Anche la disciplina dell'udienza di trattazione non è stata esente da modifiche ad opera del d.lgs. n. 149/2022 e attualmente può dirsi che il suo svolgimento sia “specchiato” rispetto a quello che si delineava ante riforma. Specchiato nel senso che ora la celebrazione dell'udienza non precede ma segue lo scambio delle vecchie memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c.
Inquadramento
L'udienza di prima comparizione e trattazione, disciplinata exart. 183 c.p.c., è un istituto che rientra nella fase di istruzione, ovvero quella fase del processo, successiva all'introduzione e precedente alla fase di decisione della controversia, in cui si compiono le attività propedeutiche alla decisione della causa. Più precisamente, l'udienza di trattazione è quella in cui si prende conoscenza delle domande e si impostano i problemi che queste pongono. Benché centrale nella fase di istruzione sia il ruolo del giudice, grande rilevanza hanno anche le attività delle parti.
Diverse sono le attività svolte dal giudice e dalle parti, nonché diverse sono le funzioni delle stesse.
Il giudice, tenuto al dovere di collaborazione verso le parti, può compiere i rilievi relativi alle questioni idonee a una decisione di rito o di merito e chiedere chiarimenti sui fatti oggetto della controversia. A queste attività si aggiunge la verifica della corretta instaurazione del contraddittorio tra le parti, che, prima della riforma del 2005 (tramite la l. n. 80), ai sensi della l. n. 534/1995, era svolta in una diversa udienza, disciplinata dall'art. 180 c.p.c. e chiamata udienza di prima comparizione.
Le parti, invece, compiono le attività volte alla completa definizione del thema decidendum e del thema probandum, nel rispetto del principio dispositivo, non potendo il giudice sostituirsi alle parti nell'esercizio della domanda e nell'allegazione dei fatti.
Fissazione udienza
Ai sensi dell'art. 163, comma 3, n. 7, c.p.c., l'attore è il soggetto che fissa la data dell'udienza di trattazione. La scelta del giorno della citata udienza, a pena di nullità dell'atto di citazione, va operata lasciando un termine perentorio, con funzione dilatoria, di 90 giorni tra il giorno dell'udienza e quello della notifica dell'atto di citazione al convenuto, salva la possibilità di chiedere per motivi d'urgenza l'abbreviazione dei termini sino alla metà al tribunale.
Il giorno dell'udienza, però, non necessariamente coinciderà con quello fissato dall'attore. La designazione del giudice istruttore è di competenza del presidente del tribunale adito, peraltro senza alcun vincolo come previsto ai sensi dell'art. 168-bis, e nel caso il giudice istruttore non tenga udienza di prima comparizione nel giorno fissato dall'attore questa sarà differita all'udienza di prima comparizione immediatamente successiva tenuta dallo stesso, ex comma 4 art. 168-bis.
Un differimento non automatico della prima udienza, invece, è previsto ai sensi del comma 5 dell'art. 168-bis. Questo prevede che il giudice, entro 5 giorni dalla presentazione del fascicolo, possa differire la data della prima udienza sino a 45 giorni, al fine di acquisire corretta e completa conoscenza del fascicolo d'ufficio. A differenza dell'ipotesi prevista ai sensi del comma 4 dell'articolo citato, in questo caso anche il termine di costituzione del convenuto viene differito e i 20 giorni calcolati dalla nuova data dell'udienza.
Anche il convenuto può incidere sulla determinazione della data della prima udienza. Se l'attore, pur nel rispetto del termine minimo, fissa la data dell'udienza di trattazione in un termine successivo a quello di 90 giorni dalla data di notificazione dell'atto di citazione al convenuto, quest'ultimo può chiederne l'anticipazione, comunque nel rispetto dei 90 giorni previsti ai sensi dell'art. 163 c.p.c., ai sensi dell'art. 163-bis, comma 3, c.p.c.
Attività del giudice
1) Verifica della corretta costituzione delle parti e dell'instaurazione del contraddittorio
Il giudice, ai sensi dell'art. 182 c.p.c., è tenuto a verificare la regolarità della costituzione delle parti in giudizio. Oggetto del controllo sono quei vizi attinenti all'irregolarità degli atti che vengono introdotti nel fascicolo, relativi alla procura del difensore o attinenti al difetto della legittimazione processuale delle parti. Il giudice, nel caso in cui rilevi uno dei citati vizi, assegna un termine perentorio per la costituzione della persona a cui spetta la rappresentanza o l'assistenza, per il rilascio delle autorizzazioni necessarie o per il rilascio della procura alle liti o la sua rinnovazione. Il compimento o la rinnovazione dei citati atti salva gli effetti sostanziali e processuali della domanda ex tunc.
Il giudice, ai sensi dell'art. 183 comma 2 c.p.c., deve verificare la corretta instaurazione del contraddittorio. Nel caso in cui rilevi vizi nell'instaurazione del contraddittorio, il giudice istruttore fissa una nuova udienza, quando vi sono vizi dell'atto di citazione relativi alla vocatio in ius e ne dispone la rinnovazione; quando vi sono difetti dell'atto di citazione o della domanda riconvenzionale relativi all'editio actionis e ne dispone la rinnovazione o l'integrazione; nel caso di richiesta di entrambe le parti di comparire personalmente per la conciliazione o quando la stessa sia disposta dal giudice per l'interrogatorio non formale; infine, nel caso in cui il giudice, ex art. 183 comma 5 c.p.c., autorizzi l'attore a chiamare in giudizio un terzo in ragione delle difese svolte dal convenuto.
2) Rilievi d'ufficio, chiarimenti e provvedimenti d'urgenza
Ai sensi dell'art. 183 comma 4 c.p.c., il giudice può richiedere i chiarimenti necessari e indicare alle parti le questioni rilevabili d'ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione.
In evidenza
I chiarimenti si rendono necessari quando la domanda di una delle parti è posta in maniera ambigua. Si veda in proposito Cass. civ., 16 aprile 2015, n.7683, secondo la quale: «Se l'atto di citazione contiene una domanda formulata in termini ambigui, il giudice di merito ha il dovere di chiedere alle parti i necessari chiarimenti exart. 183, comma 4, c.p.c., ovvero imporglieli, exart. 164 c.p.c. Se ciò non faccia, il giudice nella sentenza conclusiva del giudizio avrà l'onere di attribuire alla domanda ambiguamente formulata un preciso significato, interpretandola e qualificandola alla luce del complessivo tenore detratto di citazione, ma non potrà giammai ritenerla "non proposta", per non incorrere nel vizio di infrapetizione».
Relativamente al dovere del giudice di indicare alle parti le questioni rilevabili d'ufficio, un'importante innovazione è data ai sensi della l. n. 69/2009, la quale ha introdotto un nuovo comma, ovvero il secondo, all'art. 101 c.p.c. Questo dispone che «Se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d'ufficio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione». Il nuovo comma è stato introdotto per evitare le c.d. “sentenze della terza via”. Si trattava di decisioni basate su di una questione rilevabile d'ufficio sulla quale il giudice non aveva provocato il contradditorio tra le parti. Oggi, quindi, il giudice che voglia porre a fondamento della propria decisione una questione rilevabile d'ufficio, a pena di nullità della sentenza, deve concedere alle parti un termine perentorio per il deposito di memorie sul punto.
Attività delle parti (introduzione)
Nell'udienza ex art. 183 c.p.c. e nella successiva appendice scritta, le parti svolgono le attività che si rendono necessarie a seguito di quelle già compiute dalla controparte. L'attore deve a pena di decadenza proporre domande o eccezioni nuove e chiamare in causa un terzo, purché questa attività sia resa necessaria dalle difese svolte dal convenuto nella comparsa di costituzione e risposta. A sua volta il convenuto è onerato di svolgere le relative attività difensive che si sono rese necessarie in base a quanto dedotto dall'attore.
In ogni caso le parti all'udienza di trattazione o nella sua appendice scritta sono onerate di chiedere l'ammissione dei mezzi di prova, di contestare i fatti e possono procedere alla precisazione o alla modifica (quando questa sia ammessa) delle domande proposte.
Attività dell'attore
Ai sensi del comma 5 dell'art. 183 c.p.c., l'attore può proporre in prima udienza di trattazione le domande e le eccezioni consequenziali alla domanda riconvenzionale e delle eccezioni proposte dal convenuto nella comparsa di costituzione e risposta e può chiedere al giudice di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo.
All'attore è preclusa la proposizione di domande nuove autonome. Può, però, proporre la reconventio reconventionis che è una domanda riconvenzionale dedotta a seguito di quella proposta dal convenuto e che sia afferente al rapporto giuridico già dedotto dalle parti o a questo pregiudiziale.
Non autonomia della reconventio reconventionis
La non autonomia della reconventio reconventionis proposta dall'attore è confermata dalla massima della sentenza Cass. civ. 22 dicembre 2016, n.26782, secondo la quale: «L'attore contro il quale il convenuto abbia proposto domanda riconvenzionale ben può opporre, a sua volta, altra riconvenzionale, avendo egli qualità di convenuto rispetto alla prima, e tale principio, valido per il processo di cognizione ordinario come per quello di ingiunzione, costituisce una deroga rispetto a quello secondo cui l'attore non può proporre domande diverse rispetto a quelle originariamente formulate nell'atto di citazione: tuttavia la sua posizione non è assimilabile a quella del convenuto, né trovano, quindi, applicazione gli artt. 36 e 167, comma 2, c.p.c., atteso che la cd. reconventio reconventionis non è un'azione autonoma, ma può essere introdotta esclusivamente per assicurare all'attore un'adeguata difesa di fronte alla domanda riconvenzionale o alle eccezioni del convenuto e deve essere consequenziale rispetto ad esse».
Le difese del convenuto che legittimano l'attore a proporre nuove domande o eccezioni sembrano solo quelle relative alla proposizione della domanda riconvenzionale o alla proposizione di eccezioni in senso proprio (siano queste eccezioni in senso lato o in senso stretto). Non sembra, infatti, che questa attività sia legittimata dalle mere difese svolte dal convenuto, le quali si articolano nella semplice negazione dei fatti posti a fondamento della domanda dell'attore.
PROPOSIZIONE DI NUOVE DOMANDE E NUOVE ECCEZIONI SOLO NEL CASO DI DOMANDA RICONVENZIONALE O ECCEZIONI IN SENSO PROPRIO DEL CONVENUTO: ORIENTAMENTI A CONFRONTO
Sul punto la giurisprudenza si trova divisa.
A favore della tesi della proposizione per l'attore di nuove domande o eccezioni solo nel caso della proposizione di domanda riconvenzionale o di eccezioni in senso proprio del convenuto dispone Cass. civ., 11 marzo 2006, n.5390: «Il comma 4 dell'art. 183 c.p.c. consente all'attore di proporre nella prima udienza di trattazione domande nuove e diverse rispetto a quella originariamente proposta, solo ove esse trovino giustificazione nella domanda riconvenzionale o nelle eccezioni proposte dal convenuto, da intendersi in senso proprio, non anche nelle semplici controdeduzioni volte a contestare il fondamento dell'azione».
Contra Cass. civ., 19 luglio 2013, n.17708 , secondo la quale: «L'art. 183 c.p.c., quarto comma, nel testo anteriore alla riforma del 2006, nonché l'attuale quinto comma della stessa norma, consentono che l'attore possa introdurre una nuova domanda, oltre che a seguito di eccezione o domanda riconvenzionale del convenuto, anche in dipendenza di una mera difesa in iure o in facto che alleghi l'infondatezza della domanda originaria, ferma restando la necessità che la nuova domanda assuma carattere consequenziale e, dunque, che la mera difesa svolga rispetto ad essa funzione di elemento costitutivo. Ne consegue che, ove l'attore abbia proposto domanda ai sensi dell'art. 2932 c.c., la contestazione del convenuto sulla effettiva conclusione del contratto, legittima la proposizione, da parte dell'attore, di domanda per il riconoscimento di una responsabilità precontrattuale fondata sulla mancata conclusione del contratto, oggetto della difesa del convenuto».
L'attore, ai sensi del comma 5 dell'art. 183 c.p.c. può comunque proporre la precisazione e la modifica delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già formulate.
Attività del convenuto
Il convenuto all'udienza ex art. 183 c.p.c., ai sensi del comma 5, può proporre la precisazione e la modifica delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già formulate, similmente alla facoltà che è prevista in capo all'attore.
Le ulteriori attività, come l'allegazione dei mezzi di prova o l'introduzione di ulteriori domande ed eccezioni nuove resesi necessarie dalle difese svolte dall'attore alla prima udienza, potranno essere svolte nella successiva appendice scritta, prevista ex comma 6 dell'art. 183 c.p.c.
Approfondimento sulla modifica e sulla precisazione delle domande
Gli elementi identificatori della domanda giudiziale sono tre: le parti, il petitum (mediato e immediato) e la causa petendi. Il profilo soggettivo della domanda è identificato dalle parti, quello oggettivo dal petitum e dalla causa petendi.
Le parti sono il soggetto che propone la domanda, ovvero l'attore, e quello verso cui la domanda è posta, il convenuto.
Il petitum è l'oggetto della domanda. Questo ha una duplice contenuto poiché si divide in petitum immediato, consistente nel provvedimento richiesto al giudice, e mediato, ovvero il bene della vita che si vuole ottenere tramite la pronuncia del giudice.
La causa petendi consiste nel titolo, ovvero nel contesto fattuale causale e giustificativo, su cui la domanda si forma.
Le domande giudiziali, poi, si dividono in auto-determinate e etero-determinate. Le domande auto-determinate solo quelle che si individuano a prescindere del titolo acquisitivo del diritto dedotto in giudizio (questo avviene nel caso dei diritti assoluti, come ad esempio la proprietà). Le domande etero-determinate, invece, sono quelle che vengono individuate a seconda dello specifico fatto costitutivo del diritto dedotto in giudizio, oltre che dal petitum; perciò, al variare della causa petendi varia anche il diritto dedotto.
L'emendatio libelli, ovvero la precisazione della domanda, consiste in una rettifica del titolo acquisitivo del diritto dedotto in giudizio. Diversamente dalla mutatio libelli, proponendo un'emendatio libelli non si arriva alla modifica della causa petendi, operando, piuttosto, all'interno delle species di fatti costitutivi che, seppur diversi, sono tutti identificatori dello stesso diritto, purché questo sia un diritto auto-determinato.
La mutatio libelli è ammessa solo quando questa sia espressamente prevista ex lege. Una modifica della domanda è, ad esempio, prevista quando, ex art. 1453 c.c., in luogo dell'adempimento del contratto, la parte proponga domanda di risoluzione del contratto per inadempimento.
Delle criticità sulla determinazione del confine tra modifica e precisazione della domanda si pongono nel caso di quelle particolari azioni costitutive, diretteex art. 2908 c.c. ad ottenere dal giudice un provvedimento che modifichi la precedente situazione giuridica in essere tra le parti, volte a far valere un vizio negoziale. Ad esempio, l'azione di annullamento del contratto, disciplinata ai sensi dell'art. 1441 c.c., può fondarsi su: errore, violenza e dolo. L'azione in esame è etero-determinata e quindi si deduce un diverso diritto all'annullamento del contratto a seconda che questo sia fondato su errore, violenza o dolo. Un'emendatio ammissibile, invece, è la deduzione di un diverso fatto purché rientrante nella relativa subspecie di vizio, ovvero: se si è dedotta l'annullabilità per errore può essere dedotto un diverso errore in luogo di quello precedentemente. Lo stesso, ovviamente, vale anche quando si sia richiesto l'annullamento per violenza o dolo, potendosi dedurre un nuovo fatto di violenza o di dolo.
Giurisprudenza sui limiti tra mutatio ed emendatio libelli
In materia di confini tra mutatio ed emendatio libelli è doveroso citare la massima della Cass. civ., Sez. Un., 15 giugno 2015, n. 13210, secondo la quale: «La modificazione della domanda ammessa exart. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l'allungamento dei tempi processuali. Ne consegue l'ammissibilità della modifica, nella memoria exart. 183 c.p.c., dell'originaria domanda formulata exart. 2932 c.c. con quella di accertamento dell'avvenuto effetto traslativo».
Appendice scritta
Ai sensi dell'art. 183, comma 6, c.p.c., se una o entrambe le parti lo richiedono,il giudice fissa tre termini, perentori e in successione (30 giorni, 30 giorni e 20 giorni), per la proposizione di tre memorie.
La prima memoria è relativa alle precisazioni o alle modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte.
La seconda memoria è quella in cui si formulano le repliche alle domande e alle eccezioni nuove o modificate dall'altra parte e le conseguenti eccezioni. Qui deve anche compiersi l'indicazione dei mezzi di prova nonché la produzione documentale.
Nella terza memoria, invece, vengono indicate le prove contrarie.
Giova ricordare che, ai sensi dell'art. 115 c.p.c., il giudice può porre a fondamento della propria decisione i fatti non specificamente contestati dalla controparte. Sulla determinazione del termine ultimo per la contestazione, che quando non compiuta opera come relevatio ab onere probandi, non c'è una visione unica. La contestazione dei fatti allegati dalla controparte, in ogni caso, non può essere compiuta dopo l'adozione dell'ordinanza ex art. 183 comma 7 c.p.c.
Onere di contestazione alla prima difesa utile
La tesi corretta sembra comunque essere quella che identifica il termine ultimo per contestare nella prima difesa utile successiva all'allegazione del fatto. In materia è chiara la sentenza Cass. civ., 27 febbraio 2008, n. 5191, secondo la quale: «…Ogni volta che sia posto a carico di una delle parti (attore o convenuto) un onere di allegazione (e prova), l'altra ha l'onere di contestare il fatto allegato nella prima difesa utile, dovendo, in mancanza, ritenersi tale fatto pacifico e non più gravata la controparte del relativo onere probatorio, senza che rilevi la natura di tale fatto».
La nuova disciplina alla luce della c.d. "Riforma Cartabia"
Bisogna dare atto che la disciplina sopra enunciata sia stata oggetto di riforma alla luce del d.lgs. n. 149/2022. Con tale provvedimento, il quale si inserisce nel complessivo processo di innovazione apportato con la c.d. “Riforma Cartabia”, si è tentato di ovviare ad alcune sofferenze che si manifestavano nell'impianto processuale civile italiano perseguendo i fini di economia processuale e di maggiore celerità dei tempi processuali.
Anche la disciplina dell'udienza di trattazione non è stata esente da modifiche e attualmente può dirsi che il suo svolgimento sia “specchiato” rispetto a quello che si delineava ante riforma. Specchiato nel senso che ora la celebrazione dell'udienza non precede ma segue lo scambio delle vecchie memorieex art. 183, co. 6, c.p.c. Le stesse esercitano un ruolo comunque simile al passato, ma con la loro anticipazione il legislatore delegato ha cercato di valorizzare lo svolgimento della prima udienza di trattazione rendendo possibile che la stessa si celebri, quanto meno in astratto, solo una volta cristallizzatisi sia il thema decidendum che il thema probandum.
Per perseguire tale obiettivo, non sono state apportate modifiche alla sola disciplina dell'udienza di prima comparizione e trattazione ma è stato anche variato l'iter di istaurazione della controversia.
Oltre a quanto già detto, al fine di rafforzare la possibilità che si possa addivenire alla prima udienza con la risoluzione dei profili attinenti alla corretta instaurazione del contraddittorio, di quelli pregiudiziali di rito, nonché di quelli inerenti al tema della costituzione delle parti, si è previsto in capo al giudice il dovere/potere di procedere alle c.d. “verifiche preliminari”.
Per il perseguimento della finalità di contrazione dei tempi processuali, infine, è stata introdotta la possibilità di adottare provvedimenti che permettano la conclusione del giudizio a conclusione della prima udienza nonché l'onere in capo alle parti di costituirsi personalmente in giudizio, così da rafforzare le probabilità di successo del tentativo di conciliazione.
Consci che la trattazione completa delle innovazioni, per la sua ampiezza, non possa essere esaurita solamente in questa sede, si ritiene doveroso analizzare sinteticamente e schematicamente gli argomenti citati.
In primis è certamente necessario trattare delle modifiche che sono state attuate in materia di introduzione della causa. Differentemente dalla disciplina ante riforma che fissava il relativo termine in 90 giorni liberi, il nuovo art. 163-bis, co. 1, c.p.c. prevede che la citazione vada notificata al convenuto 120 giorni liberi prima dell'udienza (150 giorni se il convenuto è residente all'estero). Nell'atto di citazione, peraltro, è ora previsto che l'attore avverta la controparte di costituirsi 70 giorni prima dell'udienza per non incorrere in decadenze.
Tale modifica si è resa necessaria per permettere il funzionamento complessivo del nuovo sistema che si basa sullo scambio delle memorie prima della celebrazione dell'udienza e per permettere al giudice di svolgere le verifiche preliminari. Proprio partendo da queste ultime, ai sensi dell'art. 171-bis c.p.c. è previsto che scaduto il termine di costituzione del convenuto, entro i successivi i 15 giorni successivi, il giudice debba procedere a rilevare le questioni preliminari e ad indicare alle parti le questioni rilevabili d'ufficio.
Le verifiche preliminari richiamate nel citato articolo sono quelle che riguardano la corretta instaurazione del contraddittorio. Tra le pronunce che il giudice può emettere nel caso in cui sussista un vizio vi sono i provvedimenti: d'integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 102, co. 2, c.p.c.; di chiamata in causa del terzo ex art. 107 c.p.c.; di integrazione del contraddittorio ove intervenga una nullità della citazione ai sensi dell'art. 164 c.p.c.; con cui ordina l'integrazione della domanda riconvenzionale ex art. 167 c.p.c.; con cui autorizza il convenuto a chiamare in causa un terzo ai sensi dell'art. 106 c.p.c.; disciplinati ai sensi dell'art. 182 c.p.c.; con cui pronuncia la contumacia del convenuto e quelli con i quali il giudice ordina la rinnovazione della notificazione dell'atto di citazione ai sensi degli artt. 291 e 292 c.p.c.
Pur essendo apparentemente ben collocate tale serie di verifiche, bisogna subito sottolineare che le stesse ben difficilmente potranno esaurirsi prima della fase dell'udienza poiché alcune anomalie potrebbe non poter essere colte prima dell'avvenuto scambio delle tre memorie integrative.
Ove a seguito di queste verifiche non si presenti la necessità di fissare una nuova udienza, il giudice, con decreto che sarà comunicato alle parti ai sensi dell'art. 171-bis, co. 4, c.p.c., confermerà la data che per la stessa era stata indicata dall'attore nell'atto di citazione.
Per quando riguarda lo scambio delle tre memorie integrative, invece, l'art. 171-ter c.p.c. prevede che le stesse vadano depositate entro 40 giorni, 20 giorni e 10 giorni prima dell'udienza. Per quanto riguarda il loro contenuto può farsi un richiamo a quanto già riportato nella trattazione della vecchia disciplina dell'udienza di trattazione nei paragrafi precedenti.
Per quanto riguarda più nello specifico la celebrazione della prima udienza di trattazione, ai sensi dell'art. 183 c.p.c. è previsto che nella stessa si dia luogo alla comparizione personale delle parti (che potranno anche presenziale anche a mezzo di un procuratore) per procedere al loro interrogatorio libero e per svolgere il tentativo di conciliazione. Inoltre, il giudice dovrà pronunciarsi sulle istanze istruttorie e predisporre il calendario del processo.
Rimane comunque ferma la possibilità che il giudice possa rinviare l'udienza per permettere la chiamata in causa di un terzo da parte dell'attore, rimettere la causa in decisione ai sensi dell'art. 187 c.p.c. o pronunciare il mutamento del rito da ordinario a semplificato.
In conclusione a queste brevi considerazioni sulla nuova disciplina dell'udienza di trattazione, bisogna segnalare che con la riforma si è anche prevista la possibilità che il giudizio possa chiudersi dopo la conclusione della prima udienza di trattazione, ove la controversia abbia ad oggetto diritti disponibili e sia di competenza del tribunale, con un'ordinanza sommaria ai sensi degli artt. 183-ter c.p.c. e 183-quater c.p.c. La sommarietà di tali pronunce si basa sulla parzialità e superficialità della cognizione dei fatti di causa.
L'art. 183-ter c.p.c. disciplina l'ipotesi in cui il giudizio, dopo la celebrazione dell'udienza ma prima della rimessione della causa in decisione, possa concludersi con un'ordinanza sommaria di accoglimento della domanda manifestamente fondata. Bisogna sottolineare che, in quanto pronuncia di merito, la decisione in esame potrà essere emessa solo ove non risultino fondate le eccezioni di rito sollevate dalle parti o rilevate d'ufficio dal giudice.
Ai sensi del co. 1 del citato articolo è previsto che il giudice, su istanza di parte, possa pronunciare tale provvedimento ove i fatti costitutivi risultino provati e le difese della controparte appaiano manifestatamente infondate. Il co. 2 aggiunge che nel caso di pluralità di domande l'ordinanza in esame possa essere adottata solo se i presupposti della pronuncia ricorrano per tutte.
Secondo quanto previsto dall'art. 183-ter, co. 3, c.p.c., l'ordinanza sommaria di accoglimento della domanda manifestatamente fondata ha immediata efficacia esecutiva ed è reclamabile ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c. Visto il richiamo generale compiuto dalla norma, sembra che si possa applicare in toto la disciplina dettata ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c. escluso quanto previsto a seguito dell'accoglimento del reclamo ai sensi del co. 4. Ex art. 183-ter, co. 5, c.p.c., infatti, è disposto che «In caso di accoglimento del reclamo, il giudizio prosegue davanti a un magistrato diverso da quello che ha emesso l'ordinanza reclamata.».
Oltre a quanto appena riportato, la norma cui trattasi prevede anche che la decisione in esame non sia idonea ad acquisire efficacia di giudicato ex art. 2909 c.c. e che l'autorità della stessa non possa essere invocata in un altro giudizio. Con la stessa, per espressa previsione del co. 3, secondo periodo, il giudice si pronuncia anche sulle spese.
In ragione della finalità sottesa al provvedimento ex art. 183-ter c.p.c., che è quella di concludere il giudizio, l'ordinanza di accoglimento della domanda manifestatamente fondata non sembra assimilabile a quelle previste ai sensi degli artt. 186-bis c.p.c., 186-ter c.p.c. e 186-quater c.p.c. Queste ultime, infatti, non concludono il giudizio e si caratterizzano per il loro carattere di anticipatorietà.
Ai sensi dell'art. 183-quater c.p.c., invece, è disciplinata la figura dell'ordinanza sommaria di rigetto della domanda per manifesta infondatezza o per vizio dell'editio actionis.
Il fine a cui tende tale istituto non è quello di permettere all'attore di accontentarsi dell'accoglimento immediato della domanda pur se non idoneo ad acquisire efficacia di giudicatoex art. 2909 c.c. Sembra, infatti, che la ratio della decisione pronunciabile ai sensi dell'articolo da ultimo citato sia quella di impedire l'accesso alla giustizia di domande pretestuose. Dirimenti, quindi, sembrano essere in questa prospettiva le ragioni di economia processuale.
Premesse queste considerazioni iniziali, è ora necessario comprendere quali siano i presupposti della pronuncia dell'ordinanza sommaria di rigetto della domanda.
Ai sensi dell'art. 183-quater, co. 1, c.p.c. è disposto che «Nelle controversie di competenza del tribunale che hanno ad oggetto diritti disponibili, il giudice, su istanza di parte, nel corso del giudizio di primo grado, all'esito dell'udienza di cui all'articolo 183, può pronunciare ordinanza di rigetto della domanda quando questa è manifestamente infondata, ovvero se è omesso o risulta assolutamente incerto il requisito di cui all'articolo 163, terzo comma, n. 3), e la nullità non è stata sanata o se, emesso l'ordine di rinnovazione della citazione o di integrazione della domanda, persiste la mancanza dell'esposizione dei fatti di cui al numero 4), terzo comma del predetto articolo 163. In caso di pluralità di domande l'ordinanza può essere pronunciata solo se tali presupposti ricorrano per tutte.».
In ragione del tenore testuale della citata disposizione, sembra possibile individuare due distinte ipotesi, che presentano il tratto comune di poter essere adottate solo ove la controversia abbia ad oggetto diritti disponibili e la competenza spetti al tribunale, in cui possa essere pronunciata l'ordinanza di rigetto.
Nella prima la decisione ha ad oggetto il merito e si manifesta come pronuncia di rigetto sommaria della domanda dell'attore. La sommarietà si spiega in ragione della superficialità e della parzialità dell'accertamento avente ad oggetto la manifesta infondatezza dei fatti costitutivi posti a fondamento della domanda dell'attore o di quelli impeditivi, estintivi o modificativi dedotti dal convenuto.
Nella seconda ipotesi, invece, l'ordinanza di rigetto si pronuncia nel merito ma si arresta all'accertamento del vizio dell'editio actionis della domanda.
Anche l'ordinanza sommaria di rigetto, a prescindere dal fatto che si pronunci nel merito o sulla carenza dell'editio actionis, è immediatamente esecutiva, è reclamabile ai sensi dell'art. 669-terdecies, non acquista efficacia di giudicato e non è invocabile in un altro giudizio secondo quanto disposto ai sensi dell'art. 183-quater, comma 2, c.p.c.
Per le caratteristiche appena riportate, anche l'ordinanza sommaria di rigetto rientrerebbe tra i provvedimenti sommario-provvisorio-esecutivi e non impedirebbe la riproposizione della domanda.
Con l'accoglimento dell'ordinanza in esame, così come per quella disciplinata ai sensi dell'art. 183-ter c.p.c., il giudice si pronuncia anche sulle spese ex art. 183-quater, comma 2, secondo periodo, c.p.c.
Per completezza della trattazione svolta sulla disciplina dell'udienza di trattazione a seguito della c.d. “Riforma Cartabia”, bisogna segnalare che si attualmente pendente la questione di legittimità costituzionale dell'art. 171-bis c.p.c.Ove la stessa risulti fondata si potrebbe anche arrivare ad ottenere la trasfigurazione della disciplina analizzata nel presente paragrafo.
Questione di illegittimità costituzionale art. 171-bis c.p.c.
La questione di illegittimità costituzionale dell'art. 171-bis c.p.c. è stata sollevata dal tribunale di Verona con la pronuncia 22 settembre 2023, n. 4138. Con la stessa, infatti, si è rilevato che «Alla luce delle considerazioni da ultimo svolte nel precedente paragrafo è evidente come, a prescindere dalla sussistenza del prospettato contrasto della norma con i principii di cui agli artt. 76 e 77 Cost., essa confligga con i parametri degli artt. 3 e 24 Cost.
Infatti consente la decisione del giudice, inaudita altera parte, per solo alcune questioni rilevabili d'ufficio, quelle che condizionano la stessa nascita del processo o la sua estensione soggettiva (così il difetto di legittimazione, di capacità di essere parte, o di interesse ad agire), mentre per tutte le altre, non espressamente menzionate, differisce la decisione alla udienza di prima comparizione con una scelta che risulta in contrasto con l'art.3 Cost. sotto il profilo della irragionevolezza, sebbene tutte le questioni considerate siano accomunate dall'essere rilevabili d‘ufficio, e che del resto non è stata nemmeno spiegata dalla relazione al d. lgs. 149/2022.
Sul punto è opportuno richiamare il consolidato indirizzo della Corte secondo cui spetta «al legislatore un'ampia potestà discrezionale nella conformazione degli istituti processuali, col solo limite della non irrazionale predisposizione di strumenti di tutela, pur se tra loro differenziati» (così, sentenze n. 341 del 2006 e n. 207 del 2007).
Si noti che nel regime ante riforma, nell'ambito del quale, come si è detto, la verifica in esame avveniva per la prima volta all'udienza di prima comparizione, l'art. 183, comma 4, c.p.c. non operava distinzioni di sorta al riguardo poiché prevedeva: “Il giudice richiede alle parti, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari e indica le questioni rilevabili d'ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione”.
Ora, la seconda parte di tale previsione sia stata mutuata dall'art. 171-bis, primo comma, secondo periodo, ed è quindi riferibile alle sole questioni rilevabili d'ufficio in essa menzionate.
L'art. 171-bis c.p.c. al contempo lede il principio del contraddittorio, sancito ora in termini generali dall'art. 101, comma 2, secondo periodo, come integrato dal d. lgs. 149/2022, e da riferirsi anche alle decisioni interlocutorio che incidono sull'iter del giudizio, quale quella che è chiamato ad adottare questo giudice e non solo a quelle che siano idonee a definirlo.
Del resto già il disposto dell'art. 183, comma 4, c.p.c. ante riforma era stato interpretato dalla giurisprudenza di legittimità come espressione del principio della “parità delle armi” (si vedano al riguardo Cassazione civile sez. II, 09/05/2016 n. 9318 e Cass. del 07/11/2013, n. 25054) e come tale ritenuto estensibile anche alla decisione conclusiva del processo.
Ed ora che quel principio, a seguito della novella 69/2029, è stato elevato a principio informatore del processo civile dall'art. 101, comma 2, c.p.c. sarebbe oltremodo contraddittorio limitarne l'applicazione alla sola fase conclusiva del processo.
Palese risulta quindi il contrasto della norma da applicarsi nel caso di specie anche con l'art. 24 Cost.».
Riferimenti
Consolo, Spiegazioni di Diritto Processuale Civile, Vol. I e II, Torino, 2017;
Mandrioli/Carratta, Diritto Processuale Civile, Vol. II, Torino, 2017, 57 e ss.;
Scarpa, Subcommento all'art. 183 del Codice di Procedura Civile, in De Jure.
Carratta, Le riforme del processo civile, Torino, 2023, 33 ss.
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Sommario
Attività del giudice
Attività delle parti (introduzione)
Attività dell'attore
Attività del convenuto
La nuova disciplina alla luce della c.d. "Riforma Cartabia"