiche costituiscono lessicalmente il complemento oggetto, mentre i prodotti agroalimentari sono il complemento di specificazione, al contrario della formulazione sintattica degli art. 515, 516 e 517 c.p..
In tal senso il Giudice del Tribunale di Asti ha colto pienamente il senso della nuova norma così affermando: «la fraudolenta attribuzione della denominazione ad un vino prodotto fuori del territorio consentito lede comunque una disposizione del disciplinare introdotta, all'evidenza, per tutelare l'interesse dei produttori a circoscrivere la zona di vinificazione, anche in ottica di valorizzazione della stessa area geografica in cui le uve vengono coltivate».
Questa interpretazione, che costituisce un quid novis nel panorama giurisprudenziale nazionale, si inserisce pienamente invece in quello comunitario. La Corte di Giustizia dell'Unione Europea si è infatti, recentemente così pronunciata: «Un disciplinare che subordini l'attribuzione dell'IGP, in particolare alla realizzazione dell'affettatura e del confezionamento di un prosciutto nella regione di produzione mira a consentire ai beneficiari di tale IGP di conservare il controllo di una delle forme in cui questo prodotto è presentato sul mercato. Detta condizione che esso pone è intesa ad una miglior salvaguardia della qualità e dell'autenticità di tale prodotto nonché, di conseguenza, della reputazione dell'IGP, di cui i beneficiari si assumono, pienamente e collettivamente, la responsabilità» (cfr. Corte giustizia Unione Europea sez. I, 19/12/2018 n. 367/2017).
In attesa della definitività di una pronuncia in tal senso, possiamo dare un primo benvenuto all'art. 517-quater c.p.
Fonte: Diritto e Giustizia