Coabitazione dei coniugi legalmente separati e riconciliazione: un'equazione non sempre lineareFonte: Trib. Terni , 5 marzo 2020
18 Maggio 2020
Massima
Il rientro del padre presso la ex casa coniugale – purché temporaneo - deve essere autorizzato quando costituisca una misura attuativa necessaria dell'interesse del minore e sia, al contempo, idonea a preservare l'intenzione dei coniugi di valorizzare la mera coabitazione, instauratasi nell'ottica di escludere la futura insorgenza di dubbi in ordine alla riconciliazione. Il caso
In sede di modifica delle condizioni della separazione consensuale, i coniugi chiedevano congiuntamente l'autorizzazione per il marito a permanere temporaneamente presso la ex casa coniugale, in conseguenza delle gravi problematiche manifestate dal figlio tredicenne, affetto da ADHD con disturbo dello spettro autistico. In particolare, i genitori riferivano che - a seguito dell'allontanamento del padre dalla casa familiare - il figlio aveva iniziato a manifestare difficoltà, sfociate in crisi di panico, tanto che gli psicologi, aventi in cura il minore, avevano consigliato la permanenza del padre presso la ex casa coniugale. La questione
La coabitazione dei coniugi separati legalmente porta sempre sic et simpliciter alla riconciliazione, oppure vi sono alcuni casi in cui, nonostante la coabitazione, la riconciliazione debba essere esclusa? In quali casi ed a tutela di quali interessi il Tribunale può autorizzare i coniugi separati a vivere sotto lo stesso tetto? Le soluzioni giuridiche
Il Tribunale di Terni, con il decreto in commento, ha autorizzato il rientro temporaneo del padre presso la ex casa coniugale, ritenendola una misura attuativa necessaria dell'interesse del minore di età, interesse che – secondo la legislazione attuale, nazionale e sovranazionale – deve assurgere a criterio di giudizio e di misura di giustizia della decisione. In particolare, il Tribunale ha accertato – tramite le dichiarazioni dei genitori, suffragate dalla relazione degli psicologi – che il peggioramento dello stato di salute del figlio, affetto da ADHD, fosse dovuto all'allontanamento del padre dalla casa familiare e che, al contrario, la permanenza del padre nella medesima fosse misura necessaria a preservare un clima sereno per il minore, le cui condizioni di salute imponevano una esigenza di tutela rafforzata ed attenta. Per la pronuncia in esame, dunque, la temporanea coabitazione dei coniugi legalmente separati non necessariamente porta alla loro riconciliazione: la condivisione dell'abitazione è, infatti, circoscritta ad un periodo di tempo determinato ed è motivata dal soddisfacimento di interessi meritevoli di tutela, che l'ordinamento considera prevalenti. Del resto, la Corte di Cassazione, con una famosa e rivoluzionaria sentenza del 2000 (Cass. Civ., sez. I, sent. 20 marzo 2000, n. 3323), ha affermato che non sempre dalla coabitazione dei coniugi discende la loro riconciliazione: secondo la Suprema Corte, infatti, mere circostanze obiettive (come la coabitazione, appunto) non sono elementi sufficienti a ritenere sussistente la società coniugale, essendo – al contrario – necessario dimostrare l'elemento soggettivo, ossia l'insieme di atteggiamenti atti ad evidenziare la volontà di mantenere inalterato il consortium vitae posto a base del matrimonio. Sul tema si è espresso anche il Tribunale di Como (Trib. Como, ord. 6 giugno 2017) con una pronuncia che, ad un primo sguardo, sembra porsi in contrasto rispetto al decreto in commento ma che, in realtà, se analizzata approfonditamente, ne rispetta appieno la ratio decidendi. Nel caso sottoposto al vaglio del Tribunale di Como, infatti, i coniugi chiedevano l'omologa della loro separazione consensuale alle condizioni tra loro concordate, tra cui figurava la previsione della loro coabitazione, finché le condizioni economiche familiari non avessero consentito il reperimento di una diversa soluzione abitativa. Il Tribunale ha respinto la richiesta della coppia e non ha omologato la separazione, ritenendo di non poter accordare riconoscimento giuridico ad un accordo che regolamentasse la condizione di “separati in casa”: la coabitazione dei coniugi si sarebbe protratta, infatti, a tempo indeterminato, essendo la condizione da loro apposta alla cessazione della convivenza (il miglioramento della situazione economica di uno dei due) di difficile - se non impossibile - realizzazione, posto che entrambi erano lavoratori dipendenti, con situazione reddituale tendenzialmente stabile. Dall'analisi del quadro giurisprudenziale in materia, pare quindi potersi affermare che la coabitazione non sempre si traduce in riconciliazione e che la coabitazione dei coniugi separati legalmente può essere autorizzata, se circoscritta temporalmente ed adeguatamente motivata. Un quadro giurisprudenziale, quindi, non particolarmente ricco di pronunce, ma sicuramente chiaro e coerente. Osservazioni
Il decreto in commento si inserisce perfettamente nei principi che governano il tema del rapporto tra coabitazione e riconciliazione, accostandosi – da un lato - alla ratio delle precedenti pronunce e – dall'altro – aggiungendo nuovi elementi, al fine di delineare il confine sottile tra la mera convivenza dei coniugi separati e la loro riconciliazione, con tutte le conseguenze che tale istituto comporta. Dapprima è intervenuta la Corte di Cassazione nel 2000, stabilendo che l'equazione coabitazione-riconciliazione non è sempre vera: va indagato l'elemento soggettivo e, quindi, la volontà dei coniugi di ricostituire l'affectio coniugalis. Poi, si è pronunciato il Tribunale di Como, precisando che un accordo di separazione non può essere omologato se prevede la coabitazione delle parti a tempo indeterminato, lasciando presumere che – al contrario – la convivenza per un tempo determinato non sarebbe stata ostativa all'accoglimento della richiesta dei coniugi. A distanza di tre anni, si è espresso il Tribunale di Terni con il decreto in commento, affermando che la coabitazione dei coniugi legalmente separati al fine di escludere la loro riconciliazione non solo debba essere circoscritta ad un periodo di tempo determinato, ma debba anche sussistere una valida ragione, un motivo che giustifichi tale eccezione, rendendola indispensabile al fine di tutelare un altro e diverso interesse meritevole di tutela, considerato prevalente dalla legislazione. Ecco quindi che il benessere del figlio tredicenne della coppia prevale: al fine di garantire l'interesse del minore è concesso discostarsi dalle norme che regolano la separazione personale e consentire così ai coniugi di vivere insieme, seppure senza alcuna volontà di ricostituire quell'armonia coniugale che altrimenti porterebbe ad una loro riconciliazione. Un ragionamento, quello del Tribunale di Terni, che – a parere di chi scrive – non presta il fianco a critiche, risultando perfettamente logico e coerente, oltre che adeguatamente motivato. |