Le Sezioni unite intervengono sui rimedi esperibili contro le misure di prevenzione patrimoniale

09 Marzo 2022

Le Sezioni unite sono intervenute nella materia delle misure di prevenzione patrimoniale, chiarendo quale strumento deve essere attivato nelle ipotesi in cui il provvedimento ablatorio si fondi su fattispecie di pericolosità sociale dichiarate incostituzionali dalla sentenza della Corte costituzionale 27 febbraio 2019, n. 24.
La vicenda processuale, la questione ermeneutica controversa e la rimessione alle Sezioni unite della Corte di cassazione

La vicenda processuale su cui si innesta l'intervento delle Sezioni unite della Corte di cassazione, che si commenta, trae origine dal decreto emesso il 18 novembre 2019, con cui la Corte di appello di Brescia dichiarava inammissibile l'istanza ex art. 28 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, proposta nell'interesse di F.E., finalizzata a ottenere la revoca della confisca dei beni immobili, dei beni mobili registrati e dei conti correnti, oggetto dell'originario provvedimento ablatorio, emesso nei suoi confronti dal Tribunale di Monza.

L'originaria misura ablatoria, in particolare, era stata applicata dal Tribunale di Monza con decreto emesso il 18 febbraio 2013, con cui era stata disposta la confisca dei beni immobili, dei beni mobili registrati e dei conti correnti intestati a F.E.

Il respingimento dell'istanza veniva giustificata dalla Corte di appello di Brescia sull'assunto che non potevano rilevare, nella direzione processuale invocata nell'interesse di F.E., i principi affermati nella sentenza della Corte costituzionale 27 febbraio 2019, n. 24, che aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 159/2011, alla luce dei quali era stato esperito il rimedio revocatorio previsto dall'art. 28 d.lgs. n. 159/2011.

Secondo la Corte di appello di Brescia, infatti, in ipotesi di questo genere, il rimedio processuale esperibile a tutela dell'inciso era quello dell'incidente di esecuzione di cui agli artt. 666 e 670 c.p.p. e non già quello della revocazione di cui all'art. 28 d.lgs. n. 159/2011, non costituendo la declaratoria di incostituzionalità dell'art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 159/2011, pronunciata dalla sentenza della Corte costituzionale, una nuova prova legittimante la proposizione di istanza di revocazione.

Queste conclusioni venivano contestate dalla difesa di F.E., che, nel ricorso per cassazione che dava origine al contrasto ermeneutico che si commenta, deduceva che, nelle ipotesi di misure di prevenzione patrimoniale, non sussisteva la competenza del giudice dell'esecuzione a decidere sulla domanda di revoca del provvedimento ablatorio definitivo, laddove l'inciso solleciti la verifica della permanenza della piattaforma legale sulla base della quale era stata disposta la confisca dei beni, analogamente a quanto riscontrabile nel caso di specie, in cui si controverteva dell'inquadramento del proposto nella categoria della pericolosità sociale prevista dall'art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 159/2011, così come interpretata dalla Corte costituzionale con la sentenza sopra citata.

Questa verifica, infatti, postulava il vaglio di un rimedio processuale finalizzato a ottenere la revoca dell'originaria misura di prevenzione patrimoniale, che è disciplinata dall'art. 28 d.lgs. n. 159/2011, che risultava correttamente esperito nell'interesse di F.E., con la conseguenza che la pronuncia censurata determinava un vuoto di tutela giurisdizionale che doveva essere colmato con l'intervento chiarificatore invocato.

In questa cornice processuale, i giudici di legittimità remittenti, a seguito del ricorso per cassazione proposto dalla difesa di F.E., ritenevano indispensabile affrontare una questione ermeneutica preliminare, la cui risoluzione si riteneva indispensabile per il vaglio dell'atto di impugnazione in esame, costituito dal rimedio esperibile nelle ipotesi in cui sui presupposti applicativi della misura di prevenzione patrimoniale oggetto di vaglio è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale 27 febbraio 2019, n. 24, che, com'è noto, ha rivisitato le categoria della pericolosità sociale previste dall'art. 1, comma 1, lett. a) e b), d.lgs. n. 159/2011.

L'importanza ermeneutica della questione trae origine dalla consapevolezza, espressa dall'ordinanza di remissione alle Sezioni unite, che l'esigenza di bilanciare il valore costituzionale del giudicato e quello della libertà personale, a fronte di una sanzione penale dichiarata illegittima, deve estendersi anche alle misure di prevenzione, personale e patrimoniale, in conseguenza dei principi affermati nella sentenza della Corte costituzionale. Non è dubitabile, del resto, che una misura di prevenzione patrimoniale applicata senza essere munita di un'idonea piattaforma legale deve ritenersi non conforme all'interpretazione sistematica di tale strumento, ponendo il problema, non eludibile, della rivalutazione del compendio probatorio posto a fondamento dell'originario provvedimento ablatorio (Cass. pen., sez. I, 4 giugno 2021, n. 23042 Fiorentino).

Tuttavia, sulle modalità con cui tale, imprescindibile, rivalutazione del compendio probatorio posto a fondamento dell'originario provvedimento ablatorio deve essere effettuata, nel rispetto dei principi affermati dalla sentenza della Corte costituzionale, sussisteva un contrasto insanabile tra due orientamenti ermeneutici della Corte di cassazione, la cui risoluzione, a parere dei giudici remittenti, richiedeva l'intervento chiarificatore delle Sezioni unite.

Per queste ragioni, la Prima Sezione penale della Corte di cassazione riteneva necessario, ai sensi dell'art. 618, comma 1, c.p.p., rimettere alle Sezioni unite il ricorso proposto da F.E., formulando il seguente quesito: «Se, in tema di misure di prevenzione patrimoniale, ai fini della richiesta di applicazione degli effetti della pronuncia della Corte costituzionale 24 gennaio 2019, n. 24 a tutela della posizione dell'inciso, sia esperibile il rimedio della revocazione di cui all'art. 28 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 ovvero il rimedio dell'incidente di esecuzione di cui agli artt. 666 e 670 c.p.p.».

L'orientamento ermeneutico minoritario che riteneva esperibile l'incidente di esecuzione disciplinato dal combinato disposto degli artt. 666 e 670 c.p.p.

Nella cornice descritta nel paragrafo precedente occorre inserire le alternative ermeneutiche che imponevano, secondo i giudici di legittimità remittenti, l'intervento chiarificatore delle Sezioni unite.

Occorre, pertanto, prendere le mosse dall'orientamento giurisprudenziale, che al momento della rimessione della questione alle Sezioni unite era minoritario, la cui applicabilità veniva esclusa dalla decisione in commento.

Secondo tale orientamento ermeneutico, nelle ipotesi analoghe a quelle in esame, doveva ritenersi esperibile lo strumento dell'incidente di esecuzione, disciplinato dal combinato disposto degli artt. 666 e 670 c.p.p., in linea con quanto affermato nel seguente principio di diritto: «In tema di misure di prevenzione patrimoniale, il rimedio esperibile avverso il provvedimento definitivo di confisca fondato sulla pericolosità generica ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. a) e b), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, è l'incidente di esecuzione nel caso in cui si faccia valere il difetto originario dei presupposti per effetto della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019» (Cass. pen., sez. VI, 28 ottobre 2020, n. 36582 Iannuzzi, in Cass. C.E.D., n. 280183-01).

Secondo tale opzione ermeneutica, deponeva in favore di una tale soluzione processuale, il tenore complessivo dell'art. 28 d.lgs. n. 159/2011, che «al comma 3, prevede una generale limitazione di operatività delle ipotesi di revocazione considerate dalla norma in questione, da azionare non oltre i sei mesi dalla data di verifica del relativo presupposto […]»; il che portava «alla inaccettabile conclusione, a voler aderire ad una lettura interpretativa diversa da quella qui favorita, in forza della quale anche l'ipotesi della revocazione volta ad eliminare l'ingiustizia di una decisione fondata su una disposizione ornai espunta dal sistema perché contraria alla Costituzione, dovrebbe ritenersi soggetta ai medesimi limiti temporali di proposizione previsti dal citato comma 3» (Cass. pen., sez. VI, 28 ottobre 2020, n. 36582 Iannuzzi, cit.).

D'altra parte, le connotazioni della verifica imposta dall'intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma che ha costituito la piattaforma legale dell'adozione di una misura di prevenzione patrimoniale presuppongono un differente contesto giurisdizionale rispetto a quello prefigurato dall'art. 28 d.lgs. n. 159/2011. Ne consegue che, alla stessa stregua di quanto accade nel sistema penale, laddove la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice intervenuta dopo il giudicato legittima la revoca della sentenza di condanna ex art. 673 c.p.p., anche per le misure di prevenzione deve ritenersi che l'intervento correttivo deve spettare al giudice che ne cura l'esecuzione, recuperando dal codice di rito la normativa di riferimento e adattando a tale procedimento l'incidente di esecuzione (Cass. pen., sez. VI, 28 ottobre 2020, n. 36582 Iannuzzi, cit.).

Secondo i giudici di legittimità remittenti, che lasciavano trasparire la loro adesione a tale soluzione ermeneutica, pur senza prendere una posizione decisa sulla questione, l'opzione interpretativa in esame, ancorché minoritaria, sembrava sostenuta dalla posizione giurisprudenziale da tempo recepita dalle Sezioni unite, che, intervenendo in relazione alle conseguenze sistematiche prodotte dalla sentenza della Corte cost. 11 febbraio 2014, n. 32, nell'ambito delle quali affrontavano il problema del bilanciamento tra il valore dell'intangibilità del giudicato e l'esecuzione di una decisione penale rivelatasi successivamente illegittima, affermavano il potere-dovere del giudice dell'esecuzione di incidere sul giudicato (Cass. pen., sez. un., 29 maggio 2014, n. 42858 Gatto, in Cass. C.E.D., n. 280183-01).

Tale potere-dovere, del resto, è connaturato alla funzione giurisdizionale propria del giudice dell'esecuzione, atteso che – come affermato in un precedente arresto chiarificatore delle stesse Sezioni unite, espressamente richiamato dall'ordinanza di rimessione – una volta «dimostrato che la legge processuale demanda al giudice una determinata funzione, allo stesso giudice è conferita la titolarità di tutti i poteri necessari all'esercizio di quella medesima attribuzione […]» (Cass. pen., sez. un., 20 dicembre 2005, n. 4687 Catanzaro, in Cass. C.E.D., n. 232610-01).

Nella stessa direzione, occorreva considerare che l'ampiezza degli ambiti di intervento della giurisdizione esecutiva – che legittimava, nel caso di specie, l'attivazione dei poteri di cui agli artt. 666 e 670 c.p.p. per conformarsi alla declaratoria di incostituzionalità dell'art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 159/2011 – era già stata riconosciuta dalla Corte costituzionale, secondo la quale il giudice dell'esecuzione «non si limita a conoscere delle questioni sulla validità e sull'efficacia del titolo esecutivo ma è anche abilitato, in vari casi, ad incidere su di esso […]» (Corte cost., 3 luglio 2013, n. 210).

Si muoveva, infine, in questa direzione un ulteriore intervento chiarificatore delle Sezioni unite, che, intervenendo sulla decisione della Corte EDU nel caso “Scoppola contro Italia” (Corte EDU, 17 settembre 2009, n. 10249/03), avevano affermato che il giudice dell'esecuzione deve essere riconosciuto un ampio potere di intervento sul giudicato, ai sensi degli artt. 666 e 670 c.p.p., atteso che lo strumento previsto «dall'art. 670 c.p.p., pur sorto per comporre i rapporti con l'impugnazione tardiva e la restituzione nel termine, implica necessariamente, al di là del dato letterale, un ampliamento dell'ambito applicativo dell'istituto, che è un mezzo per far valere tutte le questioni relative non solo alla mancanza o alla non esecutività del titolo, ma anche quelle che attengono alla eseguibilità e alla concreta attuazione del medesimo» (Cass. pen., sez. un., 24 ottobre 2013, n. 34472 Ercolano, in Cass. C.E.D., n. 252933-01).

L'orientamento ermeneutico maggioritario che riteneva esperibile lo strumento della revoca previsto dall'art. 28 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159

All'orientamento ermeneutico minoritario, esaminato nel paragrafo precedente, se ne contrapponeva un secondo, decisamente maggioritario, a tenore del quale, nelle ipotesi considerate, doveva ritenersi esperibile lo strumento della revoca previsto dall'art. 28 d.lgs. n. 159/2011, in linea con quanto affermato nel seguente principio di diritto: «In tema di misure di prevenzione, non sussiste la competenza del giudice dell'esecuzione a decidere sulla domanda di revoca del decreto definitivo con la quale si solleciti la verifica della permanenza della sua “base legale” in relazione all'inquadramento del sottoposto nella categoria di pericolosità generica di cui all'art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, come interpretato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 24/2019, trattandosi di domanda qualificabile come richiesta di revoca della misura, disciplinata, anche con riferimento alla competenza, dagli artt. 11, quanto alle misure di prevenzione personali, e 28, quanto a quelle patrimoniali, del citato d.lgs.» (Cass. pen., sez. I, 1 aprile 2019, n. 27696, in Cass. C.E.D., n. 275888-01).

Si muoveva nella stessa direzione interpretativa, tendente a ritenere l'istituto revocatorio il rimedio processuale fisiologico per intervenire sul giudicato di una misura di prevenzione patrimoniale, per tutelare la posizione processuale dell'inciso a seguito della sentenza della Corte costituzionale, il seguente principio di diritto: «In tema di confisca di prevenzione, a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 24/2019 è esperibile il rimedio della revocazione ex art. 28 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 avverso il provvedimento definitivo di applicazione della misura fondato sulla pericolosità generica ex art. 1, comma 1, lett. a) e b) d.lgs. 159/2011, al fine di far valere l'illegittimità della previsione di cui alla lettera a), ovvero la non ricorrenza dei presupposti legittimanti la misura nell'ipotesi di cui alla lettera b), secondo i criteri interpretativi indicati dalla Corte costituzionale» (Cass. pen., sez. II, 13 ottobre 2010, n. 33641 Sabatelli, in Cass. C.E.D., n. 279970-01).

In questo contesto, come evidenziato dai giudici di legittimità remittenti, emergeva un ulteriore contrasto giurisprudenziale, atteso che, nell'ambito dell'opzione ermeneutica tendente a ricondurre le questioni relative alla tutela dell'inciso conseguente alla sentenza della Corte costituzionale nell'alveo applicativo dell'art. 28 d.lgs. n. 159/2011, era riscontrabile un'ulteriore contrapposizione interpretativa, che, ancorché embrionale, appariva meritevole dell'intervento chiarificatore invocato.

Il contrasto ermeneutico, in particolare, si riscontrava tra l'opzione interpretativa minoritaria (Cass. pen., sez. II, 13 ottobre 2020, n. 33641 Sabatelli, cit.), secondo cui, laddove investita ex art. 28 d.lgs. n. 159/2011, la Corte di cassazione non poteva pronunciarsi sull'illegittimità del provvedimento ablatorio emesso nei confronti di un soggetto socialmente pericoloso ex art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 159/2011, e il contrapposto, maggioritario, orientamento (Cass. pen., sez. I, 1 ottobre 2020, n. 34027 Falaschi, cit.), che escludeva l'annullamento con rinvio del decreto impugnato come conseguenza inevitabile di un giudizio di pericolosità sociale formulato in contrasto con i principi affermati dalla Corte costituzionale.

Questo secondo orientamento, su cui convergevano le Sezioni unite, che escludeva l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato come conseguenza inevitabile di un giudizio di pericolosità sociale formulato in contrasto con i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza del 2019, appariva efficacemente sintetizzato dal seguente principio di diritto: «In materia di misure di prevenzione, la Corte di cassazione, qualora sia investita del ricorso avverso un provvedimento applicativo di misura che, prima della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, lett. a), del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, ad opera della sentenza della Corte cost. n. 24/2019, abbia inquadrato la pericolosità sociale del proposto nelle fattispecie di cui alle lett. a) e b) del citato art. 1, non è tenuta a disporre l'annullamento con rinvio di tale provvedimento per una nuova valutazione del materiale probatorio, in quanto lo stesso è già stato delibato nel contraddittorio delle parti e ritenuto sufficiente a ricavarne la ricorrenza dei presupposti delle misure di prevenzione, per essere il proposto annoverabile anche nella categoria criminologica di cui alla citata lett. b) dell'art. 1» (Cass. pen., sez. VI, 9 maggio 2019, n. 38077 Falaschi, in Cass. C.E.D., n 276711-01).

La decisione delle Sezioni unite: la riconducibilità delle pretese revocatorie dell'inciso nell'ambito sistematico del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159

Il contrasto ermeneutico segnalato dalla Prima Sezione penale della Corte di cassazione veniva deciso dalle Sezioni unite con un'adesione, senza riserve, all'orientamento ermeneutico maggioritario, secondo cui, nella materia delle misure di prevenzione patrimoniale, nelle ipotesi in cui il provvedimento ablatorio si fondi sulla fattispecie di pericolosità sociale di cui all'art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 159/2011, dichiarata incostituzionale dalla sentenza della Corte costituzionale n. 24/2019, lo strumento processuale esperibile a tutela dell'inciso è quello della revoca prevista dall'art. 28, comma 2, d.lgs. n. 159/2011.

La soluzione ermeneutica adottata dalle Sezioni unite, dunque, riconduce le pretese revocatorie dei destinatari di una misura ablatoria patrimoniale all'ambito normativo proprio del sistema di prevenzione antimafia, così come prefigurato dal d.lgs. n. 159/2011, escludendo la possibilità di un utilizzo, anche solo subordinato, dei rimedi generali tipici del processo di esecuzione, prefigurati dal combinato disposto degli artt. 666 e 670 c.p.p.

Questa soluzione, secondo le Sezioni unite, si giustifica alla luce del fatto che il d.lgs. n. 159/2011, con specifico riferimento alla confisca di prevenzione, ha introdotto un apposito rimedio per i casi in cui il soggetto interessato intende fare valere la ricorrenza di un'ipotesi di invalidità genetica della misura di prevenzione patrimoniale applicata nei suoi confronti, che è regolamentato dall'art. 28, comma 2, d.lgs. n. 159/2011. Dispone, in particolare, l'art. 28, comma 2, d.lgs. n. 159/2011: «In ogni caso, la revocazione può essere richiesta solo al fine di dimostrare il difetto originario dei presupposti per l'applicazione della misura».

Tali conclusioni, secondo le Sezioni unite si impongono alla luce del tenore letterale dell'art. 28, comma 2, d.lgs. n. 159/2011, che utilizzando in apertura della disposizione l'espressione generica «in ogni caso […]», prefigura una fattispecie aperta, che individua quale condizione legittimante l'utilizzo dello strumento revocatorio ipotesi diverse da quelle delineate dal primo comma della stessa disposizione, riconducibili ai casi di carenza originaria dei presupposti della confisca di prevenzione, analoghi alla declaratoria di incostituzionalità di una norma penale. Ne consegue che non possono essere ricondotte alla fattispecie di cui all'art. 28, comma 2, d.lgs. n. 159/2011 tutte le ipotesi in cui non ci si trova di fronte a un difetto originario dei presupposti applicativi del provvedimento ablatorio, come nel caso di una legge abrogatrice sopravvenuta di una figura soggettiva di pericolosità sociale, che non legittima lo strumento revocatorio.

Questa distinzione, del resto, è indispensabile per comprendere gli spazi applicativi dell'art. 28, comma 2, d.lgs. n. 259/2011, in linea con quanto affermato dalle Sezioni unite in un precedente intervento chiarificatore (Cass. pen., sez. unite, 29 maggio 2014, n. 42858 Gatto, cit.), che hanno evidenziato la diversità strutturale esistente tra abrogazione normativa e declaratoria di illegittimità costituzionale; soltanto quest'ultima, infatti, è idonea a dare «corpo a una carenza originaria dei presupposti della confisca di prevenzione […]», analogamente a quanto riscontrabile nel caso di specie (Cass. pen., 16 dicembre 2021, n. 3513 Fiorentino, in Cass. C.E.D., n. 282474-01).

D'altra parte, sul piano sistematico, l'interpretazione accolta dalle Sezioni unite attribuisce alla disposizione normativa in esame un significato normativo di cui altrimenti sarebbe priva, proprio alla luce dell'espressione generale con cui si apre la previsione dell'art. 28, comma 2, d.lgs. n. 159/2011, con la conseguenza che, anche sotto questo profilo, la soluzione adottata appare pienamente rispettosa della ratio legis dello strumento revocatorio.

In questa cornice ermeneutica, la disposizione dell'art. 28, comma 2, d.lgs. n. 159/2011 include necessariamente nel suo ambito applicativo la declaratoria di illegittimità costituzionale pronunciata dalla sentenza della Corte costituzionale, che, avendo investito la figura di pericolosità sociale giustificatrice della confisca ex art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 159/2011, integra «senz'altro quel difetto originario dei presupposti per l'applicazione del provvedimento ablatorio che costituisce, nei termini indicati, condizione applicativa della revocazione» (Cass. pen., 16 dicembre 2021, n. 3513 Fiorentino, cit.).

Né potrebbe essere diversamente, atteso che la declaratoria di illegittimità costituzionale, all'evidenza, attesta l'invalidità genetica della norma penale, come affermato dalla Corte costituzionale, in un risalente arresto, nel quale si evidenziava che la dichiarazione di incostituzionalità «colpisce la norma fin dalla sua origine, eliminandola dall'ordinamento e rendendola inapplicabile ai rapporti giuridici […]» (Corte Cost., 15 dicembre 1966, n. 127).

È questo, dunque, il contesto sistematico nel quale si inserisce, quale invalidità genetica disciplinata dall'art. 28, comma 2, d.lgs. n. 159/2011, la declaratoria di incostituzionalità di una norma penale, che deve ritenersi idonea a incidere sulla misura patrimoniale divenuta definitiva.

Ne discende che questa soluzione interpretativa, secondo le Sezioni unite, non ha alternative sistematiche, imponendosi per il suo saldo ancoramento al dato legislativo e consentendo di risolvere la questione ermeneutica sollevata dai giudici di legittimità remittenti. Non si può, infatti, dubitare della «idoneità della declaratoria di illegittimità costituzionale a incidere su confische divenute irrevocabili […]», che è possibile rimuovere dal circuito giurisdizionale attraverso lo strumento previsto dall'art. 28, comma 2, d.lgs. n. 159/2011, che consente di «far valere l'invalidità originaria della norma, ossia la carenza originaria del requisito soggettivo della confisca» (Cass. pen., sez. un., 16 dicembre 2021, n. 3513 Fiorentino, cit.).

Sulla scorta di questa ricostruzione sistematica dello strumento revocatorio previsto dall'art. 28, comma 2, d.lgs. n. 159/2011, le Sezioni unite, affermavano conclusivamente il seguente principio di diritto: «In tema di misure di prevenzione patrimoniale, il rimedio esperibile avverso il provvedimento definitivo di confisca fondato sulla pericolosità generica, ex art. 1, comma 1, lett. a) d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, al fine di far valere il difetto originario dei presupposti della misura, a seguito della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 24/2019, è la richiesta di revocazione, di cui all'art. 28, comma 2 d.lgs. 159/2011».

Gli spazi di intervento del giudice di legittimità in conseguenza dell'attivazione dello strumento revocatorio ex art. 28, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159

Le Sezioni unite, infine, in conseguenza della risoluzione del contrasto ermeneutico che gli veniva sottoposto, individuavano gli spazi di intervento del giudice di legittimità in conseguenza dell'attivazione dello strumento revocatorio previsto dall'art. 28, comma 2, d.lgs. n. 159/2011, su cui i giudici di legittimità remittenti avevano evidenziato l'esistenza di un conflitto interpretativo, sia pure embrionale.

Tale questione, naturalmente, alla luce delle considerazioni esposte nel paragrafo precedente, deve ritenersi circoscritta alla verifica dell'autonomia e dell'autosufficienza della categoria di cui all'art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 159/2011 – o di altra qualifica soggettiva diversa da quella oggetto della declaratoria di illegittimità costituzionale – a sostenere, da sola, il provvedimento ablatorio. Ne consegue che il giudizio delle Sezioni unite presuppone l'esistenza di un provvedimento adottato ex art. 28, comma 2, d.lgs. n. 159/2011 e impone di tenere conto delle deduzioni articolate dall'inciso, relative alla confisca e alla successiva impugnazione.

In questa cornice, veniva affrontata la questione dei limiti che il giudice di legittimità incontra nello svolgimento dello scrutino relativo all'applicazione dello strumento revocatorio previsto dall'art. 28, comma 2, d.lgs. n. 159/2011, per risolvere la quale le Sezioni unite richiamavano un precedente intervento chiarificatore dello stesso Consesso (Cass. pen., sez. un., 30 novembre 2017, n. 3464 Matrone, in Cass. C.E.D., n. 271831-01), secondo cui deve essere pronunciata sentenza di annullamento senza rinvio se si ritiene superfluo il rinvio e se, anche all'esito di valutazioni connotate da “discrezionalità vincolata”, è possibile decidere la vicenda processuale sulla base degli elementi di fatto desumibili dalla motivazione dei provvedimenti di merito, che rendono inutili ulteriori accertamenti.

Questa posizione ermeneutica veniva sintetizzata dal seguente principio di diritto: «La Corte di cassazione pronuncia sentenza di annullamento senza rinvio se ritiene superfluo il rinvio e se, anche all'esito di valutazioni discrezionali, può decidere la causa alla stregua degli elementi di fatto già accertati o sulla base delle statuizioni adottate dal giudice di merito, non risultando necessari ulteriori accertamenti» (Cass. pen., sez. un., 30 novembre 2017, n. 3464 Matrone, in Cass. C.E.D., n. 271831-01).

Ne discende che, fermi restando gli oneri ordinari di allegazione del ricorrente, nelle ipotesi di confisca di prevenzione, l'annullamento deve essere disposto senza rinvio, qualora «sulla base di una valutazione guidata dalla “discrezionalità vincolata” […], la Corte di cassazione sia in grado di constatare che la misura ablatoria – per tutte le sue componenti patrimoniali o per una parte di esse – sia fondata, in via esclusiva, sull'ipotesi di cui all'art. 1, comma 1, lett. a) […]» (Cass. pen., 16 dicembre 2021, n. 3513 Fiorentino, cit.).

Viceversa, l'annullamento non può che essere disposto con rinvio nei casi in cui il riferimento alla qualifica soggettiva di cui all'art. 1, lett. a) d.lgs. n. 159/2011 e, contestualmente, alla categoria di cui alla lettera b) della stessa disposizione non consentano al giudice di legittimità, nell'esercizio dei suoi poteri di “discrezionalità vincolata”, la verifica delle connotazioni di autonomia e di autosufficienza dell'atto di impugnazione.

Sulla scorta di questa ricostruzione sistematica, sulla questione dei limiti che il giudice di legittimità incontra nello svolgimento dello scrutino relativo all'applicazione dello strumento revocatorio previsto dall'art. 28, comma 2, d.lgs. n. 159/2011, le Sezioni unite, affermavano conclusivamente il seguente principio di diritto: «La Corte di cassazione, investita del ricorso in materia di confisca di prevenzione definitiva, adottata in relazione alle ipotesi di pericolosità generica ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. a) e b) d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, per far valere gli effetti della declaratoria di illegittimità costituzionale pronunciata con sentenza n. 24/2019, è tenuta all'annullamento senza rinvio della sola misura fondata, in via esclusiva, sull'ipotesi di cui all'art. 1, comma 1, lett. a)» (Cass. pen., sez. un., 16 dicembre 2021, n. 3513 Fiorentino, cit.).

In conclusione

Con la decisione esaminata le Sezioni unite sono intervenute nella materia delle misure di prevenzione patrimoniale, chiarendo quale strumento deve essere esperito nei casi in cui il provvedimento ablatorio si fondi su fattispecie di pericolosità sociale, relative all'art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 159/2011, dichiarate incostituzionali dalla sentenza della Corte cost. n. 24/2019.

In questa cornice, le Sezioni unite hanno evidenziato che, in queste ipotesi, il rimedio esperibile è quello dello strumento revocatorio previsto dall'art. 28, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 e non quello dell'incidente di esecuzione di cui al combinato disposto degli artt. 666 e 670 c.p.p., aderendo all'orientamento ermeneutico largamente maggioritario.

Le Sezioni unite, al contempo, hanno evidenziato che, in tali casi, l'eventuale accoglimento delle pretese revocatorie dell'inciso comportano l'annullamento senza rinvio della misura di prevenzione patrimoniale, laddove fondata, in via esclusiva, sulla fattispecie di cui all'art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 159/2011.

Per converso, l'annullamento deve essere disposto con rinvio nei casi in cui il riferimento alla qualifica soggettiva di cui all'art. 1, lett. a) dell'art. 1 d.lgs. n. 159/2011 e, cumulativamente, alla categoria di cui alla lettera b) della stessa disposizione non consentono alla Corte di cassazione, nell'esercizio dei suoi poteri di “discrezionalità vincolata”, la verifica delle connotazioni di autonomia e di autosufficienza.

Guida all'approfondimento
  • R. Bartoli, La confisca di prevenzione è una sanzione preventiva, applicabile retroattivamente, in Giur. it., 2015, 4, pp. 971 ss.;
  • P. Bartolo, La confisca di prevenzione e la revocabilità di tutti i provvedimenti ablativi emessi in violazione dei canoni enucleati dalla sentenza della Corte costituzionale 24/2019: una pronuncia che potrebbe costare allo stato oltre 500 milioni di risarcimenti, in Sist. pen., 2021, 10, pp. 155 ss.;
  • L. Fornari, Criminalità del profitto e tecniche sanzionatorie. Confisca e sanzioni pecuniarie nel diritto penale ‘moderno', Padova, 1997;
  • M. Finuoli Di Lello, “Tutto cambia per restare infine uguale”. Le Sezioni Unite confermano la natura preventiva della confisca ante delictum, in Cass. pen., 2015, 10, pp. 3520;
  • S. Ippedico, La revocazione della confisca preventiva (all'indomani di Corte cost. 24/2019), in Cass. pen., 2021, 5, pp. 1758 ss.;
  • V. Maiello, La prevenzione ante delictum da pericolosità generica al bivio tra legalità costituzionale e interpretazione tassativizzante, in Giur. Cost., 2019, pp. 322 ss.;
  • F. Mazzacuva, L'uno-due dalla Consulta alla disciplina delle misure di prevenzione: punto di arrivo o principio di un ricollocamento sui binari costituzionali?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, p. 987 ss.;
  • C. Pecorella, La rideterminazione della pena in sede di esecuzione: le Sezioni Unite danno un altro colpo all'intangibilità del giudicato, in Dir. pen. proc., 2015, 2, pp. 173 ss.;
  • V. Pompeo, Confisca di prevenzione, dinamiche concorrenziali e garantismo economico-sociale, in Giur. it., 2015, 12, pp. 2721 ss.;
  • C. Pelissero, Pericolosità sociale e doppio binario. Vecchi e nuovi modelli di incapacitazione, Torino, 2008, p. 31 ss.;
  • R. Rizzuto, Le Sezioni Unite ampliano il potere di annullamento senza rinvio della Cassazione, in Cass. pen., 2018, 6, pp. 1880 ss.

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