Ricorso straordinario per errore di fatto. Continua l'ampliamento dell'ambito di applicazione dell'art. 625-bis c.p.p: il caso della prescrizione
12 Giugno 2020
Premessa
Con la sentenza n. 10417, del 25 febbraio 2020, la Corte di Cassazione torna sul tema della ammissibilità del ricorso straordinario per errore materiale o di fatto avente a oggetto l'omessa dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, nei casi in cui il giudizio di terzo grado si sia concluso con il rigetto del ricorso e non con una dichiarazione di inammissibilità. La questione oggetto della pronuncia in commento, in altri termini, attiene alla possibilità di considerare la omessa dichiarazione di estinzione un errore di fatto, sì da poterne affermare la deducibilità anche in sede di ricorso straordinario. Preso atto della insistenza di un contrasto giurisprudenziale sul punto, la Corte dichiara di aderire all'orientamento che fornisce al quesito risposta affermativa, chiarendo, però, che, affinché la mancata dichiarazione di estinzione per prescrizione sia considerata errore di fatto, occorre che il vizio in questione, nel caso di specie, sia effettivamente frutto di una svista; dunque, la circostanza che, alla base della decisione ci fosse – o ci potesse potenzialmente essere – un ragionamento giuridico, esclude la ammissibilità del mezzo di impugnazione in esame, in quanto rende il diniego, semmai, frutto di un errore valutativo. La decisione si pone nel solco di una tendenza diffusa a dare all'art. 625-bis c.p.p. un'interpretazione estensiva, sì da consentire il maggiore utilizzo dello strumento del ricorso straordinario; tale approccio, a sua volta, si colloca all'interno di un più ampio orientamento, tendente a restringere le maglie del giudicato nel suo complesso. Il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto
È noto che il ricorso straordinario per errore di fatto, disciplinato dall'art. 625-bis c.p.p., consente al condannato di impugnare i provvedimenti emessi dalla Corte di Cassazione affetti da errori materiali o di fatto. La norma è stata introdotta su impulso della Corte Costituzionale (Corte Cost. 395/2000). La vicenda sottostante tale pronuncia si rivela particolarmente interessante nella comprensione dell'essenza dell'istituto in commento e dunque vanta particolare rilievo ai fini della sua interpretazione. La Corte di Cassazione aveva dichiarato inammissibile un ricorso, sul presupposto che mancasse la procura speciale del difensore, che, invece, era in atti. Si comprende, dunque, da un lato, l'immediatezza di alcuni tipi di errori e, dall'altro, la loro portata; apparve giustificato, quindi, l'incidente di costituzionalità che ne seguì. Lo stesso aveva ad oggetto, in particolare, gli artt. 629 e 630 c.p.p., perché ritenuti lesivi degli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevedevano la revisione della sentenza della Corte di Cassazione per errore materiale o di fatto. La Corte Costituzionale dichiarò la questione inammissibile in quanto volta a ottenere un rimedio – segnatamente, un mezzo di impugnazione straordinaria – che, vista la sua natura, la sua complessità e le possibili conseguenze applicative necessitanti di regolamentazione, abbisognava di un intervento legislativo (v. anche Corte Cost., 21/1982, in Giur. cost. 1982, I,206 e Corte Cost., 294/1995, in Cass. pen., 1995, 3244.). Cionondimeno, il Giudice delle leggi, prese atto del bisogno di ovviare a errori di tal fatta e onerò la Corte di Cassazione – nell'ambito della sua funzione nomofilattica – di trovarvi rimedio all'interno dell'ordinamento processuale, rimettendo alla stessa la valutazione circa l'idoneità del mezzo di correzione dell'errore materiale o di fatto di cui all'art. art. 130 c.p.p. (v. ROMEO, Le Sezioni Unite sull'ammissibilità del ricorso straordinario per errore di fatto proposto dal condannato ai soli effetti civili, in www.penalecontemporaneo.it, 26 settembre 2012.; sui rapporti tra i due istituti, correzione materiale di fatto e ricorso straordinario, PALUMBO, Sul ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, in Cass. pen., 2002, 2802); quest'ultimo, come è noto, si contraddistingue in quanto, per espressa previsione legislativa, la sua eliminazione “non comporta una modificazione essenziale dell'atto”. Tale rimedio, tuttavia, si rivelò inadatto; posto che l'art. 130 c.p.p. non contemplava l'errore di fatto, l'orientamento giurisprudenziale allora maggioritario interpretava la norma in commento in modo particolarmente restrittivo, non ritenendo inclusa la svista di carattere percettivo nella nozione di errore materiale (Cass. pen., Sez. Unite, 9 ottobre 1996, n. 19, in Giust. pen., 1998, III). In altre parole, l'istituto della correzione di errore materiale veniva comunemente considerato come diretto a rimediare solo alle palesi incongruenze tra quanto scritto e quanto dichiarato (v. Cass. pen., Sez. Unite, 18 maggio 1994, n. 8, in Foro it., 1994, II, 617). Si comprende, dunque, come l'invito rivolto dalla Corte Costituzionale alla Corte di legittimità fosse di difficile attuazione. Il legislatore, pertanto, con la legge n. 128 del 26 marzo 2001, introdusse l'art. 625-bis c.p.p.; dalla sola lettura della norma di (all'epoca) nuovo conio, sembra evidente l'ispirazione del legislatore penale all'istituto civilistico della revocazione per errore di fatto, disciplinato dall'art. 395 n. 4 c.p.c. E, d'altra parte, la stessa Corte Costituzionale, nella trattata sentenza 395/2000, menziona l'istituto della revocazione come rimedio per dolersi degli errori di fatto, rimedio di cui si lamentava, in quella sede, l'assenza nel processo penale; sul punto, si consideri, inoltre, che la Corte di Cassazione ha fruito della esperienza civilistica nel delineare la nozione di errore di fatto di cui all'art. 625-bis c.p.p. (Cass. pen., Sez. Unite., 27 marzo 2002, n. 16103, cit. e Cass. pen., Sez. I, 07 settembre 2001, n.42794, in Arch. nuova proc. pen. 2002, 52). L'art. 395 n. 4 c.p.c, come è noto, consente la revocazione allorquando “la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa” ed è pacificamente considerata un mezzo di impugnazione ordinario (Tra gli altri, Mandrioli – Carratta, Corso di diritto processuale civile, 2013, Torino, vol. II, pag. 345 e Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2012, p. 535), dato che ha contribuito a rafforzare la posizione di chi dubita della natura straordinaria del ricorso per errore di fatto (Capone, Note critiche in tema di ricorso straordinario per errore di fatto, in Riv. it. dir. proc. pen., 2003, 224, e Caianello, La riapertura del processo ex art. 625 bis c.p.p. a seguito di condanna della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, in Cass. pen., 2009, 1465). La posizione assolutamente dominante, tuttavia, qualifica l'impugnazione in discorso come straordinaria (Cass. pen., Sez. Unite, 21 luglio 2016, n. 13199). In tal senso, infatti, militano l'espresso riferimento della rubrica della norma, la sua collocazione e alcune argomentazioni di carattere sistematico; tra esse, non da ultimo, si consideri che l'art. 625-bis, comma 2 c.p.p. nega che il ricorso sospenda la esecutività della sentenza, ferma restando la possibilità della Corte di disporre la sospensione nei casi più gravi, confermando così la straordinarietà dell'impugnazione. Sebbene, dunque, i dubbi interpretativi sull'istituto in esame siano cominciati dalla sua natura e, come si vedrà, abbiano avuto e abbiano a oggetto gli aspetti più disparati, cionondimeno non mancano alcuni punti fermi, radicatisi all'indomani della sua introduzione e relativi alla nozione dell'errore rilevante (Per una analisi critica dei primi arresti giurisprudenziali, Mazza, Il ricorso straordinario per errore di fatto: un quarto grado di giudizio occasionale, in Cass. pen., 2003, 3212). Un primo punto fermo è stato posto, a distanza di un anno dalla introduzione della norma, dalle Sezioni Unite (Cass. pen., n. 16103/2002; Cass. pen., n. 16104/2001), che hanno chiarito, in prima battuta, che “Il nuovo testo dell'art. 625-bis c.p.p. prevede due istituti distinti: uno, il ricorso per la correzione di errore materiale, costituisce un mezzo di emenda del testo grafico; l'altro (il ricorso per correzione di errori di fatto) costituisce una vera e propria impugnazione”. Mentre l'errore materiale rappresenterebbe un lapsus calami, una difformità tra la volontà dell'estensore e la rappresentazione grafica della stessa, slegato dal processo di formazione della volontà, l'errore di fatto sarebbe ben più incisivo; costituirebbe, cioè, un errore percettivo, causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte è incorsa nella lettura degli atti e che, quindi, abbia influenzato incidentalmente la costruzione della volontà del giudice, dando luogo, così, a una sentenza differente da quella che sarebbe stata adottata in mancanza di errore (in argomento, Gialuz, La doglianza per errore di fatto, in Le impugnazioni straordinarie nel processo penale, cit., pp. 141 e ss.; si veda anche Capone, in Note critiche in tema di ricorso straordinario per errore di fatto, cit.. pp. 224 e ss. ). Ne deriva che solo nel secondo caso si può correttamente parlare di mezzo di impugnazione, laddove l'errore materiale sarebbe rimediato attraverso un mero procedimento di correzione. In ordine alla nozione dell'errore rilevante, inoltre, la Corte – sempre con le due sentenze in commento – ha precisato, da un lato, che deve escludersi in ogni caso la rilevanza dell'errore di natura valutativa e, dall'altro, che l'errore deve essere decisivo (Capone, Il principio di decisività dei vizi della sentenza nel controllo della corte di cassazione, in Cass. pen., 2004, 1463). Alcune questioni controverse
Si è già fatto cenno alla circostanza che il ricorso straordinario ha ingenerato una serie di dubbi ermeneutici; agli stessi sono seguiti altrettanti dibattiti, sopiti dall'intervento delle Sezioni Unite. Sul tema, d'altra parte, è doveroso notare che le pronunce della Corte Suprema nella sua più autorevole composizione sono state svariate e, invero, piuttosto concentrate negli anni; tale circostanza può essere interpretata come il segno evidente dell'incertezza applicativa ingenerata dall'art. 625 bis c.p.p. e in effetti, la stessa ha indotto taluno a dubitare della bontà del prodotto legislativo(Romeo, Le Sezioni Unite sull'ammissibilità del ricorso straordinario per errore di fatto proposto dal condannato ai soli effetti civili, cit., e Romeo, Le Sezioni Unite sull'ammissibilità del ricorso straordinario per errore di fatto contro la sentenza di legittimità di parziale annullamento con rinvio, in www.penalecontemporaneo.it, 10 settembre 2012).
A ben guardare, alla base di molte delle questioni interpretative che sono state sollevate in argomento sembra esserci la questione genetica della eccezionalità dell'art. 625-bis c.p.p. (frutto della tassatività dei mezzi di impugnazione e della sua natura straordinaria) e della conseguente esclusione di applicazione analogica. Tale quesito è stato (quasi sempre) risolto positivamente, di talché, ci si è chiesti – in seconda battuta – quanto esteso potesse essere il raggio di applicazione del rimedio straordinario in commento, onde non sconfinare nella violazione del divieto di analogia. Nel dettaglio, nelle citate pronunce a Sezioni Unite del 2002, la Corte aveva affermato la natura eccezionale dell'art. 625-bisc.p.p., che, con specifico riguardo all'errore di fatto, deroga al principio generale dell'inoppugnabilità delle sentenze della Corte di Cassazione, così acquisendo la natura di norma non applicabile per analogia ai sensi dell'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale (Cass. pen., Sez. Unite, 21 luglio 2016, n. 13199, cit.).
La natura eccezionale della disposizione in discorso ha ricevuto (forse l'unica) smentita nel 2008, allorquando la Corte di Cassazione ne ha affermato l'applicabilità in via analogica al fine di dare soluzione ad un problema che al tempo aveva assunto caratteri particolarmente spinosi. Il riferimento è allo strumento attraverso cui riaprire il processo ritenuto viziato dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. Si ricorda, infatti, che, prima che la Corte Costituzionale pronunciasse la nota sentenza additiva avente ad oggetto l'art. 630 c.p.p., il dibattito sul mezzo da impiegare, in attesa dell'intervento del legislatore, era particolarmente acceso (Corte Cost., 7 aprile 2011, n. 113, in Giur. Cost., 2011, 1542B con nota di Ubertis, La revisione successiva a condanne della Corte si Strasburgo; Gialuz, Una sentenza “additiva di istituto”: la Corte Costituzionale crea la “revisione europea”, in Cass. pen., 2011, 3308; Logli, La riapertura del processo a seguito della sentenza Cedu. Questioni interpretative sul nuovo caso di “revisione europea”, in Cass. pen., 2012, 933B; Lonati, La Corte Costituzionale individua lo strumento per adempiere all'obbligo di conformarsi alle condanne europee: l'inserimento delle sentenze della Corte Europea tra i casi di revisione, in Giur. cost., 2011, 1557). Orbene, nell'ambito del medesimo, la Corte di Cassazione ha affermato, con la pronuncia citata, l'utilizzabilità, allo scopo, dell'art. 625-bis c.p.p., attraverso cui la sentenza convenzionalmente viziata, poteva essere revocata, onde consentire la riapertura del processo e l'adattamento ai dettami del giudice di Strasburgo. La Corte è addivenuta a tale conclusione muovendo proprio dalla applicabilità in via analogica della norma in commento (Cass. pen., sez. VI, 12 novembre 2008, n. 45807). La affermazione, invero, è rimasta isolata; e infatti successivamente la giurisprudenza ha risolto le questioni interpretative relative al ricorso straordinario senza discostarsi dall'affermazione di eccezionalità dell'art. 625-bis c.p.p.
Tanto non le ha, tuttavia, impedito, di dare avvio a una tendenza estensiva nella applicazione dell'istituto. Così, nel 2012, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha risposto affermativamente a due distinti quesiti, il primo dei quali atteneva alla possibilità di impugnare le sentenze di condanna relative al solo al risarcimento del danno (Lavarini, Tipologie e caratteristiche dei provvedimenti suscettibili di ricorso straordinario, in Le impugnazioni straordinarie nel processo penale, cit., pp. 160 e ss.). Le Sezioni Unite sono intervenute su un contrasto che vedeva scontrarsi l'orientamento più restrittivo con quello più estensivo. A mente del primo, nella nozione di “condannato” non si poteva considerare incluso anche il condannato solo civilmente. Questo filone, in particolare, riteneva che la intervenuta condanna richiesta dall'art. 625-bis c.p.p., fosse solo quella relativa ad una pena; di talché, vista la natura tassativa dei requisiti del riscorso, escludeva l'applicazione nel caso in esame (tra le altre, Cass. pen., Sez. I, 13 dicembre 2008, n. 46277). Lungi dal negare la natura eccezionale della norma, la posizione contraria affermava, invece, che la limitazione legislativa, in punto di legittimazione, al solo condannato non lasciava intendere preclusioni rispetto al condannato solo al risarcimento del danno, che, al contrario, poteva ritenersi del pari legittimato ad esperire il ricorso straordinario (Cass., sez.VI, 27 aprile 2010, n. 26485, in Cass. pen., 2001, 3061, con nota di Corbo, “il “favore del condannato” come presupposto di ammissibilità del ricorso straordinario per errore di fatto”). La Corte, nel risolvere il contrasto, pur senza prendere espressamente posizione circa la natura eccezionale dell'art. 625-bis c.p.p., ha ritenuto condivisibile il secondo orientamento, affermando che “È legittimato alla proposizione del ricorso straordinario, a norma dell'art. 625-bis, c.p.p., anche l'imputato condannato al solo risarcimento dei danni in favore della parte civile, che prospetti un errore di fatto nella decisione della Corte di cassazione relativamente al capo concernente le statuizioni civili, per l'ontologica identità di diritti processuali tra l'azione penale e l'azione civile." (Cass. pen., Sez. Unite, 21 giugno 2012, n. 28719, con nota di Capone, Annullamento parziale con rinvio e ricorso straordinario in Cass. pen. 2013, 2592). Nello stesso giorno, le Sezioni Unite hanno risolto altresì un'altra, più complessa, questione relativa al ricorso straordinario per errore di fatto. Si tratta, nel dettaglio, della impugnabilità dei provvedimenti con cui la Corte di Cassazione annulla parzialmente la sentenza di condanna e, segnatamente, laddove l'annullamento attiene alla sola verifica della sussistenza di una circostanza aggravante Lavarini, Tipologie e caratteristiche dei provvedimenti suscettibili di ricorso straordinario, cit., pp. 166 e ss.). In questi casi, come si vede, l'accertamento relativo all'an della responsabilità penale è già (sostanzialmente) irrevocabile, avendo, il giudizio di rinvio, ad oggetto, soltanto il quantum della pena. L'orientamento giurisprudenziale che negava tale possibilità muoveva, ancora, dalla natura eccezionale dell'art. 625-bis c.p.p., che rendeva impugnabili solo le sentenze (anche formalmente) di condanna; in altri termini, la preclusione era dettata dalla circostanza che la sentenza della cui ricorribilità si sta parlando non determinava il formarsi del giudicato e dunque non convertiva l'imputato in condannato, sicchè sarebbe difettata la legittimazione (che la legge attribuisce unicamente al condannato. In questi termini Cass. pen., Sez. I 28 gennaio 2004, n. 4975).
In senso opposto la giurisprudenza meno restrittiva e più elastica affermava che, quantunque la qualifica formale di condannato non fosse ancora stata acquisita, cionondimeno l'accertamento circa la responsabilità penale si era già esaurito (Ex plurimis, Cass., sez. V, 21 novembre 2007, n. 217, in Cass. pen., 2, 642). In tale direzione si sono orientate altresì le Sezioni Unite (Cass. pen., Sez. Unite, 21 giugno 2012, n. 28717), che, muovendo dalla nozione di giudicato progressivo, hanno affermato la ricorribilità anche di provvedimenti di tal fatta. In altri termini, essendo la decisione definitiva – sebbene non ancora esecutiva, secondo il noto schema del giudicato progressivo – la stessa poteva essere oggetto di ricorso straordinario; tanto, a ben vedere, avveniva senza travalicare i confini tassativi della norma e dunque conservando la sua etichetta di norma eccezionale. Last but not least, la Corte di Cassazione si è recentemente occupata della questione relativa alla possibilità di impugnare ex art. 625 bisc.p.p. la sentenza o l'ordinanza con cui la Corte di Cassazione ha rigettato ovvero dichiarato inammissibile il ricorso proposto contro la sentenza o l'ordinanza con cui la Corte d'Appello ha rigettato o dichiarato inammissibile l'istanza di revisione, ai sensi dell'art. 637, comma 4, c.p.p. (Capone, voce “Ricorso straordinario per errore di fatto”, in Enc. giur. Treccani, vol. XXVII, Roma, 2004, 8. e Romeo, Le Sezioni Unite sull'ammissibilità del ricorso straordinario, in www.penalecontemporaneo.it, cit.) Invero, nel caso di specie, anche il solo riferimento ad un contrasto appare improprio. Era, infatti, consolidato – e contraddetto da una sola sentenza – l'orientamento secondo cui oggetto del ricorso straordinario potessero essere solo i provvedimenti attributivi della qualifica di condannato, che segnassero il passaggio in giudicato della sentenza e, al contrario, dovevano ritenersi esclusi non soltanto tutti quei procedimenti incidentali precedenti la irrevocabilità della sentenza (in cui, effettivamente, il ricorrente sarebbe imputato e non condannato), ma altresì tutte le vicende processuali successive al passaggio in giudicato della sentenza di condanna. In altre parole, secondo tale interpretazione, per “condannato” doveva intendersi soltanto chi era stato condannato con il provvedimento di cui chiedeva la revoca ex art. 625-bis c.p.p. e tutto quanto vi restava al di fuori doveva essere escluso dalla applicabilità dell'art. 625-bisc.p.p., data la sua natura eccezionale (tra le altre, Cass. pen., Sez. Unite, 27 marzo 2002, n. 16104, cit.). Come cennato, tale posizione appariva granitica; tuttavia, una isolata pronuncia aveva affermato che l'orientamento prevalente non potesse condividersi perché slegato dalla lettera della norma (Cass. pen.n. 1776/2014). Infatti, se è vero che l'art. 625-bisc.p.p. pone una preclusione con il riferimento al “condannato”, cionondimeno, lo stesso – in mancanza di ulteriori specificazioni legislative – distingue il destinatario di una sentenza irrevocabile di condanna dal “mero” imputato, escludendo solo quest'ultimo dai potenziali ricorrenti; ne deriva che il limite in commento attiene alle questioni postesi ante iudicatum, senza alcun coinvolgimento della fase che segue, non potendosi condividere la lettura restrittiva, in forza della quale sarebbero ricorribili solo i provvedimenti che determinino il passaggio in giudicato e non anche quelli successivi. Orbene, la Corte ha ritenuto di condividere tale innovativa lettura e ha concluso con una risposta affermativa al quesito.
Terminata la rapida e sintetica carrellata di alcune delle questioni più rilevanti circa l'istituto in commento, si può confermare che, nell'interpretare l'art. 625-bisc.p.p., è centrale analizzarne la eccezionalità. Si vede, però, che, nonostante la giurisprudenza non la abbia (quasi) mai messa in discussione, cionondimeno, non ha mancato di estendere progressivamente le maglie dell'istituto, sì da renderlo maggiormente fruibile, pur senza abilitarne una applicazione dichiaratamente analogica (sul tema, Spangher, Impugnazioni straordinarie: aspetti sistematici di una categoria allargata, in Le impugnazioni straordinarie nel processo penale, cit., p. 1 e ss. e Capone, Note critiche in tema di ricorso straordinario per errore di fatto, cit.). Deve dirsi, in realtà, che tale tendenza espansiva, non si è spinta fino a snaturare il ricorso. Infatti, dalla lettura tassativa della parola “condannato” è derivata la esclusione di colui il quale fosse ancora imputato; in altri termini, l'affermazione in forza della quale il rimedio in commento è escluso in tutti i casi che si collocano ante iudicatum, non ha mai perduto la sua solidità, malgrado talvolta la Corte di Cassazione abbia abilitato letture estensive. Pertanto, è stata esclusa la ricorribilità in una serie di casi nei quali il ricorrente non vantava la qualifica di condannato, essendo il giudizio principale ancora in corso. Tanto è avvenuto, a titolo esemplificativo, in materia di misure di prevenzione (Cass. pen. 2430/2009) e di confisca (Cass. pen., 43416/2009). Il dato, invero, non basta a negare quanto supra rilevato circa l'ampliamento progressivo dei confini del rimedio in commento, tendenza che – è appena il caso di rilevarlo – risulta armonica rispetto al più generale approccio che vede indebolirsi i confini del giudicato, con progressiva quanto prudente erosione del principio della sua intangibilità (Cass. pen., Sez. Unite 13199/2016). Nel solco di questa tendenza si pone anche la questione trattata dalla sentenza in commento, che, come cennato, afferma la rilevabilità, in sede di ricorso straordinario, della mancata dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta prescrizione. La pronuncia – come essa stessa rileva – si colloca all'interno di un contrasto giurisprudenziale. Secondo un primo orientamento, l'integrazione dell'errore di fatto, nel caso in esame, è da escludersi perchè la omessa dichiarazione di prescrizione è sempre frutto di un'analisi di carattere giuridico e non di una mera (errata) percezione. Tali pronunce, in particolare, affermano che la conclusione oggetto di censura (segnatamente, la mancata dichiarazione di estinzione) sottenda questioni valutative opinabili e necessitanti il confronto in contraddittorio, quali l'individuazione del dies a quo (Cass. pen., Sez. I, n. 41237/2008, Cass. pen., 10781/2009, Cass. pen. Sez. I, n. 4783). Nell'ambito di questa posizione, è stato talvolta affermato che, sebbene l'omessa dichiarazione di prescrizione, in quanto tale, non fosse rilevabile, cionondimeno, la mancata disamina del relativo motivo di ricorso poteva esserlo; in tal caso, però, a ben vedere, la doglianza relativa alla prescrizione veniva parificata a tutte le altre e, ad essere rilevante, era, invece, l'omesso esame di un motivo di ricorso (Cass., sez. I, 7 ottobre 2009, n. 41918, in www.iusexplorer.it; nello stesso senso, Cass., sez. I, 25 ottobre 2011, n. 4783, cit.). Al contrario, secondo la posizione affermativa – avallata dalle Sezioni Unite – tale conclusione non può dirsi pacifica ed assoluta. L'omissione in discorso, in altri termini, può rappresentare, effettivamente, una valutazione, ma, del pari, le variabili giuridicamente opinabili possono anche essere dati meramente quantitativi, scevri da qualsiasi necessità di ragionamento o di contraddittorio. Si pensi, a titolo esemplificativo, al momento di consumazione del reato; questo può creare problemi di carattere argomentativo – ad esempio, con riferimento ai reati permanenti – così come – più facilmente nei reati istantanei – può costituire un dato del tutto pacifico. Orbene, ricordato che il ricorso straordinario è ammissibile solo in quanto rilevi un errore di carattere percettivo, nei termini dianzi descritti, la circostanza che il presupposto logico da cui muove la doglianza sia variabile rende necessaria una risposta variabile. Ne deriva che la mancata dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta prescrizione è rilevabile ex art. 625-bis solo in quanto sia frutto di una svista e dunque rappresenti, effettivamente, un errore percettivo; al contrario, non è mai rilevabile in sede di ricorso straordinario l'errore valutativo (in questi termini, Cass. pen., Sez. Unite, 14 luglio 2011, n. 37505). La sentenza in commento aderisce a questo secondo orientamento, chiarendo preliminarmente che la questione attiene alla sola eventualità che, essendo la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello, il ricorso non sia stato dichiarato inammissibile (Cass. pen., Sez. Unite, 17 dicembre 2015, n. 12602, in Ilpenalista.it, 26 aprile 2016, con nota di Aielli). L'approccio scelto si distingue per la sua elasticità, che consente di superare le argomentazioni poste dall'orientamento contrario, garantendo soddisfazione ai problemi dallo stesso sollevati; da altro angolo visuale, inoltre, tale opzione ermeneutica salvaguarda il ricorso straordinario da sconfinamenti eccessivi, tali che lo portino a comprendere anche errori di natura valutativa. Siffatto modo di argomentare si rivela coerente con l'approccio generale nei confronti dell'istituto in esame e, segnatamente, con la trattata apertura verso il ricorso straordinario; si consideri, inoltre, che la giurisprudenza ha optato per una soluzione elastica anche con riguardo ad altre questioni. Il riferimento è, tra gli altri, al problema relativo alla rilevabilità del mancato esame di un motivo di ricorso; anche in tal caso, è stata data risposta affermativa al quesito in quanto non ci sia, alla base della scelta, un ragionamento giuridico (Cass. pen., Sez. Unite, 27 marzo 2002, n. 16103). La soluzione è coerente con l'interpretazione generale dell'istituto: è rilevabile con il 625-bis c.p.p. l'omesso esame di un motivo di ricorso solo se ed in quanto sia effettivamente un errore percettivo e non sottenda una ragione valutativa. La posizione giurisprudenziale in commento suscita un interessante interrogativo relativo all'onere del ricorrente di rilevare la mancata dichiarazione di estinzione. Ci si potrebbe chiedere, cioè, se, al fine della ricorribilità ex art. 625-bis c.p.p., la parte sia onerata di rilevare la estinzione per prescrizione ove già intervenuta (dunque, nei motivi di ricorso ovvero in sede di formulazione delle conclusioni). Sembra che possa senza dubbio rispondersi positivamente. La rilevabilità d'ufficio della estinzione del reato sarebbe già sufficiente per addivenire a tale conclusione; e tuttavia, a ciò, si può aggiungere un'ulteriore considerazione. Come rilevato, l'orientamento negativo ha talvolta sostenuto che l'omesso esame del motivo di ricorso relativo alla intervenuta prescrizione, nei cennati limiti in cui integri un errore percettivo, sia rilevabile ex art. 625-bis c.p.p.; se ne può inferire che i due dati (la prescrizione in sé e l'omesso esame del relativo motivo di ricorso) siano autonomi, di talchè la, eventuale, mancata rilevazione dell'estinzione nel ricorso od in udienza è, ai fini che ci occupano, ininfluente. |