Giudizio di divisioneFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 784
09 Settembre 2019
I partecipanti al giudizio di divisione
L'art. 784 c.p.c. stabilisce il litisconsorzio necessario tra tutti i partecipanti alla comunione. Tale disposizione, tuttavia, deve essere integrata anche con l'art. 1113 c.c., dove si prevede che debbano essere chiamati ad intervenire, perché la divisione abbia effetto nei loro confronti: i creditori che hanno fatto opposizione prima dell'atto di divisione o della domanda di divisione, purchè essa sia stata trascritta quando si tratta di atti soggetti a trascrizione prima della trascrizione dell'atto di divisione o della domanda di divisione (viene comunque fatta salva la possibilità di agire in revocatoria o surrogatoria); i creditori iscritti e coloro che hanno acquistato diritti sull'immobile in virtù di atti soggetti a trascrizione e trascritti prima della trascrizione dell'atto di divisione o della trascrizione della domanda di divisione giudiziale. Ai sensi di tale disposizione possono intervenire a proprie spese gli altri creditori e gli aventi causa. Ai creditori ed aventi causa è data facoltà di fare opposizione alla divisione non ancora eseguita, nonché di impugnare la divisione, anche se eseguita, se hanno fatto opposizione alle condizioni di cui all'art. 1113 c.c. (Cass. civ., 9 novembre 2012, n. 19529). Qualora uno dei litisconsorti necessari venga pretermesso si applicano gli artt. 102, 331, 354 e 383 c.p.c. La parte che solleva la relativa eccezione, deve anche indicare le persone che debbono essere chiamate in giudizio per integrare il contraddittorio (Cass. civ., 15 luglio 2005, n. 15086). Competenza e organo giudicante
La competenza viene determinata sulla base della composizione della divisione, non ci sono norme specifiche sul punto. Perciò, se oggetto della divisione sono beni mobili di valore inferiore a cinquemila euro la competenza è del giudice di pace; in tutti gli altri casi la competenza è del tribunale in composizione monocratica, dopo l'abolizione della riserva di collegialità con la riforma dell'art. 50-bis c.p.c. Se si tratta di divisione di una comunione ereditaria e insieme alla domanda di divisione viene presentata una domanda di impugnazione di testamento o di riduzione di legittima la competenza torna ad essere del tribunale in composizione collegiale in virtù del combinato disposto dell'art. 50-bis n. 6 e 281-nonies c.p.c.
Il giudizio viene introdotto con atto di citazione, come un giudizio ordinario con momenti di specialità suoi propri, che ne costituiscono la peculiarità. Sulla struttura del processo ordinario si svolgono le quattro eventuali fasi del procedimento, corrispondenti a momenti della fattispecie a formazione progressiva che porta le parti dalla comproprietà di un patrimonio condiviso a tanti diritti di proprietà esclusiva corrispondenti alla quota dei condividenti. Le fasi del procedimento sono relative alla determinazione del diritto alla divisione (art. 785); alla quantificazione delle quote di proprietà attraverso le operazioni tecniche di ripartizione del patrimonio comune, comprendenti l'eventualità della vendita (artt. 787 e 788); alla discussione ed approvazione del progetto di divisione (art. 789); all'estrazione a sorte dei lotti (art. 195 disp. att. c.p.c.). In ogni fase si ripete lo stesso meccanismo: il legislatore ha utilizzato la non contestazione per cercare di abbreviare la complessa vicenda processuale che porta alla cessazione della comunione. Se vi è contestazione si procede sui binari del processo ordinario all'istruzione probatoria e poi alla decisione con sentenza (artt. 187 ss. c.p.c.); altrimenti il giudice emette ordinanza o decreto. In dottrina vi è contestazione non solo sulla natura del processo e sul suo oggetto, ma anche sulla natura dei provvedimenti che vengono emessi in alternativa alla sentenza.
La terza sembra essere la posizione da condividere, anche in considerazione del fatto che oggi l'ordinamento giuridico offre molteplici possibilità di arrivare ad una divisione consensuale, sia giudiziale, con la conciliazione tra le parti, che stragiudiziale, oltre che con gli strumenti introdotti dal d.l. n. 69/2013 anche mediante l'iniziativa dei condividenti di attribuire semplicemente l'incarico di condurre le operazioni di divisione ad un notaio (art. 730 c.c.). In conclusione, il giudizio di divisione è un procedimento contenzioso, con oggetto il diritto potestativo alla divisione; esso segue le regole del giudizio ordinario per tutto ciò che non siano espressamente disciplinate dalla normativa speciale.
I provvedimenti emessi nelle fasi di merito
La sentenza resa sul diritto alla divisione ai sensi dell'art. 785 c.p.c. ha carattere definitivo per coloro che vengono esclusi dal giudizio di divisione e, perciò, possono impugnare il provvedimento immediatamente; al contrario, per coloro che rimangono all'interno del giudizio di divisione come litisconsorti necessari il provvedimento ha natura di sentenza parziale, perché statuisce solo sul diritto potestativo alla divisione, mentre la modificazione giuridica sostanziale richiesta viene attuata con la sentenza o con l'ordinanza con la quale il giudice dichiara esecutivo il progetto di divisione (art. 789 c.p.c.). É definitiva, quindi, la sentenza con la quale il giudice decide le contestazioni sul diritto alla divisione e lo dichiara esecutivo, dopo eventuali modifiche ad esso apportate (art. 789, comma 3 c.p.c.)
L'opinione più convincente, a nostro parere, è quella che vuole i due provvedimenti emessi in assenza di contestazioni nelle due fasi di merito come provvedimenti decisorio sommari, che se regolarmente adottati non consentono di ritornare rispettivamente sulla questione della sussistenza o meno del diritto alla divisione (ordinanza ex art. 785 c.p.c.), e sulla modificazione giuridica richiesta dai condividenti (ordinanza ex art. 789 c.p.c.) perché coperte da giudicato.
Le fasi a carattere esecutivo
Il giudice può delegare le operazioni di divisione ad un notaio o ad un altro professionista tipo avvocato. L'art. 2 della legge n. 263/2005 ha modificato solo gli artt. 787 e 788 c.p.c. dove si fa genericamente riferimento al professionista delegato; probabilmente per dimenticanza il legislatore non ha modificato anche gli artt. 786, 790 e 791 c.p.c., ma non c'è motivo di ritenere che la fase delle operazioni di divisione complessivamente considerata, a carattere latamente esecutivo, non possa essere delegata ad un professionista diverso dal notaio. Il professionista delegato deve dare avviso almeno cinque giorni prima alle parti del giorno e ora in cui le operazioni avranno inizio. Se nel corso delle operazioni sorgono contestazioni in ordine alle stesse, il professionista redige apposito processo verbale che trasmette al giudice. Quest'ultimo fissa con decreto un'udienza per la comparizione delle parti e sulle contestazioni provvede con ordinanza (art. 790 c.p.c.). Tale ordinanza non è decisoria su diritti, ma un provvedimento con il quale si risolvono problemi a carattere “esecutivo”, perciò non è impugnabile con ricorso straordinario in Cassazione, ma piuttosto con opposizione agli atti esecutivi (Cass. civ., 29 dicembre 2016, n. 27346). Nella formazione del progetto di divisione, il giudice può attribuire beni in natura ai condomini. L'art. 718 c.c. stabilisce che ciascun coerede ha diritto di conseguire in natura la parte dei beni a lui spettanti secondo le modalità stabilite dagli artt. 726 e 727 c.c. Il successivo art. 720 c.c. deroga a tale regola per il caso in cui il bene non sia comodamente divisibile o il cui frazionamento recherebbe pregiudizio alle ragioni della pubblica economia o dell'igiene. Questo può accadere sia per materiale impossibilità della divisione, sia per motivi di perdita di valore o di pregio del bene da dividere (Cass. civ., 15 dicembre 2016, n. 25888). In tal caso il giudice può decidere discrezionalmente di attribuire ad uno o più condomini il bene, con il pagamento dei necessari conguagli. L'istanza di attribuzione ex art. 720 c.c. è soggetta alle preclusioni processuali proprie del processo ordinario: da qualificarsi come istanza di precisazione delle conclusioni, se presentata dopo gli atti introduttivi, non può andare oltre la prima udienza di trattazione, salvo che solo successivamente se ne presentino le condizioni (Cass. civ.,19 luglio 2016, n. 14756). Disposta la vendita con ordinanza o sentenza nel caso in cui ci siano state contestazioni, l'attribuzione non può più essere chiesta. Si seguono, quindi, le regole proprie della vendita forzata; così, si può presentare istanza di assegnazione ai sensi dell'art. 588 c.p.c. secondo le regole dell'esecuzione forzata. Le ordinanze di cui agli artt. 787 e 788 c.p.c. sono impugnabili con l'opposizione agli atti esecutivi (Cass. civ., 27 gennaio 2014, n. 1619). Se sorgono contestazioni sulla vendita, la controversia viene istruita ai sensi degli artt. 187 ss. c.p.c. e decisa con sentenza. Ultimate le operazioni per la divisione, se parti raggiungono un accordo sulla spartizione del patrimonio, davanti al giudice o al professionista incaricato (art. 791 c.p.c.), si redige processo verbale e il procedimento viene chiuso con il provvedimento del giudice che rende esecutivo l'accordo raggiunto, come accade nel processo ordinario (si pensi alla conciliazione raggiunta a seguito di esame contabile: se le parti si conciliano si redige processo verbale, che il giudice rende esecutivo con decreto). Se non si raggiunge un accordo e le operazioni di divisione sono state condotte da un professionista, quest'ultimo deve trasmettere il verbale al giudice (art. 791, comma 2 c.p.c.). Il giudice fissa udienza davanti a sé in ogni caso, sia che lui stesso abbia provveduto alle operazioni di divisione sia che le abbia delegate ad un professionista. Anche se le parti non hanno raggiunto alcun accordo può accadere che all'udienza non ci siano contestazioni. In tal caso, il giudice dichiara esecutivo il progetto con ordinanza (art. 789, comma 3 c.p.c.); altrimenti il giudice procede all'istruzione della causa e decide con sentenza. L'ultima ed eventuale fase a carattere esecutivo è l'estrazione a sorte dei lotti, nel caso in cui i lotti risultanti dalle operazioni di divisione siano di eguale valore, o comunque siano previsti conguagli, e le parti non si accordino per la loro assegnazione (art. 195 disp. att. c.p.c.). Il processo verbale dal quale risulta l'attribuzione delle quote nelle operazioni di estrazione è approvato con decreto del giudice se non sorgono contestazioni o con la sentenza che decide sulle contestazioni sorte. Il decreto del giudice costituisce titolo esecutivo per l'eventuale rilascio dei beni attribuiti, nonché per il pagamento dei relativi conguagli (Cass. civ., 30 giugno 2015, n. 13316). Il provvedimento finale in questo caso è una fattispecie complessa, data dal provvedimento con cui il giudice approva il progetto di divisione, ordinanza o sentenza, e dal provvedimento, decreto o sentenza, con il quale si approvano le operazioni di estrazione a sorte dei lotti: la combinazione tra i due dà luogo ad un titolo esecutivo completo, necessario per soddisfare il diritto riconosciuto dal giudice.
Prima dell'abrogazione della riserva di collegialità per il giudizio di divisione, la Cassazione era orientata a ritenere che il provvedimento patologicamente decisorio fosse impugnabile, in mancanza di altri mezzi previsti, per cassazione a sensi dell'art. 111 Cost. (si veda ex multis Cass. civ., 7 maggio 1991, n. 5014). Successivamente, la giurisprudenza di Cassazione si è progressivamente consolidata nell'applicazione del principio della prevalenza della sostanza sulla forma davanti ad un'ordinanza adottata dal giudice unico in mancanza dei presupposti di legge. Essendo sempre lo stesso ed unico giudice a presiedere tanto la fase istruttoria che decisoria, non si porrebbe più il problema della carenza di potere dell'istruttore che abbia emesso un'ordinanza piuttosto che procedere secondo gli articoli 187 ss. c.p.c. Di conseguenza, l'ordinanza dell'art. 789 c.p.c. e gli altri provvedimenti, che chiudono le singole fasi del procedimento, se adottati in presenza di contestazioni, verrebbero a svolgere una funzione obiettivamente sostitutiva della sentenza e sarebbero impugnabili mediante appello (Cass. civ.,Sez. Un., 2 ottobre 2012, n. 16727). L'argomento su cui si impernia la decisone delle Sezioni Unite è la duplice possibilità di definizione del giudizio tracciata dall'art. 789, comma 3, c.p.c. che non lascerebbe adito a dubbi: in assenza di contestazioni, si ha l'ordinanza che dichiara esecutivo il progetto di divisione; in presenza di contestazioni, si ha la sentenza che decide su di esse. Se in quest'ultimo caso il giudice dovesse pronunciarsi con ordinanza, sarebbe evidente che questo provvedimento andrebbe oggettivamente a svolgere la funzione riservata dal legislatore alla sentenza. In conclusione, affinché l'ordinanza possa essere considerata impugnabile tramite appello è necessario: innanzi tutto, che la contestazione sia formalizzata; conseguentemente, che l'ordinanza rigetti esplicitamente o implicitamente la contestazione, ovvero che il giudice abbia omesso di provvedere sulle obiezioni sollevate, incorrendo in un error in procedendo. In tali casi il giudice d'appello dovrebbe decidere senza rimettere la causa al primo giudice, dal momento che non si è in nessuna delle ipotesi dell'art. 354 c.p.c. Il vero punto debole della costruzione concettuale della Corte sta nella mancata individuazione di una valida soluzione per le ipotesi in cui non ci sono state contestazioni, perché colui che avrebbe voluto muoverle non è stato messo nella condizione di esprimerle, per nullità della citazione, della notificazione della citazione o della comunicazione dell'avvenuto deposito del progetto di divisione nella cancelleria del giudice. In questi casi l'ordinanza, che dichiara esecutivo il progetto di divisione, viola il principio del contraddittorio. Questo dubbio non viene sviscerato e chiarito neanche nelle più recenti sentenze adesive della Corte (Cass. civ., 27 gennaio 2014, n. 1619; Cass. civ., 12 luglio 2016, n. 14223). In verità, in presenza di provvedimenti emessi al posto di una sentenza in presenza di un'apparente non contestazione, dovuta ad irregolarità nella citazione, notificazioni o comunicazioni, agli interessati non è stata data la possibilità di procedere ad un giudizio a cognizione piena. Ad essi deve essere, quindi, concesso di contestare il provvedimento potenzialmente decisorio (decisorio sommario secondo la ricostruzione alla quale si aderisce) in virtù di una finta acquiescenza mediante il mezzo suo proprio, ovvero l'appello. È ovvio che nel caso in cui le parti intendano contestare aspetti “esecutivi” delle ordinanze di cui agli artt. 787, 788, 790, ovvero del decreto di cui all'art. 195 disp. att. c.p.c., essi si debbono avvalere dell'opposizione agli atti esecutivi. Riferimenti
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