Fallimento dell’appaltatore: il curatore è l’unico legittimato a ricevere il compenso per le prestazioni svolte

03 Agosto 2022

Il meccanismo delineato dall'art. 118, comma 3, d. lgs. n. 163/2006, che consente alla stazione appaltante di sospendere i pagamenti in favore dell'appaltatore in attesa delle fatture di quelli effettuati da quest'ultimo al subappaltatore, deve ritenersi riferito alla sola ipotesi in cui il rapporto di appalto sia in corso con un'impresa in bonis.

Il meccanismo delineato dall'art. 118, comma 3, d. lgs. n. 163/2006, non può essere applicato al caso in cui il contratto di appalto si sciolga in ragione della dichiarazione di fallimento dell'appaltatore, giacché in questa ipotesi, da un lato, il corrispettivo delle prestazioni eseguite fino all'intervenuto scioglimento del contratto è dovuto dalla stazione appaltante al curatore fallimentare dell'appaltatore; dall'altro lato, contestualmente, il subappaltatore deve essere considerato un creditore concorsuale dell'appaltatore come gli altri, da soddisfare nel rispetto della par condicio creditorum e dell'ordine delle cause di prelazione, senza che rilevi a suo vantaggio l'istituto della prededuzione ex art. 111, comma 2, l. fall.

Con la pronuncia n. 23477/2022, il S.C. definisce le conseguenze del fallimento dell'appaltatore nell'ambito di un contratto di appalto, precisando che spetta solo al curatore, in conseguenza dello scioglimento del contratto di appalto, richiedere e incassare le somme relative alle prestazioni svolte dall'appaltatore in bonis, dovendo i subappaltatori procedere – al contrario - quali creditori concorsuali.

Il caso. La vicenda descritta e decisa nell'ordinanza in commento ha origine, nell'ambito di un contratto di appalto pubblico, dal fallimento dell'appaltatore.

La peculiarità di tale contratto di appalto risiedeva in una clausola, inserita successiva alla stipula, per la quale l'appaltante – in questo caso, il Comune di Pordenone – si impegna ad effettuare direttamente i pagamenti in favore dei subappaltatori.

All'esito del fallimento dell'appaltatore, il Comune provvedeva al pagamento in favore di quest'ultimo delle spettanze relative al lavoro svolto.

Nelle more, i subappaltatori ottenevano in separati giudizi la condanna del Comune al pagamento di quanto loro dovuto sulla base dell'addendum sopra richiamato.

Il Comune, quindi, riteneva di promuovere istanza tardiva di insinuazione nel fallimento del consorzio appaltatore, che viene rigettata sul rilevo che – in effetti – era proprio quest'ultimo ad essere legittimato, una volta sciolto il contratto ex art. 81 l. fall. a ricevere il pagamento relativo alle prestazioni già svolte e non, invece, i subappaltatori, in quanto anche l'accordo in deroga relativo alla loro posizione deve ritenersi sciolto in conseguenza del fallimento dell'appaltatore.

Appaltante, appaltatore, subappaltatore: le conseguenze in tema di fallimento. La massima in epigrafe ben definisce l'orientamento della Cassazione che, riprendendo alcune pregresse decisioni, conferma che, a seguito dello scioglimento del contratto di appalto per fallimento dell'appaltatore, spetta solo al curatore la legittimazione per ottenere il pagamento delle prestazioni svolte.

Analogamente, può aversi il pagamento diretto del subappaltatore - parimenti contemplato dall'art. 118, comma 3, d.lgs. n. 163/2006 e nel caso di specie oggetto di uno specifico accordo - solo nell'ipotesi in cui il rapporto di appalto sia in corso con l'impresa in bonis, e non lo è quando il contratto di appalto si sciolga ipso iure a seguito della dichiarazione di fallimento dell'appaltatore, ai sensi dell'art. 81 l.fall. e dell'art. 140, comma 1, Codice appalti.

Scioglimento dell'appalto e ATI. Analogamente, in caso di appalto di opere pubbliche stipulato da imprese riunite in associazione temporanea, il fallimento della società capogruppo, costituita mandataria dell'altra, ai sensi dell'art. 23, comma 8, del d.lgs. n. 406/1991, determina lo scioglimento del rapporto di mandato, ai sensi dell'art. 78 l. fall., sicché l'impresa mandante è legittimata ad agire direttamente nei confronti del committente per la riscossione della quota dei crediti nascenti dall'appalto ad essa imputabile e la curatela è legittimata a riscuotere dall'amministrazione appaltatrice il corrispettivo per l'esecuzione dell'appalto solo per la quota corrispondente a quella parte dei lavori appaltati la cui realizzazione, in base all'accordo di associazione temporanea, era di sua spettanza.

Scioglimento del contratto e pagamento parziale. Lo scioglimento del contratto di appalto in conseguenza del fallimento dell'appaltatore, a norma dell'art. 81 l.fall., costituisce un effetto legale ex nunc della sentenza dichiarativa e non è, quindi, causa di responsabilità della procedura nei confronti del committente, il quale, pertanto, è tenuto, a norma dell'art. 1672 c.c., al pagamento in proporzione, nei limiti in cui è per lui utile, del prezzo pattuito per l'intera opera.

Mandato in rem propriam: nozione e funzioni. Il S.C. definisce la questione in esame anche sotto la disciplina, prospetta dal ricorrente, del mandato in rem propriam.

Si ha tale tipologia di mandato quando viene conferito anche nell'interesse del mandatario, in quanto l'interesse di quest'ultimo risulta assicurato da un rapporto sinallagmatico (fra mandante e mandatario) con contenuto bilaterale.

Tale è la ragione per cui il mandato resta irrevocabile, e sottratto alla unilaterale disposizione del mandante stesso. Ad esempio, si ha mandato in rem propriam - all'incasso - quando vi sia stata l'attribuzione a mandatario della facoltà di utilizzare le somme incassate per estinguere un debito del mandante nei suoi confronti.

Mandato in rem propriam e fallimento dell'appaltatore. Parte ricorrente, infatti, sosteneva il mancato scioglimento del contratto di appalto, richiamando quindi l'art. 1723, comma 2, c.c. per il quale il mandato non si estingue per revoca da parte del mandante, né per morte o incapacità del mandante, così sostenendo un'applicazione analogica di tale disciplina alla sede fallimentare.

Secondo il S.C., per contro, non trova applicazione la normativa sopra richiamata nel caso di specie, dovendo per contro, in ragione della sua specialità, applicarsi l'apposita disciplina dettata dalla legge fallimentare (artt. 78 e 72 l.fall.), la quale attinge a categorie diverse da quelle utilizzate nel codice civile (p.es. estinzione, in luogo di scioglimento; interdizione o inabilitazione, in luogo di fallimento: artt. 1722 e 1724 c.c)

Scioglimento del contratto di appalto ed eccezione di inadempimento. Fermo quanto precisato nella massima, deve però osservarsi che, intervenuto lo scioglimento del contratto di appalto - anche di opera pubblica - per effetto della dichiarazione di fallimento dell'appaltatore, ai sensi della l. fall., art. 81, l'appaltante può rifiutarsi di procedere al pagamento dei lavori eseguiti se fondata l'eccezione d'inadempimento ai sensi dell'art. 1460 c.c.

Contratto di mandato: le conseguenze in caso di fallimento. In ogni caso, la previsione del mandato in rem propriam non trova applicazione in sede fallimentare, risultando decisivo il fatto che l'art. 64 d.lgs. n. 5/2006 ha modificato l'art. 78 l. fall., dettando una disciplina specifica per il contratto di mandato, ove si distingue tra fallimento del mandatario, che comporta lo scioglimento automatico del contratto (comma 2), e fallimento del mandante, che comporta l'applicazione della regola generale della sospensione del rapporto pendente, in attesa della decisione del curatore di sciogliersi o subentrare, ai sensi dell'art. 72 l. fall., e prevedendo nel secondo caso la prededucibilità dei crediti del mandatario sorti dopo il fallimento (comma 3).

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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