Imposta di registro sul decreto ingiuntivo ottenuto dal garante autonomo nei confronti del debitore d'imposta

10 Ottobre 2019

Nella giurisprudenza di legittimità si era formato un contrasto in merito alla quantificazione dell'imposta di registro, in misura fissa o proporzionale, sul decreto ingiuntivo ottenuto dal garante autonomo nei confronti del debitore, allorquando esso garante, dopo aver pagato al creditore, intendesse recuperare dal debitore inadempiente l'importo versato. Tra le due tesi, le Sezioni Unite optano per la tassazione in misura proporzionale, conformemente alla previsione generale della tariffa allegata al d.P.R. n. 131/1986, in materia di registrazione dei decreti ingiuntivi.
Questione controversa

La problematica in esame ha ad oggetto l'ipotesi in cui, a fronte della stipulazione di un contratto autonomo di garanzia, il garante autonomo, che sia stato escusso dal creditore, ricorra allo strumento del decreto ingiuntivo nei confronti del debitore, al fine di recuperare da quest'ultimo l'importo pagato.

La questione controversa, per l'appunto, concerneva l'imposta di registro applicabile al suddetto provvedimento monitorio.

Com'è noto, infatti, l'art. 8, comma 1, lett. b), della tariffa parte prima allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (cd. T.U. Registro), prevede per la tassazione degli atti dell'autorità giudiziaria, ivi inclusi i decreti ingiuntivi esecutivi, ove «recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura», la tassazione in misura proporzionale del 3%.

A fronte di tale previsione, apparentemente inequivoca, il dubbio insorgeva nella giurisprudenza, in conseguenza del principio di alternatività IVA – Registro, contemplato dall'art. 40 del medesimo T.U. Registro, e richiamato dalla nota II al menzionato art. 8 della tariffa parte prima («Gli atti di cui al comma 1, lettera b), e al comma 1-bis non sono soggetti all'imposta proporzionale per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all'imposta sul valore aggiunto ai sensi dell'art. 40 del testo unico»).

Nelle ipotesi in cui l'obbligazione principale fosse relativa ad operazione soggetta a imposta sul valore aggiunto, infatti, si poneva il problema se tale assoggettamento ad IVA fosse idoneo a rendere applicabile anche al successivo decreto ingiuntivo, ottenuto dal garante autonomo nei confronti del debitore inadempiente, il regime di tassazione in misura fissa (in applicazione della citata nota II all'art. 8 della tariffa parte prima), ovvero se tale circostanza fosse ininfluente ai fini della quantificazione dell'imposta di registro del provvedimento monitorio, destinata a scontare comunque l'imposizione proporzionale.

Orientamenti contrapposti

In accordo con una prima posizione che si era affermata all'interno della giurisprudenza della Suprema Corte (ex multis, Cass. civ., sez. trib., ord., 19 giugno 2014, n. 14000; Cass. civ., sez. trib., sent., 15 luglio 2014, n. 16192), l'ipotesi sopra accennata poteva essere ricondotta all'istituto della surrogazione, configurandosi sostanzialmente una successione nel lato attivo dell'obbligazione. Il garante adempiente, infatti, verrebbe ad essere surrogato nei medesimi diritti precedentemente vantati dal creditore, sicché il ricorso al provvedimento monitorio, al fine di recuperare dal debitore inadempiente le somme pagate, comporterebbe un subentro del “solvens” nell'identica posizione del creditore.

La vicenda successoria nell'ambito del (lato attivo del) rapporto obbligatorio, quindi, non avrebbe l'effetto «di incidere sull'identità oggettiva del credito, che perciò conserva la sua natura, ai fini dell'assolvimento dell'obbligazione tributaria, anche nella fase in cui sia oggetto dell'azione recuperatoria del surrogante che opera alla stessa stregua del creditore principale, avvalendosi dei diritti che spettano a quest'ultimo» (Cass. civ., sent., n. 16192/2014, cit.).

Alla stregua della suddetta ricostruzione, assume quindi un rilievo centrale il principio di alternatività IVA/Registro: se l'obbligazione principale è assoggettata ad IVA, l'obbligazione di garanzia avrà la medesima natura, con conseguente assoggettamento del provvedimento monitorio ottenuto dal garante nei confronti del debitore all'imposta di registro in misura fissa («la condanna al pagamento in favore del fideiussore, insita nel decreto ingiuntivo, non può che considerarsi avere ad oggetto obbligazioni di natura, anche fiscalmente, identica a quella afferente le obbligazioni garantite»: Cass. civ., sez. trib., ord., 20 dicembre 2018, n. 33009).

Per meglio dire, «si è ravvisata, talora evocando il collegamento dei negozi intercorrenti tra debitore e creditore da un lato e garante e debitore dall'altro, un'operazione complessiva inscindibile, la quale sarebbe assoggettata a trattamento fiscale unitario, indipendentemente, dunque, dal fatto che l'obbligazione sia adempiuta dal debitore in esecuzione del contratto principale o dal garante, qualificato come fideiussore» (Cass. civ., Sez. Un., sent., 10 luglio 2019, n. 18520).

L'orientamento è stato recentemente condiviso e ribadito da Cass. civ., sez. trib., 20 luglio 2018, n. 19365.

La posizione contraria era stata parimenti sostenuta nella giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ., sez. trib., sent. 09 ottobre 2015, n. 20262; Cass. Civ., sez. trib., ord. 21 dicembre 2015, n. 25702).

Per questo secondo orientamento, difetterebbe lo stesso presupposto per l'applicazione al caso di specie del principio di alternatività IVA/Registro, ossia l'unitarietà (ed inscindibilità) dell'operazione.

Com'è noto, invero, «la ratio del principio di alternatività tra IVA ed imposta di registro, fissato dall'art. 40 del d.P.R. n. 131/1986, è quella di evitare che siano assoggettate all'imposta proporzionale di registro somme già assoggettate ad IVA e, dunque, di evitare la duplice imposizione» (Cass. civ., sez. trib., ord. 20 dicembre 2018, n. 33009).

A parere di questo secondo orientamento, tuttavia, la circostanza che l'obbligazione principale, intercorrente tra creditore e debitore, sia assoggettata ad IVA, non potrebbe mai comportare, come corollario, l'assoggettamento ad imposta di registro in misura fissa degli atti afferenti al ben distinto rapporto di garanzia, intercorrente tra garante e debitore.

Stante l'autonomia dei rapporti, infatti, si spiega l'affermazione della Suprema Corte per cui «il titolo giudiziario ottenuto dal garante, concernendo la somma da lui versata, non ha ad oggetto il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all'imposta sul valore aggiunto» (Cass. civ., sent., n. 20262/2015 cit.), dovendo pertanto scontare l'ordinaria imposizione in misura proporzionale.

Come più recentemente chiarito in un successivo arresto della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. trib., sent., n. 02 febbraio 2018, n. 2551), «è irrilevante la circostanza che quanto versato dal fideiussore si riferisca ad un rapporto soggetto ad iva [...]».

Rimessione alle Sezioni Unite

La Sezione tributaria della Corte di cassazione, con ordinanza interlocutoria del 20 dicembre 2018, n. 33009, dato atto delle discordanti ricostruzioni in merito, ha rimesso alle Sezioni Unite la decisione della questione, oggetto di contrasto giurisprudenziale, inerente alla misura, fissa o proporzionale, dell'imposta di registro alla quale debba essere assoggettato il «decreto ingiuntivo ottenuto dal garante, nei confronti del debitore inadempiente, per il recupero delle somme pagate al creditore principale, avuto riguardo all'invocato principio di alternatività IVA/Registro».

Soluzione

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la pronuncia n. 18520 del 10 luglio 2019, risolvono il prospettato contrasto giurisprudenziale aderendo al secondo degli orientamenti prospettati, ossia optando per la quantificazione in misura proporzionale dell'imposta di registro gravante sul provvedimento monitorio, ottenuto dal garante nei confronti del debitore inadempiente, a fronte del pagamento di somme al creditore principale.

La motivazione trae le mosse, sul piano logico, dalla ormai consolidata elaborazione giurisprudenziale sul contratto autonomo di garanzia, per come sviluppatasi a partire dallo storico arresto delle Sezioni Unite civili della Suprema Corte, con sentenza 18 febbraio 2010, n. 3947. Già allora la giurisprudenza di legittimità, affrontando funditus la questione, aveva esattamente evidenziato che «mentre il fideiussore è un «vicario» del debitore, l'obbligazione del garante autonomo si pone in via del tutto autonoma rispetto all'obbligo primario di prestazione, essendo qualitativamente diversa da quella garantita, perché non necessariamente sovrapponibile ad essa e non rivolta all'adempimento del debito principale, bensì ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore».

Le Sezioni Unite del 2019 riprendono tale impostazione, ritenendola confacente al caso di specie, avendo la giurisprudenza più volte affermato che la garanzia richiesta, in ambito tributario, dall'art. 38-bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ha natura di contratto autonomo di garanzia, conformemente all'elaborazione sviluppatasi in materia (ex multis, Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2018, n. 9826).

Dopo avere inquadrato le polizze fideiussorie di cui si discute nel genus del contratto autonomo di garanzia, e richiamate le distinzioni di tale ultima fattispecie rispetto alla fideiussione codicistica, la statuizione in commento affronta gli argomenti che depongono in favore della soluzione prescelta.

In primo luogo, si osserva l'indubbia incidenza sulla materia delle modifiche normative, intervenute nel 2017 e nel 2018, sull'art. 20 del T.U. Registro. Il legislatore, infatti, afferma oggi esplicitamente che l'assoggettamento dell'atto all'imposta di registro deve avvenire «secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici, [...] anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall'atto medesimo, prescindendo da quelli extra testuali e dagli atti ad esso collegati». Ed allora, se non può oggi attribuirsi rilevanza a ciò che esula dall'atto presentato alla registrazione, ivi inclusi elementi extra testuali e atti collegati, ecco un primo indice del fatto che il provvedimento monitorio, a prescindere dalle vicende economiche e giuridiche che lo hanno preceduto, deve scontare l'imposizione proporzionale, non potendo più attribuirsi rilevanza a quel collegamento negoziale che induceva a ravvisare un'operazione complessiva inscindibile.

In secondo luogo, si osserva la fallacia del riferimento all'istituto della surrogazione. Quest'ultimo, infatti, può ricorrere nelle ipotesi disciplinate dagli artt. 1201, 1202 e 1203 c.c., ma nessuna di esse ricorre nel caso esaminato dalle Sezioni Unite.

Non ricorre l'ipotesi dell'art. 1201 c.c., perché il creditore, nell'ipotesi di garanzia autonoma, resta estraneo ai rapporti tra debitore e garante, non potendo conseguentemente surrogare il garante autonomo nei suoi diritti verso il debitore inadempiente; nei confronti di quest'ultimo, di conseguenza, il creditore esercita una mera azione di rivalsa.

Non ricorre l'ipotesi dell'art. 1202 c.c., perché in tal caso si suppone che sia lo stesso debitore a eseguire il pagamento, ancorché mediante denaro altrui; il che non accade nelle fattispecie esaminate nelle Sezioni Unite in commento.

Non ricorre, infine, l'ipotesi dell'art. 1203 c.c. (in particolare, comma 1, n. 3), perché il garante autonomo non è tenuto “con altri” (come il condebitore in solido) o “per altri” (come il fideiussore), essendo invece tenuto “per sè”.

Sulla base dei suddetti argomenti, le Sezioni Unite escludono che «la natura del rapporto di valuta, ossia di quello tra debitore e creditore, e, in particolare, l'eventuale riferibilità di esso a operazione soggetta a iva, [possa] comunicarsi al rapporto di provvista, cioè a quello tra garante e debitore, altro e autonomo, l'oggetto del quale può essere al più soltanto economicamente identico a quello del primo».

Un'ultima considerazione viene spesa dalla Suprema Corte, al fine di dimostrare che, nella presente ipotesi, non si discorre di “«corrispettivi o prestazioni soggetti all'imposta sul valore aggiunto»”. Ancorché la polizza fideiussoria si caratterizzi per essere necessariamente onerosa, contrariamente alla fideiussione (che può anche essere prestata a titolo gratuito), la pretesa del garante che intenda rivalersi nei confronti del debitore inadempiente non ha ad oggetto il corrispettivo prestato, ossia il costo della garanzia (menzionato anche all'art. 8, comma 4, della legge 27 luglio 2000, n. 212, c.d. Statuto del Contribuente), trattandosi invece di una mera rivalsa che «non ha ad oggetto il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all'imposta sul valore aggiunto».

Il complesso delle ragioni appena esposte sorregge il principio di diritto enunciato a composizione del contrasto, secondo cui, «in tema d'imposta di registro, il decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti del debitore dal garante che abbia stipulato una polizza fideiussoria e che sia stato escusso dal creditore è soggetto all'imposta con aliquota proporzionale al valore della condanna, in quanto il garante non fa valere corrispettivi o prestazioni soggetti all'imposta sul valore aggiunto, ma esercita un'azione di rimborso di quanto versato».

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