Il d.lgs. n. 38/2000, recependo le indicazioni provenienti già dalla sentenza della Corte costituzionale n. 87/1991, ha previsto a favore del lavoratore infortunato anche l'indennizzo del danno biologico da invalidità permanente. Dal momento che l'indennizzo erogato dall'INAIL è tendenzialmente inferiore a quello che, per lo stesso danno, viene liquidato in forza delle tabelle utilizzate dai Tribunali ai fini della quantificazione equitativa del danno biologico da invalidità permanente (ed è inferiore anche alle tabelle allegate alla l. n. 57/2001 per la liquidazione del danno biologico riportato in seguito a sinistro stradale), si pone il problema se il danneggiato possa pretendere dal datore di lavoro o dal terzo responsabili dell'infortunio il risarcimento del danno biologico « differenziale », ovvero, l'integrale risarcimento del danno biologico subìto.
Inquadramento
È noto come il d.lgs. n. 38/2000, recependo le indicazioni provenienti già dalla sentenza della Corte costituzionale n. 87/1991, abbia previsto a favore del lavoratore infortunato anche l'indennizzo del danno biologico da invalidità permanente. Ora, poiché l'indennizzo erogato dall'INAIL è tendenzialmente inferiore a quello che, per lo stesso danno, viene liquidato in forza delle tabelle utilizzate dai Tribunali ai fini della quantificazione equitativa del danno biologico da invalidità permanente (ed è inferiore anche alle tabelle allegate alla l. n. 57/2001 per la liquidazione del danno biologico riportato in seguito a sinistro stradale), si pone il problema se il danneggiato possa pretendere dal datore di lavoro o dal terzo responsabili dell'infortunio il risarcimento del danno biologico « differenziale », ovvero, l'integrale risarcimento del danno biologico subìto (per un raffronto tra le tabelle utilizzate dai tribunali in tema di responsabilità civile e quelle INAIL, ROSSI, Le tabelle delle menomazioni e dei coefficienti, in Il danno biologico dopo il d.lgs. n. 38/2000, Bari, 2002, 115).
Sino alle pronunce delle Sezioni Unite del 2008, meglio note come sentenze di San Martino, era pacifico che il datore di lavoro, nel caso di mancata operatività dell'esonero dalla responsabilità civile, fosse tenuto a corrispondere l'eventuale differenza tra il risarcimento dovuto e l'indennizzo riconosciuto dall'Inail (c.d. danno differenziale quantitativo). In ogni caso, il datore di lavoro era tenuto a risarcire i danni ulteriori (c.d. danno differenziale qualitativo o complementare) non coperti dall'assicurazione Inail: il danno morale, quello esistenziale, il danno patrimoniale, alla capacità lavorativa inferiore al 16%, biologico temporaneo, biologico sino al 5%, biologico iure proprio dei superstiti.
Occorre ora chiedersi se dopo le menzionate sentenze del 2008, che hanno elaborato un modello e una categoria unitaria di danno non patrimoniale, abbia ancora un senso il distinguo fra il danno differenziale quantitativo e qualitativo (complementare) o se, per caso, si sia ampliata surrettiziamente l'area dell'esonero del datore di lavoro, nella stessa misura in cui il danno morale e quello esistenziale sono stati attratti e costretti nell'area del danno biologico, identificandosi le sofferenze soggettive ed esistenziali nelle lesioni psichiche.
Il “danno differenziale”: nozione generale
Uno dei problemi più controversi circa l'integrale risarcimento del danno alla persona è costituito dal cd. “danno differenziale”.
Questo danno si colloca in un intrigato crocevia della legislazione e della giurisprudenza (della Corte Costituzionale, di quella di legittimità e di merito) e non ha ancora trovato una soluzione definitiva.
Il sistema indennitario delle assicurazioni sociali delineato dal T.U. n. 1124/1965, come l'assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, attribuisce al danneggiato un indennizzo forfettario (per una attenta disamina degli orientamenti della giurisprudenza e della dottrina, prima delle sentenze delle Sezioni Unite di San Martino, CIRIELLO, Il danno differenziale nella giurisprudenza, in Riv. Crit. i dir. Lav., 2, 2008, 449).
Nelle ipotesi di responsabilità penale del datore di lavoro oppure di responsabilità civile di terzi, il danneggiato, dopo aver percepito l'indennizzo dall'istituto previdenziale, può chiedere l'integrale risarcimento del danno subito al responsabile civile (cfr. LEUZZI, Indennizzo previdenziale e risarcimento del danno. Profili processuali del danno differenziale, in RGL, 2011, I, 860-863; quanto agli oneri di allegazione, si segnala D. CHINDEMI, Il danno differenziale: oneri allegativi e probatori per le domande relative ad infortuni o malattie professionali, in Resp. civ. e Prev., 2011, 1656).
Il “danno differenziale” è esplicitamente previsto dall'art. 10 del citato T.U. 1124/1965, che ne detta la disciplina, stabilendo (tra l'altro) che “permane la responsabilità civile a carico di coloro che abbiano riportato condanna penale per il fatto dal quale l'infortunio è derivato” e “si fa luogo a risarcimento” qualora il giudice riconosca che questo “ascende a somma maggiore dell'indennità che, per effetto del presente decreto, è liquidata all'infortunato o ai suoi aventi diritto” ed in tal caso il risarcimento “è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli artt. 66 e seguenti”. Per questa norma, quindi, il “danno differenziale” consiste nella “differenza” tra quanto a carico dell'Istituto, quale indennizzo, e quanto dovuto a titolo di risarcimento, che resterebbe, alle condizioni e nei limiti di cui all'art. 10, a carico del datore.
La norma, interpretata alla luce dei principi generali sulla responsabilità civile, riafferma il diritto all'integrale risarcimento in favore del soggetto assicurato non solo nei confronti del datore di lavoro (nelle ipotesi previste dal citato art. 10), ma anche di tutti gli eventuali terzi responsabili.
Il presupposto logico del “danno differenziale” nasce, in definitiva, dalla circostanza oggettiva che l'indennizzo erogato dall'INAIL possa risultare in concreto inferiore a quello che, per lo stesso danno, verrebbe liquidato in forza delle tabelle utilizzate dai Tribunali ai fini della quantificazione equitativa del danno biologico.
ORIENTAMENTI A CONFRONTO
Criterio di calcolo del danno differenziale “biologico”
Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2015, n. 13222
Interpretazione costituzionalmente orientata del danno differenziale
Cass. civ., sez. lav., 8 luglio 1992 n. 8325; Cass.civ., sez. lav., 19 gennaio 2015, n. 777
Se la menomazione dell'integrità psicofisica del lavoratore è inferiore al minimo indennizzabile dall'Inail ai sensi del d.lgs. 23 febbraio 2000 n. 38
Trib. Napoli, 13 marzo 2012: non può parlarsi di danno differenziale in senso proprio, se la menomazione dell'integrità psicofisica del lavoratore è inferiore al minimo indennizzabile dall'Inail ai sensi del d.lgs. 23 febbraio 2000 n. 38, ma la domanda risarcitoria può accogliersi sub specieartt. 2043,2049 e 2087 c.c.
Il rischio di un'ingiusta locupletazione
Trib. Trieste, 9 marzo 2011, n. 257: non riconoscere al lavoratore il danno differenziale, ove esistente, determinerebbe una disparità di trattamento fra chi subisce un danno indennizzabile dall'Inail (secondo la somma predeterminata dalla legge) e chi, invece, subisce un danno non rientrante nell'ambito di applicabilità del d.lgs. n. 38 del 2000.
Rivalutazione monetaria ed interessi da ritardo
Trib. Roma, 6 luglio 2010: il credito per “danno differenziale” è considerato credito di valore e, quindi, va quantificato alla data di liquidazione, calcolandosi sulla somma finale la rivalutazione monetaria e gli interessi da ritardo, con decorrenza dal momento in cui il danno è stato cagionato.
Detrazione della rendita per l'inabilità permanente corrisposta dall'INAIL per l'infortunio in itinere occorso al lavoratore dall'ammontare del risarcimento dovuto per lo stesso titolo dal terzo responsabile
Cass. civ., Sez. Un., 22 maggio 2018n. 12566
Art. 13 d.lgs. n. 38/2000
In primo luogo, si deve accertare la natura e l'entità del danno liquidato dall'INAIL.
Ebbene, proprio in questa materia l'art. 13 del d.lgs. n. 38/2000 ha introdotto nel diritto positivo la nozione di danno biologico, inteso come «la lesione all'integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona», il cui ristoro è determinato «in misura indipendente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato».
Sono state, quindi, elaborate, ed adottate, delle nuove Tabelle di valutazione medico-legale di questo “danno biologico” indennizzato dall'INAIL (d.m. 12.07.2000 di approvazione delle Tabelle delle menomazioni, dell'indennizzo e dei coefficienti, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 25 luglio 2000).
In tema di liquidazione del danno biologico, nel regime di cui all'art. 13 del d.lgs. n. 38/2000, le tabelle delle menomazioni, ove consentano di individuare la percentuale del danno in relazione ad un intervallo di valori o facendo uso di locuzioni similari, consentono l'adeguamento della stima del danno alla realtà del caso clinico; viceversa, ove determinino una percentuale fissa, senza il ricorrere di locuzioni, quali "superiore a" ovvero "fino a", il valore ivi indicato non è modificabile. In quest'ottica, Cass., sez. lav., 3 settembre 2021, n. 23896 ha cassato la pronuncia di merito che aveva recepito le conclusioni del c.t.u. il quale, pur reputando di quantificare il danno residuo secondo una voce tabellare che indicava un valore fisso, aveva operato una riduzione della percentuale.
Premesso che la specifica tabella sulla cui base sono valutate le menomazioni conseguenti alle lesioni dell'integrità psicofisica è comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali, per gli infortuni sul lavoro (ivi compresi, ovviamente, gli infortuni in itinere) verificatisi successivamente al 25 luglio 2000, l'assicuratore sociale è tenuto a fornire le seguenti prestazioni:
a) l'indennizzo delle menomazioni di grado pari o superiore al 6% ed inferiore al 16% è erogato in capitale;
b) dal 16% è erogato in rendita, nella misura indicata nell'apposita "tabella indennizzo danno biologico".
In particolare, se i postumi sono valutabili in misura compresa fra il 6 ed il 15%, viene erogata al lavoratore infortunato (recte, che abbia riportato una menomazione conseguente ad infortunio o malattia professionale) una somma in capitale, di importo variabile a seconda dell'età e del grado di inabilità (Cass. civ., sez. III, 5 maggio 2011, n. 9956); se, invece, i postumi sono pari o superiori al 16%, vi è una presunzione di incidenza anche sulla capacità reddituale del lavoratore (Cass. civ, sez. III, 27 gennaio 2011, n. 2058), per cui l'INAIL costituisce una rendita mensile a favore del lavoratore composta da due parti, una a ristoro del danno biologico ed una attinente alla componente patrimoniale del lucro cessante (la rendita contiene un quid variabile in funzione del reddito della vittima, ottenuto moltiplicando la retribuzione della vittima per un determinato coefficiente; cfr. art. 13, comma 2, lett. b, d.lgs. 38/2000). Pertanto, quando ricorrano i presupposti di fatto di cui all'art. 13, comma 2, lett. b, d.lgs. 38/2000, l'INAIL liquida all'avente diritto un indennizzo in forma di rendita che ha veste unitaria, ma duplice contenuto: con quell'indennizzo, infatti, l'INAIL compensa sia il danno biologico, sia il danno patrimoniale da perdita della capacità di lavoro e di guadagno (Trib. Vicenza, 30 giugno 2007, n. 1754, in Red. Giuffrè 2008). Più precisamente, gli infortunati con postumi di grado pari o superiore al 16% hanno diritto primariamente all'indennizzo del danno biologico e, in aggiunta, ad un ulteriore indennizzo per le conseguenze patrimoniali della menomazione (Cass. 18 giugno 2015 n. 12622; App. Roma 15 marzo 2011 n. 778, in Red. Giuffrè 2011). Entrambi gli indennizzi sono corrisposti in forma di rendita vitalizia che, pur essendo unitaria, è composta, come si è già visto, di due quote in relazione alla diversa natura e alle conseguenti differenze delle modalità di calcolo. Una volta determinata la quota di rendita annuale per danno biologico, ad essa va aggiunta una seconda quota per l'indennizzo delle conseguenze patrimoniali, che viene calcolata moltiplicando la retribuzione, determinata con le modalità e i criteri del Testo Unico, per il coefficiente di cui alla “tabella dei coefficienti” e per il grado percentuale di menomazione (Cass. civ., 3 luglio 2014, n. 15245).
È opportuno evidenziare che per l'applicazione di tale tabella si fa riferimento all'età dell'assicurato al momento della guarigione clinica.
Va chiarito inoltre che la domanda di liquidazione dell'indennizzo in capitale per le menomazioni dell'integrità psico-fisica pari o superiori al 6%, conseguenti a infortunio sul lavoro, costituendone un minus, è implicita nella domanda di riconoscimento del diritto alla rendita per inabilità causata da menomazioni pari o superiori al 16% (cfr. Cass., sez. 6 - L, 27 gennaio 2011, n. 2058; conf. Cass. sez. lav., 8 aprile 2021, n. 9373).
Sulla scorta di questa normativa l'INAIL fornirà, pertanto, la propria copertura assicurativa al danno biologico e (se del caso) al danno patrimoniale del lavoratore infortunato, potendo, peraltro, far valere la rivalsa nei confronti del datore di lavoro e/o del responsabile civile in ordine a queste due voci di danno.
E, dunque, per le invalidità riconosciute al lavoratore infortunato dall'1 al 5% l'assicuratore sociale non eroga prestazioni (vi è, in pratica, una franchigia); dal 6 al 15% di invalidità, invece, corrisponde somme solo a titolo di danno biologico (sotto forma di capitale), dal 16 al 100% liquida somme (sotto forma di rendita) sia a titolo di danno biologico che di danno patrimoniale (che viene presunto una volta superata tale soglia di invalidità).
La rendita integra gli estremi di un indennizzo che non ha lo scopo reintegrativo (tipico, invece, del risarcimento), sicché la sua erogazione prescinde non solo dalla responsabilità, ma anche dalla sussistenza dell'effettivo danno patrimoniale, perché si presume che le lesioni permanenti che superino il 16% possano incidere non solo sulla capacità lavorativa specifica, ma anche su quella generica, che rientra nel danno biologico (Cass. civ., 16 gennaio 2013, n. 908; conf. Cass. civ., 25 agosto 2014, n. 18161).
L'oggetto del “danno differenziale”
Vi sono, tuttavia, una serie di danni che oggettivamente sono rimasti fuori dalla copertura INAIL e costituiscono, quindi, oggetto del danno differenziale in esame, nel cui àmbito si distingue:
il danno differenziale di tipo "qualitativo": il danno morale, il danno “esistenziale” (per coloro i quali sostengono l'autonomia risarcitoria di tali voci di danno), il danno biologico temporaneo (non previsto dall'INAIL, che liquida un danno “patrimoniale” da invalidità temporanea), il danno biologico per le micropermanenti (quando i postumi permanenti sono al di sotto del 6%), le spese mediche non rimborsate dall'ente, il danno alle cose;
il danno differenziale di tipo “quantitativo": l'ulteriore somma richiesta dal danneggiato a titolo di danno biologico e/o danno patrimoniale differenziale.
Le voci di pregiudizio estranee alla copertura assicurativa obbligatoria, ossia i pregiudizi non patrimoniali, non direttamente connessi ed assorbiti dal danno biologico (quali il danno morale in senso proprio – secondo alcuni -, il danno da inabilità temporanea aredittuale, i profili di danno relazionale o esistenziale non ricompresi nel danno alla salute), nonché lo stesso danno biologico, se inferiore al 6% (stante la franchigia prevista dall'art. 13 d.lgs. 38/2000), debbono essere ristorate direttamente alla vittima dell'incidente, dal datore di lavoro penalmente responsabile o dal responsabile civile, senza possibilità di compensazione tra quanto per siffatte causali risulti ancora dovuto al danneggiato e quanto rimborsato, in sede surrogatoria, all'ente suddetto che abbia provveduto per tali diversi titoli di danno (Cass. civ., 19 gennaio 2015, n. 777).
Per quanto concerne il “danno patrimoniale differenziale”, si deve tener conto che la quota parte della rendita che viene erogata a questo titolo per le menomazioni superiori al 16% è liquidata in proporzione della retribuzione del lavoratore, ma con massimali e minimali di legge.
Questo significa che, se il lavoratore ha uno stipendio maggiore del massimale, non se ne potrà tener conto nel calcolare la rendita, ma ci si dovrà, per l'appunto, fermare al massimale.
La rendita, tra l'altro, viene erogata anche in mancanza di una effettiva flessione di reddito o di guadagno, dato che viene presunto il danno patrimoniale superata la soglia del 16%, così come, al contrario, laddove i postumi siano inferiori al 16%, nulla verrebbe comunque mai erogato dall'INAIL, anche nell'ipotesi in cui il lavoratore avesse realmente subìto un danno patrimoniale.
Quanto, peraltro, al limite minimo del 6%, Cass. civ., 26 aprile 2016, n. 8243, ha di recente chiarito che la domanda del lavoratore volta ad ottenere il riconoscimento di malattia di origine professionale, con conseguente condanna dell'INAIL ad erogare le prestazioni di cui all'art. 13 d.lgs. n. 38/2000, non può essere rigettata, ritenendo insussistenti i presupposti per l'accoglimento della stessa, facendo riferimento alla percentuale del 5% - inferiore al minimo richiesto ai fini della tutela INAIL – determinata nella causa contro il datore di lavoro. Anche in assenza di ricorso in Cassazione, infatti, la determinazione del danno biologico risultante dalla causa risarcitoria nei confronti del datore di lavoro (al fine di ottenere il riconoscimento della malattia professionale ed il conseguente risarcimento del danno), una volta passata in giudicato, non può rimanere ferma nella causa previdenziale, sia perché l'INAIL è terzo rispetto alla prima causa, sia in quanto la determinazione del danno biologico in sede previdenziale si effettua osservando obbligatoriamente la specifica tabella delle menomazioni, mentre ai fini civilistici si utilizzano baremès facoltativi, secondo tabelle elaborate dalla comunità scientifica.
Ulteriore corollario di questo approccio è che la rendita per invalidità superiore al 15% ovvero l'indennizzo per danno biologico superiore al 5% debba essere determinata mediante autonoma CTU e non sulla base di quella effettuata nella causa risarcitoria contro il datore di lavoro, considerando, appunto, che la determinazione del danno biologico in sede previdenziale non si effettua, ripetesi, con i medesimi criteri valevoli in sede civilistica, ma in base a parametri, tabelle e regole stabiliti dal sistema assicurativo e per conseguire le finalità di cui all'art. 38 Cost. (Cass. civ., sez. III, 20 giugno 2003, n. 9909). E' chiaro che, se poi il c.t.u. dovesse ritenere la menomazione comunque inferiore al 6%, andrebbe esclusa la tutela INAIL ed il risarcimento già effettuato da parte del datore di lavoro dovrebbe essere qualificato quale danno complementare, laddove il ricorso del lavoratore per danno differenziale dovrebbe essere rigettato (Cass. civ., sez. III, 28 novembre 1988, n. 6422). Peraltro, il diritto alla rendita dell'assicurato, ove la consulenza tecnica d'ufficio eseguita nel corso del procedimento giudiziario ne abbia accertato - con riguardo alla cessazione dell'inabilità temporanea assoluta - un'inabilità permanente superiore al limite legale indennizzabile, non può essere escluso per il fatto che, a seguito di un'ulteriore indagine dello stesso o altro consulente d'ufficio, si sia accertato un successivo miglioramento delle condizioni dell'assicurato, tale da ridurne l'inabilità (permanente) sotto il limite sopra indicato, atteso che la norma dell'art. 149 disp. att. c.p.c. è applicabile in funzione del riconoscimento di un'invalidità prima inesistente, non in senso inverso, restando previsto a favore dell'Inail, nella detta ipotesi di miglioramento dell'assicurato, il solo rimedio del procedimento di revisione (Cass. civ., sez. III, 12 settembre 1991, n. 9539; conf. Cass. civ., 28 gennaio 1999, n. 766 e Cass. civ., 12 maggio 2005, n. 9958).
Per Trib. Napoli, 13 marzo 2012, in Dir. Lav. Riv. critica dir. lav. 2012, 1, 268, non può parlarsi di danno differenziale in senso proprio se la menomazione dell'integrità psicofisica del lavoratore è inferiore al minimo indennizzabile dall'Inail ai sensi del d.lgs. 23 febbraio 2000 n. 38, ma la domanda risarcitoria può accogliersi sub specie artt. 2043,2049 e 2087 c.c.
Il calcolo del danno differenziale: premessa
Il calcolo del cd. danno biologico differenziale deve avvenire sottraendo dal credito risarcitorio l'importo dell'indennizzo versato alla vittima dall'INAIL per il medesimo pregiudizio e, qualora tale indennizzo sia costituito ex lege da una rendita, va sottratto l'importo capitalizzato della rendita stessa, tenendo conto delle variazioni che quest'ultima può subire in relazione alle condizioni di salute dell'infortunato, ove intervengano prima che il diritto al risarcimento del danno diventi "quesito" (Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2015, n. 13222); peraltro il danneggiato, qualora deduca in appello che, per effetto di una guarigione parziale, si sia ridotto il valore dell'indennizzo e sia, di conseguenza, aumentato il risarcimento dovutogli a titolo di danno differenziale, ha l'onere di dedurre e dimostrare che tale guarigione, a causa della non coincidenza tra le tabelle usate dall'INAIL e quelle utilizzate in ambito civilistico per la stima dell'invalidità permanente, abbia ridotto solo la misura dell'indennizzo dovuto dall'assicuratore sociale, ma non abbia inciso sul danno biologico e sul relativo credito risarcitorio, che è, altrimenti, da presumersi invariato (Cass. civ., sez. III, 9 novembre 2016, n. 22862).
Inoltre, il credito risarcitorio residuo, sempre in caso di lesione della salute, va determinato non già sottraendo dal grado percentuale di invalidità permanente (quantificato secondo i criteri civilistici) quello quantificato dall'Inail con i criteri dell'assicurazione sociale, ma, dapprima, monetizzando l'uno e l'altro grado di invalidità e, quindi, sottraendo il valore capitale dell'indennizzo Inail dal credito risarcitorio aquiliano (Cass. civ., sez. III, 12 dicembre 2016, n. 25327).
Le differenze tra il sistema indennitario e quello risarcitorio
Per il “danno biologico differenziale” le problematiche sono sorte relativamente all'area di franchigia, alle diverse tabelle di valutazione medico-legale di riferimento (baréme) ed ai differenti criteri di liquidazione del danno adottati in sede di responsabilità civile, con particolare riguardo ai vari parametri previsti dalla Tabella milanese di liquidazione del danno non patrimoniale (ha, di recente, analizzato la delicata questione del danno biologico differenziale riconoscibile a chi gode già di indennizzo Inail da amianto Cass.civ., sez. lav., sent. 17 febbraio 2016, n. 3074).
La giurisprudenza (di merito e di legittimità) ha riconosciuto l'esistenza del “danno biologico differenziale” di tipo “quantitativo” per i seguenti motivi:
diversi sono gli ambiti applicativi delle norme: la prospettiva applicativa, esplicitata dallo stesso art. 13 d.lgs.n. 38/2000, non è quella di definire in via generale ed omnicomprensiva tutti gli aspetti risarcitori del danno biologico, ma solo quella di determinarli agli specifici e limitati fini dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali (così Trib. Monza, sent. n. 1828/2005);
diversi sono i concetti giuridici di indennizzo e risarcimento; ed, infatti, l'indennizzo è indipendente dal fatto illecito e viene corrisposto anche in mancanza di un soggetto responsabile diverso dal danneggiato (nelle ipotesi in cui l'infortunio sia da ascrivere a colpa esclusiva di quest'ultimo);
diversa è la natura delle erogazioni, atteso che l'indennizzo corrisposto dall'INAIL si concretizza in una rendita che cessa con la morte dell'infortunato e, al contrario del risarcimento del danno, non viene trasmessa iure successionis;
diverse sono le finalità dei due istituti, in quanto quello che fa capo all'INAIL ha evidente finalità sociale, mirando a garantire all'assicurato continuità nella sussistenza di mezzi adeguati alle esigenze di vita (exart. 38 Cost.), mentre il risarcimento si fonda sulla tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo alla propria integrità biologica (ex art. 32 Cost.) (v. Trib. Roma, sent. n. 24271/2008);
l'opposta tesi comporterebbe molteplici disparità di trattamento tra chi, subendo un danno biologico permanente in misura inferiore al 6%, sarebbe interamente risarcito e chi, invece, con un danno biologico in misura (magari leggermente) superiore, sarebbe solamente indennizzato dall'INAIL; ed, inoltre, il danneggiato-lavoratore sarebbe solo indennizzato, mentre, per lo stesso danno alla salute, il danneggiato-non lavoratore sarebbe integralmente risarcito (Trib. Reggio Emilia, sent. n. 330/2011, in Archivio giuridico circolazione e sinistri stradali, n. 11/2011, con nota di M. Rodolfi; Trib. Trieste, sent. n. 257/2011, in Guida al diritto 2011, 24, 69).
I tre criteri di calcolo del danno differenziale
È possibile individuare tre diversi orientamenti (cfr. M. CASOLA, Esonero da responsabilità del datore di lavoro e conseguenze processuali in tema di danno differenziale, in Riv. It. Dir. Lav., 2009, I, 99 ss.):
1) il primo prende le mosse dal citato art. 10, comma 7, d.P.R. n. 1124/1965, secondo cui il “danno differenziale” spettante all'infortunato deriva dal raffronto tra l'ammontare complessivo (dal che la definizione di calcolo “per poste complessive”) del risarcimento e quello delle indennità liquidate dall'INAIL, al fine di evitare un'ingiustificata attribuzione in favore degli aventi diritto, i quali, diversamente, percepirebbero, in relazione al medesimo infortunio, sia l'intero danno sia le indennità (v. Trib. Bolzano, Sez. Dist. di Silandro, sent. n. 2/2012; Trib. Reggio Emilia, sent. n. 330/2011; Trib. Montepulciano, sent. n. 149/2009; Cass., sent. n. 10035/2004; App. Milano 20 marzo 2014 n. 1061, su Red. Giuffrè 2014);
2) un secondo indirizzo, richiamando la nuova Tabella milanese di liquidazione del danno, aderisce, invece, alla tesi dello scorporo, ma solo tra danno patrimoniale e non patrimoniale; l'intervento del Giudice nomofilattico precluderebbe, alla stregua di tale indirizzo, ogni possibilità di scomposizione del danno alla persona in poste distintamente risarcibili, onde non incorrere in duplicazioni risarcitorie, e delineerebbe una nozione anche ontologicamente unitaria del danno biologico. Non potrebbe, dunque, il giudice scorporare all'interno del danno non patrimoniale riconosciuto la quota relativa al danno biologico “standard” da quella relativa ad ulteriori componenti non valutate dall'INAIL ai fini indennitari. Non sarebbe neppure accettabile la tesi secondo cui la surroga INAIL, a sua volta, sarebbe esercitabile solo entro il danno biologico cd. “statico” o “puro”, mentre l'ente nulla avrebbe diritto ad ottenere sul quantum riconosciuto a titolo di danno biologico “dinamico” e personalizzato e sull'intero (e ancora una volta distinto) danno morale. In definitiva, il giudice, una volta liquidato il danno non patrimoniale civilisticamente risarcibile e conseguente alla lesione del bene salute, non potrebbe fare altro che raffrontare tale importo, senza ulteriori e non più consentiti distinguo, con il quantum erogato dall'ente a titolo di danno biologico, riconoscendo in capo al danneggiato il diritto al risarcimento dell'importo differenziale. Qualora il costo sopportato per le conseguenze patrimoniali del sinistro fosse superiore all'importo civilisticamente liquidato a titolo di danno patrimoniale, solo questa eccedenza non potrebbe che restare a carico dell'INAIL, che l'ha sostenuta, per le finalità previdenziali proprie dell'ente (Cass. civ., 30 agosto 2016, n. 17407; Trib. Milano 9 giugno 2009 n. 7515, in Giust. Milano 2009, 7-8, 52; dello stesso avviso Trib. Vicenza 4 gennaio 2007 n. 321, in Il civilista 2009, 12, 39);
Di fatto inserendosi nel solco di tale impostazione, la Suprema Corte è intervenuta, statuendo che, per calcolare il c.d. "danno biologico differenziale”, spettante alla vittima nei confronti del terzo civilmente responsabile, dall'ammontare complessivo del danno biologico deve essere detratto non già il valore capitale dell'intera rendita costituita dall'INAIL, ma solo il valore capitale della quota di essa destinata a ristorare il danno biologico (Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2015, n. 13222, in Dir. & Giust. 2015, ed in Foro it. 2015, 10, 3169). In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito impugnata, la quale aveva determinato il credito residuo del danneggiato nei confronti del terzo responsabile sottraendo, invece, dall'importo complessivo del danno il valore capitalizzato dell'intera rendita dell'INAIL (cfr., nella giurisprudenza di merito, Trib. Vicenza, 4 gennaio 2007 n. 321, in Riv. infort. e mal. prof. 2007, 1, 19).
Il principio è stato di recente ribadito da Cass. civ., sez. III, 30 agosto 2016, n. 17407, a mente della quale il calcolo del danno cd. differenziale fra risarcimento del danno e indennizzo INAIL va effettuato detraendo dal credito risarcitorio civilistico l'importo pagato dall'Inail per la stessa voce: tuttavia, il risarcimento del danno biologico non può essere decurtato di quanto pagato alla vittima a titolo di danno patrimoniale (Trib. Camerino, 19 luglio 2006, in Corti marchigiane (Le) 2006, 2, 426). In quest'ottica, il giudice di merito, decidendo nel rapporto tra vittima e responsabile di un fatto illecito, non può liquidare il danno biologico tenendo conto di quanto già pagato alla vittima dall'Inail, ma a titolo di retribuzioni non percepite o spese mediche anticipate. Così, ad esempio, dato un danno biologico di 100 e spese mediche per 30 anticipate dall'Inail, il responsabile avrà causato un danno complessivo di 130, delle quali 100 andranno pagate alla vittima e 30 all'Inail. Resta, però, fermamente escluso, per quanto detto, che a causa della surrogazione dell'Inail il danno biologico della vittima (100) possa essere ridotto a 70 per tenere conto della surrogazione.
3) un terzo orientamento, infine, ritiene che si debba continuare ad applicare in sede di surroga il criterio (cd. per poste omogenee o “posta per posta”) della necessaria scomposizione delle voci risarcitorie da comparare (calcolato il danno patrimoniale per perdita o riduzione della capacità lavorativa specifica, andrà detratto l'importo capitalizzato della rendita ed i ratei già versati; calcolato il danno biologico, andrà detratto l'importo capitalizzato della rendita relativo ed i ratei già versati). Sarebbe, quindi, errata la tesi secondo cui l'effettuata reductio ad unum del danno non patrimoniale da parte delle SSUU di San Martino avrebbe comportato l'assorbimento del danno morale nel danno biologico ed il conseguente superamento della tesi del danno morale come danno complementare. Deriva che in sede di surroga l'istituto non potrebbe sostenere che il danno biologico riconosciuto all'infortunato comprenda anche i profili di personalizzazione così come si riconoscono, previa apposita allegazione ed istruttoria, in sede civile (Trib. Genova n. 2116/2009, inedita, e Trib. Treviso 23 giugno 2011, in Red. Giuffrè 2011). App. Torino 6 luglio 2016, n. 1091, in Ridare.it 29/09/2016,aderendo alla soluzione della comparazione distinta delle poste per pretese congruenti, ha ritenuto che l'erogazione dell'indennizzo per danno patrimoniale sotto forma di rendita non potesse incidere, sottraendone una fetta, sul danno non patrimoniale spettante al danneggiato a titolo di danno alla salute inteso in senso lato (che, nel caso di specie, era differente e più elevato secondo i baremes civilistici rispetto a quello previdenziale). Di questo avviso è Cass. civ., 14 ottobre 2016 n. 20807, secondo cui, tenuto conto della struttura bipolare del danno-conseguenza, va operato un computo per poste omogenee, sicché, dall'ammontare complessivo del danno biologico va detratto non già il valore capitale dell'intera rendita costituita dall'INAIL, ma solo il valore capitale della quota di essa destinata a ristorare, in forza dell'art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000, il danno biologico stesso, con esclusione, invece, della quota rapportata alla retribuzione ed alla capacità lavorativa specifica dell'assicurato, volta all'indennizzo del danno patrimoniale.
Il “danno differenziale” nella giurisprudenza di merito dopo le Sezioni Unite di San Martino del 2008
Agli inizi degli anni 2000 la Corte di Cassazione aveva in più occasioni affermato, con riferimento a quelle componenti del danno che si riteneva non formassero oggetto di copertura assicurativa (la quale, a seguito dell'introduzione dell'art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000, si estende, oltre che al danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa generica, al danno biologico), quali il danno ‘esistenziale' ed il ‘danno morale' di cui all'art. 2059 c.c., che l'integrale risarcimento potesse sempre essere richiesto autonomamente, e non a titolo di danno differenziale, indipendentemente dall'entità dell'indennizzo assicurativo, restando esclusa, per la diversità del titolo e dei soggetti debitori, qualunque compensazione fra le somme dovute per l'uno e per l'altro dei titoli suddetti (Cass. civ., 29 gennaio 2002 n. 1114; Cass. civ., 16 giugno 2001 n. 8182; Cass. civ., 8 ottobre 2007 n. 21002; Cass. civ., 5 maggio 2010 n. 10834; Cass. civ., 1 marzo 2016 n. 4025).
Come è noto, la Cassazione a Sez. Unite, nelle famose sentenze di San Martino (v., ad es., quella n. 26972/2008), ha, però, riportato il sistema risarcitorio alla sua originaria bipolarità tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale ed ha affermato (tra gli altri) il seguente principio di diritto: “Il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile, perché costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica), come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello c.d. estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale” (dello stesso avviso Cass. civ., 19 febbraio 2016 n. 3260; Cass. civ., 27 agosto 2015 n. 17210; Cass. civ., 9 giugno 2015 n. 11851; Cass. civ., 4 febbraio 2014 n. 2413; Cass. civ., 11 ottobre 2013 n. 23147; nella giurisprudenza di merito, Trib. Roma 25 febbraio 2015 n. 292, in Red. Giuffrè 2016; Trib. Firenze 14 gennaio 2015 n. 86, in Red. Giuffrè 2015; Trib. Salerno 11 febbraio 2014 n. 464, in Red. Giuffrè 2014; Trib. Torre Annunziata 10 gennaio 2014 n. 185, in Red. Giuffrè 2014).
Se si ritiene che il danno esistenziale e quello morale siano voci già contenute nel concetto di “danno biologico” (e, quindi, se intesi come componente dinamica del danno biologico, in quanto siano conseguenze immediate delle patologie sofferte dal lavoratore, accertate sotto il profilo medico-legale), è evidente che, quando vi sia una lesione all'integrità psico-fisica accertata sotto il profilo medico-legale quale conseguenza di atti illeciti del datore (trasferimenti, licenziamenti, dequalificazioni illegittimi, mobbing), il danno differenziale risarcibile da parte di quest'ultimo potrebbe essere solo di tipo quantitativo. Nel senso che va esclusa la rilevanza autonoma del danno morale ed esistenziale, Trib. Vicenza 10 febbraio 2009, in Riv. it. dir. lav. 2009, 4, 895, Trib. Paola 26 giugno 2008, in Foro It., 2008, I, 2996; Cass. 16 febbraio 2009 n. 3677 e Cass. 9 novembre 2006 n. 2918 (quest'ultima quanto al danno esistenziale).
Tuttavia, occorre dare atto che di recente, all'interno della Terza Sezione civile della Cassazione si assiste ad una sorta di revirement. In quest'ottica, di estrema importanza, per le inevitabili ricadute sul piano pratico, è Sez. 3, Ordinanza n. 7513 del 2018, rel. Rossetti, che ha riassunto i princìpi esposti in una sorta di decalogo).
Ai nostri fini rilevano quattro, secondo cui:
«6) In presenza d'un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l'attribuzione d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale).
7) […].
8) In presenza d'un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione).
9) Ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l'esistenza d'uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (come è confermato, oggi, dal testo degli artt. 138 e 139 cod. ass., così come modificati dall'art. all'articolo 1, comma 17, della legge 4 agosto 2017, n. 124, nella parte in cui, sotto l'unitaria definizione di "danno non patrimoniale", distinguono il danno dinamico-relazionale causato dalle lesioni da quello "morale").
10) Il danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente allalesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, va liquidato, non diversamente che nel caso di danno biologico, tenendo conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con sè stessa (la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est il danno morale interiore), quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso. Nell'uno come nell'altro caso, senza automatismi risarcitori e dopo accurata ed approfondita istruttoria».
Sembrerebbe, insomma, che, sia pure limitatamente al danno morale, si sia tornati a riconoscergli autonomia ontologica e dogmatica.
In tal guisa ragionando almeno il pregiudizio morale dovrebbe (se esistente) essere risarcito integralmente dal datore di lavoro, così rientrandosi nell'ambito del danno complementare (o qualitativo). Il tutto, ovviamente, aderendo al terzo indirizzo (quello cd. per poste omogenee) in precedenza riportato in tema di calcolo del danno differenziale. In siffatta ultima evenienza, tuttavia, il lavoratore potrebbe agire per l'intero nei confronti del (solo) datore di lavoro, atteso che la copertura INAIL non opererebbe. Che possa sussistere un pregiudizio esistenziale e/o morale a prescindere dal danno biologico lo sottolineano, in generale, Cass. civ., 12 maggio 2009, n. 10864, quanto al danno morale, Cass. civ., 9 giugno 2015, n. 11851, Cass. civ., 17 dicembre 2013, n. 28137, Cass. civ., 9 ottobre 2012, n. 17161, Trib. Varese 10 febbraio 2010, in Red. Giuffrè 2010, Trib. Bari 19 novembre 2009 n. 3478, in Giurisprudenzabarese.it 2009).
Vi sarebbe, per l'effetto, una perfetta sovrapposizione (sul piano qualitativo) tra danno biologico INAIL e danno biologico civilistico solo con riferimento alla componente statica di quest'ultimo, laddove nel primo verrebbero escluse le eventuali componenti morali. Un elemento normativo a sostegno di tale tesi (favorevole ad una liquidazione autonoma – cioè in aggiunta - del danno morale rispetto a quello biologico) sarebbe rappresentato dall'art. 5 del d.P.R. n. 37/2009 (Regolamento per la disciplina dei termini e delle modalità di riconoscimento di particolari infermità da cause di servizio per il personale impiegato nelle missioni militari all'estero, nei conflitti e nelle basi militari nazionali), secondo cui la determinazione della percentuale del danno morale va effettuata in una misura fino ad un massimo di due terzi del valore percentuale del danno biologico.
Il danno iatrogeno differenziale
Un'importante precisazione è stata di recente offerta dalla Suprema Corte in tema di responsabilità medica. Invero, i giudici di legittimità hanno avuto l'occasione per chiarire che, nell'ipotesi in cui il danneggiato abbia subìto, in seguito a cure incongrue causate dall'imperizia dei sanitari, l'aggravamento dei postumi di lesioni personali riportate in conseguenza di un infortunio sul lavoro (nella specie, si trattava di un sinistro stradale in itinere non ascrivibile a responsabilità di terzi), la liquidazione del danno derivante dal predetto aggravamento (cd. "danno iatrogeno differenziale") va operata, per un verso, secondo il criterio per cui l'indennizzo per danno biologico permanente erogato dall'INAIL a causa dell'infortunio, va detratto dal credito aquiliano per danno biologico permanente vantato dalla vittima nei confronti del terzo responsabile, al netto della personalizzazione del danno morale e, per altro verso, secondo il criterio per cui, ove l'indennizzo sia stato erogato sotto forma di rendita, la detrazione deve avvenire sottraendo dal credito civilistico il cumulo dei ratei già riscossi e del valore capitale della rendita ancora da erogare, al netto dell'aliquota destinata al ristoro del danno patrimoniale; pertanto, il "danno iatrogeno" va liquidato monetizzando, dapprima, il grado complessivo di invalidità permanente accertato in corpore, indi il grado verosimile della predetta invalidità che sarebbe residuato dall'infortunio anche in assenza dell'errore medico, poi, detraendo il secondo dal primo.
Il credito residuo vantato verso il responsabile dalla vittima che abbia percepito un indennizzo dall'INAIL va determinato, infine, sottraendo dal risarcimento per "danno iatrogeno" solo l'eventuale eccedenza dell'indennizzo INAIL rispetto al controvalore monetario del danno-base, cioè del danno che comunque si sarebbe verificato anche in assenza dell'illecito (Cass. civ., sez. 3, 27 settembre 2021, n. 26117).
I rapporti tra le azioni di regresso e di surroga spettanti all'INAIL ed il diritto del danneggiato all'integrale risarcimento del danno
Una premessa è debita in tema di azione di surrogazione dell'assicuratore nei confronti dell'autore dell'illecito (cfr. Cass. civ., 30 agosto 2016 n. 17407): ai fini del calcolo del differenziale, occorre considerare che a) il risarcimento del danno biologico spetta per intero all'assicurato ed il relativo importo non può essere decurtato di quanto allo stesso già erogato a titolo di danno patrimoniale; b) l'assicuratore che abbia indennizzato l'assicurato avrà diritto di surrogarsi nei confronti del terzo responsabile nei limiti del danno patrimoniale effettivamente verificatosi. In particolare, il danno patrimoniale va risarcito – e, dunque, è consentita la surroga da parte dell'ente - solo se effettivamente patito; in tal caso il danneggiato dovrà essere risarcito integralmente del biologico e l'ente dovrà essere rimborsato del patrimoniale effettivamente causato, per il quale vi sarà surrogazione e, dunque, trasferimento del diritto di credito (Cass. civ., 3 marzo 2016, n. 4225; Cass. civ., 5 marzo 2008, n. 5947). Nel senso che l'Inail può surrogarsi verso il responsabile solo in caso - e nei limiti - di un danno (patrimoniale) effettivamente causato, Cass. civ., 26 agosto 2016, n. 17387; Cass. civ., 21 gennaio 1987, n. 550.
Inoltre, sul piano processuale, sempre quanto all'azione di rivalsa dell'Inail exartt. 10 ed 11 del d.P.R. n. 1124 del 1965, la prova che le erogazioni assicurative, di cui l'Istituto chieda il rimborso, superino il risarcimento del danno conseguibile dal lavoratore infortunato spetta al datore di lavoro che lo eccepisca, trattandosi di fatto impeditivo del diritto azionato dall'ente (Cass. civ., 14 giugno 2016, n. 12198; Cass. civ., 17 gennaio 1987, n. 389).
Negli anni scorsi, la giurisprudenza è stata chiamata, in primo luogo, a risolvere il possibile conflitto tra leazioni di regresso e di surroga proposte dall'INAIL ed il diritto del danneggiato all'integrale risarcimento del danno.
Infatti, si realizzavano in passato ipotesi in cui al danneggiato, che richiedeva il risarcimento del “danno differenziale” al responsabile civile, quest'ultimo eccepiva di aver già subìto il regresso o la surroga dall'INAIL (che aveva così recuperato le somme versate all'assicurato a titolo di indennizzo).
Sono in proposito intervenute molteplici sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione al fine di salvaguardare il diritto costituzionale del danneggiato al risarcimento del danno da lesione del diritto alla salute (v. la relazione di D. SPERA all'incontro di studio, in data 12-14 marzo 2007, organizzato a Roma dal C.S.M. sul tema “Il Codice delle assicurazioni private”).
Tra le altre, merita menzione la pronuncia della Corte Costituzionale n. 319/1989, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 28, commi 2, 3 e 4, della legge n. 990/1969, nelle parti in cui non escludeva che gli enti gestori delle assicurazioni sociali potessero esercitare l'azione surrogatoria con pregiudizio del diritto dell'assistito al risarcimento del danno alla persona che non fosse stato altrimenti risarcito.
Con la sentenza n. 485/1991, la Corte Costituzionale (richiamando la sentenza n. 356/1991) ha ritenuto la equivalenza delle norme (art. 11 d.P.R. n. 1124/1965 e art. 1916 c.c. - sebbene trattasi di regresso e surroga -) ed ha rilevato: non spetta alla Corte decidere se la perdita o riduzione della capacità lavorativa (generica o specifica) rappresenti un danno risarcibile anche quando non determini in concreto alcuna perdita di reddito; va ribadito che l'integrale e non limitabile risarcibilità del danno biologico implica che l'I.N.A.I.L. non può avvalersi, ai fini dell'azione di regresso, delle somme che il responsabile deve all'infortunato a titolo di risarcimento del danno biologico non collegato alla riduzione o perdita della capacità lavorativa generica; le norme impugnate vanno dichiarate costituzionalmente illegittime, per violazione dell'art. 32 Cost., nella parte in cui non salvaguardano il diritto del lavoratore all'integrale risarcimento del danno biologico.
Ebbene, queste statuizioni sono state diversamente applicate dalla giurisprudenza di merito, dando luogo ad ulteriori criticità nella materia in esame proprio in relazione ai contenuti scindibili o meno del “danno differenziale” e dell'azione di surroga da parte dell'I.N.A.I.L. (v. la relazione di D. SPERA all'incontro di studio n. 4813, in data 16-18.06.2010, organizzato a Roma dal C.S.M sul tema “Accertamento e liquidazione del danno nelle cause di lavoro e previdenza”).
Sullo specifico punto si segnala che la recente l. 30 dicembre 2018, n. 145 (con decorrenza dall'1 gennaio 2019) all'art. 1, comma 1126, lett. f), ha modificato il testo e la portata normativa del comma 2 dell'art. 142 cod. ass. nei termini che seguono:
«Prima di provvedere alla liquidazione del danno, l'impresa di assicurazione è tenuta a richiedere al danneggiato una dichiarazione attestante che lo stesso non ha diritto ad alcuna prestazione da parte di istituti che gestiscono assicurazioni sociali obbligatorie. Ove il danneggiato dichiari di avere diritto a tali prestazioni, l'impresa di assicurazione è tenuta a darne comunicazione al competente ente di assicurazione sociale e potrà procedere alla liquidazione del danno solo previo accantonamento di una somma a valere sul complessivo risarcimento dovuto idonea a coprire il credito dell'ente per le prestazioni erogate o da erogare a qualsiasi titolo» (n.d.r.: evidenziazione in grassetto dello scrivente).
Così formulata, la disposizione sembrerebbe prevedere che la somma da accantonarsi in favore dell'ente di assicurazione sociale, che, a sua volta, dovrebbe coprire il credito vantato dall'ente per le prestazioni erogate o erogante, debba essere decurtata dal complessivo risarcimento dovuto dall'impresa di assicurazione in favore del danneggiato. Ma in tal modo si rinnegano expressis verbis gli approdi cui la Corte costituzionale era pervenuta, in precedenza menzionati.
L'altra modifica significativa, ai nostri fini, introdotta dalla l. n. 145/2018 è quella apportata agli artt. 10 ed 11 del d.P.R. n. 1124 del 1965, regolatore della disciplina INAIL.
Si riportano per comodità i nuovi commi 6, 7 e 8 dell'art. 10:
«Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo complessivamente calcolato per i pregiudizi oggetto di indennizzo, non ascende a somma maggiore dell'indennità che a qualsiasi titolo ed indistintamente per effetto del presente decreto è liquidata all'infortunato o ai suoi aventi diritto.
Quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli artt. 66 e seguenti e per le somme liquidate complessivamente ed a qualunque titolo a norma dell'art. 13, comma 2, lettere a) e b), del d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38.
Agli effetti dei precedenti commi sesto e settimo l'indennità d'infortunio è rappresentata dal valore capitale della rendita complessivamente liquidata, calcolato in base alle tabelle di cui all'articolo 39 nonché da ogni altra indennità erogata a qualsiasi titolo» (n.d.r.: evidenziazione in grassetto dello scrivente).
La norma sembra avallare la tesi (in precedenza esposta) che, prendendo le mosse dall'art. 10, comma 7, d.P.R. n. 1124/1965, ritiene che il “danno differenziale” spettante all'infortunato derivi dal raffronto tra l'ammontare complessivo (dal che la definizione di calcolo “per poste complessive”) del risarcimento e quello delle indennità liquidate dall'INAIL, al fine di evitare un'ingiustificata attribuzione in favore degli aventi diritto, i quali, diversamente, percepirebbero, in relazione al medesimo infortunio, sia l'intero danno sia le indennità.
La scelta legislativa appare opinabile, atteso che, se per un verso consente di fatto di superare le incertezze in sede applicative che deriverebbero dal criterio cd. per poste omogenee o “posta per posta”, per un altro verso, ovviamente allorquando si sia al cospetto di lesioni di entità pari o superiore al 16%, determinerebbe una indebita commistione tra danno patrimoniale e non, in aperto contrasto con la visione bipolare propugnata dalle sentenze di San Martino.
La stessa sembra il frutto di una visione compensativa per l'INAIL. Invero, la legge di bilancio 145/2018 interviene in materia di revisione delle tariffe INAIL e di riduzione dei premi. In particolare, l'art. 1, commi 1121-1122, stabilisce che, ai fini della revisione delle tariffe, con effetto dal 1 gennaio 2019 e fino al 31 dicembre 2021, dei premi e dei contributi INAIL per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, si prevedono minori entrate, che verranno realizzate mediante:
a) una riduzione per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021 delle risorse strutturali destinate dall'INAIL per il finanziamento dei progetti di investimento e formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro;
b) una riduzione per ciascuno degli anni 2020 e 2021 delle risorse destinate allo sconto per prevenzione;
c) una ulteriore riduzione delle risorse strutturali di cui alle lettere a) e b) per l'anno 2021 fino a un importo complessivo massimo di euro 50 milioni, previa verifica dell'INAIL unitamente al Ministero dell'Economia e delle Finanze.
Dura lex sed lex.
La pronuncia a Sezioni Unite n. 12566/2018
In questo contesto si inserisce la recente pronuncia a Sezioni Unite n. 12566 del 22 maggio 2018, la quale ha statuito che le somme liquidate dall'INAIL in favore del danneggiato da sinistro stradale a titolo di rendita capitalizzata ex art. 28 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, vanno detratte, in base al principio indennitario, dall'importo del risarcimento dovuto, allo stesso titolo, al danneggiato da parte del responsabile, onde evitare una duplicazione di risarcimento sia in favore del danneggiato, che a carico dell'assicuratore o del responsabile, atteso che, eseguita la prestazione in favore del danneggiato da parte dell'INAIL ed esercitato dall'assicuratore il diritto di surroga con la comunicazione al terzo responsabile della volontà di surrogarsi nei diritti del danneggiato, quest'ultimo perde la titolarità del credito per la quota corrispondente all'indennizzo assicurativo corrispostogli ed in tale credito succede l'ente surrogatosi.
Pur non rappresentando questa la sede per un approfondimento della questione (che attiene più propriamente al profilo della compensatio lucri cum damno), due sembrano i cardini su cui si poggia la motivazione della indicata decisione:
1) la sollecitazione a compiere la verifica in tema di assorbimento del beneficio nel danno in base a un test eziologico unitario, secondo il medesimo criterio causale prescelto per dire risarcibili le poste dannose, non può spingersi fino al punto di attribuire rilevanza a ogni vantaggio indiretto o mediato, perché ciò condurrebbe ad un'eccessiva dilatazione delle poste imputabili al risarcimento, finendo con il considerare il verificarsi stesso del vantaggio un merito da riconoscere al danneggiante; in quest'ottica, non potrebbero rientrare nel raggio di operatività della compensatio i casi in cui il vantaggio si presenti come il frutto di scelte autonome e del sacrificio del danneggiato, come avviene nell'ipotesi della nuova prestazione lavorativa da parte del superstite, prima non occupato, in conseguenza della morte del congiunto;
2) occorre altresì accertare se l'ordinamento abbia coordinato le diverse risposte istituzionali, del danno da una parte e del beneficio dall'altra, prevedendo un meccanismo di surroga o di rivalsa, capace di valorizzare l'indifferenza del risarcimento, ma nello stesso tempo di evitare che quanto erogato dal terzo al danneggiato si traduca in un vantaggio inaspettato per l'autore dell'illecito; solo attraverso la predisposizione di quel meccanismo, teso ad assicurare che il danneggiante rimanga esposto all'azione di "recupero" ad opera del terzo da cui il danneggiato ha ricevuto il beneficio collaterale, potrebbe aversi detrazione della posta positiva dal risarcimento.
Alla luce di queste direttrici, l'iter logico della sentenza si snoda nei seguenti passaggi:
a) premesso che i due presupposti essenziali che devono essere compresenti per poter operare la decurtazione del vantaggio conseguito sono, ripetesi, la ragione giustificatrice dell'attribuzione patrimoniale e l'esistenza di un meccanismo di surroga o di rivalsa, la rendita Inail rappresenta una prestazione economica a contenuto indennitario erogata in funzione di copertura del pregiudizio;
b) premesso che il quarto comma dell'art. 1916 c.c. estende il diritto di surrogazione agli enti esercenti le assicurazioni sociali e che l'art. 142 cod. ass. stabilisce che, qualora il danneggiato sia assistito da una tale assicurazione, l'ente gestore di questa ha diritto di ottenere direttamente dall'impresa di assicurazione (della responsabilità civile) il rimborso di quanto corrisposto al lavoratore danneggiato, la surrogazione impedisce altresì alla vittima di cumulare la somma già riscossa a titolo di rendita con l'intero importo del risarcimento del danno dovutogli dal terzo.
Fermo restando che sembra a volta che si operi una confusione di piani tra il diritto alla surrogazione e quello al regresso, non è dato comprendere appieno la ragione per la quale, per quanto, al pari della pensione di reversibilità, il riconoscimento di un indennizzo o di una rendita sia il frutto di un sacrificio sostenuto dal lavoratore (sotto forma di contributi versati), nell'un caso (indennità di accompagnamento) si sostenga la tesi del cumulo e nell'altro (rendita Inail) si avalli l'opposta tesi dello scorporo.
Un passaggio motivazionale che, invece, si condivide appieno è quello, che trova peraltro fondamento sul piano normativo, con il quale si pone a carico del terzo responsabile l'obbligo di corrispondere al danneggiato la differenza (maggior danno) tra risarcimento e indennizzo/rendita e di rimborsare all'ente gestore dell'assicurazione sociale (ormai subentrato nei diritti dell'assicurato) le spese a tal fine sostenute.
Quali sono in concreto le conseguenze delle tesi esposte?
Un esempio concreto scolpisce le enormi differenze dei risarcimenti conseguenti a ciascuno degli orientamenti giurisprudenziali descritti nel paragrafo precedente.
Supponiamo che Tizio, a seguito di un infortunio in itinere cagionato per colpa esclusiva di Caio (regolarmente assicurato per la R.C.A.), riceva dall'INAIL Euro 20.000,00 a titolo di danno biologico permanente ed Euro 30.000,00 a titolo di danno patrimoniale, per complessivi Euro 50.000,00.
Tizio cita in giudizio Caio (e la sua compagnia assicuratrice) per il risarcimento del danno differenziale; interviene in quel giudizio l'INAIL che chiede ai convenuti, in surroga exart. 1916 c.c., le somme versate a Tizio.
Il giudice accerta e liquida il danno non patrimoniale da lesione del bene salute (biologico e sofferenze) in complessivi Euro 35.000,00; procede poi alla personalizzazione del danno nella misura del 20%, in considerazione delle personali condizioni soggettive e liquida, quindi, ulteriori Euro 7.000,00; non riconosce, invece, alcun danno patrimoniale.
Se il giudice segue la tesi sub 1) (v. § 7): rigetta integralmente la domanda di Tizio, che ha ricevuto dall'INAIL una somma maggiore (Euro 50.000,00) del danno effettivamente subìto (complessivi Euro 42.000,00); accoglie la domanda dell'INAIL per la somma di Euro 42.000,00, pari al danno effettivamente cagionato da Caio. L'INAIL non recupera la residua somma versata a Tizio di Euro 8.000,00 e Caio paga esattamente la somma corrispondente al danno cagionato, pari ad Euro 42.000,00;
Se il giudice segue la tesi sub 2): condanna Caio (e la sua compagnia assicuratrice) al pagamento, in favore di Tizio, della somma di Euro 22.000,00, pari alla differenza tra quanto Tizio ha già ricevuto dall'INAIL a titolo di indennizzo per danno biologico e la somma complessivamente a lui spettante a titolo di danno non patrimoniale; accoglie la domanda dell'INAIL limitatamente alla somma di Euro 20.000,00 pari alla somma versata a titolo di indennizzo per danno biologico. Tizio riceve in tutto Euro 72.000,00, l'INAIL non recupera Euro 30.000,00, Caio paga complessivamente Euro 42.000,00;
Se il giudice segue la tesi sub 3) ed ha liquidato a Tizio il danno in Euro 14.000,00 a titolo di danno biologico statico, Euro 21.000,00 a titolo di danno morale ed esistenziale, Euro 7.000,00 a titolo di danno biologico dinamico-relazionale: condanna Caio (e la sua compagnia assicuratrice) al pagamento, in favore di Tizio della somma di Euro 28.000,00, pari alla differenza tra il danno risarcibile (sempre pari ad Euro 42.000,00) ed il danno biologico statico indennizzato dall'INAIL (fino a concorrenza di Euro 14.000,00); accoglie la domanda dell'INAIL fino a concorrenza di Euro 14.000,00. Tizio riceve in tutto Euro 78.000,00, l'INAIL non recupera Euro 36.000,00 e Caio paga complessivamente la somma pari al danno effettivamente cagionato di Euro 42.000,00.
È di tutta evidenza che trattasi di diverse conseguenze molto rilevanti tra loro.
Si deve ai primi commentatori della l. di bilancio per l'anno 2019 (F. Martini, M. Rodolfi, Le novità introdotte dalla Legge di bilancio 2019 al cod. ass. e al TU Inail, in Ridare.it 24 gennaio 2019) la formulazione di alcuni significativi esempi che attesterebbero nitidamente l'incidenza delle modifiche sul piano pratico.
Nel rinviare a quello scritto per un approfondimento, se ne riporta qui uno:
In termini generali, come si è visto, si possono ravvisare due tipi di danno differenziale: a) quello qualitativo (anche detto “complementare”), che attiene a quei pregiudizi non coperti dall'assicurazione INAIL (v. infra); b) quello quantitativo, che è relativo a quei pregiudizi (danno biologico e/o patrimoniale) coperti dall'assicurazione INAIL e che consiste nella differenza tra quanto è a carico dell'istituto e quanto è dovuto a titolo di risarcimento danni dal datore di lavoro (o del responsabile civile) in base alle tabelle utilizzate dai tribunali. In particolare, con riferimento a quest'ultima fattispecie, si possono verificare le ipotesi del diverso sistema di monetizzazione del punto di invalidità (a parità di percentuale di menomazione) e della diversa percentuale di menomazione tra le tabelle INAIL e quelle dei tribunali (sul danno complementare cfr. F.D. BUSNELLI, Chiaroscuri d'estate. La Corte di Cassazione e il danno alla persona, in Dir. e Resp, 2003, 816).
Le sentenze delle Sezioni Unite dell'11 novembre 2008 hanno reso ancora più importante comprendere quali pregiudizi vadano risarciti dal datore di lavoro al lavoratore che abbia adempiuto ai suoi oneri di allegazione e di prova, al fine di verificare se sia ravvisabile un danno differenziale qualitativo o meramente quantitativo.
Ovviamente il lavoratore, al fine di ottenere il danno differenziale, è tenuto ad allegare e provare il maggior danno subìto. Tuttavia, mentre nei confronti dell'Istituto la prestazione è automatica, il lavoratore che agisce giudizialmente nei confronti del datore di lavoro deve allegare e dimostrare la responsabilità di quest'ultimo (sui mezzi di prova, v. A. GENTILI, Sulla responsabilità contrattuale del datore di lavoro, in MGL, 1999, 8 e 9, 846 ss.).
Come già anticipato, l'indennizzo posto a carico dell'assicuratore sociale è calcolato in modo automatico ed uguale per tutti i danneggiati senza alcuna personalizzazione del danno.
Se si ritiene che il danno esistenziale e quello morale siano voci già contenute nel concetto di “danno biologico” (e, quindi, se intesi come componente dinamica del danno biologico, in quanto siano conseguenze immediate delle patologie sofferte dal lavoratore, accertate sotto il profilo medico-legale), è evidente che, quando vi sia una lesione all'integrità psico-fisica accertata sotto il profilo medico-legale quale conseguenza di atti illeciti del datore (trasferimenti, licenziamenti, dequalificazioni illegittimi, mobbing), il danno differenziale risarcibile da parte di quest'ultimo potrebbe essere solo di tipo quantitativo.
Se, invece, si aderisce all'opposta tesi (autonomia, anche ontologica, delle due voci), il pregiudizio morale e (ma con molte maggiori incertezze) quello esistenziale, rientranti a pieno titolo nella categoria di danno non patrimoniale, dovrebbero (se esistenti) essere risarciti integralmente dal datore di lavoro, in tal guisa rientrandosi nell'ambito del danno complementare (o qualitativo). In siffatta ultima evenienza, tuttavia, il lavoratore potrebbe agire per l'intero nei confronti del (solo) datore di lavoro, atteso che la copertura INAIL non opererebbe (che possa sussistere un pregiudizio esistenziale e/o morale a prescindere dal danno biologico lo sottolinea Cass. civ., sez. lav., 12 maggio 2009, n. 10864, in Giust. civ. Mass. 2009, 5, 757).
Sarà il giudice a dover stabilire, di volta in volta, sulla base delle allegazioni di parte e sulla scorta dell'istruttoria svolta, se il pregiudizio morale e quello esistenziale sussistano e se possano rientrare o meno dell'alveo del danno biologico, configurandosi come voci di quest'ultimo. Sembrano essersi orientate in tal senso, per quanto concerne il danno morale, Cass. civ., sez. lav., 20 novembre 2015, n. 23793, in Dir. & Giust. 2015, Cass. civ., sez. III, 30 luglio 2015, n. 16197, in Dir. & Giust. 2015, e Cass. civ., sez. III, 9 giugno 2015, n. 11851, in Giust. Civ. Mass. 2015, e, avuto riguardo a quello esistenziale, Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 2013, n. 22585, in Riv. It. Med. Leg. (e del Diritto in campo sanitario) 2014, 1, 285, e Cass. civ., sez. III, 17 aprile 2013, n. 9231, in Resp. Civ. e Prev. 2014, 1, 102.
Di contro, qualora si ritenga che il pregiudizio esistenziale e quello morale non siano compresi nella definizione di biologico ai fini INAIL (così Chindemi D., Danno biologico e capacità lavorativa generica: un binomio da scegliere?, in Resp. civ. e prev., 2005, 2541), andranno scorporate dal danno biologico tali componenti. In quest'ottica, vi sarebbe perfetta sovrapposizione tra danno biologico INAIL e danno biologico civilistico solo con riferimento alla componente statica di quest'ultimo, laddove dal primo verrebbero escluse le eventuali componenti esistenziali e morali.
È pur vero che la tesi in precedenza definita come “dello scorporo” sembra più coerente con il disposto dell'ultimo comma dell'art. 142 cod. ass., a tenore del quale «In ogni caso l'ente gestore dell'assicurazione sociale non può esercitare l'azione surrogatoria con pregiudizio del diritto dell'assistito al risarcimento dei danni alla persona non altrimenti risarciti».
La giurisprudenza di merito è tendenzialmente orientata nel senso di ritenere che la somma liquidabile a titolo di indennità, ex art. 13 d.lgs. n. 38/2000, non sia esaustiva di tutti gli aspetti del danno biologico, costituendo un mero indennizzo finalizzato a garantire mezzi adeguati al lavoratore infortunato e non a risarcirlo integralmente dei danni riportati, con la conseguenza che, ove sia accertato un danno ulteriore rispetto alle somme liquidate dall'INAIL, sarebbe necessario procedere all'ulteriore risarcimento (cfr., tra le altre, Trib. Piacenza, 4 giugno 2009, n. 401, in Giur. merito 2010, 1, 97; Trib. Monza, 16 giugno 2008, n. 1828, in Riv. giur. circ. trasp., 2005, 342; App. Torino, 29 novembre 2004, in Foro it., 2005, I, 1911; Trib. La Spezia, 16 dicembre 2009, in D.L. Riv. critica dir. lav. 2010, I, 138, con nota di Leverone). Nel senso che il danno che il lavoratore può chiedere in sede civilistica come danno differenziale si estende a tutto ciò che non è compreso nella copertura assicurativa (e cioè: il danno biologico temporaneo, il danno biologico fino al 5%, il danno morale e tutta la componente strettamente soggettiva del danno biologico), v. Trib. Varese, 11 dicembre 2012, in Red. Giuffrè 2012.
Non vi è dubbio che, atteso il divario fra la minore quantificazione economica del danno da invalidità permanente operata dalle tabelle Inail e quella maggiore operata dalle tabelle create ed applicate, in via equitativa, dalla giurisprudenza in materia di responsabilità civile, il lavoratore abbia diritto ad ottenere il risarcimento della parte di danno non indennizzata dall'Inail (c.d. danno differenziale quantitativo). Ciò vieppiù se si tiene conto che la normativa di cui all'art. 13 d.lgs. cit. introduce una definizione di danno biologico ai soli fini della tutela dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, con la conseguenza che la stessa non dovrebbe essere estensibile al campo del diritto civile.
Peraltro, di recente Cass. civ., sez. lav., 17 febbraio 2016, n. 3074, ha affermato che lo stesso art. 13 d.lgs. cit., dopo aver premesso che le disposizioni in esso contenute si pongono nell'ottica della “attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento”, definisce il danno biologico solo “in via sperimentale” ed ai soli “fini della tutela dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”.
In definitiva, l'erogazione effettuata dall'INAIL è strutturata in termini di mero indennizzo, indennizzo che, a differenza del risarcimento, è svincolato dalla sussistenza di un illecito (contrattuale od aquiliano) e, di conseguenza, può essere disposto anche a prescindere dall'elemento soggettivo di chi ha realizzato la condotta dannosa e da una sua responsabilità. La giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. civ., 26 ottobre 2012, n. 18469) ha ribadito la natura di tale indennizzo: a) l'Inail corrisponde un'indennità e non un risarcimento pari all'effettiva perdita; b) le conseguenze sono valutate solo in relazione alla lesione dell'integrità psicofisica, senza considerare l'eventuale altro danno non patrimoniale non biologico; c) l'indennizzo Inail ha una struttura autonoma e una funzione sociale, è determinato in misura forfettaria e prescinde dall'individuazione del responsabile. A tal punto che la valutazione dell'invalidità, effettuata, rispettivamente, ai fini del danno civile e dell'indennizzo da infortunio, è vincolante soltanto nell'ambito dei relativi procedimenti (Cass. civ., 19 dicembre 1997, n. 12906).
È, del resto, possibile – e affatto infrequente – che i criteri di liquidazione del danno biologico a fini previdenziali conducano a risultati diversi da quelli cui si perviene con l'applicazione dalle tabelle adottate in sede civilistica per la liquidazione del danno alla persona, non tanto (o non soltanto) per la disomogeneità delle percentuali di invalidità riconosciute alle singole menomazioni, quanto soprattutto per il diverso valore attribuito al punto percentuale. Ciò in quanto sono state elaborate, ed adottate, delle Tabelle di valutazione medico-legale del“danno biologico” indennizzato dall'INAIL (d.m. 12 luglio 2000 di approvazione delle Tabelle delle menomazioni, dell'indennizzo e dei coefficienti, pubblicato sulla G.U. il 25 luglio 2000) diverse da quelle usate in ambito di responsabilità civile; è, pertanto, fisiologico che menomazioni identiche comportino l'attribuzione di percentuali di invalidità permanente diverse, a seconda che siano valutate con le tabelle INAIL, piuttosto che con i criteri della responsabilità civile (Cass. civ., 18 giugno 2015, n. 12629).
Invero, la “Tabella coefficienti” è stata costruita dal legislatore con criteri che prescindono dalle specifiche e contingenti peculiarità delle effettive modalità di svolgimento dell'attività lavorativa, nonchè delle concrete condizioni socio-economiche del mercato del lavoro (Cass. civ., 12 dicembre 2013 n. 27865; Cass. civ., 11 dicembre 2013 n. 27644), prevedendo una suddivisione in fasce che sottende la presunzione per cui, con il crescere della menomazione, aumenta l'incidenza della menomazione stessa sulla capacità dell'infortunato di produrre reddito.
Casistica
CASISTICA
Azione contro il terzo responsabile - Calcolo danno biologico differenziale – Detrazione del valore capitale dell'intera rendita INAIL – Esclusione
Per calcolare il c.d. "danno biologico differenziale” spettante alla vittima nei confronti dei terzo civilmente responsabile, dall'ammontare complessivo del danno biologico deve essere detratto non già il valore capitale dell'intera rendita costituita dall'INAIL, ma solo il valore capitale della quota di essa destinata a ristorare il danno biologico (
Cass
.
civ
.
, sez. III, 26
giugno
2015, n. 13222
).
Infortuni sul lavoro – Esclusione esonero datore dalla responsabilità civile – Limitazione azione risarcitoria – Danno patrimoniale collegato a riduzione capacità lavorativa generica - Sussistenza
In tema di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, l'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per i danni occorsi al lavoratore infortunato, e la limitazione dell'azione risarcitoria di questi al cosiddetto danno differenziale, nel caso di esclusione di detto esonero per la presenza di responsabilità di rilievo penale a norma dell'
art. 10 d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124
, riguarda, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata, soltanto l'ambito della copertura assicurativa, ossia il danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa generica e non anche il danno alla salute, o biologico, e il danno morale di cui all'
art. 2059 c
.c
.
, entrambi di natura non patrimoniale, al cui integrale risarcimento il lavoratore ha diritto ove sussistano i presupposti della responsabilità del datore di lavoro (
Cass.
civ.,
sez. lav.,
sent.
1 marzo
2016
n.
4025
;
Cass
.
civ
.
, sez. lav., 19
gennaio
2015, n. 777
;
C
.d.S.
, sez. VI, 19 gennaio 2011, n. 365;
Cass
.
civ
.
, sez. lav.,
5 maggio
2010, n. 10834
).
Risarcimento danni da infortunio sul lavoro – Danno differenziale – Estensione a tutto ciò che non è ricompreso nella copertura assicurativa - Ragioni
In tema di risarcimento danni derivanti da infortunio sul lavoro, mentre l'assicurazione I.N.A.I.L. garantisce una liquidazione indennitaria del danno subito dal lavoratore, anche per propria colpa, nell'ambito del rapporto di lavoro, nell'ipotesi in cui l'infortunio sia stato cagionato in conseguenza della violazione da parte del datore di lavoro delle norme di protezione contro gli infortuni, rimane in capo allo stesso la responsabilità dell'illecito compiuto e quindi il dovere di risarcire l'intero danno provocato. E poiché il danno indennizzato dall'I.N.A.I.L. è esclusivamente il danno alla salute in senso stretto (si tratta di un danno quantificato oggettivamente a parità di sesso, età e menomazione, esulando dalla tutela indennitaria I.N.A.I.L. qualsiasi rilevanza soggettiva del danno, le cd. componenti dinamiche del danno biologico, le conseguenze pregiudizievoli – anche di tipo morale – che il danno ha sulla singola persona), il danno che il lavoratore può chiedere in sede civilistica come danno differenziale si estende a tutto ciò che non è compreso nella copertura assicurativa, e cioè: il danno biologico temporaneo, il danno biologico fino al 5%, il danno morale e tutta la componente strettamente soggettiva del danno biologico (
Trib
.
Varese, 11
dicembre
2012
).
Danno biologico cd. differenziale - Criteri di liquidazione - Detrazione d'ufficio della rendita INAIL -. Liquidazione in concreto - Esclusione -
Art. 10, commi 6, 7 ed 8 del d.P.R. n. 1124 del 1965
- Fondamento.
In tema di danno cd. differenziale, il giudice di merito deve procedere d'ufficio allo scomputo, dall'ammontare liquidato a detto titolo, dell'importo della rendita INAIL, anche se l'istituto assicuratore non abbia, in concreto, provveduto all'indennizzo, trattandosi di questione attinente agli elementi costitutivi della domanda, in quanto l'
art. 10 d.P.R. n. 1124 del 1965
, ai commi 6, 7 e 8, fa riferimento a rendita “liquidata a norma”, implicando, quindi, la sola liquidazione, un'operazione contabile astratta, che qualsiasi interprete può eseguire ai fini del calcolo del differenziale. Diversamente opinando, il lavoratore locupleterebbe somme che il datore di lavoro comunque non sarebbe tenuto a pagare, né a lui, perché, anche in caso di responsabilità penale, il risarcimento gli sarebbe dovuto solo per l'eccedenza, né all'INAIL, che può agire in regresso solo per le somme versate; inoltre, la mancata liquidazione dell'indennizzo potrebbe essere dovuta all'inerzia del lavoratore, che non abbia denunciato l'infortunio, o la malattia, o abbia lasciato prescrivere l'azione. (
Cass. civ.,
s
ez.
lav., 31
maggio
2017
n.
13819
).
Danno differenziale – Domanda del danneggiato volta ad ottenerle – Onere assertivo
Costituisce onere del ricorrente argomentare in maniera specifica circa la pretesa superiorità del risarcimento del danno, liquidato secondo le regole civilistiche (equità, tabelle giurisprudenziali, etc.) rispetto all'indennizzo Inail. Il che vuol dire che nelle domande per danno differenziale l'esistenza di quest'ultimo deve essere suffragata da argomenti in fatto ed in diritto adeguati (
Trib. Monza
,
12 maggio 2009 n. 241
, in Giustizia a Milano 2009, 5, 35).
Danno differenziale – Domanda del danneggiato volta ad ottenerle – Onere assertivo
Le somme eventualmente versate dall'Inail a titolo di indennizzo
exart. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000
non possono considerarsi integralmente satisfattive del diritto al risarcimento del danno biologico in capo al soggetto infortunato o ammalato, sicché, a fronte di una domanda del lavoratore che chieda al datore di lavoro il risarcimento dei danni connessi all'espletamento dell'attività lavorativa (nella specie, per demansionamento), il giudice adito, una volta accertato l'inadempimento, dovrà verificare se, in relazione all'evento lesivo, ricorrano le condizioni soggettive ed oggettive per la tutela obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali stabilite dal
d.P.R. n. 1124 del 1965
, ed in tal caso, potrà procedere, anche di ufficio, alla verifica dell'applicabilità dell'art. 10 del decreto citato, ossia all'individuazione dei danni richiesti che non siano riconducibili alla copertura assicurativa (cd. "danni complementari"), da risarcire secondo le comuni regole della responsabilità civile; ove siano dedotte in fatto dal lavoratore anche circostanze integranti gli estremi di un reato perseguibile di ufficio, potrà pervenire alla determinazione dell'eventuale danno differenziale, valutando il complessivo valore monetario del danno civilistico secondo i criteri comuni, con le indispensabili personalizzazioni, dal quale detrarre quanto indennizzabile dall'Inail, in base ai parametri legali, in relazione alle medesime componenti del danno, distinguendo, altresì, tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale, ed a tale ultimo accertamento procederà pure dove non sia specificata la superiorità del danno civilistico in confronto all'indennizzo, ed anche se l'Istituto non abbia in concreto provveduto all'indennizzo stesso.