Consiglio di Stato

Gabriele Carlotti
21 Settembre 2022

L'art. 6 del codice del processo amministrativo prevede che il Consiglio di Stato è l'organo di ultimo grado della giurisdizione amministrativa. Il Consiglio di Stato è anche molto di più: innanzi tutto è un organo di rilievo costituzionale, menzionato dagli artt. 100, 103 e 111 della Costituzione, che svolge sia una funzione di consulenza giuridico-amministrativa in favore dello Stato-comunità, sia una funzione propriamente giurisdizionale al fine di tutelare, con i poteri e l'indipendenza di un giudice speciale, la «giustizia nell'amministrazione» e, con essa, gli interessi legittimi e, in casi particolari, anche i diritti soggettivi di chiunque, cittadini e imprese, si rivolga alla Giustizia amministrativa.
Inquadramento

Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione

Il Consiglio di Stato è un organo di rilievo costituzionale. La Costituzione definisce il Consiglio di Stato organo di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia nell'amministrazione (art. 100 Cost.). Il Consiglio di Stato esercita, dunque, istituzionalmente due funzioni: una consultiva e una propriamente giurisdizionale.

Con riferimento a tale seconda funzione, nel codice del processo amministrativo si rinviene una specifica disciplina relativa alle competenze dell'Organo e alla composizione dei collegi giudicanti. In particolare, detta disciplina è contenuta nell'art. 6 c.p.a. che definisce il Consiglio di Stato (in sede giurisdizionale) come organo «di ultimo grado» della giurisdizione amministrativa. La locuzione normativa («di ultimo grado») assume un preciso significato. Per un verso, difatti, il Consiglio di Stato, in conseguenza dell'istituzione dei tribunali amministrativi regionali (con i quali si è data attuazione all' art. 125 Cost.; v. la Bussola sui Tribunali amministrativi regionali), è divenuto il giudice al quale spetta istituzionalmente la cognizione degli appelli proposti avverso le pronunce dei suddetti tribunali, nel rispetto del principio del doppio grado di giurisdizione (amministrativa). Per altro verso, va poi considerato che il Consiglio di Stato può essere, in concreto, anche giudice di terzo grado (di qui l'uso della locuzione normativa «di ultimo grado»), là dove esso si pronunci sull'appello proposto avverso una sentenza di revocazione o di opposizione di terzo proposta avanti a un tribunale amministrativo regionale; peraltro, il Consiglio di Stato è giudice “di ultimo grado” anche quando decida in unico grado (come accade, ad esempio, nel caso, contemplato dall' art. 113, comma 1, c.p.a., quando cioè il Consiglio di Stato si pronunci su un'azione per ottemperanza di una sentenza di appello con la quale sia stata riformata la sentenza impugnata).

A proposito del principio del doppio grado di giurisdizione sopra menzionato, è bene ricordare che, per parte della dottrina, l'art. 125 Cost., come interpretato dal Giudice delle leggi, avrebbe sì costituzionalizzato, con riferimento al giudizio amministrativo (a differenza di quello civile), il principio del doppio grado, ma solo “verso l'alto”, nel senso cioè che la Costituzione non precluderebbe l'attribuzione al Consiglio di Stato di una cognizione in unico grado, mentre non consentirebbe al Legislatore di sottrarre all'impugnazione le pronunce dei tribunali amministrativi regionali.

Ancora sul piano processuale va ricordato il disposto dell'art. 111, ultimo comma, Cost. che limita il ricorso in cassazione, contro le decisioni del Consiglio di Stato (e della Corte dei conti), ai soli motivi inerenti la giurisdizione. Da ciò discende che, a differenza di quanto avviene nel processo civile, il giudizio amministrativo si articola, di norma, in soli due gradi di merito (sopravvivendo peraltro, come sopra accennato, anche residue ipotesi di giudizi avanti al Consiglio di Stato in unico grado).

Brevi cenni storici. Disciplina di rango costituzionale

Il Consiglio di Stato ha origini molto antiche. Esso fu, difatti, istituito in epoca preunitaria, con l'editto di Racconigi, emanato dal Re di Sardegna, Carlo Alberto di Savoia- Carignano il 18 agosto 1831. Il Consiglio di Stato fu originariamente concepito come un organo tecnico, ausiliario della Corona piemontese, investito del precipuo compito di fornire al sovrano una qualificata consulenza sui principali affari del regno.

Nel 1859, in conseguenza del modificato assetto costituzionale delineato dallo Statuto albertino (e da una delle quattro c.d. “Leggi Rattazzi”, la l. 30 ottobre 1859, n. 3705), l'Istituto fu riformato e alle sue tre sezioni furono attribuite funzioni contenziose e consultive.

Le funzioni contenziose del Consiglio di Stato furono sensibilmente ridotte in seguito all'approvazione della l. n. 2248/1865 (altrimenti detta legge abolitiva del contenzioso amministrativo), il cui allegato E previde la soppressione dei tribunali speciali investiti della giurisdizione del contenzioso amministrativo e l'introduzione di una giurisdizione unica, affidata alla magistratura ordinaria, investita delle controversie in tutte le materie nelle quali si facesse questione di un diritto e comunque vi potesse essere interessata la pubblica amministrazione, quand'anche fossero stati emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell'autorità amministrativa (artt. 1 e 2, l. n. 2248/1865).

Come noto, l'esito della riforma, attuata con la sunnominata l. n. 2248/1865, fu quello di privare di tutela giurisdizionale tutte le pretese di rilievo giuridico (interessi), ma prive della consistenza di veri e propri diritti soggettivi; la definizione di tali controversie fu infatti attribuita alle stesse autorità amministrative contro le cui decisioni sarebbe stato possibile unicamente presentare un ricorso in via gerarchica (art. 3, l. n. 2248/1865). Tali negative conseguenze della abolizione del sistema del contenzioso amministrativo furono, inoltre, aggravate da un atteggiamento dei giudici ordinari, ispirato a una rigorosa concezione della separazione dei poteri e connotato da un'eccesiva deferenza per i provvedimenti delle autorità amministrative.

Onde porre rimedio alla grave assenza di tutela giurisdizionale nei confronti delle varie forme di esercizio dei poteri autoritativi pubblici, il sistema della giurisdizione unica fu abbandonato pochi anni dopo. Con la l. n. 5992/1889 (c.d. «legge Crispi») fu, infatti, istituita la Quarta Sezione del Consiglio di Stato, con il compito di decidere sui ricorsi — per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge — proposti contro atti e provvedimenti delle autorità amministrative e a tutela di interessi diversi dai diritti soggettivi (affidati questi ultimi alla giurisdizione ordinaria). Risale a tale “controriforma” l'introduzione del criterio di riparto tra le giurisdizioni incentrato sulla natura della situazione giuridica soggettiva fatta valere (diritto soggettivo o interesse legittimo). Al Consiglio di Stato fu quindi attribuita una giurisdizione generale di legittimità, volta all'annullamento degli atti amministrativi impugnati e, in casi limitati e tassativi (tra questi i ricorsi diretti a ottenere l'ottemperanza dell'amministrazione all'obbligo di conformarsi a un giudicato civile), anche una giurisdizione di merito.

Ha, tuttavia, correttamente osservato la dottrina che non fu subito chiara la natura giurisdizionale della Quarta Sezione del Consiglio di Stato e che ogni dubbio al riguardo fu fugato solo con la l. 7 marzo 1907, n. 62 (con la quale fu introdotta la giurisdizione di merito).

Il Consiglio di Stato conservò anche l'originaria funzione consultiva, estrinsecantesi in pareri, sui quesiti e sui ricorsi straordinari al Re.

Nel 1907 fu approvato il regolamento di procedura davanti alle sezioni giurisdizionali (r.d. n. 642/1907) e fu anche istituita la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, con competenza giurisdizionale.

Nel 1923 fu attribuita al Consiglio di Stato una speciale giurisdizione esclusiva, eccezionale e tassativa (come quella di merito), nella materia del pubblico impiego, stante la difficoltà di distinguere in tale ambito di controversie le posizioni di interesse legittimo da quelle di diritto soggettivo.

Con il r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 fu poi approvato il testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato e nel 1948 fu istituita la Sesta sezione (giurisdizionale).

Nonostante la proposta di soppressione del Consiglio di Stato, avanzata da Calamandrei in sede di Assemblea Costituente in nome dell'unificazione di tutte le magistrature, prevalse la tesi favorevole alla conservazione dell'Istituto, sostenuta da Bozzi e Ruini.

Lo statuto costituzionale del Consiglio di Stato è contenuto negli artt. 100, primo e terzo comma, 103, primo comma, 111, ultimo comma, e VI disp. trans. Cost.

Dal combinato disposto di tali previsioni costituzionali - variamente collocate nelle norme sugli organi ausiliari del Governo (art. 100 Cost.), sulla magistratura (art. 103 Cost.), sulla giurisdizione (art. 111 Cost.) e in quelle transitorie - discende che:

- il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia nell'amministrazione;

- la legge assicura l'indipendenza dell'Istituto di fronte al Governo;

- il Consiglio di Stato (al pari degli altri organi di giustizia amministrativa) ha giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi;

- contro le decisioni del Consiglio di Stato il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione;

- il Consiglio di Stato non è oggetto di revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti.

Le riferite previsioni costituzionali tratteggiano il disegno di un Organo che assolve, come sopra accennato, a due differenti e interconnesse funzioni, rispettivamente consultiva e giurisdizionale, entrambe convergenti nell'identico fine di assicurare la «giustizia nell'amministrazione», espressione quest'ultima che, non a caso, richiama alla memoria il celebre discorso di Bergamo di Silvio Spaventa.

L'ausiliarietà del Consiglio di Stato rispetto al Governo — seppure la formulazione dell'art. 100 Cost. evochi la tradizionale collaborazione tra l'Istituto e l'Esecutivo con riguardo all'esercizio della funzione consultiva — va oggi rettamente intesa. In realtà, il Consiglio di Stato svolge la sua attività, sia quella di carattere consultivo sia quella di natura giurisdizionale, nell'interesse oggettivo dell'ordinamento giuridico e, dunque, è opinione condivisa che la sua ausiliarietà vada riferita allo Stato-Comunità piuttosto che allo Stato-Governo.

Tale concetto è stato di recente ribadito, in più occasioni, dallo stesso Consiglio di Stato (tra queste, per tutte, nel parere n. 1458/2017, reso nell'adunanza del 7 giugno 2017 dalla sezione consultiva per gli atti normativi), secondo cui la Costituzione repubblicana assegna al Consiglio di Stato la missione istituzionale di assicurare la tutela della giustizia nell'amministrazione. Non a caso l'art. 100 Cost. abbina tale obiettivo alla consulenza giuridico-amministrativa, che è una delle due funzioni, pariordinate, dell'Istituto. L'attività consulenziale del Consiglio di Stato è prestata a servizio dello Stato-Comunità e non a favore dello Stato-Governo né, tanto meno, del solo Stato-Amministrazione. Tale funzione, risalente alla genesi pre-unitaria dell'Istituto (1831), è stata ulteriormente potenziata e valorizzata dal Legislatore con l'istituzione della predetta sezione normativa (art. 17, comma 28, della l. 15 maggio 1997, n. 127).

L' art. 103 Cost. è rilevante sul piano storico-normativo, giacché la disposizione ha cristallizzato, al più alto livello delle fonti, il generale criterio di riparto tra la giurisdizione amministrativa e quella civile fondato sulla distinzione tradizionale (giacché risalente al 1889, ossia alla fine dell'esperienza della giurisdizione unica) tra le situazioni giuridiche soggettive (interesse legittimo o diritto soggettivo), sancendo così la natura dualistica del sistema italiano di tutela contro la pubblica amministrazione.

Riguardo ai rapporti tra giudice amministrativo e giudice ordinario la Corte costituzionale (Corte cost. n. 204/2004) ha affermato che il Costituente ha riconosciuto al giudice amministrativo piena dignità di giudice “ordinario” per la tutela, nei confronti della pubblica amministrazione, delle situazioni soggettive non contemplate dall' art. 2 della l. n. 2248/1865, ossia degli interessi legittimi. Ha soggiunto la Corte che il Costituente escluse la soggezione delle decisioni del Consiglio di Stato (e della Corte dei conti) al sindacato di legittimità della Corte di cassazione, limitandolo al solo «eccesso di potere giudiziario», in coerenza alla «unità non organica, ma funzionale di giurisdizione, che non esclude, anzi implica, una divisione dei vari ordini di giudici in sistemi diversi, in sistemi autonomi, ognuno dei quali fa parte a sé».

L' art. 103 Cost. ha anche costituzionalizzato l'esistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, seppure soltanto nelle particolari materie indicate dalla legge.

La Corte costituzionale, nella citata sentenza n. 204/2004, ha chiarito che cosa debba intendersi per «particolari materie». In dettaglio, secondo la Corte, il vigente art. 103, primo comma, Cost., non ha conferito al Legislatore ordinario una assoluta e incondizionata discrezionalità nell'attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha unicamente attribuito il potere di indicare «particolari materie» nelle quali «la tutela nei confronti della pubblica amministrazione» investe «anche» diritti soggettivi. Tali materie devono essere «particolari» rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità, nel senso che esse devono partecipare della loro medesima natura; quest'ultima è contrassegnata della circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo, sicché il Legislatore ordinario ben può ampliare l'area della giurisdizione esclusiva purché lo faccia con riguardo a materie, in tal senso per l'appunto “particolari”, le quali, in assenza di una previsione normativa di attribuzione alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo, ricadrebbero pur sempre nell'alveo della giurisdizione generale di legittimità, operandovi la pubblica amministrazione come autorità.

L'ultimo comma dell'art. 111 Cost., nel riconoscere il ruolo della Corte di cassazione come giudice del riparto della giurisdizione, costituisce anche una norma di tutela del Consiglio di Stato contro le ipotetiche ingerenze della Magistratura ordinaria, posto che il Supremo Collegio non potrebbe mai sindacare il «merito» delle decisioni assunte dal Consiglio di Stato (sebbene sul punto, v., infra, il successivo §. 13), dovendo solo verificare se il Consiglio di Stato abbia esorbitato, o no, dai limiti di esercizio della sua potestà giurisdizionale. In altri termini anche tale disposizione rafforza il principio di pariordinazione tra le giurisdizioni civile e amministrativa, assicurando così indirettamente che sia il Consiglio di Stato ad esercitare la funzione di nomofilachia nelle materie amministrative attribuite alla cognizione del giudice amministrativo.

Il g.a. come giurisdizione speciale e la pariordinazione con la giurisdizione amministrativa

Pur esistendo vari plessi giudiziari investiti della potestà di conoscere delle diverse controversie, nondimeno la giurisdizione ordinaria in materia civile ha sempre avuto un ruolo centrale sia per l'ampio numero delle materie assegnate alla sua cognizione sia, soprattutto, perché essa è la giurisdizione generale o «residuale», ossia debbono essere sottoposte ai giudici civili tutte le controversie che non appartengano ad altri giudici. In questo senso la giurisdizione amministrativa può essere definita «giurisdizione speciale» rispetto a quella ordinaria. La giurisdizione amministrativa può essere definita speciale anche sotto due ulteriori profili, in relazione cioè, rispettivamente, allo statuto giuridico dei magistrati amministrativi (la tutela della cui indipendenza è disciplinata dall' art. 108 Cost. secondo un regime giuridico differente, almeno in parte, da quella dei magistrati ordinari) e al peculiare rilievo costituzionale del Consiglio di Stato, stante la richiamata duplice funzione, svolta da tale Organo, di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia nell'amministrazione.

Da un punto di vista storico e giuridico ha assolto un ruolo centrale il tema del riparto tra la giurisdizione civile e quella amministrativa. Orbene, il principale criterio di tale riparto, per una serie di circostanze connesse all'evoluzione normativa del nostro sistema di giustizia amministrativa, si è difatti incentrato sulla distinzione tra le situazioni giuridiche soggettive fatte valere in sede di controversia. In generale, i diritti soggettivi — con la rilevante eccezione delle ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo — rientrano nell'alveo della cognizione del giudice civile, mentre le controversie vertenti su interessi legittimi appartengono alla giurisdizione dei giudici amministrativi.

Il doppio grado di giudizio

Si è detto che l'esercizio della giurisdizione amministrativa spetta sia ai Tribunali amministrativi regionali, in primo grado, sia al Consiglio di Stato, in ultimo grado (art. 6 c.p.a.).

La base costituzionale del principio del doppio grado della giurisdizione amministrativa è individuata nell' art. 125 Cost. il quale prevede, nel suo unico comma (divenuto tale a seguito dell'abrogazione del suo originario primo comma ad opera dell'art. 9, comma 2, della l. cost. n. 3/2001), che in ogni regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l'ordinamento stabilito da legge della Repubblica. L'esistenza di organi di giustizia amministrativa investiti del solo primo grado dei giudizi implica, sul piano logico, che per i processi amministrativi introdotti avanti ai tribunali amministrativi regionali debba essere garantita la possibilità di celebrare un secondo grado. Quest'ultima precisazione è importante giacché esistono anche rare ipotesi, sopra ricordate, di giudizi amministrativi che si svolgono in un unico grado, ma si tratta sempre di processi incardinati direttamente presso il Consiglio di Stato. L' art. 125 Cost., infatti, non esclude tale possibilità.

Circa la copertura costituzionale del principio del doppio grado di giudizio amministrativo la Corte costituzionale ha assunto, nel tempo, posizioni non sempre lineari. Invero, nella sentenza della Corte cost. n. 62/1981, la Corte ha riconosciuto la sussistenza del principio del doppio grado nel giudizio amministrativo, pur negando al medesimo principio una generale copertura costituzionale, e lo ha giustificato in ragione dell'assenza, nel sistema della giustizia amministrativa, della possibilità di proporre il ricorso in cassazione per violazione di legge. In coerenza con tale pronuncia, nella successiva sentenza della Corte cost. n. 8/1982 (con la quale fu dichiarato costituzionalmente illegittimo — per contrasto con l'art. 125 Cost. - l' art. 5, ultimo comma, della l. 3 gennaio 1978, n. 1, là dove la disposizione escludeva l'appellabilità al Consiglio di Stato delle ordinanze sospensive dei tribunali amministrativi regionali), la Corte costituzionale affermò con nettezza che il principio del doppio grado di giurisdizione non ha rilevanza costituzionale rispetto alla giurisdizione ordinaria e a quelle speciali, mentre trova copertura per la sola giurisdizione amministrativa ai sensi dell'art. 125 (allora, secondo comma) Cost., in considerazione della rilevanza pubblica degli interessi coinvolti nelle relative controversie e della previsione di organi di giustizia amministrativa di primo grado, le cui decisioni sono impugnabili avanti al Consiglio di Stato. Successivamente, tuttavia, la Corte costituzionale ha sì continuato a negare l'esistenza di una copertura costituzionale generalizzata del doppio grado di giudizio (v. anche Corte cost. n. 41/1965; Corte cost. n. 22/1973; Corte cost. n. 117/1973; Corte cost. n. 186/1980; Corte cost. n. 78/1984 e Corte cost. n. 80/1988), ma ha offerto un'interpretazione più ristretta del medesimo principio anche con riferimento alla giurisdizione amministrativa, avendo affermato nell'ordinanza n. 395/1988 (con la quale fu dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 37 della l. n. 1034/1971, nella parte in cui prevedeva che alcuni ricorsi al giudice amministrativo per ottenere l'ottemperanza dell'amministrazione ad un giudicato civile o amministrativo fossero proposti al Consiglio di Stato in unico grado) che la garanzia costituzionale del doppio grado di giudizio nella giurisdizione amministrativa non ha valore pieno e assoluto e implica soltanto l'impossibilità di attribuire ai tribunali amministrativi regionali una giurisdizione di unico grado o, in altri termini, che le decisioni dei medesimi tribunali sono sempre appellabili, posto che la Costituzione non indica il Consiglio di Stato come giudice del solo secondo grado.

L'indipendenza dei giudici amministrativi. Il Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa

Il Consiglio di Stato gode di un particolare posizione di indipendenza che è stabilita direttamente e in modo specifico dalla Costituzione. Ed invero, il già richiamato art. 100, terzo comma, Cost., con riferimento al Consiglio di Stato e alla Corte dei conti, stabilisce che «(l)a legge assicura l'indipendenza dei due Istituti e dei loro componenti di fronte al Governo». La peculiarità della previsione è che l'assicurazione dell'indipendenza non è circoscritta al solo Consiglio di Stato, ma, per l'appunto, è estesa a ciascun componente dell'Istituto.

Al riguardo la dottrina ha osservato che la garanzia di indipendenza in parola non è una conseguenza delle attribuzioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e nemmeno è limitata alle stesse funzioni, ma copre unitariamente l'Istituto, nelle sue competenze sia consultive sia giurisdizionali, e anche i suoi componenti, a prescindere dalla funzione da essi in concreto esercitata e ciò, a ulteriore riprova della connotazione garantistica e neutrale anche delle funzioni consultive.

È poi applicabile ai magistrati del Consiglio di Stato (ma anche ai magistrati dei tribunali amministrativi regionali) la disposizione dell'art. 108, secondo comma, Cost., secondo cui la legge assicura l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali. Il rapporto tra tale previsione e l'art. 100, terzo comma, Cost. non è in senso stretto di genere a specie. L' art. 100 Cost. si riferisce, invero, all'indipendenza del Consiglio di Stato (e dei suoi componenti) rispetto al Governo in quanto organo ausiliario di quest'ultimo; l'art. 108 Cost. prende, invece, in considerazione i magistrati amministrativi, anche se non appartenenti al Consiglio di Stato, e con specifico riferimento all'esercizio, da parte di costoro, di funzioni giurisdizionali.

Sebbene le garanzie d'indipendenza dei giudici amministrativi poggino sul richiamato secondo comma dell'art. 108 Cost. (e non sull' art. 104 Cost., giacché riferito alla sola magistratura ordinaria), nondimeno lo statuto giuridico dei magistrati amministrativi assicura un nucleo fondamentale di tali garanzie, sia esterne (relative cioè all'indipendenza dagli altri poteri e, soprattutto, da quello esecutivo) sia interne, non inferiore a quello proprio dei magistrati ordinari.

In ogni caso l'art. 108 Cost. presidia tale indipendenza stabilendo una riserva di legge per ogni intervento normativo in tema di reclutamento, progressione, assegnazione e tramutazione delle funzioni dei magistrati amministrativi e, più in generale, in merito all'ordinamento delle loro carriere.

La Corte costituzionale ha poi, da tempo, escluso che l'indipendenza del Consiglio di Stato sia lesa dall'istituto della nomina governativa di una quota (pari a un quarto) dei consiglieri (Corte cost. n. 1 del 1967 e n. 177/1973) e ha altresì escluso che, per i consiglieri di Stato, l'inamovibilità sia solo apparente.

Sul punto la dottrina ha osservato che la costituzionalità del sistema della nomina governativa di una parte dei consiglieri di Stato risulta rafforzata da due considerazioni: innanzi tutto, la nomina avviene a vita, cioè fino al collocamento a riposo, e tale circostanza indubbiamente rescinde il collegamento del nominato con il Governo; inoltre la proposta governativa è assoggettata al parere dell'organo di autogoverno della magistratura amministrativa, anche e soprattutto sotto il profilo della idoneità tecnica del soggetto proposto; tale parere deve ritenersi vincolante, nel senso che il Governo può procedere alla nomina solo se questa sia conforme al parere, favorevole, del predetto organo di autogoverno. Una diversa interpretazione della norma, contenuta nella l. n. 186 del 1982, sarebbe incostituzionale. Nella pratica, peraltro, quanto meno dal 1982, non vi sono stati casi in cui le nomine non siano state precedute da un parere favorevole.

La questione dell'indipendenza dei giudici amministrativi (non di quelli italiani) è stata sottoposta anche al vaglio della Corte europea dei diritti dell'Uomo sotto lo specifico profilo della possibile sovrapposizione delle funzioni consultive, esercitate a favore del potere esecutivo, a quelle giurisdizionali. La Corte, tuttavia, in coerenza con il suo consueto approccio casistico e nel rispetto delle tradizioni giuridiche degli Stati aderenti alla Convenzione, non ha mai ravvisato alcun contrasto tra il disposto dell'art. 6 della Convenzione (con riferimento alla possibile lesione dell'imparzialità del giudice) e lo svolgimento di due differenti attività (nello specifico, di quella consultiva e di quella giurisdizionale) da parte di un medesimo organo. Piuttosto, in un caso relativo al Consiglio di Stato del Lussemburgo (CorteEDU, 28 settembre 1995, Procola c. Lussemburgo), la Corte ha censurato la circostanza della pressoché totale identità soggettiva tra i magistrati che, con riguardo a uno stesso affare, si erano pronunciati sia in sede consultiva sia in sede giurisdizionale. In una differente fattispecie, concernente il Consiglio di Stato olandese, la Corte ha invece escluso qualunque incompatibilità, stante la diversità di oggetto tra la controversia trattata in sede giurisdizionale e quella esaminata in sede consultiva (CorteEDU, 6 maggio 2003, Klein c. Paesi Bassi).

Sicuramente concorre a garantire l'indipendenza dei giudici amministrativi l'esistenza di un organo di autogoverno, denominato Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, le cui attribuzioni in materia di carriera dei magistrati amministrativi sono previste dall' art. 13 della l. n. 186/1982 (Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliario del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali). La disciplina del Consiglio di presidenza è chiaramente ispirata a quella del Consiglio superiore della magistratura, pur essendo quest'ultimo un organo di rilievo costituzionale e il primo soltanto un organo amministrativo (Cass. S.U., n. 17823/2007, ord.).

Ai sensi dell'art. 7 della sunnominata l. n. 186/1982 il Consiglio di presidenza è composto:

a) dal presidente del Consiglio di Stato (membro di diritto), che lo presiede;

b) da quattro magistrati eletti, in servizio presso il Consiglio di Stato;

c) da sei magistrati eletti, in servizio presso i tribunali amministrativi regionali;

d) da quattro cittadini eletti, due dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, tra i professori ordinari di università in materie giuridiche o gli avvocati con venti anni di esercizio professionale;

e) da due magistrati eletti, in servizio presso il Consiglio di Stato con funzioni di supplenti dei componenti di cui alla lettera b);

f) da due magistrati eletti, in servizio presso i tribunali amministrativi regionali, con funzioni di supplenti dei componenti di cui alla lettera c).

L'ultimo periodo del comma 7 dell' art. 7 del d.l. n. 168/2016, come modificato dalla legge di conversione n. 197/2016, ha poi previsto che, limitatamente alle sedute del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa nelle quali possono essere adottate misure finalizzate ad assicurare la migliore funzionalità del processo amministrativo telematico partecipino, quali membri di diritto con diritto di voto, anche il presidente aggiunto del Consiglio di Stato e il presidente di tribunale amministrativo regionale con la maggiore anzianità di ruolo.

La presenza e l'attività del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa assicurano il rispetto, in relazione all'ordinamento della giurisdizione amministrativa, dell'art. 46 della Raccomandazione CM/Rec (2010) 12 del Consiglio d'Europa agli Stati membri sui giudici: indipendenza, efficacia e responsabilità (adottata dal Comitato dei Ministri il 17 novembre 2010 in occasione della 1098^ riunione dei Delegati dei Ministri), secondo la quale l'autorità competente per la selezione e la carriera dei giudici deve essere indipendente dai poteri esecutivo e legislativo.

La composizione del Consiglio di Stato

La composizione del Consiglio di Stato è stabilita dall'art. 1 della l. n. 186/1982 (Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliario del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali), secondo cui l'Istituto è composto dal presidente del Consiglio di Stato, dai presidenti di sezione e dai consiglieri di Stato. Va considerato, tuttavia, che, per effetto dell'art. 6-bis, comma 2, del d.l. 24 dicembre 2003, n. 354, è stato istituito il posto di Presidente aggiunto del Consiglio di Stato, parificato a ogni effetto giuridico ed economico a quello del Presidente aggiunto della Corte suprema di cassazione. Il Presidente aggiunto del Consiglio di Stato, oltre a svolgere le funzioni di presidente di una sezione del Consiglio di Stato (e di Direttore dell'Ufficio studi e dell'Ufficio per il massimario), sostituisce, nei casi di assenza o impedimento, il Presidente del Consiglio di Stato e lo coadiuva nei compiti affidatigli.

Il Consiglio di Stato attualmente si articola in sette sezioni con funzioni consultive o giurisdizionali, oltre alla sezione normativa istituita dall' art. 17, comma 28, della l. n. 127/1997. A tali sezioni romane, vanno aggiunte le due sezioni, rispettivamente giurisdizionale e consultiva, presso il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana. Da ciò discende che, a ben vedere, le sezioni del plesso Consiglio di Stato-Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana sono in totale dieci.

Attualmente la dotazione organica dei consiglieri di Stato è di circa 150 magistrati, compresi quelli assegnati al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana.

Il reclutamento e la progressione in carriera dei consiglieri di Stato. Lo status di magistrato amministrativo

L'art. 14 della l. n. 186/1982 stabilisce le seguenti qualifiche dei magistrati amministrativi: 1) presidente del Consiglio di Stato; 2) presidenti di sezione del Consiglio di Stato; 3) presidenti di tribunale amministrativo regionale; 3) consiglieri di Stato; 4) consiglieri di tribunale amministrativo regionale, primi referendari e referendari. Tale elenco va integrato anche con la sopra ricordata qualifica di presidente aggiunto del Consiglio di Stato.

Una peculiarità del Consiglio di Stato rispetto alle altre magistrature è rappresentata dalla triplice differente provenienza dei suoi membri. Difatti, a differenza dei magistrati ordinari, selezionati per concorso (con la rilevante eccezione dei professori ordinari di università in materie giuridiche e degli avvocati chiamati all'ufficio di consiglieri di cassazione per meriti insigni, di cui al terzo comma dell'art. 106 Cost.), al Consiglio di Stato si può accedere attraverso tre differenti canali. Dispone, infatti, l'art. 19 della l. n. 186/1982 che i posti che si rendono vacanti nella qualifica di consigliere di Stato sono conferiti:

1) in ragione della metà, a domanda, ai consiglieri di tribunale amministrativo regionale che abbiano maturato almeno quattro anni di effettivo servizio nella qualifica. La nomina ha luogo previo giudizio favorevole espresso dal Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa a maggioranza dei suoi componenti, in base alla valutazione dell'attività giurisdizionale svolta e dei titoli, anche di carattere scientifico, presentati nonché dell'anzianità di servizio;

2) in ragione di un quarto, a professori universitari ordinari di materie giuridiche o ad avvocati che abbiano almeno quindici anni di esercizio professionale e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori, o a dirigenti generali od equiparati dei Ministeri, degli organi costituzionali e delle altre amministrazioni pubbliche nonché a magistrati con qualifica non inferiore a quella di magistrato di Corte d'appello o equiparata. La nomina ha luogo con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, previo parere del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, contenente valutazioni di piena idoneità all'esercizio delle funzioni di consigliere di Stato sulla base dell'attività e degli studi giuridico-amministrativi compiuti e delle doti attitudinali e di carattere;

3) in ragione di un quarto, mediante concorso pubblico per titoli ed esami teorico-pratici, indetto dal presidente del Consiglio di Stato nei primi quattro mesi dell'anno, al quale possono partecipare i magistrati dei tribunali amministrativi regionali con almeno un anno di anzianità, i magistrati ordinari e militari con almeno quattro anni di anzianità, i magistrati della Corte dei conti, nonché gli avvocati dello Stato con almeno un anno di anzianità, i funzionari della carriera direttiva del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati con almeno quattro anni di anzianità, nonché i funzionari delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e degli enti pubblici, con qualifica dirigenziale, appartenenti a carriere per l'accesso alle quali sia richiesta la laurea in giurisprudenza.

La previsione di tre differenti fonti di provvista dei consiglieri di Stato (ossia per transito dai tribunali amministrativi regionali per anzianità, per nomina governativa e per concorso) è da sempre considerata una regola volta ad arricchire le competenze dell'Istituto e dei suoi membri, chiamati a svolgere sia funzioni giurisdizionali sia consultive. I consiglieri di Stato provenienti dai tribunali amministrativi regionali possono, infatti, vantare una pluriennale esperienza giurisdizionale nelle materie amministrative; i consiglieri di Stato selezionati per concorso sono, in genere, giuristi con un'elevatissima preparazione (indispensabile per superare una procedura selettiva unanimemente ritenuta la più difficile tra tutte quelle aventi ad oggetto le professioni giuridiche pubbliche) e, infine, i consiglieri di Stato di nomina governativa sono scelti in considerazione della grande esperienza maturata nell'Accademia o nell'esercizio della libera professione o in alti incarichi svolti in posizioni apicali presso pubbliche amministrazioni.

Va segnalato che, in passato, si è dubitato della legittimità costituzionale della nomina governativa (di una parte) dei consiglieri di Stato; in particolare, si ritenne che tale sistema di nomina ledesse l'indipendenza del Consiglio di Stato. Sennonché siffatte perplessità di ordine sono state fugate dalla Corte costituzionale la quale, investita con due ordinanze di rimessione dello stesso Consiglio di Stato, ha spiegato che la nomina governativa riguarda unicamente l'accesso alla qualifica e che l'indipendenza dei consiglieri di Stato nominati dal Governo è garantita dall'inamovibilità, assicurata dalla Costituzione a tutti i magistrati (Corte cost. n. 177/1973).

La legittimità delle (poche) differenze di regime giuridico esistente tra i consiglieri di Stato e i magistrati dei tribunali amministrativi regionali (soprattutto con riferimento ai profili relativi al transito di questi ultimi dal primo grado al Consiglio di Stato) è stata riconosciuta dalla Corte costituzionale con la sentenza 21 ottobre 2011, n. 273, nella quale si è affermato che nel Consiglio di Stato coesistono funzioni giurisdizionali e consultive che fanno di tale Organo, ad un tempo, il giudice di più elevata istanza nella tutela della giustizia nell'amministrazione e il più importante istituto di consulenza giuridico-amministrativa; sicché il passaggio per anzianità del consigliere di tribunale amministrativo regionale al Consiglio di Stato presuppone l'accertata idoneità all'esercizio non solo delle funzioni giurisdizionali in grado di appello, ma anche delle funzioni di natura consultiva, corrispondenti appunto al ruolo di organo di consulenza giuridico-amministrativa che l' art. 100 Cost. assegna al Consiglio di Stato. Proprio in ragione dell'attribuzione di funzioni consultive, la nomina a consigliere di Stato non si risolve in una mera progressione di carriera nell'ambito della stessa funzione, ma segna uno spartiacque nella carriera dei magistrati amministrativi, determinando non irragionevolmente l'azzeramento dell'anzianità maturata nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali di primo grado. Nel solco tracciato dalla pronuncia n. 273/2011 si colloca anche la motivazione della sentenza Corte cost. n. 276/2017, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile una questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione all'art. 19, primo comma, n. 3) della l. n. 186/1982, ossia in relazione alla regola che prevede la retrodatazione della nomina dei consiglieri di Stato vincitori del concorso alla data del 31 dicembre dell'anno precedente a quello di indizione del concorso medesimo. Conferma il differente regime giuridico delle carriere dei consiglieri di Stato rispetto a quelle dei magistrati dei tribunali amministrativi regionali anche la circostanza che l'accesso del consigliere dei tribunali amministrativi regionali nei ruoli del Consiglio di Stato è subordinato dalla legge n. 186 del 1982 al possesso di requisiti diversi e più rigorosi di quelli richiesti per i passaggi di qualifica interni alla magistratura dei tribunali amministrativi regionali. Più in dettaglio, mentre la nomina da referendario a primo referendario e da referendario a consigliere di tribunale amministrativo regionale consegue al compimento di quattro anni di anzianità nelle rispettive qualifiche e ad un semplice «giudizio di non demerito espresso dal consiglio di presidenza»; la nomina del consigliere dei tribunali amministrativi regionali al Consiglio di Stato ha luogo a seguito di uno speciale giudizio di idoneità all'esercizio delle funzioni di consigliere, cioè «previo giudizio favorevole espresso dal consiglio di presidenza, in base alla valutazione dell'attività giurisdizionale svolta e dei titoli, anche di carattere scientifico, presentati nonché dell'anzianità di servizio».

La circostanza che il passaggio dai tribunali amministrativi regionali al Consiglio di Stato determini una cesura di continuità nella progressione in carriera dei magistrati amministrativi, come riconosciuto dalla Corte costituzionale, spiega anche perché non sia consentita la reversibilità delle funzioni, ossia perché al consigliere di tribunale amministrativo regionale, nominato consigliere di Stato, non sia permesso di tornare in primo grado (se non come presidente di tribunale amministrativo regionale). Le due carriere, rispettivamente di magistrato dei tribunali amministrativi regionali e di consigliere di Stato, sono infatti unitarie soltanto in apicibus (ossia con riferimento ai soli posti direttivi in primo grado).

I consiglieri di Stato, una volta maturata la necessaria anzianità di servizio, conseguono la nomina a presidente di sezione del Consiglio di Stato, nei limiti dei posti disponibili, previo giudizio di idoneità espresso dal Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa sulla base di criteri predeterminati che tengano conto in ogni caso dell'attitudine all'ufficio direttivo e dell'anzianità di servizio (art. 21, l. n. 186/1982). La medesima disposizione si applica anche alla nomina di presidente aggiunto del Consiglio di Stato.

Il presidente del Consiglio di Stato è, invece, nominato tra i magistrati che abbiano effettivamente esercitato per almeno cinque anni funzioni direttive, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa. In caso di vacanza del posto (e di assenza per qualunque causa del presidente aggiunto) le funzioni del presidente del Consiglio di Stato sono esercitate dal presidente di sezione del Consiglio di Stato più anziano nella qualifica.

A differenza degli altri presidenti di sezione, il presidente del Consiglio di Stato è, dunque, scelto dal Governo (analogamente a quanto accade per il presidente della Corte dei conti) e il Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa esprime unicamente un parere obbligatorio, ma non vincolante. Salvo rari casi, tuttavia, la scelta del Governo è sempre ricaduta sul presidente di sezione più anziano nella qualifica o, laddove nominato, sul presidente aggiunto.

Ai magistrati amministrativi, sia dei tribunali amministrativi regionali sia del Consiglio di Stato, la legge riconosce un particolare status giuridico, per molti versi analogo a quello dei magistrati ordinari, la cui ratio ispiratrice va ricercata nell'esigenza di assicurarne l'indipendenza e la terzietà.

I magistrati amministrativi non possono essere in alcun caso chiamati ad esercitare funzioni o ad espletare compiti diversi da quelli istituzionali. Ad essi si estendono le altre cause di incompatibilità e le cause di ineleggibilità previste per i magistrati ordinari.

In ordine al regime delle guarentigie l'art. 24 della l. n. 186/1982 prevede che i magistrati amministrativi non possano essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altra sede o funzione se non a seguito di deliberazione del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, adottata o con il loro consenso o per i motivi stabiliti dalla legge.

Si applicano (art. 27, l. n. 186/1982) ai magistrati amministrativi le disposizioni previste per i magistrati ordinari in materia di collocamento a riposo per raggiunti limiti di età (attualmente al compimento dei 70 anni).

Ai magistrati amministrativi si applicano inoltre, anche per quanto riguarda l'esercizio di compiti diversi da quelli istituzionali e l'accettazione di incarichi di qualsiasi specie, le cause di incompatibilità e di ineleggibilità previste per i magistrati ordinari (art. 28, l. n. 186/1982).

Valgono anche per i magistrati amministrativi le norme dettate per i magistrati ordinari in materia di trattamento economico onnicomprensivo, di prima sistemazione e di trasferimento, nonché di indennità di missione (art. 30, l. n. 186/1982). In ogni caso il trattamento retributivo dei magistrati amministrativi non può mai superare il limite massimo lordo annuo (art. 13, comma 2, d.l. n. 66/2014) corrispondente alla retribuzione del Primo Presidente della Corte di cassazione, ancorché di recente per tale soglia massima sia stato introdotto un meccanismo di aggiornamento nel tempo (art. 1, comma 68, l. n. 234/2021), in relazione agli incrementi medi conseguiti nell'anno precedente dalle categorie di pubblici dipendenti contrattualizzati, come calcolati dall'ISTAT.

Il collocamento fuori ruolo dei magistrati amministrativi, con circoscritte eccezioni previste da specifiche disposizioni legislative, può essere disposto soltanto per i magistrati che abbiano svolto funzioni di istituto per almeno quattro anni. La permanenza fuori ruolo non può avere durata superiore a tre anni consecutivi e non è consentito, dopo il triennio, un nuovo collocamento fuori ruolo se non dopo due anni di effettivo esercizio delle funzioni di istituto. È consentito il collocamento fuori ruolo solo per lo svolgimento di funzioni giuridico-amministrative presso le amministrazioni dello Stato, ovvero enti od organismi internazionali (art. 29, l. n. 186/1982). In tema di collocamento fuori ruolo occorre considerare anche i limiti stabiliti dalla c.d. «Legge Severino» (l. 6 novembre 2012, n. 190), il cui art. 1, comma 68, dispone che i magistrati, inclusi quelli amministrativi, non possono essere collocati in posizione di fuori ruolo per un tempo che, nell'arco del loro servizio, superi complessivamente dieci anni, anche continuativi e, tuttavia, il predetto collocamento non può determinare alcun pregiudizio con riferimento alla posizione rivestita nei ruoli di appartenenza.

I magistrati amministrativi possono svolgere incarichi estranei alle funzioni istituzionali purché consentiti dal d.P.R. n. 418/1993, recante il regolamento recante norme sugli incarichi dei magistrati amministrativi, ai sensi dell'art. 58, comma 3, del d.lgs. n. 29/1993. La sunnominata «Legge Severino» (art. 1, comma 18, l. n. 190/2012) ha aggiunto il divieto, anche per i magistrati amministrativi, pena la decadenza dagli incarichi e la nullità degli atti compiuti, della partecipazione a collegi arbitrali o l'assunzione di incarico di arbitro unico.

A differenza di quella Ordinaria (il cui referente amministrativo è il Ministro della giustizia), la Magistratura amministrativa fa riferimento, per alcune attività, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. In particolare, il Presidente del Consiglio dei ministri esercita l'alta sorveglianza su tutti gli uffici e su tutti i magistrati e riferisce annualmente al Parlamento con una relazione sullo stato della giustizia amministrativa e sugli incarichi. Il presidente del Consiglio di Stato esercita la vigilanza su tutti gli uffici e su tutti i magistrati. I magistrati con funzioni direttive esercitano la vigilanza sugli uffici cui sono preposti e sui magistrati che ne fanno parte (art. 31, l. n. 186/1982).

Al Presidente del Consiglio dei Ministri spetta anche la titolarità dell'azione disciplinare. Il procedimento disciplinare contro un magistrato amministrativo è, difatti, promosso dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dal presidente del Consiglio di Stato. Il Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, nel termine di 10 giorni dal ricevimento della richiesta di apertura di procedimento disciplinare, affida ad una commissione, composta da tre dei suoi componenti, l'incarico di procedere agli accertamenti preliminari da svolgersi entro 30 giorni. Sulla base delle risultanze emerse il Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa provvede a contestare i fatti al magistrato con invito a presentare entro 30 giorni le sue giustificazioni, a seguito delle quali, ove non ritenga di archiviare gli atti, incarica la commissione prevista dal secondo comma di procedere alla istruttoria, che deve essere conclusa entro 90 giorni con deposito dei relativi atti presso la segreteria del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa. Di tali deliberazioni deve essere data immediata comunicazione all'interessato. Il presidente del Consiglio di Stato fissa la data della discussione dinanzi al Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa con decreto da notificarsi almeno 40 giorni prima all'interessato, il quale può prendere visione ed estrarre copia degli atti e depositare le sue difese non oltre 10 giorni prima della discussione. Nella seduta fissata per la trattazione, il componente della commissione (che si occupa degli accertamenti preliminari) più anziano nella qualifica svolge la relazione. Il magistrato inquisito ha per ultimo la parola e ha facoltà di farsi assistere da altro magistrato o da un avvocato (artt. 33, 34, l. n. 186/1982).

Per quanto non diversamente disposto dalla l. n. 186/1982 si applicano ai magistrati le norme previste per i magistrati ordinari in materia di sanzioni disciplinari e del relativo procedimento (art. 32, l. n. 186/1982). Sennonché l'art. 30 del d.lg. 23 febbraio 2006, n. 109, recante la disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché la modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, ha previsto che il medesimo decreto legislativo non trovi applicazione ai magistrati amministrativi. A questi, pertanto, continua ad applicarsi il r.d.lgs. n. 511/1946, ossia la legge sulle guarentigie della magistratura.

Va segnalato che la Corte costituzionale, con sentenza del27 marzo 2009, n. 87 ha dichiarato l'illegittimità del secondo comma e dell'art. 10, comma 9, della l. n. 117/1988, nella parte in cui le predette disposizioni escludevano che il magistrato amministrativo, sottoposto a procedimento disciplinare, potesse farsi assistere da un avvocato.

Una norma speciale, originariamente dettata per i soli consiglieri di Stato (ma applicabile a tutti i magistrati amministrativi, in forza del rinvio contenuto nell'art. 13, comma 3, della l. n. 186/1992), è contenuta nell' art. 5 del r.d. n. 1054/1924 (testo unico delle legge sul Consiglio di Stato), secondo cui i magistrati amministrativi non possono essere rimossi, né sospesi, né collocati a riposo d'ufficio, né allontanati in qualsivoglia altro modo, se non nei casi e con l'adempimento delle condizioni seguenti:

1) non possono essere destinati ad altro pubblico ufficio, se non con loro consenso;

2) non possono essere collocati a riposo di ufficio, se non quando, per infermità o per debolezza di mente, non siano più in grado di adempiere convenientemente ai doveri della carica;

3) non possono essere sospesi, se non per negligenza nell'adempimento dei loro doveri o per irregolare e censurabile condotta;

4) non possono essere rimossi dall'ufficio, se non quando abbiano ricusato di adempiere ad un dovere del proprio ufficio imposto dalle leggi o dai regolamenti; quando abbiano dato prova di abituale negligenza, ovvero, con fatti gravi, abbiano compromessa la loro riputazione personale o la dignità del collegio al quale appartengono.

I provvedimenti in ogni caso debbono essere emanati, udito il parere del Consiglio di Stato in adunanza generale. Il parere dell'Adunanza generale è chiesto dal Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa.

La composizione dei collegi giudicanti

La legge processuale (art. 6 c.p.a.) stabilisce quale sia la composizione dei collegi giudicanti presso il Consiglio di Stato. Si prevede che il Consiglio di Stato decida con l'intervento di cinque magistrati, compreso un presidente di sezione, e che, nel caso di impedimento del presidente, il collegio sia presieduto dal consigliere più anziano nella qualifica.

Vige, dunque, nella Giustizia amministrativa, posto che una previsione analoga è contenuta nell'art. 5, comma 2 per i tribunali amministrativi regionali), c.p.a., il principio della collegialità del giudice amministrativo. A differenza, infatti, di quanto previsto per il giudice civile, il giudice amministrativo, sia in primo sia in secondo grado, allorquando occorra emettere una pronuncia che definisca una fase del grado di giudizio in sede cautelare o di merito, decide sempre in composizione collegiale, fatte salve le ipotesi di cui all'art. 85 c.p.a. Ed invero, sebbene il Codice contempli anche delle competenze monocratiche (ad esempio, allocate in capo al presidente o ad un suo delegato, come stabilisce l'art. 55 c.p.a., in materia di misure cautelari monocratiche), tali competenze non riguardano mai la decisione, in tutto o in parte, della causa o della fase cautelare. Al singolo magistrato, presidente o suo delegato, sono, infatti, attribuiti esclusivamente compiti di natura istruttoria o, comunque, soltanto l'esercizio di poteri che si estrinsechino nell'adozione di provvedimenti ad efficacia provvisoria e non idonei a definire la controversia.

La disposizione sulla composizione dei collegi investe il profilo della regolare costituzione del giudice, sicché la sua eventuale violazione (si pensi alle ipotesi, per lo più di scuola, di un collegio composto da un numero di giudici differente da tre o che, in mancanza del presidente, non sia presieduto dal magistrato più anziano nel ruolo) comporta, come conseguenza, la nullità insanabile di tutti gli atti compiuti dal collegio irritualmente formato. Tanto si desume dall'art. 158 c.p.c., secondo cui, per l'appunto, la nullità (che non rende, tuttavia, inesistente la sentenza eventualmente pronunciata) derivante da vizi relativi alla costituzione del giudice è insanabile e deve essere rilevata d'ufficio. Tale nullità, qualora riguardi la composizione di un tribunale amministrativo regionale, si converte in un motivo di appello, a norma dell' art. 161, primo comma, c.p.c. Nel caso in cui la nullità riguardi la composizione di collegio giudicante del Consiglio di Stato, l'unico rimedio percorribile per farla valere (determinandosi, altrimenti, la sanatoria del vizio) è il ricorso per cassazione per motivi inerenti la giurisdizione, ancorché il Supremo Collegio segua, sul punto, un indirizzo molto rigoroso.

Va segnalato, infatti, che la Corte di cassazione (Cass. S.U., n. 5414/2004) ha distinto, anche ai fini delle conseguenze processuali, l'ipotesi del vizio rappresentato dal difetto del potere di decidere del magistrato - in conseguenza di vizi relativi alla sua qualità o nomina o quando si tratti di persona estranea all'ufficio giurisdizionale (Cass. I, n. 12969/2004) - che integra un caso di vizio della costituzione del giudice, dal difetto di giurisdizione che ricorre invece allorquando vi sia (come nel caso del collegio composto da un numero di magistrati diverso da quello stabilito dalla legge) una differenza strutturale del giudice rispetto al modello previsto dalla legge.

Il Supremo Collegio ha altresì affermato da tempo (per tutte, Cass., Sez. II, n. 12409/2014) che la nullità derivante da vizio di costituzione del giudice, seppure assoluta e rilevabile d'ufficio, si converte in motivo di impugnazione così che l'eventuale mancata impugnazione oppure l'omessa denuncia della nullità in sede di gravame comporta l'impossibilità di rilevarla e la conseguente sanatoria.

È invece nulla, per vizio di costituzione del giudice, la sentenza (Cass., Sez. III, n. 19214/2015) sottoscritta dal Presidente, come estensore, ma priva dell'indicazione del nome degli altri magistrati del collegio decidente.

L'Adunanza plenaria. Le ipotesi di integrazione

L'Adunanza plenaria è uno degli organi in cui si articola il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sulle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, v. infra). Come le sezioni, l'Adunanza plenaria è un organo permanente presieduto dal Presidente del Consiglio di Stato e composto esclusivamente da presidenti e consiglieri di Stato, in numero di dodici, assegnati alle sezioni giurisdizionali (a differenza, ad esempio, delle commissioni speciali, le quali, a norma dell' art. 22 del r.d. n. 1054/1924, sono organi non permanenti con compiti di carattere consultivo, composti da consiglieri di Stato, appartenenti sia alle sezioni consultive sia alle giurisdizionali, individuati sulla base di una scelta discrezionale del Presidente del Consiglio di Stato, allorquando il Consiglio di Stato debba rendere pareri su affari di natura mista o indeterminata o di particolare rilevanza).

La disciplina dell'Adunanza plenaria era in passato contenuta nell' art. 5 della l. n. 186/1982 (poi abrogato dal comma 1, n. 13, dell'art. 4 dell'Allegato 4 al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, a decorrere dal 16 settembre 2010). L'art. 5 succitato conteneva gran parte delle disposizioni ora rifluite, con alcune modificazioni, nei commi 3 e 4 dell'articolo in commento. Si prevedeva, infatti, che l'Adunanza plenaria, presieduta dal Presidente del Consiglio di Stato, fosse composta da dodici magistrati del Consiglio di Stato scelti, al pari dei supplenti designati, dal Presidente del Consiglio di Stato, sentito il Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa.

Non è stato però abrogato l'art. 1, ultimo comma, della stessa l. n. 186/1982, aggiunto dall' art. 54 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, secondo cui il Presidente del Consiglio di Stato, con proprio provvedimento, all'inizio di ogni anno, sentito il Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, individua — oltre alle sezioni, giurisdizionali e consultive, e le rispettive competenze e composizione — anche la composizione della Adunanza Plenaria.

Ha segnalato la dottrina che l'abrogazione dell'art. 5 della l. n. 186/1982 ha lasciato un vuoto normativo circa l'indicazione delle modalità e dei criteri di composizione della Plenaria (che devono ritenersi ormai rimessi esclusivamente al potere del Presidente del Consiglio di Stato), con l'unico vincolo procedurale di sentire il Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa.

Va qui ricordato che il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana può, in qualunque stadio del processo, deferire all'Adunanza plenaria la cognizione di questioni che abbiano dato o possano dare luogo a contrasti con le sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato. In tale caso l'Adunanza plenaria viene integrata da due magistrati della sezione giurisdizionale siciliana, sicché, al ricorrere di tale ipotesi, l'Adunanza plenaria risulterà composta da quindici magistrati.

Il comma 4 dell'art. 10 del d.lgs. n. 373/2003, attuativo dello statuto regionale siciliano, non stabilisce da chi e secondo quali criteri debbano essere designati i predetti due ulteriori componenti dell'Adunanza plenaria (ossia i magistrati della sezione giurisdizionale del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Siciliana). Nella prassi tali magistrati sono, però, individuati sulla base di una valutazione discrezionale dal presidente del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Siciliana e indicati, di regola, in un presidente (lo stesso presidente del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana o il presidente della sezione giurisdizionale) e nel consigliere che sia stato relatore o estensore dell'ordinanza di deferimento della questione all'Adunanza plenaria.

La legge processuale si occupa anche degli aspetti dinamici, ossia di funzionamento della Adunanza plenaria e sono regolati dall'art. 99 (giova incidentalmente segnalare che l'attuale contenuto dell'art. 99 riprende i commi secondo e terzo dell' art. 45 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, poi abrogato dal n. 4 del comma 1 dell' art. 4 dell'Allegato 4 al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, a decorrere dal 16 settembre 2010; norme sul funzionamento della Adunanza plenaria erano inoltre contenute anche negli articoli da 70 a 80 del r.d. 17 agosto 1907, n. 642, recante il regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, del pari abrogati).

L'Adunanza plenaria, analogamente alle Sezioni Unite della Corte di cassazione nell'ambito delle materie appartenenti alla giurisdizione civile, ha il precipuo compito istituzionale di esaminare le controversie aventi ad oggetto un punto di diritto che abbia dato luogo o possa dar luogo a contrasti giurisprudenziali e anche di risolvere questioni di massima di particolare importanza. Quando sorga l'esigenza di dirimere contrasti giurisprudenziali, le controversie possono essere rimesse all'Adunanza plenaria (rimessione facoltativa), con ordinanza motivata, da una delle sezioni giurisdizionali oppure possono essere deferite direttamente con atto dal Presidente del Consiglio di Stato, prima della decisione, su richiesta delle parti o d'ufficio; il Presidente del Consiglio di Stato può anche deferire all'Adunanza plenaria qualunque ricorso per risolvere questioni di massima di particolare importanza (per un recente deferimento da parte del Presidente del Consiglio di Stato si veda la sentenza Ad. Plen. n. 17/2021 e n. 18/2021, sul tema della proroga legislativa delle concessioni demaniali marittime). L' art. 99, comma 3, c.p.a. prevede poi un obbligo di rimessione all'Adunanza plenaria (rimessione obbligatoria) ogni qualvolta una sezione giurisdizionale, chiamata a decidere su un ricorso, ritenga di non condividere un principio di diritto enunciato in precedenza dalla stessa Adunanza plenaria.

L'Adunanza plenaria, una volta ricevuti gli atti, decide l'intera controversia, salvo che ritenga di enunciare il principio di diritto e di restituire per il resto il giudizio alla sezione remittente. Inoltre, analogamente a quanto stabilito dall' art. 363 c.p.c. per la Corte di cassazione, l'Adunanza plenaria, se ritiene che la questione sia di particolare importanza, può comunque enunciare il principio di diritto nell'interesse della legge anche quando dichiari il ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile oppure quando si pronunci sull'estinzione del giudizio (ma in tali casi, la pronuncia dell'Adunanza plenaria non spiegherà effetti sul provvedimento impugnato).

L'art. 99 c.p.a. assegna, dunque, all'Adunanza plenaria un'importante funzione di nomofilachia nell'ambito del sistema di giustizia amministrativa, pur operando tendenzialmente l'organo come giudice di merito (e non di legittimità, come la Corte di cassazione). L'uso dell'avverbio «tendenzialmente» si giustifica in ragione del fatto che non sempre l'Adunanza plenaria decide la causa ad essa rimessa o deferita: l'art. 99 c.p.a. prevede infatti due distinte ipotesi in cui ciò non avviene giacché, al ricorrere dei casi ivi descritti, l'Adunanza plenaria rispettivamente può o deve astenersi dal definire la controversia, limitandosi a enunciare il solo principio di diritto. Invero, l'Adunanza plenaria, sulla base di una valutazione i cui criteri non sono tipizzati dalla disposizione codicistica, può optare per la restituzione del giudizio alla sezione remittente; mentre, nel caso di cui al comma 5 dell'art. 6 c.p.a., all'Adunanza plenaria è preclusa ogni decisione nel merito, in ragione dell'irricevibilità, inammissibilità o improcedibilità del ricorso.

La funzione nomofilattica dell'Adunanza plenaria è stata notevolmente rafforzata dal nuovo Codice, in ragione dell'inserimento nel corpo dell'art. 99, sulla falsariga di quanto stabilito dall' art. 374, terzo comma, c.p.c., del comma 3 che, di fatto, rende i precedenti dell'Adunanza plenaria, proceduralmente vincolanti per le singole sezioni giurisdizionali, le quali (a differenza dei tribunali amministrativi regionali) non possono discostarsi dai principi da essa enunciati, qualora non condivisi, se non rimettendo nuovamente al medesimo Organo la decisione del ricorso per ottenerne eventualmente un revirement.

Va tuttavia segnalato che, seppure con riferimento alla sole controversie in cui si faccia applicazione del diritto sovranazionale, la regola appena richiamata è stata sensibilmente modificata per effetto della sentenza Corte di giustizia dell'Unione europea (Cgue, Grande Camera, 5 aprile 2016, in causa C-689/13 «Puligienica») con la quale è stato, tra l'altro, affermato il principio secondo cui l' art. 267 Tfue non consente che una sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato sia obbligata a rinviare una questione all'Adunanza plenaria quando sussistano i presupposti per un diretto rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, allorquando si verta sull'interpretazione o la validità del diritto dell'Unione. A tale principio si è conformata la stessa Adunanza plenaria, con la sentenza del Cons. St. Ad. plen., n. 19/2016, nella quale si è affermato che la sezione del Consiglio di Stato, qualora non condivida un principio di diritto enunciato dall'Adunanza plenaria su una questione vertente sull'interpretazione o sulla validità del diritto dell'Unione Europea, può alternativamente: a) rimettere previamente la questione all'Adunanza plenaria affinché questa riveda il proprio orientamento; b) adire la Corte di giustizia ex art. 267 Tfue ai fini di una pronuncia in via pregiudiziale; c) disattendere direttamente il principio di diritto enunciato dall'Adunanza plenaria ove esso risulti manifestamente in contrasto con una interpretazione del diritto dell'Unione già fornita, in maniera chiara ed univoca, dalla giurisprudenza sovranazionale.

All'indomani della pronuncia della Corte di Giustizia sul caso «Puligienica» la dottrina ha osservato che le sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, quando chiamate a decidere una controversia che verta sull'interpretazione o sulla validità del diritto dell'Unione, non sono più tenute a rimettere la decisione del ricorso alla Adunanza plenaria ai sensi dell' art. 99 c.p.a. e che, anzi, dette sezioni, una volta ricevuta la risposta della Corte di giustizia, sono tenute ad osservarla per la definizione della controversia principale, se del caso, discostandosi dalla giurisprudenza dell'Adunanza plenaria, stante la prevalenza della giurisprudenza della Corte europea su quella dell'Adunanza plenaria, in forza del principio dell'effetto utile del diritto dell'Unione

Un'ulteriore competenza dell'Adunanza plenaria, nella composizione integrata dai due magistrati del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Siciliana, è contemplata dal comma 5 dell'art. 10 del sunnominato d.lgs. n. 373/2003 che devolve all'Adunanza plenaria la cognizione dei conflitti di competenza, in sede giurisdizionale, tra il Consiglio di giustizia amministrativa ed il Consiglio di Stato.

Le sezioni giurisdizionali. Passaggio dei consiglieri di Stato tra le sezioni giurisdizionali e consultive

Le sezioni giurisdizionali, insieme a quelle consultive, sono organi permanenti del Consiglio di Stato. Ad esse sono assegnati i consiglieri di Stato, senza distinzioni in relazione alla natura della loro provenienza (concorsuale, per anzianità o per nomina governativa).

Come sopra accennato, l'art. 1 della l. n. 186/1982, recante l'ordinamento della giurisdizione amministrativa, prevede che il Consiglio di Stato sia diviso in sette sezioni (la settima sezione è stata istituita dall'art. 22, d.l. 30 dicembre 2019, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 8/2020), con funzioni consultive o giurisdizionali, oltre alla sezione consultiva per gli atti normativi.

Ciascuna sezione consultiva è composta da (almeno) due presidenti, di cui uno titolare, e da almeno nove consiglieri; ciascuna sezione giurisdizionale è composta da tre presidenti, di cui uno titolare, e da almeno dodici consiglieri.

Il presidente del Consiglio di Stato, con proprio provvedimento, all'inizio di ogni anno, sentito il Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, individua le sezioni che svolgono funzioni giurisdizionali e consultive, determina le rispettive materie di competenza e la composizione, nonché la composizione della Adunanza plenaria (art. 2, l. n. 186/1982).

Attualmente le sezioni prima e quella per gli atti normativi svolgono funzioni consultive; le restanti sei sezioni hanno funzioni giurisdizionali. Con decreto n. 176 del 14 dicembre 2018, il Presidente del Consiglio di Stato, a decorrere dal 1° gennaio 2019, ha trasformato la seconda sezione (consultiva) in sezione giurisdizionale. L'elevata innovatività di tale provvedimento risiede nella circostanza che alla neo-istituita sezione giurisdizionale furono assegnati affari già incardinati presso le altre sezioni giurisdizionali, individuati però sulla base di un criterio cronologico, correlato all'anno di avvenuto deposito dei relativi atti introduttivi. La ragione di tale scelta fu indicata nello scopo di agevolare un rapido smaltimento di ricorsi pendenti da molto tempo.

Il passaggio dei consiglieri di Stato dalle sezioni consultive alle sezioni giurisdizionali, e viceversa, è disciplinato dall' art. 2 della l. n. 186/1982. La disposizione prevede che il Presidente del Consiglio di Stato, all'inizio di ogni anno, stabilisca la composizione delle sezioni consultive e delle sezioni giurisdizionali, sulla base dei criteri fissati dal Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, anche per consentire l'avvicendamento dei magistrati fra le sezioni consultive e le sezioni giurisdizionali e pure nell'ambito delle sezioni consultive e delle sezioni giurisdizionali. A loro volta i presidenti delle sezioni giurisdizionali determinano, all'inizio di ogni anno, il calendario delle udienze e, all'inizio di ogni trimestre, la composizione dei collegi giudicanti, sulla base dei criteri fissati dal Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa. Qualora manchi in una sezione consultiva o in una sezione giurisdizionale il numero dei consiglieri necessario per deliberare, il presidente del Consiglio di Stato provvede alla supplenza con consiglieri appartenenti rispettivamente ad altre sezioni consultive o giurisdizionali.

Appello avverso le pronunce della sez. autonoma di Bolzano del TRGA del Trentino-Alto Adige

L'art. 93 del d.P.R. n. 670/1972, recante il testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, come novellato dall'art. 7, comma 1, della l. cost. 4 dicembre 2017, n. 1, prevede che le sezioni del Consiglio di Stato investite dei giudizi d'appello sulle decisioni dell'autonoma sezione di Bolzano del Tribunale regionale di giustizia amministrativa siano sempre integrate da un consigliere appartenente al gruppo di lingua tedesca ovvero al gruppo di lingua ladina della provincia di Bolzano. La previsione assicura, in tal modo, la presenza, anche in grado di appello, di un magistrato appartenente ai gruppi linguistici tedesco o ladino, garantendo, in seno al Consiglio di Stato, una rappresentanza del complessivo “sistema autonomistico locale”.

Va segnalato, al riguardo, che le Sezioni unite della Corte di cassazione (Cass., S.U., n. 26388/2020) hanno affermato che, nella composizione del collegio del Consiglio di Stato investito dell'appello avverso pronunce dell'autonoma sezione di Bolzano del Tribunale regionale di giustizia amministrativa, la mancanza del consigliere di Stato appartenente al gruppo di lingua tedesca (ovvero al gruppo di lingua ladina) della provincia di Bolzano, determina un'alterazione strutturale dell'organo giudicante, tale da impedirne l'identificazione con l'organo delineato dalla fonte costituzionale, che prescrive che il giudice sia, nella sua composizione, rappresentativo del sistema autonomistico locale, a sua volta improntato alla tutela delle minoranze nel rispetto dei principali gruppi linguistici insediati nel territorio della Provincia; tale mancanza integra, pertanto, un difetto di giurisdizione del Consiglio di Stato, scrutinabile dalle Sezioni unite.

La disposizione, di rango costituzionale, ha trovato il suo completamento nell' art. 14 del d.P.R. n. 426/1984, recante le norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige concernenti l'istituzione del tribunale amministrativo regionale di Trento e della sezione autonoma di Bolzano. Il summenzionato art. 14 (che non risulta adeguato al nuovo testo del succitato art. 93 del d.P.R. n. 670/1972, menzionando ancora soltanto i consiglieri di Stato appartenenti al gruppo di lingua tedesca; v., subito, infra) stabilisce infatti che, per gli effetti di cui al citato art. 93 dello statuto di autonomia regionale, siano nominati due consiglieri di Stato, appartenenti al gruppo di lingua tedesca della provincia di Bolzano; tale nomina è disposta con l'assenso del consiglio provinciale di Bolzano e con il parere del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa. Costituisce requisito per la nomina dei due consiglieri la conoscenza della lingua italiana e di quella tedesca. Inoltre uno dei consiglieri di Stato appartenenti al gruppo di lingua tedesca della provincia di Bolzano deve far parte del collegio della sezione consultiva per gli atti normativi, quando questa sia investita di atti riguardanti la provincia di Bolzano.

Gli appelli contro le decisioni della sezione autonoma di Bolzano vengono attribuiti per la trattazione alle sezioni del Consiglio di Stato alle quali siano assegnati i predetti consiglieri; del collegio giudicante sui predetti ricorsi deve far parte almeno uno di essi.

Con il parere n. 541/2017 del 28 febbraio 2017 l'Adunanza generale del Consiglio di Stato si è espressa favorevolmente sulla proposta di legge costituzionale AS 2643 di modifica dell'art. 93 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol (ossia, del citato d.P.R. n. 670/1972), poi attuata con il sopra menzionato art. 7, comma 1, della l. cost. 4 dicembre 2017, n. 1. In particolare, a tutela della minoranza linguistica ladina e in rappresentanza del complessivo “sistema autonomistico locale”, la proposta di legge aveva previsto di inserire, nelle sezioni del Consiglio di Stato investite dei giudizi di appello sulle decisioni dell'autonoma sezione di Bolzano del Tribunale regionale di giustizia amministrativa, anche un consigliere appartenente al gruppo di lingua ladina in alternativa a quello di lingua tedesca. La particolarità del parere è che esso è stato richiesto ai sensi dell'art. 1 del r.d.l. 9 febbraio 1939, n. 273, convertito in l. 2 giugno 1939, n. 739, il quale dispone che i provvedimenti legislativi che importino il conferimento di nuove attribuzioni al Consiglio di Stato (oppure alla Corte dei conti), nonché la soppressione o la modificazione di quelle esistenti o che comunque riguardino l'ordinamento e le funzioni dell'Istituto in sede consultiva ovvero giurisdizionale, siano adottati previo parere rispettivamente del Consiglio di Stato in adunanza generale. La vigenza di tale previsione, anche dopo l'entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana, è stata più volte confermata dal Consiglio di Stato a partire dal parere dell'Adunanza generale dell'11 novembre 1948, n. 1270.

Con riferimento alla speciale disciplina dettata per il tribunale di giustizia amministrativa della regione Trentino-Alto Adige va qui ricordata un'ulteriore competenza del Consiglio di Stato; si allude all'art. 3 del sunnominato d.P.R. n. 426/1984, secondo il quale sono decisi dal Consiglio di Stato i conflitti di competenza tra il tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento e la sezione autonoma di Bolzano, stanti le distinte competenze per materia del tribunale e della sezione autonoma previste dallo stesso art. 3 del d.P.R. n. 426/1984.

Il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana

Il Consiglio di Stato conosce una peculiare articolazione in Sicilia, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, previsto dallo speciale Statuto d'autonomia dell'Isola, che del Consiglio di Stato è una sezione (staccata) avente sede in Palermo (art. 1, comma 2, d.lgs. n. 373/2003) e competente, in sede giurisdizionale, per le impugnazioni proposte avverso le pronunce del Tribunale amministrativo regionale della Sicilia.

L'art. 23 dello Statuto della Regione Siciliana, approvato con il d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455 e convertito in legge costituzionale con la l. cost. 26 febbraio 1948, n. 2, prevede l'istituzione, in Sicilia, di sezioni degli organi giurisdizionali centrali per gli affari concernenti la regione. Per quanto riguarda gli organi della Giustizia amministrativa la medesima disposizione prescrive altresì l'istituzione di sezioni del Consiglio di Stato e individua, in capo al Presidente della Regione, la competenza a decidere i ricorsi straordinari proposti contro gli atti amministrativi regionali, sentite le sezioni regionali del Consiglio di Stato.

La disciplina attuativa della norma statutaria fu dapprima dettata dal d.lgs. 6 maggio 1948, n. 654 (Norme per l'esercizio nella Regione siciliana delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato), modificato e integrato dal d.P.R. 5 aprile 1978, n. 204. La disciplina attuativa fu, però, completamente riscritta dal d.lgs. n. 373/2003 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione siciliana concernenti l'esercizio nella regione delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato), attualmente vigente.

La dottrina si è soffermata sulla peculiare vicenda istituzionale del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Siciliana che, a causa del ritardo con cui furono istituiti i tribunali amministrativi regionali, rimase dal 1946 fino ai primi anni '70 del secolo scorso il solo organo periferico di giustizia amministrativa; inoltre, il Consiglio di giustizia amministrativa, seppure per un breve periodo, continuò a operare come giudice amministrativo di primo grado anche dopo l'istituzione del tribunale amministrativo regionale per la Sicilia giacché tale organo, in origine, aveva una competenza diversa e inferiore rispetto a quella degli altri tribunali.

Il d.lgs. n. 373/2003 prevede che il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, con sede a Palermo, eserciti le funzioni consultive e giurisdizionali del Consiglio di Stato nella Regione Siciliana.

Il Consiglio è composto da due sezioni, con funzioni, rispettivamente consultive e giurisdizionali, che costituiscono sezioni staccate del Consiglio di Stato (art. 1) e, in sede giurisdizionale, esercita le funzioni di giudice di appello contro le pronunce del tribunale amministrativo regionale per la Sicilia (art. 4). In tal senso dispone anche l'art. 40, secondo comma, della l. 6 dicembre 1971, n. 1034.

Il Consiglio di giustizia amministrativa è presieduto da un presidente di sezione del Consiglio di Stato e ad esso sono destinati altri due presidenti di sezione del Consiglio di Stato, di cui uno, con funzioni di presidente aggiunto del Consiglio di giustizia amministrativa, preposto alla sezione consultiva, e l'altro assegnato alla sezione giurisdizionale. Il presidente aggiunto del Consiglio di giustizia amministrativa sostituisce il presidente nello svolgimento dei compiti organizzativi e di gestione dell'ufficio in caso di assenza, impedimento o delega (art. 2). Del Consiglio di giustizia amministrativa fanno altresì parte anche sei magistrati del Consiglio di Stato, collocati in posizione di fuori ruolo, i quali, all'inizio di ogni anno, sono assegnati dal presidente del Consiglio di giustizia amministrativa, alla sezione giurisdizionale (quattro consiglieri) e alla sezione consultiva (due consiglieri).

La sezione consultiva è composta da:

a) il presidente preposto alla Sezione consultiva, che la presiede;

b) due consiglieri di Stato;

c) un prefetto della Repubblica, designato dal Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro per gli affari regionali;

d) cinque componenti, c.d. «membri laici», in possesso dei requisiti per la nomina a consigliere di Cassazione o di consigliere di Stato, designati dal Presidente della Regione Siciliana (art. 3).

La sezione giurisdizionale del Consiglio di giustizia amministrativa è composta da:

a) il presidente del Consiglio di giustizia amministrativa, che la presiede;

b) il presidente assegnato alla sezione giurisdizionale;

c) quattro consiglieri di Stato;

d) quattro componenti c.d. «membri laici», in possesso dei requisiti per la nomina a consigliere di Cassazione o di consigliere di Stato, designati dal Presidente della regione siciliana.

È stata poi stabilita una particolare composizione del collegio giudicante, giacché esso deve essere necessariamente formato da uno dei due presidenti della Sezione, da due consiglieri di Stato e da due dei membri laici (art. 4).

Il d.lgs. n. 373/2003 assegna un particolare statuto giuridico ai componenti «non togati» del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana. Difatti, ai membri del Consiglio di giustizia amministrativa designati dal Presidente della Regione e al prefetto si applicano le norme concernenti lo stato giuridico e il regime disciplinare dei magistrati del Consiglio di Stato (art. 7). Sennonché tali componenti, a differenza dei consiglieri di Stato di nomina governativa, durano in carica soltanto sei anni, decorrenti per ciascuno di essi dalla data del rispettivo giuramento, e non possono essere confermati (art. 6).

Per quanto riguarda il rito, si osservano avanti al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana le medesime disposizioni processuali previste per il Consiglio di Stato.

In relazione alla particolare composizione del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Siciliana sono state sollevate, in passato, plurime questioni di costituzionalità. Le perplessità si addensavano, tra l'altro, sull'asserita mancanza delle necessarie garanzie di indipendenza e imparzialità che debbono caratterizzare l'incarico di componente laico, anche per quanto attiene al regime delle incompatibilità professionali, al trattamento economico e allo status complessivo (diverso da quello dei componenti c.d. «togati»), nonché con riferimento alla necessaria presenza di due membri laici nel collegio giudicante. La Corte costituzionale, tuttavia, non accolse le questioni di costituzionalità né con la sentenza 4 novembre 2004, n. 316 né con l'ordinanza 4 maggio 2005, n. 179.

Ancora con riguardo alla composizione del Consiglio di giustizia amministrativa in sede giurisdizionale le Sezioni unite della Corte di cassazione, con la pronuncia n. 20316/2006, hanno stabilito che, onde rispettare il principio costituzionale di indipendenza del giudice speciale e garantire la regolare costituzione di tale organo giurisdizionale, è necessario che, nell'ipotesi di sopravvenuta scadenza del mandato di uno dei componenti designati dalla Giunta regionale, per i fini di una legittima prorogatio delle sue funzioni, venga dato avvio, prima della scadenza, al procedimento di nomina del componente destinato a succedergli.

Si è accennato supra che le questioni inerenti alla competenza del Consiglio di giustizia amministrativa in sede giurisdizionale sono rilevabili anche d'ufficio e che l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, integrata con due magistrati della sezione giurisdizionale del Consiglio di giustizia amministrativa, è competente sia per la soluzione degli eventuali contrasti giurisprudenziali insorti tra il Consiglio di Stato e il Consiglio di giustizia amministrativa della regione siciliana sia per la cognizione dei conflitti di competenza tra i due organi. Avverso le decisioni del Consiglio di giustizia amministrativa (come contro quelle del Consiglio di Stato) è poi ammesso ricorso alle Sezioni unite della Corte di cassazione per motivi inerenti la giurisdizione.

Per l'organizzazione e il funzionamento del Consiglio di giustizia amministrativa in sede consultiva e in sede giurisdizionale si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni vigenti per il Consiglio di Stato.

Il Consiglio di giustizia amministrativa inoltre si avvale del sistema informativo della giustizia amministrativa (art. 12).

Infine, tutte le spese per il personale designato dalla regione, per i locali adibiti a sede e uffici del Consiglio di giustizia amministrativa e per la loro manutenzione sono a carico della Regione Siciliana; mentre le altre spese per il funzionamento del Consiglio medesimo sono a carico dello Stato (art. 13).

Di recente, l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con decisione del 22 aprile 2014, n. 12, ha statuito che deve ritenersi inammissibile l'appello avverso una sentenza pronunziata dal tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, qualora l'impugnazione sia stata erroneamente proposta al Consiglio di Stato invece che al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana. L'Adunanza plenaria ha motivato tale soluzione, affermando che, nel processo amministrativo, le norme che individuano il giudice dell'appello hanno carattere funzionale e deve, quindi, escludersi la possibilità di estendere, in secondo grado, le previsioni che, in primo grado, disciplinano la riassunzione del processo avanti al giudice competente. La conseguenza di tale argomentare è che, nell'ipotesi sopra descritta, l'appello inammissibilmente proposto determina la consumazione del potere di impugnare, ove siano decorsi i relativi termini, con il conseguente formarsi del giudicato. Negli stessi termini anche Cons. St. III, n. 1710/2016.

Va infine ricordato che il Consiglio di giustizia amministrativa, nella sua composizione consultiva, è organo di consulenza giuridico-amministrativa del Governo regionale siciliano (art. 9). In particolare, il Consiglio rende un parere obbligatorio preventivo sugli atti regolamentari della regione; inoltre, con la legge regionale possono essere determinati altri casi in cui debba essere richiesto il parere del Consiglio di giustizia amministrativa. In ogni caso, la regione siciliana può richiedere il parere facoltativo del Consiglio di giustizia amministrativa ogni qualvolta lo ritenga necessario.

Al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, nella composizione delle sezioni riunite, spetta anche il compito di rendere il parere obbligatorio sui ricorsi straordinari proposti al presidente della Regione Siciliana. L' art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 373/2003 continua, inoltre, a prevedere che, qualora il presidente della regione non intenda decidere il ricorso in maniera conforme al parere reso dal Consiglio di giustizia amministrativa, deve, con motivata richiesta, sottoporre l'affare alla deliberazione della Giunta regionale. In pratica, sulla base di detta previsione, in Sicilia risulta ancora applicabile, per il ricorso straordinario al presidente della regione, l'istituto della c.d. «decisione difforme», ancorché l'analogo potere di dissenso (che competeva al Consiglio dei Ministri) a livello statale sia stato eliminato in forza della novella dell'art. 14, comma 2, del d.P.R. n. 1199/1971, operata con la lett. b) del comma 2 dell'art. 69 della l. n. 69/2009.

Quando il parere richiesto al Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Siciliana riguardi materie che incidano notevolmente sugli interessi generali dello Stato o di altre regioni, il Consiglio stesso può deferirne l'esame all'Adunanza generale del Consiglio di Stato, sentita sul punto la regione. In tale caso l'Adunanza generale esamina gli affari su preavviso del Consiglio di giustizia amministrativa e con l'intervento di almeno due magistrati di quest'ultimo. All'Adunanza generale del Consiglio di Stato, integrata dai due magistrati dell'Organo isolano, è altresì devoluta la cognizione dei conflitti di competenza, in sede consultiva, tra il Consiglio di giustizia amministrativa e il Consiglio di Stato.

Le funzioni consultive e giustiziali del Consiglio di Stato. Cenni

Secondo l'art. 100 Cost. il Consiglio di Stato è organo di consulenza-giuridico amministrativa e di tutela della giustizia nell'amministrazione. In tale previsione costituzionale trovano fondamento le ulteriori funzioni, oltre a quella giurisdizionale, svolte dall'Istituto. Si intende far riferimento a quella consultiva e a quella giustiziale.

Da un punto di vista storico quella consultiva è la prima funzione assegnata al Consiglio di Stato. Anche oggi essa riveste un ruolo importante. La consulenza in materia giuridico-amministrativa del Consiglio di Stato, a differenza di quella prestata da altri organi pubblici (come, ad esempio, quella fornita dall'Avvocatura dello Stato), non è resa nell'interesse di una (o della) pubblica amministrazione, ma nell'interesse dello Stato-comunità. Tale neutralità dell'attività di consulenza costituisce il riflesso della composizione magistratuale dell'Organo. Anche la funzione consultiva presenta infatti le caratteristiche della indipendenza (dal Potere Esecutivo) e della terzietà.

In questi termini si è espressa di recente la Seconda Sezione del Consiglio di Stato che, nel parere n. 825/2017, del 6 aprile 2017, ha affermato che un fondamentale connotato dell'attività di consulenza (in quel caso con particolare riferimento all'espressione di pareri in risposta a quesiti) va individuato nella essenziale «terzietà» di essa, quale diretta conseguenza della indipendenza (magistratuale) dell'Istituto; invero, il Consiglio di Stato rende i propri pareri, non nell'interesse dello Stato-Governo e, tanto meno, nell'interesse della singola amministrazione che li richieda, ma nell'interesse superiore dello Stato-Comunità complessivamente considerato, rispetto al quale l'Istituto è in senso proprio Organo ausiliario. A prescindere, dunque, dall'autorità che solleciti l'esercizio della potestà consultiva e dalle particolari necessità che giustifichino la formulazione di un quesito, i pareri del Consiglio di Stato, sia quelli delle sezioni consultive o delle commissioni speciali sia quelli dell'Adunanza generale, esprimono sempre il «punto di vista» dell'ordinamento giuridico, per molti versi in modo analogo alle pronunce rese, «nell'interesse della legge», dalle Sezioni unite della Corte di cassazione (art. 363 c.p.c.) o dall'Adunanza plenaria (art. 99, comma 5, c.p.a.). Il parere del Consiglio di Stato, in altri termini, non è mai direttamente finalizzato a sciogliere i dubbi giuridici dell'autorità richiedente né è volto a suggerire a questa quale sia, in concreto, la via migliore da percorrere in presenza di determinate circostanze; al contrario, i pareri resi dal Consiglio di Stato in risposta a quesiti sono unicamente volti a dipanare una problematica giuridica, ancorché nella soluzione offerta dall'Istituto trovi corretto inquadramento, e conseguente risposta, anche il particolare interrogativo proposto dalla singola amministrazione.

La funzione consultiva si estrinseca nell'espressione di pareri obbligatori e facoltativi. In passato erano numerose le ipotesi in cui il Consiglio di Stato era chiamato a rendere pareri obbligatori. In materia è poi intervenuto l'art. 17, comma 25, della l. n. 400/1988, che ha ridotto a tre i casi in cui il Consiglio di Stato rende pareri obbligatori e, segnatamente: a) sugli atti normativi del Governo e dei singoli ministeri; b) sui ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica; c) sugli schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni predisposti dai Ministri.

Il Consiglio di Stato, inoltre, rende pareri obbligatori ogni qualvolta essi siano previsti da una legge e ciò si verifica frequentemente in occasione delle leggi di delegazione, le quali spesso prevedono che sugli schemi dei decreti legislativi di attuazione sia acquisito, prima del parere delle Camere, quello del Consiglio di Stato.

Tale attività consultiva si concreta in una verifica preventiva di legittimità dei provvedimenti normativi in corso di emanazione, sebbene, di recente, si registri una significativa evoluzione dal momento che tale verifica è stata estesa dal Consiglio di Stati anche ai profili della qualità e della complessiva «sostenibilità» delle regolazioni proposte, con particolare riguardo agli aspetti concernenti l'analisi di impatto (Air) e la verifica di impatto della regolazione (Vir).

Eloquente in tal senso è il citato parere della sezione consultiva n. 1458/2017, reso nell'adunanza del 7 giugno 2017, nel quale si è affermato che, se è indispensabile un serio e costante impegno finanziario e organizzativo delle amministrazioni pubbliche coinvolte nel law-making process finalizzato al miglioramento della qualità della normazione, nemmeno può prescindersi da un sano realismo capacitazionale in sede di definizione, a monte, dei processi normativi, degli obiettivi e della fisionomia dei procedimenti regolatori. In altri termini, alla perfezione delle procedure “scritte sulla carta”, ma poi prevedibilmente destinate a rimanere lettera morta, dovrebbe preferirsi la verifica preventiva della reale sostenibilità amministrativa delle discipline regolamentari nella prospettiva della loro effettiva attuazione e manutenzione. Il Consiglio di Stato ha altresì soggiunto che la “fattibilità” delle regolamentazioni (ad esempio, con riguardo all'effettiva disponibilità di risorse umane e strumentali da parte delle amministrazioni pubbliche tenute all'attuazione di esse) è un elemento condizionante la stessa legittimità dell'intervento normativo, alla stregua di una moderna concezione del canone costituzionale del buon andamento e del “diritto a una buona amministrazione”.

Sulle recenti evoluzioni delle funzioni consultive del Consiglio di Stato si è osservato che l'Istituto si sta trasformando, anche grazie al ricorso sistematico allo strumento dei quesiti (ossia delle richieste di parere facoltativo), in una sorta di advisory board delle amministrazioni pubbliche. Inoltre l'esercizio delle funzioni consultive, se esteso alla fase attuativa dei provvedimenti normativi, consente di ridurre gli oneri di comprensione, interpretazione, pratica applicazione, da parte di tutti i destinatari, con particolare riferimento ai cittadini e alle imprese, perseguendo in tal modo il meritorio risultato di prevenire il contenzioso. In questo modo, le funzioni consultive vengono concepite come sostegno in progress riferito a una policy, cioè a un progetto istituzionale, piuttosto che esclusivamente a singoli provvedimenti.

Il Consiglio di Stato, come già accennato, rende anche molti pareri facoltativi su specifici quesiti eventualmente rivoltigli dalle amministrazioni a norma dell'art. 14 del r.d. n. 1054/1924. Tale disposizione prevede altresì la possibilità che il Governo commissioni al Consiglio di Stato la predisposizione di un intero testo normativo. Di tale possibilità si è fatto frequente uso in tempi recenti e l'esempio di più importante (ma non unico) di tale «regolazione delegata» è proprio il Codice del processo amministrativo, il cui schema è stato elaborato da una commissione speciale la cui composizione «mista» è stata disciplinata dalla legge di delega (art. 44, comma 4, l. 18 giugno 2009, n. 69).

Dal punto di vista quantitativo la funzione consultiva di carattere obbligatorio si estrinseca soprattutto con l'espressione dei pareri sui ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica. Il ricorso straordinario è un rimedio contenzioso di natura amministrativa il cui procedimento però, oltre a presentare maggiori spazi per il contraddittorio con l'amministrazione (qualora comparato con la disciplina degli altri ricorsi amministrativi), si conclude, in sostanza, con un parere del Consiglio di Stato destinato sì ad essere recepito in un decreto del Presidente della Repubblica, ma che sostanzialmente assume il valore di una decisione, posto che è stata abolita, come sopra ricordato, la previsione (art. 14, comma 2, d.P.R. n. 1199/1971) che prevedeva la facoltà per il Governo, attraverso una deliberazione del Consiglio dei Ministri, di decidere il ricorso in senso difforme dal parere (tale potere sembra invece esser rimasto in capo alla Giunta regionale siciliana, v. supra).

In ragione di tali caratteristiche, il ricorso straordinario è configurato dall'ordinamento come un rimedio alternativo a quello giurisdizionale e tale regola — scolpita dall'art. 8 del d.P.R. n. 1999/1971 — riposa sull'esigenza di scongiurare il rischio della formazione di decisioni contrastanti del Consiglio di Stato in sede, rispettivamente, consultiva o giurisdizionale (in caso di appello contro le pronunce dei tribunali amministrativi regionali). Siffatta alternatività è poi resa proceduralmente possibile dalla facoltà, riconosciuta in capo a tutte le parti resistenti, di trasporre il ricorso straordinario a norma del combinato disposto degli art. 10 del d.P.R. n. 1999/1971 e art. 48 c.p.a.

La funzione consultiva esercitata in relazione ai ricorsi straordinari è, dunque, propriamente una funzione giustiziale, volta cioè ad assicurare sotto altro aspetto la giustizia nell'amministrazione, e il procedimento sul ricorso straordinario si avvicina tendenzialmente a un giudizio in unico grado avanti al Consiglio di Stato, ancorché utilizzabile soltanto per veicolare azioni di annullamento di provvedimenti definitivi e, dunque, unicamente contro atti avverso i quali non sia proponibile (o sia stato già proposto) un ricorso gerarchico. Non sono, pertanto, proponibili con il ricorso straordinario azioni di accertamento o di condanna, pacificamente esperibili, invece, nel processo amministrativo.

Soprattutto in epoca successiva all'entrata in vigore del d.lg. n. 104/2010 la giurisprudenza ha, tuttavia, ampliato l'ambito delle esclusioni, negando che il ricorso straordinario possa essere proposto nei casi in cui il Codice preveda un rito speciale (come avviene, ad esempio, nel caso di accesso, ai sensi dell'art. 116 c.p.a.). In particolare, il Consiglio di Stato ha stabilito (Cons. Stato, Sez. II, n. 4280/2012) che le doglianze in tema di accesso ai documenti amministrativi non possono essere fatte valere in sede di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, esistendo — in forza di una norma processuale di carattere speciale — una competenza esclusiva del giudice amministrativo in materia, al quale è stato altresì conferito il potere di ordinare un facere all'amministrazione (ossia un potere estraneo al giudizio annullatorio proprio del ricorso straordinario).

La limitazione del ricorso straordinario alle sole controversie devolute alla giurisdizione amministrativa ha determinato il superamento del precedente assetto, elaborato praeter legem dalla prassi e fondato sulla presupposta natura amministrativa di tale rimedio, che ne consentiva l'esperibilità, in regime di concorrenza e non di alternatività, anche per controversie devolute alla giurisdizione ordinaria.

Per il ricorrente vittorioso nell'ambito del procedimento per ricorso straordinario è possibile accedere al rito dell'ottemperanza a norma dell' art. 112, comma 2, lett. d), c.p.a., secondo cui l'azione per l'ottemperanza può essere esercitata (in sede giurisdizionale) anche per ottenere l'adempimento dell'obbligo dell'amministrazione di conformarsi alle decisioni contenute in provvedimenti equiparabili alle sentenze passata in giudicato.

Al riguardo la Corte di cassazione (Cass., S.U., n. 2065/2011) ha stabilito che la competenza in materia di ricorso per ottenere l'ottemperanza a un ricorso straordinario spetti al Consiglio di Stato a norma del combinato disposto degli artt. 112, comma 2, lett. b), e 113, comma 1, c.p.a., così equiparando a questi fini il decreto del Presidente della Repubblica che recepisca un ricorso straordinario a un provvedimento esecutivo del giudice amministrativo, seppure non formalmente giurisdizionale. Con la stessa pronuncia le Sezioni unite hanno affermato che l'evoluzione del ricorso straordinario nella prospettiva di una sua progressiva assimilazione a quello giurisdizionale si estende anche alla decisione resa dal Presidente della Regione siciliana, in quanto l'analogia del procedimento che lo regola sottende un'identità di natura e di funzione rispetto al ricorso straordinario al Capo dello Stato. Ne consegue che è ammissibile il giudizio di ottemperanza anche con riguardo al decreto del Presidente della regione siciliana che, recependo il parere del Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, abbia accolto un ricorso straordinario.

Ancora, l'art. 15 del d.P.R. n. 1999/1971 prevede che, contro il decreto del Presidente della Repubblica che abbia recepito un parere del Consiglio di Stato reso su un ricorso straordinario, possa essere proposto ricorso per revocazione nei casi previsti dall' art. 395 c.p.c.

Inoltre il citato art. 69 della l. n. 69/2009, nel novellare l'art. 13 del d.P.R. n. 1199/1971, ha previsto che, in sede di ricorso straordinario, possano essere sollevate questioni di legittimità costituzionale.

La Corte costituzionale, tuttavia, non ha condiviso in pieno la tesi della «giurisdizionalizzazione» del ricorso straordinario, avendo affermato nella sentenza n. 73/2014 che, a seguito dell'entrata in vigore della l. n. 69/2009 e poi del codice del processo amministrativo, il ricorso straordinario ha perduto la propria precedente connotazione puramente amministrativa e ha assunto la qualità di rimedio giustiziale amministrativo, con caratteristiche strutturali e funzionali solo in parte assimilabili a quelle tipiche del processo amministrativo. Il ricorso straordinario è divenuto un rimedio giustiziale attratto per alcuni profili nell'orbita della giurisdizione amministrativa medesima, in quanto metodo alternativo di risoluzione di conflitti, pur senza possederne tutte le caratteristiche.

La dottrina ha criticato tale pronuncia. Si è difatti osservato che, con la sentenza n. 73/2014, la Corte costituzionale ha riconosciuto che, per effetto della l. n. 69/2009, il ricorso straordinario ha mutato natura, transitando dall'ambito amministrativo a quello giurisdizionale. La Corte, però, avrebbe omesso di esaminare le criticità insite in tale approdo esegetico. In particolare, la «giurisdizionalizzazione» del ricorso straordinario susciterebbe dubbi di compatibilità con talune disposizioni costituzionali, soprattutto con l'art. 102, comma 2, Cost. e con la VI disposizione transitoria e finale, nonché con l'art. 100, comma 1, Cost., considerato che una delle principali funzioni del Consiglio di Stato in composizione consultiva sarebbe divenuta giurisdizionale. Le Sezioni consultive sarebbero difatti divenute un nuovo giudice speciale, per effetto di una disposizione di legge ordinaria.

Va detto che il Consiglio di Stato, in alcune pronunce (tra queste, Cons. Stato, Sez. I, n. 1033/2014), ha ribadito la natura amministrativa e non giurisdizionale del ricorso straordinario. La giurisprudenza del Supremo Collegio (Cass. S.U., n. 23464/2012) ha invece accentuato il fenomeno della progressiva giurisdizionalizzazione (che il Supremo Collegio ritiene ormai avvenuta in forza del citato art. 69, l. n. 69/2009), avendo riconosciuto che contro i decreti del Presidente della Repubblica che abbiano recepito il parere del Consiglio di Stato possa essere presentato un ricorso per cassazione per motivi di giurisdizione. In particolare, le Sezioni unite hanno affermato che la decisione presidenziale conforme al parere del Consiglio di Stato ripete dal parere stesso la natura di atto giurisdizionale in senso sostanziale. La Corte di cassazione (Cass., Sez. III, n. 19531/2013) ha anche statuito che solo i ricorsi straordinari proposti a partire dal 16 settembre 2010, ossia a decorrere dall'entrata in vigore del Codice, ricadono sotto il nuovo regime della giurisdizionalizzazione, ossia danno vita ad un procedimento analogo al processo amministrativo ordinario, che si conclude con una decisione di natura giurisdizionale, atta a dar luogo alla cosa giudicata.

Da tempo, poi, la Corte di giustizia (Cgce, n. 79/1997) ha riconosciuto che il Consiglio di Stato in sede consultiva, allorquando sia chiamato a rendere un parere su un ricorso straordinario, presenti tutte le caratteristiche di un giudice legittimato a proporre questioni di validità o di interpretazione del diritto europeo, a norma dell'art. 177 Trattato CE (ora art. 267 Tfue).

L' art. 3 della legge n. 205/2000 ha anche previsto che il Consiglio di Stato in sede consultiva possa rendere un parere, destinato a essere recepito da un decreto del Ministro di volta in volta competente, sulla eventuale richiesta cautelare avanzata dal ricorrente in via straordinaria. In questo caso, tuttavia, a differenza di quanto avviene in sede giurisdizionale, la tutela cautelare è tipica e circoscritta alla sola sospensione dell'esecutività del provvedimento impugnato.

Si è sopra accennato che, con una recente ordinanza (Cons. Stato, Sez. VI, n. 234/2017), il Consiglio di Stato ha stabilito, dando luogo a non pochi problemi applicativi, che la competenza ad eseguire i pareri sospensivi spetti alla stessa Sezione consultiva che li abbia resi.

Le impugnazioni contro le pronunce del Consiglio di Stato

Si è sopra accennato che il giudizio amministrativo si articola in soli due gradi di giudizio. Nondimeno anche le pronunce del Consiglio di Stato possono essere impugnate per revocazione (artt. 106 e 107 c.p.a.), per opposizione di terzo (artt. 108 e 109 c.p.a.), nonché, come prevede l'ultimo comma dell'art. 111 Cost., con ricorso per cassazione «per i soli motivi inerenti alla giurisdizione» (artt. 110 e 111 c.p.a. e art. 362 c.p.c.).

Con riferimento a tale ultima impugnazione, va dato atto di recenti vicende giurisprudenziali che hanno riguardato il contrasto in ordine all'estensione del sindacato delle Sezioni unite civili della Corte di cassazione e, quindi, sull'interpretazione della locuzione normativa «motivi inerenti alla giurisdizione». Sul punto, per molto tempo, la posizione del Supremo Collegio si era assestata nel senso di ritenere che il ricorso per cassazione fosse ammissibile esclusivamente per verificare che il Consiglio di Stato non avesse violato i c.d. limiti esterni” della propria giurisdizione.

Ad esempio, nella sentenza (per tutte) delle Sezioni unite civili n. 8882/2005, la Corte di cassazione riteneva che «(p)er costante giurisprudenza i motivi inerenti alla giurisdizione vanno identificati o nell'ipotesi in cui la sentenza del Consiglio di Stato abbia violato (in positivo o in negativo) l'ambito della giurisdizione in generale (come quando abbia esercitato la giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa oppure, al contrario, quando abbia negato la giurisdizione sull'erroneo presupposto che la domanda non potesse formare oggetto in modo assoluto di funzione giurisdizionale), o nell'ipotesi in cui abbia violato i cosiddetti limiti esterni della propria giurisdizione (ipotesi, questa, che ricorre quando il Consiglio di Stato abbia giudicato su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, oppure abbia negato la propria giurisdizione nell'erroneo convincimento che essa appartenesse ad altro giudice, ovvero ancora quando, in materia attribuita alla propria giurisdizione limitatamente al solo sindacato della legittimità degli atti amministrativi, abbia compiuto un sindacato di merito). Pertanto è inammissibile il ricorso con il quale si denunci un cattivo esercizio da parte del Consiglio di Stato della propria giurisdizione, vizio che, attenendo all'esplicazione interna del potere giurisdizionale conferito dalla legge al giudice amministrativo, non può essere dedotto dinanzi alle sezioni unite».

Sennonché la Corte di cassazione, a partire dal 2006 (con le

le

ordinanze del 13 giugno 2006 n

n.

13659 e n.13660
e poi con la sentenza del 20 dicembre 2008, n. 30254), ebbe a mutare il consolidato orientamento del quale si è sopra riferito e a ritenere che il concetto di giurisdizione, per i fini del sindacato rimesso al Supremo Collegio, non fosse “statico”, ma “dinamico” e, quindi, suscettibile di estensione anche ai c.d. errores in procedendo et in iudicando (c.d. “limiti interni” della giurisdizione), ovverosia alle “forme di tutela” attraverso le quali la giurisdizione si estrinseca o, in altri termini, al quomodo di esercizio dei poteri giurisdizionali da parte del Consiglio di Stato.

Tale impostazione “evolutiva” fu però smentita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 6 del 24 gennaio 2018, secondo cui alla Corte di cassazione sarebbe precluso il sindacato sulle modalità di esercizio della giurisdizione da parte del Consiglio di Stato e, pertanto, sulla interpretazione giuridica da esso fornita.

Con ordinanza del 18 settembre 2020, n. 19598 le Sezioni Unite hanno però nuovamente sollevato la questione nell'ambito di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea in relazione a un caso in cui, secondo il Supremo Collegio, il Consiglio di Stato avrebbe male applicato il diritto unionale.

La Corte di giustizia, tuttavia, con la sentenza del 21 dicembre 2021, in causa C-497/20, ha chiarito che il diritto dell'Unione europea deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una disposizione del diritto interno di uno Stato membro che, secondo la giurisprudenza nazionale, produce l'effetto che i singoli non possano contestare la conformità al diritto dell'Unione di una sentenza del supremo organo della giustizia amministrativa di tale Stato membro nell'ambito di un ricorso dinanzi all'organo giurisdizionale supremo di detto Stato membro.

L'organizzazione dei servizi della Giustizia amministrativa

Si è sopra accennato che la Magistratura amministrativa è collegata funzionalmente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri; quest'ultima assolve a compiti analoghi a quelli spettanti al Ministero della giustizia nei confronti dei magistrati ordinari. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, tra l'altro, è titolare, insieme al presidente del Consiglio di Stato, del potere di avviare l'azione disciplinare nei confronti dei magistrati amministrativi. La Giustizia amministrativa gode, nondimeno, di un'ampia autonomia organizzativa e la gestione dei suoi servizi essenziali è affidata a una struttura burocratica, denominata «Segretariato generale della giustizia amministrativa», previsto dall' art. 4, l. n. 186/1982. Secondo tale disposizione, l'ufficio del Segretariato generale è composto dal segretario generale (un consigliere di Stato), equiparato a un capo di dipartimento, nonché, con competenza per i rispettivi istituti, dal segretario delegato per il Consiglio di Stato (un consigliere di Stato) e dal segretario delegato per i tribunali amministrativi regionali (un consigliere dei tribunali amministrativi regionali). Il segretario generale e i segretari delegati assistono il presidente del Consiglio di Stato nell'esercizio delle sue funzioni e svolgono, ciascuno per le proprie competenze, gli altri compiti previsti dalle norme vigenti per il segretario generale del Consiglio di Stato. Il d.P.C.S. (decreto del presidente del Consiglio di Stato) del 15 febbraio 2005, reca il regolamento di organizzazione degli uffici amministrativi della Giustizia amministrativa, pubblicato nella G.U.R.I. del 12 aprile 2005, n. 84 e negli anni successivi più volte modificato.

La produttività dei magistrati amministrativi

La produttività dei magistrati amministrativi è particolarmente elevata. Si registra, infatti, da oltre 15 anni una graduale e continua riduzione dell'arretrato giurisdizionale, passato dagli oltre 900.000 fascicoli pendenti, nei due gradi, nel 2000 a 145.962 fascicoli pendenti al 31 dicembre 2021 e ciò tenendo conto della circostanza che, in questi anni, il numero complessivo dei magistrati (al lordo delle consistenti carenze di organico), in primo e in secondo grado, non ha mai supera le 600 unità,

Con particolare riferimento agli anni dal 2011 al 2021, il lavoro di riduzione dell'arretrato della giustizia amministrativa è stato costante: i ricorsi pendenti presso i Tribunali amministrativi regionali il Consiglio di Stato sono passati da 536.726 (al 31 dicembre 2010) ai menzionati 145.962 (al 31 dicembre 2021): un arretrato più che dimezzato in 10 anni.

Anche la produttività annua è aumentata: nel 2010, anno di entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo, i ricorsi definiti tra Tar e Consiglio di Stato erano 56.399; nel 2021 sono stati 71.738 con un incremento di circa il 21% in 10 anni.

Si sono abbreviati, nel corso degli anni, anche i tempi per le definizioni dei giudizi, ossia quelli intercorrenti tra il deposito del ricorso e la prima decisione collegiale. Estremamente rapidi sono anche i tempi del processo cautelare.

Le ragioni di tale accresciuta produttività del sistema giurisdizionale amministrativo vanno ricercate, per un verso, nelle provvide riforme processuali risalenti agli inizi del 2000 (si allude, in particolare, alla riforma operata con la l. n. 205/2000), con le quali furono introdotti riti abbreviati per certune materie di rilievo economico e sociale e fu pure ridotto il tempo intercorrente tra l'esame dell'istanza cautelare e la decisione della causa nel merito; per altro verso, hanno giocato a favore del recupero di efficienza della macchina giurisdizionale amministrativa, talune soluzioni organizzative, tra le quali il varo di programmi di lavoro magistratuale mirati allo smaltimento dell'arretrato, ma, soprattutto, la progressiva implementazione delle tecnologie informatiche, culminata con l'avvio, a decorrere dal 1° gennaio 2017, del processo amministrativo telematico (PAT), con cui tutto il giudizio, dal ricorso di primo grado fino alla sentenza di appello, si svolge ormai in via telematica (ivi incluse, nel periodo dell'emergenza pandemica anche le camere di consiglio e le udienze pubbliche) e sulla base di atti digitalizzati, con la sostanziale scomparsa del supporto cartaceo.

È ragionevole prevedere che detta produttività, già molto elevata, possa ulteriormente incrementarsi per effetto delle misure introdotte al fine di realizzare gli ambiziosi obiettivi che il PNRR ha assegnato alla Giustizia amministrativa.

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