Riconoscimento di paternità: l'obbligo di sottoporsi al test del DNA non viola il diritto al rispetto della vita privata
21 Febbraio 2019
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha statuito, all'unanimità, che non viola l'art. 8 CEDU l'imposizione di un test del DNA, laddove i tribunali nazionali raggiungano un giusto equilibrio tra il rifiuto del ricorrente di fornire un campione e il desiderio della controparte di conoscere le proprie origini. In particolare, va respinta la tesi secondo cui la condanna a sottoporsi al test prima di aver presentato le proprie argomentazioni determina a monte, con prove incriminanti, l'esito del procedimento, poiché, tra l'altro, la parte ha l'opportunità di contestare i risultati del test. La Corte respinge, altresì, le argomentazioni relative all'“auto-incriminazione”, atteso che il test genetico non è contrario allo stato di diritto e alla giustizia naturale se esso sia diretto allo scopo legittimo di consentire allo Stato di adempiere ai propri obblighi nei confronti del figlio che intende vedersi riconosciuta la paternità. Pertanto, sebbene l'obbligatorietà del test imposta dalla legge maltese, in astratto, possa essere contraria all'art. 8 CEDU, è improbabile, nella pratica, che tale esito si realizzi laddove i tribunali nazionali abbiano deciso il caso dopo un esame approfondito che non mostri alcun segno di arbitrarietà o mancanza di equità. |