Referendum 12 giugno e magistratura, si ripropone il tema della separazione delle carriere
09 Giugno 2022
Cominciamo dalla proposta abrogativa di parte della disciplina dei Consigli Giudiziari.
Si tratta di organi collegiali istituiti presso ciascun distretto di corte d'appello, dei quali fanno parte di diritto il presidente e il procuratore generale presso la corte di appello, oltre a cinque magistrati togati. E' prevista la rappresentanza anche dei Giudici di Pace e ne fanno parte anche avvocati iscritti nel distretto. La sua funzione è principalmente quella di assegnare una valutazione all'operato dei magistrati del distretto, tale da incidere sulla progressione della carriera.
Fino ad oggi, quest'ultimo compito è stato riservato alla componente “interna” del Consiglio, cioè ai magistrati togati che lo compongono. La proposta referendaria mira, invece, a estendere il novero dei soggetti legittimati a esprimersi sulla qualità professionale dei magistrati di un determinato distretto e a ricomprendervi anche avvocati e professori universitari. Questi ultimi, quindi, se prevalessero i SI concorrerebbero a formare il giudizio di professionalità che è la base della valutazione poi compiuta per decidere gli scatti di carriera dei magistrati. Se, invece, vincessero i NO tutto rimarrebbe com'è e le valutazioni professionali dei magistrati sarebbero formate soltanto dai magistrati stessi.
L'ispirazione del quesito è di tipo “partecipativo” e mira a scalfire l'autoreferenzialità blindata di cui viene spesso accusata la magistratura.
Stessa anima è quella che ispira il quesito sulla normativa in materia di elezioni dei componenti togati del CSM. Non ci soffermiamo sulla rilevanza costituzionale, né sulle funzioni proprie dell'arcinoto organo di autogoverno della magistratura: basterà soltanto dire che ad esso vengono attribuiti (quasi) tutti i mali dei quali ciclicamente si ritiene affetta la giurisdizione italiana. L'influenza correntizia, il meccanismo delle nomine e i riflessi parapolitici – puntualmente alimentati dagli scandali che a intervalli regolari tengono banco in TV – sono considerati difetti congeniti da estirpare.
Gli elaboratori del quesito mirano quindi a depotenziare l'influenza delle “correnti” della magistratura, cioè di quei simil-partiti che ispirano l'orientamento dei loro aderenti, consentendo a qualsiasi magistrato di potersi candidare per essere eletto al CSM. Se prevalessero i SI, infatti, verrebbe rimosso lo sbarramento fino ad oggi esistente che si sostanzia nella necessità di possedere – da parte di ogni aspirante candidato – una lista di almeno venticinque colleghi a fargli da supporters.
La separazione delle carriere: un tema ricorrente. Desta maggior interesse, in ultimo, il quesito sulla separazione delle carriere dei magistrati. E' un tema che a intervalli regolari torna di moda, specialmente quando occorre stigmatizzare qualche episodio di rilievo giornalistico. Vediamo di fare un po' d'ordine: nel 1988, con il codice di procedura penale di stampo prevalentemente accusatorio abbiamo scelto di mandare in pensione il precedente sistema misto ma pencolante verso l'inquisitorietà. C'erano due figure processuali che incarnavano più di ogni altra questa caratteristica: il pretore e il giudice istruttore. Se il primo, grazie anche a qualche film neorealista, veniva ad essere il presidio giudiziario nei piccoli centri (e non soltanto, vista la sua ampia competenza per materia), il secondo, grazie invece all'effetto di santificazione postuma compiuto dai media, ha dato il più paradigmatico esempio di funzionamento con l'istruzione del primo maxiprocesso contro la mafia. Entrambi i ruoli giudiziari, pretore e giudice istruttore, cumulavano in sé componenti giudicanti e inquirenti, potendo al contempo stesso investigare, raccogliere le prove e valutarle. Nel 1988, come dicevamo, si prescelse il modello “all'americana”. Un processo di parti, quindi, nel quale il giudice – con trito e ritrito slogan – deve essere terzo e imparziale. A fronte di questa impostazione codicistica, però, non ci si è curati di modificare il meccanismo d'accesso alla magistratura, che è rimasto unico come lo era sin dall'origine. Un MOT (attuale qualifica del vecchio Uditore Giudiziario) conquista la toga che potrà essere nel corso della propria vita professionale alternativamente quella del giudice o del pubblico ministero, con facoltà di cambiare ruolo senza troppe limitazioni.
Risparmiamo ai lettori la disamina dell'indecifrabile sequela di norme che il quesito referendario mira a cancellare. Se non vi fosse una didascalia a riassumere il concetto della proposta abrogativa, questa sarebbe sostanzialmente incomprensibile.
Se prevalessero i SI il sistema verrebbe modificato nel senso di pretendere che il magistrato compia una scelta irreversibile all'inizio della propria carriera: giudice o pubblico ministero. Questa impostazione viene letta da taluni – ed è sicuramente l'interpretazione più condivisibile - nel senso della necessità di privilegiare la specializzazione professionale (le funzioni requirenti e giudicanti indubbiamente richiedono il possesso di attitudini e competenze completamente diverse). Altri, invece, vi leggono un'ispirazione più “politica”. Qualunque sia l'anima che ha suggerito ai formulatori del quesito la proposta referendaria, resta vero che il passaggio di funzioni tra un ruolo e l'altro determina il maggior grado di censure quando il magistrato da PM diventa giudice senza dismettere l'abitudine inquisitoria che è propria della funzione requirente. Se prevalessero i NO, come già detto per i quesiti precedenti, tutto rimarrebbe invariato e, seppur con le complicate limitazioni previste dall'ordinamento giudiziario, i magistrati potrebbero continuare a mutare ruolo e funzioni lungo tutto l'arco della propria vita professionale.
*Fonte: DirittoeGiustizia |