Fatto nuovo risultante dal dibattimento

10 Gennaio 2017

Il processo è un articolato meccanismo diretto all'accertamento di fatti e delle relative responsabilità: l'area messa a fuoco da questa lente d'ingrandimento è definita dal decreto che dispone il giudizio, ovvero di citazione diretta a giudizio che, a norma degli artt. 429 e 552 c.p.p., devono enunciare in forma chiara e precisa i fatti attribuiti all'imputato. L'imputazione definisce dunque il fatto rispetto al quale l'imputato è chiamato a difendersi e, specularmente, impone al giudice di non pronunciarsi su fatti diversi ed ulteriori: si tratta del principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza enunciato dall'art. 521 c.p.p. e volto ad assicurare l'effettività del contraddittorio sull'accusa. Il processo, tuttavia, è una realtà dinamica che può fisiologicamente determinare ...
Inquadramento

Il processo è un articolato meccanismo diretto all'accertamento di fatti e delle relative responsabilità: l'area messa a fuoco da questa lente d'ingrandimento è definita dal decreto che dispone il giudizio, ovvero di citazione diretta a giudizio che, a norma degli artt. 429 e 552 c.p.p., devono enunciare in forma chiara e precisa i fatti attribuiti all'imputato.

L'imputazione definisce dunque il fatto rispetto al quale l'imputato è chiamato a difendersi e, specularmente, impone al giudice di non pronunciarsi su fatti diversi ed ulteriori: si tratta del principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza enunciato dall'art. 521 c.p.p. e volto ad assicurare l'effettività del contraddittorio sull'accusa.

Il processo, tuttavia, è una realtà dinamica che può fisiologicamente determinare l'emergere di fatti precedentemente ignoti o, comunque, non enunciati nell'originaria imputazione.

Il Legislatore ha previsto tale eventualità distinguendo l'ipotesi in cui tale sviluppo processuale sia rappresentato da un fatto del tutto nuovo, da quella in cui il fatto sia semplicemente diverso, ovvero si sostanzi in un reato connesso o in una circostanza aggravante.

A fronte di una disciplina codicistica sufficientemente chiara in ordine alle modalità di contestazione del fatto nuovo, alcuni problemi interpretativi si sono posti relativamente alla distinzione in concreto tra fatto nuovo e fatto semplicemente diverso.

Il fatto nuovo si pone in un rapporto di assoluta autonomia rispetto all'imputazione originaria, sulla quale il giudice ha comunque l'obbligo di pronunciarsi in forza del principio di correlazione tra accusa e sentenza, fermo il dovere per la pubblica accusa di procedere in relazione ai fatti ulteriori.

Fatto nuovo e fatto diverso

Secondo la definizione fatta propria da una nota sentenza della Corte di cassazione, il fatto è il complesso degli accadimenti che integrano gli estremi del reato nella sua giuridica configurazione, quale insieme di elementi costitutivi o circostanziali (Cass. pen., Sez. III, 2 giugno 1994, Rispoli): in questi termini, il fatto dovrebbe intendersi quale fenomeno naturalistico ma anche giuridico, nel quale sono inclusi anche l'elemento soggettivo e concetti di natura giuridica (si pensi alla altruità nel delitto di furto). Tuttavia, nella giurisprudenza di legittimità pare prevalere una nozione di fatto di tipo prettamente naturalistico, inteso dunque quale accadimento storico nei suoi elementi materiali essenziali (tempo, luogo e modalità dell'azione).

Ne consegue che, secondo la Corte di cassazione, costituisce fatto nuovo un episodio storico che risulti essersi svolto in un tempo, in un luogo o con modalità difformi rispetto a quello descritto nel capo d'imputazione (Cass.pen., Sez. VI, 30 aprile 2015, n.32600). In altre parole, si potrà parlare di novità del fatto soltanto quando gli elementi materiali essenziali del fatto risultino diversi, trovandosi di fronte ad un addebito che non sia in alcun modo riconducibile alla contestazione contenuta nella richiesta o nel decreto di rinvio a giudizio (Cass. pen., Sez. II, 16 giugno 2015, n. 29507).

I questi termini, il fatto nuovo può certamente coesistere con quello per cui si procede in quanto distinto ed ulteriore.

Il fatto diverso, al contrario, implica una diversa descrizione di un episodio storico che rimane, tuttavia, lo stesso: l'accadimento storico è identico ma presenta delle connotazioni materiali differenti, relativamente ad alcuno degli elementi essenziali del fatto. Non si deve trattare, dunque, di mere puntualizzazioni, bensì di variazioni che riguardino i tratti essenziali dell'addebito. La diversità deve essere riferita alla fattispecie giuridicamente rilevante composta sia dall'evento (ove presente) che dalla condotta e dall'elemento soggettivo.

Il fatto diverso, dunque, è per definizione incompatibile con l'originaria descrizione dell'addebito (Cass. pen., Sez. VI, 10 giugno 2014, n.24377).

Quanto al rispetto del principio di correlazione necessaria tra sentenza ed accusa, si afferma pacificamente nella giurisprudenza di legittimità che, in mancanza di nuova contestazione nei termini previsti dalla legge, esso risulta violato quando intervenga sentenza di condanna per un fatto assolutamente eterogeneo (fatto nuovo) o incompatibile (fatto diverso) rispetto all'originaria imputazione. Tuttavia, lo “stravolgimento” o “variazione essenziale” dell'accusa, determinerà una nullità soltanto laddove risulti accertata una concreta lesione del diritto di difesa, ovvero emerga dagli atti che su di essa l'imputato non ha avuto modo di difendersi (ex multis, tra le più recenti, Cass. Sez. III, 5/5/2015, n. 24914).

In questa prospettiva, non costituisce fatto nuovo o diverso, la differente qualificazione giuridica del fatto che il giudice di merito ritenga di dare : il principio, chiaramente affermato dall'art. 521 c.p.p., ha trovato parziale contemperamento a seguito della sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo Drassich c. Italia dell'11 dicembre 2007. La Corte di Strasburgo ha infatti deciso che costituisce violazione dell'art. 6 paragrafo 3 lett. a) e b) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo condannare l'imputato per un reato differente rispetto a quello per il quale è stato tratto a giudizio senza che la modifica del nomen iuris sia indicata o comunicata preventivamente; infatti è diritto dell'imputato essere dettagliatamente informato in tempo utile non soltanto dei fatti materiali posti a suo carico ma anche della qualificazione giuridica data a questi ultimi.

Tuttavia, tale affermata necessità di un contraddittorio effettivo anche in ordine alla riqualificazione del fatto ha trovato una risposta decisamente riduttiva nella nostra giurisprudenza nazionale: rapportando, almeno in linea teorica, la disciplina della riqualificazione giuridica al diritto di difesa, la Corte di Cassazione ha più volte affermato il principio secondo il quale l'obbligo di correlazione tra imputazione contestata e sentenza non può ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell'imputazione pregiudichi le possibilità di difesa dell'imputato. Di conseguenza non vi sarà violazione quando l'imputato sia stato posto nella condizione di interloquire anche attraverso il meccanismo delle impugnazioni (recentemente, Cass. pen., Sez. III, 21 aprile 2015, n. 20562).

Modalità di contestazione

Secondo la definizione fatta propria da una nota sentenza della Corte di cassazione, il fatto è il complesso degli accadimenti che integrano gli estremi del reato nella sua giuridica configurazione, quale insieme di elementi costitutivi o circostanziali (Cass. pen., Sez. III, 2 giugno 1994, Rispoli): in questi termini, il fatto dovrebbe intendersi quale fenomeno naturalistico ma anche giuridico, nel quale sono inclusi anche l'elemento soggettivo e concetti di natura giuridica (si pensi alla altruità nel delitto di furto). Tuttavia, nella giurisprudenza di legittimità pare prevalere una nozione di fatto di tipo prettamente naturalistico, inteso dunque quale accadimento storico nei suoi elementi materiali essenziali (tempo, luogo e modalità dell'azione).

Ne consegue che, secondo la Corte di cassazione, costituisce fatto nuovo un episodio storico che risulti essersi svolto in un tempo, in un luogo o con modalità difformi rispetto a quello descritto nel capo d'imputazione (Cass.pen., Sez. VI, 30 aprile 2015, n.32600). In altre parole, si potrà parlare di novità del fatto soltanto quando gli elementi materiali essenziali del fatto risultino diversi, trovandosi di fronte ad un addebito che non sia in alcun modo riconducibile alla contestazione contenuta nella richiesta o nel decreto di rinvio a giudizio (Cass. pen., Sez. II, 16 giugno 2015, n. 29507).

I questi termini, il fatto nuovo può certamente coesistere con quello per cui si procede in quanto distinto ed ulteriore.

Il fatto diverso, al contrario, implica una diversa descrizione di un episodio storico che rimane, tuttavia, lo stesso: l'accadimento storico è identico ma presenta delle connotazioni materiali differenti, relativamente ad alcuno degli elementi essenziali del fatto. Non si deve trattare, dunque, di mere puntualizzazioni, bensì di variazioni che riguardino i tratti essenziali dell'addebito. La diversità deve essere riferita alla fattispecie giuridicamente rilevante composta sia dall'evento (ove presente) che dalla condotta e dall'elemento soggettivo.

Il fatto diverso, dunque, è per definizione incompatibile con l'originaria descrizione dell'addebito (Cass.pen., Sez. VI, 10 giugno 2014, n.24377).

Quanto al rispetto del principio di correlazione necessaria tra sentenza ed accusa, si afferma pacificamente nella giurisprudenza di legittimità che, in mancanza di nuova contestazione nei termini previsti dalla legge, esso risulta violato quando intervenga sentenza di condanna per un fatto assolutamente eterogeneo (fatto nuovo) o incompatibile (fatto diverso) rispetto all'originaria imputazione. Tuttavia, lo “stravolgimento” o “variazione essenziale” dell'accusa, determinerà una nullità soltanto laddove risulti accertata una concreta lesione del diritto di difesa, ovvero emerga dagli atti che su di essa l'imputato non ha avuto modo di difendersi (ex multis, tra le più recenti, Cass. Sez. III, 5/5/2015, n. 24914).

In questa prospettiva, non costituisce fatto nuovo o diverso, la differente qualificazione giuridica del fatto che il giudice di merito ritenga di dare : il principio, chiaramente affermato dall'art. 521 c.p.p., ha trovato parziale contemperamento a seguito della sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo Drassich c. Italia del 11/12/2007. La Corte di Strasburgo ha infatti deciso che costituisce violazione dell'art. 6 paragrafo 3 lett. a) e b) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo condannare l'imputato per un reato differente rispetto a quello per il quale è stato tratto a giudizio senza che la modifica del nomen iuris sia indicata o comunicata preventivamente; infatti è diritto dell'imputato essere dettagliatamente informato in tempo utile non soltanto dei fatti materiali posti a suo carico ma anche della qualificazione giuridica data a questi ultimi.

Tuttavia, tale affermata necessità di un contraddittorio effettivo anche in ordine alla riqualificazione del fatto ha trovato una risposta decisamente riduttiva nella nostra giurisprudenza nazionale: rapportando, almeno in linea teorica, la disciplina della riqualificazione giuridica al diritto di difesa, la Corte di Cassazione ha più volte affermato il principio secondo il quale l'obbligo di correlazione tra imputazione contestata e sentenza non può ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell'imputazione pregiudichi le possibilità di difesa dell'imputato. Di conseguenza non vi sarà violazione quando l'imputato sia stato posto nella condizione di interloquire anche attraverso il meccanismo delle impugnazioni (recentemente, Cass. pen., Sez. III, 21/4/2015, n. 20562).

Modalità di contestazione

L'art. 518 del codice di procedura penale prevede che, di regola, il pubblico ministero proceda nelle forme ordinarie qualora emerga a dibattimento un fatto nuovo.

La regola fissata dal Legislatore è dunque quella dell'autonomia processuale del giudizio sul fatto nuovo.

Sono fatti salvi, peraltro, i casi previsti dall'art. 517 c.p.p., ovvero l'ipotesi in cui il fatto nuovo sia connesso a quello per cui si procede ovvero possa esserne legato dal vincolo della continuazione: in tali ipotesi la regola torna ad essere quella del simultaneus processus.

Come per tutte le altre nuove contestazioni (vedi bussola), anche la contestazione del fatto nuovo può avvenire solo per iniziativa del P.M. ed è possibile soltanto quando il reato sia procedibile d'ufficio.

In deroga alla regola dell'azione autonoma, il secondo comma dell'art. 518 c.p.p. prevede che il fatto nuovo possa essere contestato nello stesso procedimento, purchè non pregiudichi la speditezza dei procedimenti e ricorrano:

  • la richiesta del P.M.;
  • l'autorizzazione del presidente;
  • il consenso dell'imputato;
  • la presenza effettiva dell'imputato.

È utile individuare il momento a partire dal quale è possibile la contestazione di un fatto nuovo. La giurisprudenza formatasi in materia di modifica dell'imputazione ai sensi degli artt. 516 e 517 c.p.p. si è orientata, non senza contrasti, per ritenere che la nuova contestazione possa precedere l'inizio dell'istruttoria dibattimentale e, dunque, essere effettuata sulla base del materiale istruttorio già presente nel fascicolo del P.M. (Cass. pen., Sez. un, 28 ottobre 1998, n. 4; Cass. pen., Sez. I, 14 maggio 2009, n.24050): la necessità che la contestazione del fatto nuovo incontri il consenso dell'imputato priva tuttavia la questione di rilevo pratico.

Quanto, invece, al momento ultimo per l'eventuale richiesta di contestazione del fatto nuovo, si ritiene che il richiamo dell'art. 518 c.p.p. al corso del dibattimento implichi che tale momento sia rappresentato dalla chiusura del dibattimento (e non dell'istruzione dibattimentale) e che, di conseguenza, la richiesta possa intervenire anche nel corso della discussione finale.

Diritti delle parti ed effetti della mancata contestazione

Come nelle altre ipotesi di nuove contestazioni, anche nel caso del fatto nuovo l'imputato ha diritto a un termine a difesa (non inferiori a 20 giorni e non superiore a 40) e, comunque, può richiedere l'ammissione di nuove prove: l'originario richiamo all'art. 507 c.p.p, che imponeva un criterio di ammissibilità ingiustamente restrittivo, è stato cancellato dalla Corte costituzionale con sentenza 241 del 3 giugno 1992. Di conseguenza, l'ammissibilità delle nuove prova dovrà essere valutata in concreto sulla base dei parametri fissati dall'art. 190 c.p.p. (Cass. pen., Sez. II, 22 gennaio 2015, n.9933). La decisione della Corte costituzionale ha, inoltre, esteso al P.M. e alle parti private diverse dall'imputato il diritto all'ammissione di nuove prove.

L'imputato dovrà essere avvisato del diritto di richiedere un termine a difesa: l'omissione dell'avviso determina, ai sensi dell'art. 522 c.p.p., una nullità a regime intermedio che dovrebbe essere dedotta al più tardi con l'atto d'appello. Si è tuttavia ritenuto che l'omesso avviso all'imputato relativamente al termine a difesa debba essere eccepita dal difensore presente prima di ogni altra difesa (Cass. pen., Sez. II 23 maggio 2000, n. 9876; Cass. pen., Sez. III, 3 febbraio 2010, n. 16848).

La richiesta di termine a difesa da parte dell'imputato non equivale al consenso in merito alla contestazione del fatto nuovo: tuttavia, l'imputato che abbia chiesto termine dovrà eccepire la nullità derivante dal suo mancato consenso, disciplinata dal combinato disposto degli artt. 522, comma 1, e 518, comma 2, c.p.p., allo scadere del termine a difesa (Cass. pen., Sez. III, 6 dicembre 1994, Docimo).

È il caso di anticipare che del tutto diverso è il caso in cui si addivenga ad una sentenza di condanna per fatto nuovo e diverso da quello oggetto d'imputazione, mai precedentemente contestato: in tal caso la nullità deve ritenersi assoluta ed insanabile sia pure limitatamente alla condanna per il fatto nuovo (Cass. Sez. I, 9 novembre 1992, Barrago).

In evidenza

Nell'ipotesi in cui venga autorizzata la contestazione di un fatto nuovo emerso al dibattimento, ai sensi dell'art. 518, comma 3, c.p.p., non è prevista la facoltà per l'imputato di richiedere l'applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444 c.p.p.. La questione è stata sottoposta alla Corte costituzionale ipotizzando una violazione dell'art. 3 Cost. ma è stata ritenuta infondata in considerazione del fatto che la contestazione in udienza del fatto nuovo è consentita soltanto su richiesta del P.M. e previo consenso dell'imputato il quale, di conseguenza manifesta la propria opzione a favore del simultaneus processus, rinunciando alle diverse facoltà che avrebbe potuto esercitare in caso di autonoma azione(Corte cost. ord. 146 del 23 maggio 1997)

Come si è accennato sopra, a seguito dell'intervento della Corte Costituzionale sia il P.M. che la parte civile costituita sono ammessi ad esercitare il diritto alla prova in ordine al fatto nuovo di cui sia stata ammessa la contestazione nel dibattimento: la parte civile dovrà inoltre valutare se estendere le proprie conclusioni, sia in termini di petitum che di causa petendi, alla nuova contestazione. Pur dovendosi registrare qualche decisione difforme, la prevalente giurisprudenza di legittimità ritiene che non sia necessario che la parte civile estenda o rinnovi la costituzione di parte civile, dovendosi ritenere sufficiente l'aggiornamento della domanda in sede di formulazione delle conclusioni.

Laddove la parte civile non estenda la propria domanda, l'eventuale condanna al risarcimento del danno sarà, per parte de qua, nulla; il relativo vizio dovrà essere tempestivamente dedotto dall'imputato nel giudizio di merito non trattandosi di nullità assoluta (Cass. Sez. I, 20 gennaio 2005, n. 4669).

Orientamenti a confronto. Parte civile e contestazione di un fatto nuovo

In qualunque ipotesi di nuova contestazione, e anche per il caso del fatto nuovo, la parte civile deve estendere formalmente la costituzione di parte civile alla nuova contestazione (Cass. pen., Sez. I, 20 gennaio 2005, n. 4669)

Nel caso in cui sia contestato in udienza un nuovo reato, la parte civile già costituita non deve rinnovare la propria costituzione in relazione alla nuova contestazione, ben potendo limitarsi ad estendere nelle conclusioni la domanda già proprosta sia in riferimento alla causa petendi che al petitum (Cass. pen., Sez. II, 26 ottobre 2005, n. 40921; Cass. pen., Sez. V, 7 novembre 2000, n. 12732; Cass. pen., Sez. II, 22 gennaio 2015, n. 9933).

Alla persona offesa non costituita parte civile è, invece, riconosciuta la possibilità di valutare se costituirsi parte civile in relazione al fatto nuovo: a tal fine l'art. 519, comma 3, c.p.p. prevede che la persona offesa debba essere (nuovamente) citata in giudizio disponendo di un termine non inferiore a 5 giorni. Identico termine spetta anche alla persona offesa presente. In ogni caso la costituzione di parte civile e, si deve ritenere, il diritto ad indicare propri mezzi di prova, non è soggetta al termine individuato dall'art. 79 c.p.p (Corte cost., ord. 3 aprile 1996, n. 98) .

La mancata contestazione del fatto nuovo emerso a dibattimento non determina, di norma, alcuna conseguenza, salvo il dovere del P.M. di esercitare autonomamente l'azione penale. Vale, come si è anticipato sopra, la regola dell'autonomia dei procedimenti: il dibattimento seguirà il suo corso e il giudice dovrà pronunciarsi soltanto in merito all'imputazione originaria (Cass. pen., Sez. VI, 10 giugno 2014, n. 24377). A differenza dell'ipotesi del fatto diverso, in questo caso non è previsto alcun potere officioso di restituzione degli atti al P.M. che non abbia proceduto alla contestazione (Cass. Sez. VI, cit): l'ordinanza con la quale il giudice, rilevata l'emersione di fatti nuovi, trasmetta gli atti del processo al P.M. è viziata da abnormità (Cass. pen., Sez. VI, 5 dicembre 2002, n. 440). In altri termini, il potere di trasmissione degli atti al P.M. previsto dall'art. 521, comma 3, c.p.p. è circoscritto al solo fatto nuovo e all'ipotesi in cui la nuova contestazione sia stata effettuata fuori dai casi previsti dall'art. 518, comma 2, c.p.p..

All'atto pratico, il caso più probabile di trasmissione parziale degli è quello in cui il P.M. proceda alla contestazione ai sensi dell'art. 516 o 517 di un fatto in realtà nuovo e per il quale non si ritenga sussistere il vincolo della continuazione. In tal caso, laddove si addivenisse erroneamente ad una sentenza di condanna, la sentenza dovrebbe ritenersi nulla in parte de quama, a differenza del caso visto sopra di condanna per fatto nuovo mai precedentemente contestato, la relativa eccezione dovrà essere proposta immediatamente dopo la contestazione ed essere denunciata nei motivi di appello: si tratta, dunque, di nullità a regime intermedio non deducibile per la prima volta in sede di legittimità (Cass. pen., Sez. II, 29 gennaio 2008, n. 9171; Cass. pen., Sez. V, 8 gennaio 2009, n.9281).

Casistica

Definizione di fatto nuovo

Per fatto nuovo, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, deve intendersi esclusivamente un accadimento del tutto difforme per le modalità essenziali dell'azione o per l'evento ovvero del tutto diverso da quello contestato. In particolare secondo la giurisprudenza sicuramente prevalente la locuzione "fatto nuovo", di cui all'art. 518 c.p.p., denota un accadimento assolutamente difforme da quello contestato, e l'emergere in dibattimento di accuse in nessun modo rintracciabili nel decreto di rinvio o di citazione a giudizio (Cass. pen., Sez. II, 16 giugno 2015, n. 29507).

Ipotesi di esclusione del fatto nuovo

Non costituisce fatto nuovo, ma semplice modificazione dell'originaria contestazione, la modifica relativa al luogo di consumazione del reato (Cass. pen., Sez. IV, 18 febbraio 2009, n. 17039)

In tema di bancarotta fraudolenta, non integra fatto nuovo ai sensi dell'art. 518 c.p.p., la individuazione, nel corso dell'istruzione dibattimentale, di diverse modalità della condotta illecita ovvero di ulteriori condotte di distrazione o, comunque, di difformi condotte integrativa della violazione dell'art. 216 l. fall., trattandosi di fatto che non può generare novità dell'illecito, ma soltanto l'integrazione della circostanza aggravante (e non la modifica del fatto tipico), in virtù della peculiare disciplina dell'illecito fallimentare – connaturato alla cd. unitarietà del reato desumibile dall'art. 219, comma 2, n. 1 l. fall., che deroga alla disciplina della continuazione - e della peculiarità della norma incriminatrice che non assegna alle condotte di distruzione, occultamento, distrazione, dissipazione e dissimulazione, previste dall'art. 216 l. fall., natura di fatto autonomo, bensì fattispecie penalmente tra loro equivalenti, e cioè modalità di esecuzione alternative e fungibili di un unico reato (Cass. pen., Sez. V, 2 dicembre 2010, n. 4551).

Non costituisce fatto nuovo l'unificazione di condotte contestate in termini distinti quale truffa ed insolvenza fraudolenta, con riqualificazione in termini di truffa della seconda condotta e conseguente condanna (Cass. pen., Sez. II, 16 giugno 2015, n. 29507)

Nei reati colposi non integra immutazione o diversità del fatto la sostituzione o l'aggiunta di profili di colpa a quelli originariamente contestati quando nel capo d'imputazione siano contestati profili specifici e generici (Cass. pen., Sez, IV, 19 maggio 2009, n. 31968; Cass. pen., Sez, IV, 17 novembre 2005, n. 2393)

Poteri di riqualificazione del Tribunale del riesame.

Il Tribunale del riesame non ha il potere di modificare l'accusa in senso sostanziale e di confermare la misura per un fatto diverso, e decisamente più grave, rispetto a quello oggetto della contestazione cautelare, così indebitamente sostituendo la sua iniziativa a quella spettante, in via esclusiva, al Pubblico ministero e violando il principio del contraddittorio (Cass. pen., Sez. III, 24 giugno 2015, n. 30127).

Diritti delle parti

A seguito dell'intervento della Consulta alla parte va riconosciuto il diritto alla prova nella medesima estensione stabilita per la fase degli atti preliminari al dibattimento, e l'ammissione delle prove medesime può essere negata solo se esse siano vietate dalle legge o manifestamente superflue o irrilevanti (Cass. pen., Sez. VI, 5 giugno 2000, n. 8131). Ciò comporta che il giudice di appello, dinanzi al quale sia dedotta la violazione dell'art. 519 c.p.p., comma 2, deve decidere sull'ammissibilità della prova secondo i parametri previsti dall'art. 190 c.p.p. (Cass. pen., Sez. VI, 6 novembre 2014, n. 48645) (Cass. pen., Sez. II, 22 gennaio 2015, n. 9933)

Fatto nuovo e parte civile

[...] è principio già affermato da questa Suprema Corte che "nel caso in cui sia contestato in udienza un nuovo reato, la parte civile già costituita non deve rinnovare la costituzione in relazione a tale nuova contestazione, ben potendo limitarsi ad estendere nelle conclusioni la domanda già proposta sia con riferimento alla causa petendi che al petitum" (Sez. 2, n. 40921 del 26/10/2005, Francis ed altro, Rv. 232526; Sez. 5, n. 12732 del 07/11/2000, Zara) (Cass. pen., Sez. II, 12 gennaio 2015, n. 9933)

Trasmissione degli atti in ipotesi di fatto nuovo

È abnorme l'ordinanza con la quale il tribunale, in composizione monocratica – rilevato che dall'istruzione dibattimentale erano emersi fatti nuovi in aggiunta a quelli originariamente contestati, senza essere ad essi connessi, a norma dell'art. 12, comma 1, lett. b) c.p.p. – dispone la trasmissione di tutti gli atti del processo al P.M., sia perché si tratta di ipotesi non prevista dall'ordinamento giuridico, sia perché in tal modo si determina, in relazione ai reati per i quali sia stata validamente esercitata l'azione penale e che abbiano formato oggetto delle originarie contestazioni, un'inammissibile regressione alla fase delle indagini preliminari. La trasmissione degli atti al p.m. può riguardare esclusivamente i fatti nuovi e l'ordinanza che la dispone non è altro che lo strumento previsto dalla legge per rendere effettivo l'obbligo del p.m., ex art. 518, comma 1, c.p.p., di procedere nelle forme ordinarie in riferimento ai fatti nuovi emersi dal dibattimento (Cass. pen., Sez. VI, 30 aprile 2015, n. 32600)

La mancata contestazione suppletiva, sia essa ascrivibile all'assenza delle condizioni previste dagli artt. 517 e 518 c.p.p., o semplicemente all'inerzia del pubblico ministero di udienza, non abilita il giudice a disporre la restituzione degli atti al requirente, provocando così un indebito regresso dell'azione penale. L'unico effetto della mancanza di contestazione suppletiva è che il thema decidendum rimarrà circoscritto all'ambito originario dell'imputazione e il requirente dovrà promuovere una distinta azione penale in relazione al fatto nuovo o al reato concorrente. Ed infatti l'art. 521 c.p.p., limita il potere del giudice di restituire gli atti al p.m. all'ipotesi di fatto diverso, escludendo quella di fatto nuovo o di reato concorrente (Cass. pen., Sez. VI, 10 giugno 2014, n. 24377)

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