Matrimonio concordatario

Sonia Fiorentino
08 Gennaio 2018

Per la disciplina del “matrimonio celebrato davanti ai ministri del culto cattolico” il Codice Civile rinvia alle norme di derivazione concordataria (art. 82 c.c.). In sintesi, tali norme riconoscono al matrimonio canonico gli stessi effetti del matrimonio civile a condizione che sia trascritto negli atti dello stato civile, e attribuiscono efficacia civile alle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale delibate dalla Corte d'appello competente.
Inquadramento

Per la disciplina del “matrimonio celebrato davanti ai ministri del culto cattolico” il Codice Civile rinvia alle norme di derivazione concordataria (art. 82 c.c.). In sintesi, tali norme riconoscono al matrimonio canonico gli stessi effetti del matrimonio civile a condizione che sia trascritto negli atti dello stato civile, e attribuiscono efficacia civile alle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale delibate dalla Corte d'appello competente. In seguito alla revisione del Concordato lateranense del 1929 (l. 27 maggio 1929, n. 810), l'istituto è oggi regolato dall'art. 8, comma 1, dell'Accordo tra Stato Italiano e Santa Sede del 18 febbraio 1984, interpretato dall'art. 4 del relativo Protocollo Addizionale (l. 25 marzo 1985, n. 121), e dalla c.d. legge matrimoniale (l. 27 maggio 1929, n. 847) che, dettata in applicazione dell'art. 34 del Concordato lateranense e mai espressamente abrogata, è ora vigente in quanto compatibile con l'art. 8 cit..

La denominazione di “matrimonio concordatario” si deve nel senso più ovvio alla sedis materiae e vale altresì a caratterizzare le peculiarità proprie della fattispecie “matrimonio canonico con effetti civili” o “matrimonio canonico trascritto”. A differenza del matrimonio degli acattolici (art. 83 c.c.) che è sostanzialmente disciplinato dal diritto civile, il matrimonio concordatario è contratto e disciplinato secondo le norme del diritto canonico (art. 8 Accordo). La Corte costituzionale ha precisato che l'ordinamento italiano non opera la recezione del diritto confessionale, bensì assume il matrimonio canonico quale fatto “presupposto” a cui ricollegare gli effetti civili tramite la trascrizione, (Corte cost., 8 luglio 1971, n. 169; Corte cost., 11 dicembre 1973, n. 176; Corte cost., 1 dicembre 1993, n. 421).

In evidenza

Il matrimonio concordatario è il matrimonio religioso cattolico, regolato nella forma e nella sostanza dal diritto canonico proprio della Chiesa cattolica, a cui sono riconosciuti gli stessi effetti del matrimonio civile a condizione che sia trascritto negli atti dello stato civile.

La trascrizione del matrimonio canonico come atto e come procedimento

Il riconoscimento del matrimonio canonico è subordinato alla trascrizione nei registri dello stato civile dell'atto di matrimonio compilato dal ministro di culto.

Con la trascrizione, gli effetti civili retroagiscono al momento della celebrazione così da non rendere più necessaria la doppia celebrazione, civile e religiosa, come avveniva in epoca preconcordataria. La trascrizione ha efficacia costitutiva, e non meramente probatoria come tutti gli atti dello stato civile, perché in mancanza di essa il matrimonio canonico non produce effetti nell'ordinamento statale.

Per questa ragione, assume grande importanza il tema delle cause di intrascrivibilità (che costituiscono altrettanti motivi di impugnazione ex art. 16, l. n. 847/1929). Il regime matrimoniale concordatario previgente era caratterizzato dal principio dell'automatismo della trascrizione e, quindi, degli effetti civili del matrimonio canonico, da cui derivava altresì il principio della uniformità degli status, civile e canonico, di coniuge; il “sistema” era rafforzato dalla giurisdizione esclusiva dei Tribunali ecclesiastici in ordine alla invalidità del matrimonio concordatario, le cui sentenze in materia erano parimenti riconosciute in automatico nell'ordinamento statale. Questo determinava una disparità di trattamento per coloro che, scegliendo il matrimonio concordatario, si sottoponevano al diritto della Chiesa per acquisire o invalidare lo status di coniuge di fronte allo Stato, un diritto per molti aspetti diverso da quello statale in materia. Dal momento in cui, con l'istituzione del divorzio (l. 1 dicembre 1970, n. 898), fu riconosciuto al Giudice dello Stato il potere di dichiarare altresì «la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione» dei matrimoni religiosi (art. 2, l. n. 898/1970), quella corrispondenza di situazioni matrimoniali tra sfera religiosa e sfera civile venne meno, avviando la crisi del sistema matrimoniale concordatario.

Per lungo tempo, tuttavia, la giurisprudenza ha inteso interpretare restrittivamente, e cioè tassativamente, i pochi casi di intrascrivibilità stabiliti dalla legge matrimoniale (mancanza di stato libero e interdizione per infermità di mente, art. 12, l. n. 847/1929), per cui nel sistema previgente era possibile contrarre matrimonio canonico valido agli effetti civili in circostanze in cui non era consentita la celebrazione di un matrimonio civile (perché, ad esempio, il limite di età nuziale stabilito dalla Chiesa è inferiore a quello previsto dallo Stato, o gli impedimenti di affinità in linea retta o da delitto nel diritto canonico sono disciplinati in modo diverso). La questione è stata affrontata e risolta nell'Accordo concordatario del 1984 (ratificato con l. n. 121/1985) che, valorizzando la funzione di “filtro” della trascrizione, ha previsto l'uguaglianza in materia matrimoniale, recependo quanto già affermato dalla Corte costituzionale, che già aveva intrapreso l'ampliamento delle cause ostative alla trascrizione (Corte cost., 2 febbraio 1982, n. 16), come pure dei motivi di impugnazione della stessa (Corte cost., 1 marzo 1971, n. 32).

Secondo l'Accordo vigente la trascrizione non può aver luogo (art. 8, comma 2, l. n. 121/1985):

1) quando gli sposi non rispondano ai requisiti della legge civile circa l'età nuziale (art. 84 c.c.);

2) quando sussiste tra gli sposi un impedimento inderogabile secondo la legge civile.

In sintesi, si evidenzia come il matrimonio canonico non può essere trascritto, e quindi riconosciuto agli effetti civili, se nelle stesse condizioni non sia possibile celebrare il matrimonio civile; la nuova disciplina tende cioè alla unificazione di fondo del regime matrimoniale indipendentemente dall'atto, civile o religioso, che vi ha dato origine con indubbio maggior rispetto del principio costituzionale di uguaglianza.

Di conseguenza, l'elenco incompleto o mal formulato degli impedimenti inderogabili, di cui all'art. 4, lett. a, del Protocollo Addizionale, è da ritenersi esemplificativo e non tassativo, posto che la regola generale è quella sancita nell'art. 8, comma 2, dell'Accordo di cui il Protocollo è parte integrante. Vero è che la piena uguaglianza di trattamento per motivi di ordine religioso, ricollegabile alla scelta del tipo di matrimonio, non è possibile se si pensi al mancato richiamo degli impedimenti derogabili secondo la legge civile; o alla regola, apparentemente rivolta alla equiparazione con il matrimonio civile, secondo cui la trascrizione è sempre possibile «quando, secondo la legge civile, l'azione di nullità o di annullamento non potrebbe essere più proposta» (art. 8, l. n. 121/1985). Infatti, quest'ultima conduce al risultato che le cause ostative alla trascrizione possono essere superate in un momento successivo avvalendosi della trascrizione tardiva, istituto previsto solo per il matrimonio canonico e che si traduce in un mezzo privilegiato in virtù del quale lo status civile di coniuge retroagisce ad un momento in cui non sussistevano le condizioni per la celebrazione del matrimonio civile (art. 117, comma 2, c.c. e art. 119, comma 2, c.c). In effetti, il solo ostacolo alla trascrizione del matrimonio canonico non superabile nel tempo deriva dall'aver contratto previamente altro matrimonio valido agli effetti civili, la cui azione di nullità non si prescrive (art. 124 c.c.).

In evidenza

La trascrizione ha efficacia retroattiva e natura costitutiva perché, in mancanza di essa, il matrimonio canonico non produce effetti nell'ordinamento statale. Sono cause di intrascrivibilità gli impedimenti inderogabili secondo la legge civile; cioè il matrimonio canonico non può essere trascritto se nelle stesse condizioni non sarebbe possibile celebrare il matrimonio civile. L'evoluzione della disciplina tende alla unificazione di fondo del regime matrimoniale indipendentemente dall'atto, civile o religioso, che vi ha dato origine.

La trascrizione è l'ultimo di una serie di atti che costituiscono il procedimento amministrativo di trascrizione del matrimonio canonico, caratterizzato dalla cooperazione di un organo appartenente ad un ordinamento di natura confessionale, il ministro di culto, con quello proprio dell'amministrazione statale, ossia l'ufficiale di stato civile.

Secondo l'art. 8, l. n. 121/1985 la trascrizione deve avvenire previa pubblicazione, la cui disciplina civilistica (artt. 93 e ss. c.c.; artt. 50 e ss., d.P.R. n. 396/2000) è richiamata dalla legge matrimoniale con la previsione di alcune peculiarità (art. 6, comma 1, l. n. 847/1929).Infatti, nel caso del matrimonio concordatario, la domanda di pubblicazione spetta oltre che alle parti (o da persona che ne abbia ricevuto da esse speciale incarico) anche al parroco (art. 6, comma 2, l. n. 847/1929), con il fine precipuo di mettere l'ufficiale di stato civile in condizione di conoscere in anticipo se sussistano impedimenti di ordine religioso al matrimonio canonico, per non procedere inutilmente alla pubblicazione civile. Inoltre, la pubblicazione civile acquista, oltre alla tipica funzione di pubblicità-notizia, una funzione ulteriore: con la domanda di pubblicazioni le parti esprimono implicitamente la volontà di attribuire gli effetti civili al matrimonio canonico, volontà autonoma rispetto a quella espressa davanti alla Chiesa nella celebrazione religiosa. Si evidenzia così un aspetto rilevante della libertà matrimoniale (religiosamente orientata), per cui il consenso degli sposi non ha ad oggetto solo l'assunzione del vincolo coniugale ma anche la scelta dell'ordinamento entro il quale la volontà matrimoniale è destinata a produrre effetti.

Perciò la pubblicazione, e con essa la volontà delle parti di trascrivere, si colloca cronologicamente nella fase antecedente alla celebrazione, in modo tale che gli effetti civili retroagiscano al momento in cui tale volontà sussisteva. Ne deriva che la peculiare funzione della pubblicazione è indebolita, ove si ritenga ammissibile la trascrizione, quando la celebrazione del matrimonio canonico non sia stata preceduta dalla pubblicazione (art. 13, l. n. 847/1929, circa la trascrizione tempestiva ritardata); o se si ritenga applicabile la regola secondo cui il Tribunale può autorizzarne la omissione per cause gravissime (art. 100 c.c.).

La pubblicazione deve restare affissa per almeno 8 giorni; trascorsi tre giorni dal suo compimento, l'ufficiale dello stato civile, se non gli è stata notificata alcuna opposizione e non gli consti alcun altro impedimento al matrimonio, rilascia un certificato di nulla osta che attribuisce alle parti il diritto alla trascrizione tempestiva anche qualora, dopo il suo rilascio, sia scoperto un impedimento preclusivo della trascrizione; in tal caso egli ha l'obbligo di darne notizia al Procuratore della Repubblica ai fini dell'impugnazione della trascrizione (artt. 11 e 16, l. n. 847/1929). Valgono poi molte delle regole comuni: la pubblicazione perde efficacia qualora la celebrazione religiosa non segua entro 180 giorni (art. 99 c.c.); si può ottenere dal Tribunale l'autorizzazione alla riduzione del termine per gravi motivi (art. 100 c.c.); l'Ufficiale di stato civile che non creda di poter procedere alla pubblicazione è obbligato a rilasciare un certificato con i motivi del rifiuto, contro il quale è dato ricorso al tribunale/è possibile proporre ricorso al Tribunale (art. 98 c.c.).

In base al nuovo ordinamento dello stato civile, la procedura di opposizione al matrimonio (art. 103, comma 2, c.c.) tiene espressamente conto dei matrimoni celebrati davanti ad un ministro di culto (artt. 59 e 61, d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396). Eventuali opposizioni hanno effetto sospensivo sulla trascrizione e non sulla celebrazione, come invece avviene per il matrimonio civile (stante il principio della separazione-distinzione degli ordini civile e religioso ex art. 7, comma 1, Cost.). Infatti, per il diritto della Chiesa il matrimonio può essere celebrato anche se ne consti la non trascrivibilità agli effetti civili, ferma restando l'estrema cautela dell'ordinamento canonico in tal senso. L'opposizione può essere accolta quando sussista un impedimento alla trascrizione; in caso di notifica dell'atto di opposizione, l'ufficiale deve sospendere sia il rilascio del nullaosta (art. 13, l. n. 847/1929) sia se il matrimonio è celebrato nonostante l'opposizione, lo stesso procedimento di trascrizione in attesa che si pronunci il giudice dell'opposizione (art. 61,d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396).

Successiva alla fase della pubblicazione è la fase della celebrazione nuziale che è regolata dal diritto canonico. La dottrina prevalente considera non trascrivibili le forme speciali di celebrazione (matrimonio segreto o di coscienza can. 1130 c.j.c.; matrimonio alla presenza dei soli testimoni can. 1116 c.j.c.; più discusso il caso del matrimonio celebrato per procura can. 1105 c.j.c., in relazione ai requisiti di cui all'art. 111 c.c.).

L'Accordo pone a carico del parroco alcuni specifici adempimenti civilistici (art. 8, comma 1, l. n. 121/1985) da svolgersi “subito dopo la celebrazione”:

  1. la lettura agli sposi degli artt. 143,144,147 c.c.;
  2. la redazione dell'atto di matrimonio in duplice originale, da lui sottoscritto insieme alle parti e ai testimoni, che menzioni l'avvenuta lettura;
  3. la trasmissione dell'originale dell'atto all'ufficiale di stato civile entro cinque giorni dalla celebrazione, insieme alla richiesta di trascrizione redatta per iscritto.

Il ministro di culto, quando compie gli adempimenti civilistici al fine del riconoscimento del matrimonio canonico, assolve la funzione pubblicistica di certificazione, che porta a considerarlo come pubblico ufficiale o almeno incaricato di pubblico servizio (artt. 357 e 358 c.p.). Egli può legittimamente rifiutare la propria opera, né può essere costretto dal potere civile ad assistere alla celebrazione delle nozze ma, allorché acconsenta, è obbligato ad adempiere alle formalità concordatarie prescritte essendo penalmente perseguibile per omissione o rifiuto di atti d'ufficio (art. 328 c.p.), come pure per falsità in atti (art. 476 c.p.), oltreché civilmente responsabile nei confronti dei contraenti (artt. 2699 e 2700 c.c.). Se l'atto di matrimonio non è trasmesso dal parroco perché distrutto o smarrito, il tribunale con sentenza può ordinare la trascrizione dopo aver accertato la valida celebrazione del matrimonio canonico (Trib. Udine 16 febbraio 1970).

Nella prospettiva di una equiparazione al matrimonio civile, l'Accordo stabilisce che nell'atto di matrimonio redatto dal ministro di culto possano essere inserite le dichiarazioni dei coniugi consentite secondo la legge civile, e cioè la scelta del regime patrimoniale (separazione dei beni art. 162 comma 2 c.c) e il riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio (art. 254 c.c.). Tali dichiarazioni acquistano efficacia civile soltanto se il matrimonio venga trascritto, se pur con decorrenza dal momento della celebrazione come per ogni altro effetto. Si conferma la natura pubblica dell'atto di matrimonio, ma si discute se debba essere pienamente equiparato agli atti dello stato civile o limitatamente agli effetti penali (reati di falsità ex art. 476 ss. c.p.).

L'ultima fase del procedimento spetta all'Ufficiale di stato civile che deve trascrivere il secondo originale dell'atto nei registri di matrimonio entro 24 ore dal ricevimento, dandone notizia al parroco nelle 24 ore successive; egli deve procedere obbligatoriamente in presenza del nullaosta, dopo aver verificato la regolarità formale dell'atto. In punto, l'omissione della lettura degli articoli del codice civile dà luogo a una mera irregolarità e non comporta l'invalidità dell'atto; in mancanza della menzione della lettura, l'Ufficiale dello stato civile ha l'obbligo di sospendere la trascrizione e di rinviare l'atto al parroco per la sua regolarizzazione (art. 10, l. n. 847/1929).

In evidenza

Occorre distinguere la trascrizione come atto e come procedimento amministrativo. Quest'ultimo prevede tre fasi: la pubblicazione civile, la celebrazione religiosa accompagnata dagli adempimenti civilistici a carico del ministro di culto, e la fase finale di trascrizione nei pubblici registri a cura dell'ufficiale di stato civile. In questo ambito il ministro di culto, assolvendo la funzione pubblicistica di certificazione, assume la natura di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio e incorre nelle relative responsabilità.

La trascrizione tardiva

La trascrizione è tempestiva quando sia richiesta dal parroco entro cinque giorni dalla celebrazione. La legge matrimoniale contempla la possibilità della trascrizione tempestiva ritardata (art. 13, l. n. 847/1929), cioè richiesta dal parroco entro 5 giorni dalla celebrazione ma senza che le parti abbiano curato la pubblicazione previa alla celebrazione; a tal fine, l'Ufficiale prima di trascrivere dovrà affiggere avviso delle avvenute nozze per almeno dieci giorni consecutivi per consentire l'opposizione dei soggetti legittimati. Tale disciplina non è incompatibile con l'art. 8, l. n. 121/1985 (Accordo di modificazioni del Concordato), il quale prevede che la trascrizione debba avvenire previa pubblicazione, senza precisare se debba necessariamente precedere la celebrazione.

E' possibile altresì la trascrizione tardiva del matrimonio canonico, quando sia richiesta superato il termine perentorio dei cinque giorni dalla celebrazione. Il decorso del tempo rende necessaria una ulteriore valutazione sulla effettiva idoneità del matrimonio canonico ad acquisire effetti civili; in particolare, sono legittimati a farne domanda esclusivamente i contraenti, entrambi o anche uno di essi “con la conoscenza e senza l'opposizione dell'altra”. Mentre nel sistema previgente la trascrizione tardiva poteva essere richiesta da chiunque vi avesse interesse, l'Accordo valorizza il rilievo riconosciuto alla volontà delle parti indirizzata agli effetti civili del matrimonio religioso, ulteriore e distinta da quella che ha sorretto la celebrazione del matrimonio in sede religiosa. Tale interpretazione trova sostegno nella giurisprudenza costituzionale secondo cui l'atto di scelta del matrimonio concordatario integra un negozio (sotteso alla trascrizione) logicamente e cronologicamente distinto dal negozio matrimoniale scelto, e come tale rimesso alla disciplina e alla giurisdizione dello Stato (Corte cost., 11 marzo 1971, n. 32; Corte cost., 2 febbraio 1982, n. 16). La volontà delle parti volta ad attribuire effetti civili al loro matrimonio canonico è invece presunta quando la trascrizione sia tempestiva (si considerano elementi presuntivi: la richiesta della pubblicazione civile, l'ottenimento del certificato di nullaosta alla trascrizione e la consegna di esso al parroco competente per assistere alla celebrazione, la lettura degli articoli del codice civile, la sottoscrizione del secondo originale dell'atto di matrimonio, l'inserimento nell'atto delle dichiarazioni dei coniugi consentite dalla legge civile); mentre non può esserlo quando si verifichi una frattura temporale con gli atti conclusivi del procedimento: in tal caso deve essere manifestata di nuovo (volontà attuale).

Si discute se in sede di trascrizione tardiva rilevi anche la volontà originaria delle parti, desumibile dalla sussistenza delle c.d. formalità concordatarie, con la conseguenza che non sarebbe ammessa la trascrizione tardiva di quei matrimoni canonici privi di tali formalità, come il matrimonio segreto o di coscienza. In senso contrario è un remoto disegno della nuova legge matrimoniale (d.d.l. 5 novembre 1987 n. 1831), nonché la Circolare di Istruzioni agli ufficiali di stato civile (Circ. Min. Giustizia 1/54/FG/1(86)256, del 26 febbraio 1986), onde le parti sarebbero libere di modificare la scelta originaria di contrarre matrimonio solo in forma religiosa potendo richiedere la trascrizione in qualunque momento.

Circa la formazione della comune volontà delle parti, la Circolare 1/54/FG/1(86)256 precisa che «la conoscenza e la mancata opposizione» devono risultare documentalmente all'Ufficiale dello stato civile, il quale dovrà attivarsi prima di eseguire la trascrizione per «acquisire l'assoluta certezza che essa sia stata portata a conoscenza dell'altro coniuge», ossia «dovrà acquisire piena sicurezza sulla chiara ed esplicita volontà di entrambi i coniugi di conferire effetti civili al loro matrimoni, ricevendo lui stesso le loro istanze, orali o scritte».

Per questo, non è più ammessa la trascrizione tardiva post mortem, salvo il caso in cui risulti che, al momento della morte, la relativa richiesta sia stata già inoltrata o risulti già acquisita la conoscenza o non opposizione della parte non richiedente (se la mancata opposizione è riconducibile al decesso la trascrizione è preclusa: Cass., sez. I, 12 luglio 2002, n. 10141). La giurisprudenza è orientata ad escluderla anche se la volontà di trascrivere sia stata chiaramente manifestata in un valido atto negoziale dal coniuge, defunto prima della richiesta di trascrizione (Cass., sez. II, 26 marzo 2001, n. 4359; Trib. Milano, 27 aprile 2005; Cass., sez. II, 4 maggio 2010, n. 10734). Infatti, la trascrizione è un atto che non sopporta termini o condizioni (actus legitimus) quindi si esclude la rilevanza di un consenso preventivo “ora per allora” (in materia di stato coniugale, cfr. artt. 79 e 108 c.c.), ad esempio per testamento (App. Roma, 8 luglio 1999), o con dichiarazione contenuta in un atto pubblico di donazione (nulla laddove eseguita: Trib. Milano, 25 aprile 2005), o resa al momento della celebrazione (Cass., sez. I, 24 marzo 1994, n. 2893 e App. Milano, 20 febbraio 2007) o comunque antecedente la richiesta; come noto, l'ordinamento non riconosce alcun valore giuridico all'obbligo di contrarre matrimonio e quindi neanche all'obbligo di attribuire effetti civili ad un matrimonio religioso.

Ai fini della trascrizione tardiva, l'Accordo richiede espressamente che le parti siano di stato libero e che lo abbiano conservato ininterrottamente nel periodo intermedio tra la celebrazione e la trascrizione. La regola mira a prevenire il riconoscimento di una situazione di bigamia che si determinerebbe per effetto della retroattività della trascrizione; se peraltro il matrimonio contratto con un terzo nel periodo intermedio fosse dichiarato nullo, e non semplicemente sciolto, la trascrizione sarebbe ammissibile. L'esplicito riferimento ad un solo fatto impeditivo non può indurre a ritenere che non si applichino alla trascrizione tardiva gli altri impedimenti inderogabili sopravvenuti alla celebrazione.

La trascrizione tardiva permette di recuperare gli effetti civili di matrimoni canonici celebrati in presenza di un impedimento inderogabile, in virtù della regola che ammette la trascrizione «quando, secondo la legge civile, l'azione di nullità o di annullamento non potrebbe essere più proposta».

Ad esempio: il matrimonio canonico celebrato dal minorenne può essere trascritto tardivamente dopo che, trascorso un anno dal raggiungimento della maggiore età, non sia più esperibile l'azione di nullità (art. 117, comma 2, c.c.); è trascrivibile tardivamente il matrimonio canonico dell'interdetto, dopo che i coniugi abbiano coabitato per un anno successivamente al passaggio in giudicato della sentenza che ha revocato l'interdizione (art. 119, comma 2, c.c.); è trascrivibile tardivamente il matrimonio affetto dagli impedimenti inderogabili di cui all'art. 87 c.c. allorché sia trascorso il termine decennale in cui si prescrive la relativa azione di nullità.

Al fine di tutelare le posizioni giuridiche sorte nel periodo intermedio, l'Accordo ribadisce la regola che la trascrizione tardiva avvenga «senza pregiudizio dei diritti legittimamente acquisiti dai terzi» (art. 81 c.c.). Quando era ammessa la trascrizione tardiva post mortem, la giurisprudenza ha ritenuto, non senza tentennamenti, che terzi sono anche gli eredi del coniuge defunto al fine di mantenere fermi i diritti acquisiti da essi all'apertura della successione ( Cass., S.U., 4 giugno 1992, n. 6845, componendo il conflitto determinato dal revirement di Cass., sez. I, 22 gennaio 1988, n. 488 di contrario avviso; v. di recente Cass., sez. II, 4 maggio 2010, n. 10734).

Attualmente, la regola di salvaguardia dei terzi trova applicazione in materia di regime patrimoniale dei coniugi e di adozione.

Ad esempio: con la trascrizione tardiva del matrimonio canonico, il regime legale di comunione dei beni nei rapporti tra i coniugi prende a decorrere retroattivamente dalla data della celebrazione come tutti gli effetti del matrimonio, ma non è opponibile al terzo creditore che abbia acquisito diritti su uno dei beni oggetto della comunione per il periodo che precede la trascrizione; così pure l'efficacia retroattiva della trascrizione tardiva del matrimonio canonico non pregiudica i diritti del figlio adottato da uno solo dei coniugi prima della trascrizione, non essendo a lui opponibile la disciplina dell'adozione che prescrive l'assenso dell'altro coniuge.

Di recente la giurisprudenza ha depotenziato una delle ragioni pratiche che inducevano le parti a rinviare nel tempo la trascrizione del matrimonio canonico, ossia la possibilità di lucrare la pensione di reversibilità derivante da precedente matrimonio. Infatti, con la trascrizione tardiva anche lo stato vedovile cessa retroattivamente dal momento della celebrazione e quindi viene meno, con la stessa decorrenza, il diritto del coniuge superstite alla pensione di reversibilità; da qui il diritto dell'INPS a ripetere i ratei di pensione indebitamente percepiti nel periodo intercorrente tra la celebrazione e la trascrizione (Cass., 21 aprile 2010, n. 9464).

In evidenza

La trascrizione è tardiva quando è richiesta oltre il termine perentorio dei cinque giorni dalla celebrazione; potendo avvenire a distanza di anni, presuppone la volontà comune e attuale delle parti e fa salvi i diritti legittimamente quesiti dai terzi.

Il matrimonio canonico dello straniero in Italia e del cittadino italiano all'estero

Lo straniero che intenda contrarre matrimonio concordatario in Italia non deve più produrre il documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano perché la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l'art. 116 c.c., come novellato dalla l. 15 luglio 2009, n. 94, nella parte in cui lo prevedeva (Corte cost., 25 luglio 2011, n. 245); ma ai fini della trascrizione, occorre la dichiarazione dell'autorità competente del Paese di appartenenza dalla quale risulti che, giusta le leggi a cui lo straniero è sottoposto, nulla osta al matrimonio. La giurisprudenza ha attenuato la portata vincolante della presentazione di tale nulla osta, ritenendo che esso contrasti con l'ordine pubblico quando sia negato per motivi discriminatori o sia rilasciato con effetti limitativi della libertà religiosa (ad esempio quando la legge nazionale vieti il matrimonio con persona di religione non islamica o ne condizioni il rilascio alla conversione a tale religione: Trib. Potenza, 30 novembre 1989; Trib. Camerino, 12 aprile 1990; Trib. Barcellona P.G., 9 marzo 1995; Trib. Taranto, 13 luglio 1996; Trib. Treviso, 15 aprile 1997; Trib. Milano, 14 aprile 1997; Trib. Piacenza, 5 maggio 2011; Trib. Castrovillari, 23 febbraio 2016). La Circolare del Ministero dell'Interno, 11 settembre 2007, n. 46, in relazione alla circostanza che alcuni paesi subordinano il rilascio del nullaosta all'adesione del coniuge alla fede musulmana, impone all'Ufficiale di stato civile di procedere ugualmente alla pubblicazione senza tenerne conto, in quanto tale condizione relativa alla fede religiosa è «palesemente contraria ai principi fondamentali dell'ordinamento italiano». La giurisprudenza di merito, che per consolidato indirizzo rimette al Tribunale competente la decisione di autorizzare l'ufficiale di stato civile a procedere alla pubblicazione in mancanza del nullaosta ex art. 116 c.c., ha ritenuto che ciò non sia necessario qualora il mancato rilascio risulti ingiustificato o sia determinato da motivi religiosi e costituisca perciò un'arbitraria o discriminatoria preclusione del diritto di contrarre matrimonio (Trib. Piacenza, 5 maggio 2011).

Per quanto attiene al matrimonio canonico celebrato all'estero dal cittadino italiano, si ritiene che esso non possa essere trascritto ai sensi della disciplina concordataria, in primo luogo perché il Concordato ha effetti limitati al territorio italiano, e poi perché prevedendo essa la coordinazione dell'Ufficiale di stato civile e del parroco nell'adempimento delle c.d. formalità concordatarie, non è attuabile quando la celebrazione avvenga all'estero. Un tale matrimonio canonico può però essere riconosciuto in virtù delle norme di diritto internazionale privato (art. 115 c.c. e artt. 27 e 28, l. 31 maggio 1995, n. 218); si noti che in tal caso la trascrizione ha carattere meramente probatorio, in quanto certificativa di un atto di per sé produttivo di effetti quando la legge del luogo lo ammetta (principio locus regit actum) e rilevante quale matrimonio civile celebrato all'estero, rispetto alla validità del quale lo Stato non riconosce la giurisdizione della Chiesa (v. Cass., sez. VI, 18 luglio 2013, n. 17620; ciò vale anche nel caso di matrimonio canonico celebrato nello Stato Città del Vaticano, v. Cass., sez. I, 4 luglio 1994, n. 6301). Un indirizzo minoritario ritiene possibile la trascrizione in virtù del Concordato, per il carattere universale del diritto canonico, qualora la legge del luogo di celebrazione non riconosca effetti civili alla forma del matrimonio religioso canonico (v. Cass., sez. I, 25 gennaio 1979, n. 557).

In evidenza

Il matrimonio canonico celebrato dallo straniero in Italia è trascrivibile ai sensi della normativa concordataria, se sussiste la dichiarazione dell'autorità competente del Paese di appartenenza dalla quale risulti che nulla osta al matrimonio. Il matrimonio canonico celebrato dal cittadino italiano in un paese straniero, in cui tale forma matrimoniale sia riconosciuta agli effetti civili, è trascrivibile ai sensi delle norme di diritto internazionale privato e in tal caso la trascrizione ha natura dichiarativa in quanto esso rileva come matrimonio civile.

Il matrimonio concordatario tra giurisdizione della Chiesa e giurisdizione dello Stato

Il matrimonio concordatario è una fattispecie complessa in cui si distingue il matrimonio religioso, che nasce nell'ordinamento canonico e da questo è regolato, e la trascrizione negli atti dello stato civile che vi ricollega gli stessi effetti del matrimonio civile ed è disciplinato, come atto e come procedimento, dall'ordinamento statale.

Nel previgente sistema concordatario sussisteva una diarchia giurisdizionale di Stato e Chiesa sul matrimonio canonico trascritto, nel senso che si riservava ai tribunali e dicasteri ecclesiastici la competenza a decidere sulla validità del “matrimonio concordatario-atto” (art. 34, comma 4, Concordato lateranense del 1929, ratificato con l. 27 maggio 1929, n. 810); mentre spettava ai tribunali dello Stato decidere in ordine alla validità degli effetti civili, cioè sulla trascrizione (oltre che sulla separazione personale dei coniugi).

Con l'evoluzione dei rapporti concordatari la giurisdizione statale è tornata a espandersi in relazione al matrimonio concordatario come atto. Infatti, l'Accordo del 1984 (art. 8, l. n. 121/1985 interpretato dall'art. 4, lett. b, del Protocollo Addizionale) non ha riprodotto la norma sulla riserva di giurisdizione in favore dei tribunali ecclesiastici, fermo il dettato dell'art. 13, comma 1, l. n. 121/1985 secondo cui «le disposizioni del Concordato stesso non riprodotte nel presente testo sono abrogate». Il silenzio del legislatore concordatario sulla riserva a favore della giurisdizione ecclesiastica ha suscitato contrapposte tesi interpretative (tesi abrogazionista, tesi della separazione, tesi della concorrenza, tesi del riparto). Ma le Sezioni Unite della Cassazione (Cass., S.U., 13 febbraio 1993, n. 1824), argomentando dal dato testuale della mancata riproposizione della regola sulla riserva, hanno accolto la tesi della sua abrogazione ai sensi dell'art. 13 cit., ritenendo che ogni deroga alla giurisdizione, in quanto prerogativa indefettibile della sovranità dello Stato, sia eccezione e come tale debba essere espressa; infine, la Suprema Corte ha ammesso il concorso delle giurisdizioni statale ed ecclesiastica, da regolarsi sulla base del criterio della prevenzione. Quanto al diritto applicabile, la sentenza non prende posizione ma ammette la possibilità che il Giudice dello Stato si trovi a dover applicare il diritto canonico che regola il rapporto sostanziale, così come accade quando applica le norme di un altro ordinamento statale in base ad una norma di diritto internazionale privato. La giurisprudenza di merito, che si è consolidata nel senso indicato dalle Sezioni Unite, si è orientata a favore dell'applicabilità del diritto civile da parte del giudice dello Stato facendo proprie le perplessità della dottrina che paventava il contrasto con il principio di laicità e con il principio di separazione dell'ordine civile da quello religioso (Trib. Milano, 17 giugno 1996; Trib. Milano, 14 maggio 1998; Trib. Novara, 4 febbraio 2010; Cass., sez. I, 13 gennaio 2012, n. 386). Resta minoritaria la tesi opposta della sopravvivenza della riserva di giurisdizione, fondata principalmente sull'argomento che il riconoscimento di essa, anche se non espresso, si ricava dal complesso del sistema poiché costituisce il logico corollario del fatto che l'atto resta regolato nel momento genetico dal diritto canonico (tesi della “sopravvivenza logica” della riserva). In tal senso si pronuncia la Corte Costituzionale, seppure in un obiter dictum (Corte cost., 1 dicembre 1993, n. 421, in linea con la sua precedente giurisprudenza relativa però all'art. 34 del Concordato del 1929: Corte cost., 11 dicembre 1973, n. 176 e Corte cost., 2 febbraio 1982, n. 18), di scarso seguito (App. Torino, 29 aprile 1994 e App. Firenze, 21 maggio 1999; in un obiter dictum e minoritaria Cass., sez. I, 4 giugno 2012, n. 8926).

Con la legge istitutiva del divorzio del 1970, la giurisdizione dello Stato sul matrimonio concordatario come rapporto si è ampliata, oltre al giudizio sulla validità della trascrizione civile (e sulla separazione personale dei coniugi), anche a quello sulla cessazione degli effetti civili del vincolo canonico o scioglimento dello stesso (art. 2, l. 1 dicembre 1970, n. 898).

Per decenni tuttavia non si trattò di una giurisdizione esclusiva perché il Concordato del 1929 consentiva il riconoscimento agli effetti civili della dispensa rato et inconsummato, ossia del provvedimento canonico che dispone lo scioglimento del matrimonio validamente contratto e non consumato (art. 34, comma 4, Concordato 1929 e art. 17, l. n. 847/1929); si tratta di un aspetto significativo del carattere privilegiario dell'istituto, perché prima del 1970 era quello l'unico caso di divorzio ammesso nell'ordinamento dello Stato valevole solo per chi celebrasse il matrimonio concordatario. La storica sentenza Corte cost., 2 febbraio 1982, n.18 dichiarava, tra l'altro, l'illegittimità della disposizione concordataria de qua, permettendo alla giurisdizione dello Stato di affermarsi come esclusiva in ordine al matrimonio-rapporto; né l'Accordo vigente ha più previsto il riconoscimento agli effetti civili delle dispense super rato.

La citata decisione della Corte costituzionale rilevando come tale dispensasia emanata in esito ad un procedimento di natura amministrativa, ossia privo di quelle garanzie di difesa proprie dei procedimenti giurisdizionali, e dunque non riconoscibile agli effetti civili in quanto carente di natura giurisdizionale (contra App. Torino, 9 luglio 1996), appare oggi significativa in relazione al nuovo processus brevior di competenza del vescovo, introdotto con la recente riforma del diritto canonico matrimoniale (v. due Lettere Apostoliche M.P. Mitis judex Dominus Jesus e Mitis et Misericors Jesus del 15 agosto 2015, in vigore dall'8 dicembre 2015, can. 1683-1687 c.i.c.). Infatti, la dottrina ha adombrato che esso dia luogo ad un provvedimento avente natura più simile alla dispensa suddetta, che alla dichiarazione di nullità, trattandosi di procedimento non contenzioso fondato sull'accordo delle parti, in assenza di contraddittorio; per quanto rilevato dal giudice delle leggi, ne sarebbe dunque dubbia la delibabilità.

Ricapitolando, secondo la disciplina vigente lo Stato ha giurisdizione esclusiva sul matrimonio concordatario come rapporto, e cioè in relazione a:

1) trascrizione ( ex art. 16, l. n. 847/1929, che per le cause di impugnazione rinvia alle cause che impediscono la trascrizione, cui Corte cost., 11 marzo 1971, n. 32 aggiunge l'incapacità di intendere e di volere degli sposi; per mancanza del consenso comune e attuale delle parti, espresso o tacito, in caso di trascrizione tardiva e quando la celebrazione sia in forma speciale; con la pronuncia di nullità della trascrizione gli effetti civili del matrimonio canonico cessano ex tunc, più precisamente dalla data della avvenuta trascrizione, fatti salvi gli effetti del matrimonio putativo ex art. 18 l. n. 847/1929).

2) scioglimento (cessazione degli effetti civili del matrimonio canonico trascritto ex art. 2, l. n. 898/1970 e successive modifiche, per le medesime cause previste per lo scioglimento del matrimonio civile);

3) separazione personale dei coniugi (art. 19, comma 1, l. n. 847/1929);

4) riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche di nullità dei matrimoni canonici trascritti (art. 8, Accordo e art. 4, lett. b, del relativo Protocollo Addizionale).

In evidenza

Nel silenzio del legislatore concordatario, la giurisprudenza di legittimità ha affermato la sussistenza del concorso delle giurisdizioni di Stato e Chiesa sul matrimonio concordatario come atto; spetta, invece, allo Stato ha giurisdizione esclusiva in ordine al matrimonio concordatario come rapporto (e cioè sulla trascrizione, sullo scioglimento degli effetti civili del matrimonio canonico, sulla separazione personale dei coniugi, sul riconoscimento di effetti civili delle sentenze ecclesiastiche di nullità).

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