Annullamento del matrimonio

Andrea Conti
18 Ottobre 2022

Il Libro I, Titolo VI, Sezione VI, codice civile (artt. 117-129-bis c.c.) è rubricato “Della nullità del matrimonio” e disciplina le ipotesi di invalidità del vincolo matrimoniale.Tuttavia, secondo l'insegnamento della dottrina maggioritaria, il termine nullità è impiegato dal Legislatore in maniera atecnica, tanto che la normativa utilizza indistintamente i termini nullità ed annullamento, senza ricorrere alla rigida bipartizione conosciuta dalla disciplina contrattuale.
Inquadramento

Il Libro I, Titolo VI, Sezione VI, codice civile (artt. 117-129-bis c.c.) è rubricato “Della nullità del matrimonio” e disciplina le ipotesi di invalidità del vincolo matrimoniale.

Tuttavia, secondo l'insegnamento della dottrina maggioritaria, il termine nullità è impiegato dal Legislatore in maniera atecnica, tanto che la normativa utilizza indistintamente i termini nullità ed annullamento, senza ricorrere alla rigida bipartizione conosciuta dalla disciplina contrattuale.

Stante l'uso promiscuo ed atecnico, occorrerà verificare le singole ipotesi di invalidità previste nel Libro I, Titolo VI, Sezione VI per poter qualificare correttamente il tipo di azione esercitata, tenendo presente la tradizionale distinzione esegetica tra:

  1. matrimonio inesistente, in cui difettano i presupposti minimi per riconoscere il matrimonio come atto;
  2. matrimonio nullo, in cui si registra la violazione di una norma imperativa;
  3. matrimonio annullabile, in cui la violazione riguarda vizi sanabili;
  4. matrimonio irregolare, in cui la violazione della norma non afferisce al piano della validità.
Le ipotesi di invalidità di cui all'art. 117 c.c.
  • Le invalidità previste dall'art. 117, comma 1, c.c.

L'art. 117, comma 1, c.c. sancisce l'invalidità del vincolo matrimoniale nel caso in cui sia stato contratto in violazione delle norme – poste a tutela dell'ordine pubblico e di valori appartenenti al vivere sociale – in materia di:

  1. libertà di stato (cfr. art. 86 c.c.);
  2. vincoli di parentela, affinità, adozione (cfr. art. 87). Si noti che, ai sensi di quanto dispone l'art. 117, comma 4, c.c., nei casi in cui il matrimonio è stato celebrato tra affini in linea retta, zii e nipoti, affini in linea collaterale in secondo grado – ovvero nei casi in cui si sarebbe dovuta chiedere l'autorizzazione prescritta dall'art. 87, comma 4, c.c. – il matrimonio potrà essere impugnato solo decorso un anno dalla celebrazione;
  3. impedimento da delitto (cfr. art. 88 c.c.).

Laddove il matrimonio venga contratto non rispettando i limiti ed i vincoli imposti dalle predette norme, allora esso deve considerarsi affetto da nullità insanabile (cfr. Cass., 720/1986), ad eccezione delle ipotesi disciplinate dall'art. 117, comma 4, c.c. ove è più corretto parlare di annullabilità del matrimonio.

La legittimazione a far valere tale ipotesi di nullità è riservata ai coniugi, agli ascendenti prossimi ed al Pubblico Ministero. Inoltre, la legittimazione attiva è riconosciuta anche a tutti coloro che abbiamo un interesse legittimo ed attuale ad impugnarlo: sul punto la giurisprudenza (cfr. Cass., 10734/2010) ha precisato che devono essere fatte valere posizioni soggettive attinenti al complessivo assetto dei rapporti familiari sui quali il matrimonio viene ad incidere e che traggano un pregiudizio diretto ed immediato dal matrimonio stesso.

Da ultimo occorre ricordare che l'art. 558 c.p. punisce chiunque, nel contrarre matrimonio avente effetti civili, occulta all'altro, con mezzi fraudolenti, l'esistenza di un impedimento di cui agli artt. 84-89 c.c. – ad eccezione di quello derivante da un precedente matrimonio – nel caso in cui il matrimonio è annullato a causa dell'impedimento occultato.

  • L'art. 117, comma 2, c.c. ed il matrimonio del minorenne

L'art. 117, comma 2, c.c. prevede l'invalidità del matrimonio contratto in violazione dell'art. 84 c.c. ovvero nel caso in cui il coniuge sia un minore infrasedicenne ovvero ultrasedicenne ma non vi sia l'autorizzazione del Tribunale per i Minorenni. Tale forma di invalidità deve essere qualificata come un'ipotesi di annullabilità del vincolo matrimoniale.

La legittimazione a far valere tale ipotesi di invalidità è riconosciuta ai coniugi – e, dunque, anche al minorenne a cui è attribuita una particolare forma di capacità processuale –, a ciascuno dei genitori del minore ed al Pubblico Ministero.

La domanda del minore può essere proposta non oltre un anno dal raggiungimento della maggiore età; mentre l'azione promossa dai genitori ovvero dal Pubblico Ministero deve essere respinta, anche in pendenza del giudizio, nel caso in cui:

  1. il minore abbia raggiunto la maggiore età;
  2. vi sia stato concepimento o procreazione;
  3. in ogni caso sia accertata la volontà del minore di mantenere in vita il vincolo matrimoniale.

  • Le altre ipotesi di invalidità di cui all'art. 117 c.c.

L'art. 117 c.c. prevede inoltre che:

  1. il regime sopra descritto si applica anche nei casi di nullità del matrimonio disciplinate dall'art. 68 c.c. ovvero quando il matrimonio contratto dal coniuge della persona colpita da dichiarazione di morte presunta sia inficiato dal ritorno di quest'ultima e quindi dal venire meno dello stato di morte presunta (comma 5);
  2. il matrimonio del coniuge dell'assente produce regolarmente i suoi effetti, ma potrà essere impugnato nel momento in cui lo stato di assenza venga meno (comma 3).

  • Gli aspetti processuali

La domanda volta ad ottenere la dichiarazione di invalidità del matrimonio rientra nella compentenza del Tribunale Ordinario, in composizione collegiale, che dovrà essere individuato alla luce di quanto dispone l'art. 18 c.p.c.

Il Pubblico Ministero è considerato interveniente necessario ex art. 70 c.p.c.

Secondo la prevalente giurisprudenza il giudizio di nullità del matrimonio non incide sulla proponibilità o procedibilità della domanda di separazione personale dei coniugi e non determina l'obbligo di sospendere il relativo procedimento, ma spiega effetto su quest'ultimo solo quando, in pendenza dello stesso sopravvenga – anche in grado d'appello – una pronuncia definitiva che dichiari detta nullità. In tali casi, il giudice della separazione mantiene il potere-dovere di provvedere sugli effetti che derivino dal matrimonio (cfr. Cass. 1762/1975).

Il matrimonio dell'interdetto

L'art. 119 c.c. sancisce l'invalidità del matrimonio dell'interdetto per infermità mentale, il quale, a norma di quanto dispone l'art. 85 c.c., mancando della capacità di intendere e volere non potrà contrarre matrimonio in quanto privo della consapevolezza in ordine alle conseguenze, anche patrimoniali, dell'instaurazione di un rapporto familiare. Pertanto, essendo il matrimonio dell'interdetto caratterizzato da un vizio del consenso, il Legislatore ne sancisce l'annullabilità.

La norma in commento disciplina due diverse ipotesi:

  1. l'interdetto contrae matrimonio quando la sentenza di interdizione era già passata in giudicato: sul punto, nulla queastio, essendo evidente, già al momento della celebrazione del matrimonio, l'impossibilità dell'interdetto di palesare una volontà immune da vizi;
  2. l'interdizione viene dichiarata successivamente alla celebrazione del matrimonio, ma l'infermità esisteva già al tempo del matrimonio (cfr. Cass., 1039/2009 e Cass, 27564/2020). Sul punto, occorre ricordare che, promossa la domanda di interdizione, il pubblico ministero può chiedere che si sospenda la celebrazione del matrimonio (cfr. art. 85, comma 2, c.c.).

La legittimazione attiva a proporre l'azione di annullabilità è riconosciuta al tutore, al Pubblico Ministero, a tutti coloro che abbiano un interesse legittimo (cfr. Cass. 720/1986) – formula che, data la sua ampiezza, ricomprende anche i soggetti che, secondo l'art. 427 c.c., hanno legittimazione ad impugnare gli atti compiuti dall'interdetto, ma che non vengono espressamente richiamati dall'art. 119 c.c. – e, solo alla revoca della misura interdittiva, anche all'interdetto.

Tra i legittimati attivi non è ricompreso il coniuge dell'interdetto. Tuttavia, secondo una convincente tesi interpretativa, il coniuge dovrebbe rientrare nella categoria di “coloro che hanno un interesse legittimo” ovvero, diversamente argomentando, potrebbe impugnare il matrimonio ex art. 122 c.c., nel caso in cui questi ignorasse la condizione di interdizione del coniuge.

L'art. 119, comma 2, c.c. prevede che l'azione di annullabilità del matrimonio dell'interdetto non possa essere proposta nel caso in cui ricorrano due condizioni:

  1. l'interdizione sia stata revocata;
  2. vi sia stata coabitazione ininterrotta per un anno successivamente alla revoca dell'interdizione (cfr. Cass., 263/1972 e Cass., 3456/1971).

Infine, occorre ricordare che l'art. 119 c.c. è applicabile all'unione civile (cfr. art. 1, comma 20, l. 76/2016), mentre non è applicabile anche al soggetto sottoposto ad amministrazione di sostegno, il quale può liberamente contrarre matrimonio. Tuttavia, laddove l'amministrato ritenga di aver celebrato il matrimonio in un momento in cui fosse privo, anche transitoriamente, della capacità di intendere e di volere, allora potrà promuovere l'azione di cui all'art. 120 c.c. (si veda infra § 4), anche a mezzo dell'amministratore di sostegno che, però, dovrà essere previamente autorizzato dal Giudice Tutelare. Sul punto si ricordi che non sono legittimati alla proposizione dell'azione di annullamento del matrimonio gli eredi di chi, al momento delle nozze, versava in stato di incapacità naturale e sia deceduto senza aver proposto tale azione, prima della pronuncia dell'interdizione o della designazione dell'amministratore di sostegno (cfr. Cass., 14794/2014 e Cass., 11536/2017).

Il matrimonio dell'incapace di intendere e volere

L'art. 120 c.c. sancisce l'invalidità – rectius l'annullabilità – del matrimonio nel caso in cui sia contratto da colui che, pur non essendo interdetto, dimostri di essere stato incapace di intendere e volere al momento della celebrazione del matrimonio, per qualunque causa – evidentemente non percepita dall'Ufficiale di stato civile –, anche transitoria.

I presupposti dell'azione di annullamento sono:

  • lo stato di incapacità di intendere o di volere del nubendo. Sul punto si noti che, ai fini dell'annullamento del matrimonio per incapacità naturale, è sufficiente l'accertamento – ottenuto anche attraverso risultanze provenienti da altri procedimenti (cfr. Cass., 7482/1993 e Cass., 1039/2009) – di un perturbamento psichico, anche transitorio e non dipendente da una precisa forma patologica, tale da ridurre gravemente, pur senza farle venire completamente meno, le capacità intellettive e volitive (cfr. Cass. 9662/2003 e Cass., 20862/2021), e quindi da impedire o ostacolare una seria valutazione dei propri atti e la formazione di una cosciente volontà (cfr. Cass., 21493/2014 e Cass., 30646/2021). Nel caso in cui si accerti l'esistenza di una patologia mentale a carattere permanente, si verifica un'inversione dell'onere della prova, nel senso che incombe a chi abbia interesse a sostenere la validità dell'atto la dimostrazione che lo stesso fu posto in essere in una fase di lucido intervallo della malattia (cfr. Cass., 17130/2012);

  • l'assenza di coabitazione per un anno, dopo che il coniuge incapace ha recuperato la pienezza delle facoltà mentali (cfr. art. 120, comma 2, c.c.) (cfr. Cass., 1370/1985). Si tratta di una presunzione legale di rinnovazione del consenso matrimoniale per effetto della coabitazione.

Si noti che, a differenza del regime generale di annullabilità degli atti compiuti dall'incapace ex art. 428 c.c., non è richiesta la sussistenza del grave pregiudizio all'incapace e la riconoscibilità esterna dell'incapacità.

La legittimazione attiva è riconosciuta unicamente al coniuge incapace e la relativa azione ha carattere personale ed è trasmissibile agli eredi solo qualora il relativo giudizio sia già pendente al momento della morte di detto coniuge, il quale è titolare esclusivo del potere di decidere se impugnare il proprio matrimonio.

Infine, occorre ricordare che l'art. 120 c.c. è applicabile all'unione civile (cfr. art. 1, comma 20, l. 76/2016).

Il matrimonio ed i vizi del consenso alla luce dell'art. 122 c.c.

L'art. 122 c.c. sancisce l'annullabilità del matrimonio nel caso in cui il consenso prestato all'atto della celebrazione risulti viziato. In particolare, sono cause di annullabilità:

  1. la violenza (comma 1);
  2. il timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne (comma 1);
  3. l'errore sull'identità della persona dell'altro coniuge (comma 2);
  4. l'errore essenziale sulle qualità personali dell'altro coniuge (comma 2).

La legittimazione attiva è riconosciuta solo al coniuge il cui consenso si ritiene viziato (cfr. Cass., 7020/1983).

Si noti che l'azione di annullamento ex art. 122 c.c. non può essere proposta se vi è stata coabitazione per un anno dopo che siano cessate la violenza o le cause che hanno determinato il timore, ovvero sia stato scoperto l'errore. La giurisprudenza precisa che laddove la coabitazione risulti dagli atti, la decadenza della relativa azione può essere rilevata d'ufficio dal giudice, essendo la materia matrimoniale sottratta alla disponibilità delle parti (cfr. Cass., 18988/2011).

La violenza

L'annullabilità del matrimonio può essere ricondotta all'ipotesi in cui il consenso sia stato estorto con violenza. Rileva esclusivamente la violenza morale e non anche la violenza fisica che, invece, escludendo alla radice la sussistenza del consenso, determina la nullità del vincolo matrimoniale.

La nozione di violenza morale rilevante ex art. 122 c.c. coincide, almeno secondo la più accreditata dottrina, con il concetto di violenza espresso dall'art. 1435 c.c. in materia contrattuale e, pertanto, il nubendo deve subire una minaccia specificamente finalizzata ad estorcere il consenso alla conclusione del matrimonio – sia con riferimento all'an dell'atto, sia con riferimento alla scelta della controparte –, proveniente dalla controparte o da un terzo e di natura tale da incidere, con efficienza causale, sul determinismo del soggetto passivo, che in assenza della minaccia non avrebbe concluso il negozio. Inoltre, secondo la giurisprudenza (cfr. Trib. Monza, 10 ottobre 2005) la violenza deve possedere l'attitudine a far temere al nubendo un male ingiusto e notevole.

Secondo la giurisprudenza, si configura la violenza morale quando le nozze sono state contratte sotto minaccia del suicidio da parte del familiare ovvero di ricorrere alla pratica abortiva in caso di mancato consenso al matrimonio.

Il timore di eccezionale gravità

L'annullabilità del matrimonio può essere ricondotta all'ipotesi in cui il consenso è stato determinato da un timore di eccezionale gravità. Si tratta dell'ipotesi – priva di corrispondenti nel sistema negoziale e contrattuale – in cui il nubendo decide di contrarre il matrimonio al solo fine di evitare il verificarsi di una situazione che, senza la celebrazione delle nozze, si realizzerebbe, almeno secondo un alto tasso di probabilità. Vale la pena precisare che tale ipotesi di annullabilità si realizza solo se sussiste un nesso causale che avvince eziologicamente il timore alla celebrazione del matrimonio.

Il timore deve essere determinato da cause esterne al nubendo (come, ad esempio, il matrimonio contratto per sfuggire a persecuzioni politiche o razziali), mentre non rilevano gli stati d'animo interiori di avversione al matrimonio o di apprensione.

Il requisito della eccezionale gravità deve essere valutato sia con riferimento al timore in cui cade il nubendo – e, dunque, all'esito di una valutazione di tipo soggettivo – sia con riguardo alle cause esterne che lo hanno determinato.

L'errore

L'annullabilità del matrimonio può essere determinata nel caso in cui il consenso risulti fondato su un errore. L'art. 122, comma 2, c.c. prevede due ipotesi di errore rilevante: l'errore sull'identità della persona – ipotesi che comprende sia l'errore di persona, ma anche le ipotesi che riguardano, almeno secondo la più risalente giurisprudenza, gli attributi essenziali del coniuge, ma si tratta di un'ipotesi più che altro scolastica, essendo ipotizzabile nei casi di cecità ovvero nelle ipotesi di matrimonio per procura – e l'errore sulle qualità essenziali dell'altro coniuge.

L'art. 122, comma 3, c.c., occupandosi di quest'ultima categoria di errore, precisa che deve trattarsi di un errore essenziale ovvero di un errore che, tenuto presente le condizioni dell'altro coniuge, avrebbe condotto il nubendo a non prestare consenso se avesse esattamente conosciuto la qualità personale dell'altro coniuge.

Il carattere dell'essenzialità non è condizione necessaria e sufficiente a determinare l'annullabilità del vincolo matrimoniale in quanto, a mente di quanto dispone l'art. 122, comma 3, c.c. l'errore deve riguardare necessariamente una delle ipotesi elencate dal Legislatore. In particolare:

  • l'errore essenziale può ricadere sull'esistenza di una malattia fisica o psichica o di una anomalia o deviazione sessuale, tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale (art. 122, comma 3, n. 1 c.c.). L'esegesi maggioritaria adotta un'interpretazione restrittiva della norma con la conseguenza che la malattia o l'anomalia devono essere tali da costituire un impedimento oggettivo allo svolgimento della vita coniugale che non sia altrimenti superabile. Infatti, la giurisprudenza, da un lato, ha riconosciuto come oggettivamente rilevanti le ipotesi in cui l'errore aveva avuto ad oggetto la condizione di impotentia coeundi permanente del coniuge o il suo transessualismo (cfr. Cass. 3407/2013), mentre si dubita che l'errore essenziale possa sussistere anche nelle ipotesi di impotentia generandi stante la possibilità di ricorrere a terapie od a tecniche di procreazione medicalmente assistita. Appare invece preferibile l'orientamento interpretativo secondo cui l'ignoranza circa l'omosessualità del coniuge possa rilevare unicamente ai sensi dell'art. 122, comma 2, c.c. posto che l'“identità sessuale” del consorte ne indica uno degli aspetti che costituiscono, compongono, definiscono la sua identità complessiva, la specifica individualità, la sua soggettività (cfr. Trib. Milano 13 febbraio 2013).

Il coniuge che impugni il matrimonio per errore è gravato del relativo onere probatorio essendo tenuto a provare l'esistenza di una malattia fisica o psichica dell'altro coniuge e la mancata conoscenza della stessa prima della celebrazione del matrimonio, oltre che all'influenza di detta mancata conoscenza sul proprio consenso, mentre è rimesso al giudice l'apprezzamento della rilevanza della infermità ai fini dello svolgimento della vita familiare, in relazione alle normali aspettative del coniuge in errore, da valutare avendo riguardo alle condizioni, alla personalità, alla posizione sociale nonché ad ogni altra circostanza obiettiva emergente dagli atti, senza che possa, invece, attribuirsi rilievo ai semplici timori e reazioni dello stesso o ad altri aspetti personali (cfr. Cass., 4876/2006 e Cass., 3742/2017);

  • l'errore essenziale può ricadere sull'esistenza di una sentenza di condanna per delitto non colposo alla reclusione non inferiore a cinque anni, salvo che non sia intervenuta la riabilitazione prima della celebrazione del matrimonio (art. 122, comma 3, n. 2 c.c.), sulla dichiarazione di delinquenza abituale o professionale (art. 122, comma 3, n. 3 c.c.) o sulla condanna dell'altro coniuge condannato per delitti concernenti la prostituzione a pena non inferiore a due anni (art. 122, comma 3, n. 4 c.c.). Nelle ipotesi di cui all'art. 122, comma 3, n. 2 e 4, l'azione di annullamento – anche alla luce del principio costituzionale di non colpevolezza di cui all'art. 27, comma 2, Cost. – non può essere proposta prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile e la sentenza di condanna deve essere antecedente alla conclusione del matrimonio;

  • l'errore essenziale può ricadere sullo stato di gravidanza causato da una persona diversa dal soggetto caduto in errore a condizione che la gravidanza sia stata portata a termine. La norma prevede come ulteriore requisito la proposizione dell'azione di disconoscimento di cui all'art. 233 c.c., ma tale norma deve confrontarsi con il fatto che l'art. 233 c.c. è stato abrogato dall'art. 106, comma 1, lett. a), d.lgs. 154/2013.
La simulazione del vincolo matrimoniale: ipotesi di annullabilità?

L'art. 123, comma 1, c.c. prevede che il matrimonio potrà essere impugnato laddove gli sposi abbiano convenuto di non adempiere agli obblighi e di non esercitare i diritti da esso discendenti. La legittimazione ad impugnare è riconosciuta a ciascun coniuge, ma l'azione non può essere proposta decorso un anno dalla celebrazione del matrimonio ovvero nel caso in cui i contraenti abbiano convissuto come coniugi successivamente alla celebrazione del matrimonio (cfr. Cass., 16221/2015).

Benchè la norma abbia dato origine ad una pluralità contrastante di opinioni, appare preferibile ritenere si tratti di una disciplina della simulazione speciale ed autonoma rispetto a quella dettata dall'art. 1414 c.c. e che configuri una ulteriore ipotesi di annullabilità in considerazione della legittimazione attiva relativa riservata ai coniugi, della sanabilità del vizio per effetto del decorso del termine o la convivenza e della produzione degli effetti giuridici del matrimonio.

Infine, occorre ricordare che l'art. 123 c.c. è applicabile all'unione civile (cfr. art. 1, comma 20, l. 76/2016).

L'invalidità derivante da un precedente matrimonio

L'art. 124 c.c. precisa che il matrimonio contratto da chi sia vincolato da un precedente matrimonio è invalido, rectius nullo in quanto tale matrimonio viola principio inderogabile della materia matrimoniale rispondente all'ordine pubblico (cfr. Cass., 4567/1978).

L'azione impugnatoria che ne deriva risulta essere imprescrittibile (cfr. Cass., 2677/1984 e Cass., 629/1979) e nel caso in cui nel corso del giudizio volto ad ottenere la dichiarazione di invalidità del matrimonio ex art. 124 c.c. sorga una questione relativa alla nullità del matrimonio celebrato in precedenza dall'altro coniuge, tale questione – in quanto antecedente logico-giuridico – deve essere giudicata preventivamente.

Occorre notare una sovrapposizione tra l'art. 124 c.c. e l'art. 117, comma 1, c.c. – laddove sancisce l'invalidità del matrimonio contratto in violazione dell'art. 86 c.c. –, ma secondo la più attenta dottrina la norma conserverebbe una sua utilità laddove sancisce la pregiudizialità della questione di nullità del primo matrimonio che sarà regolato, processualmente, dagli artt. 34 e 295 c.p.c. (cfr. Cass., 1476/1962).

Gli aspetti processuali

L'art. 125 c.c. prevede che l'azione di nullità non può essere promossa dal Pubblico Ministero dopo la morte di uno dei coniugi (cfr. Cass., 4653/2018). Secondo la giurisprudenza la legittimazione attiva del Pubblico Ministero viene meno se la morte del coniuge sopraggiunga nel corso del giudizio da lui validamente instaurato che non può essere più proseguito (cfr. Cass. n. 2671/1955).

In base all'art. 126 c.c. il giudice, adito dalla domanda di nullità del matrimonio, possa ordinare, su istanza di uno dei coniugi od anche ex officio nel caso di minori o interdetti, la separazione temporanea dei coniugi nelle more del procedimento. Tale provvedimento ha natura cautelare ed efficacia condizionata nella misura in cui rimane assorbita dalla dichiarazione di nullità – che comporta la cessazione dell'obbligo di convivenza – ed è caducata dal rigetto della domanda di nullità che comporta il ripristino del vincolo matrimoniale e dei suoi conseguenti obblighi (cfr. Cass., 7549/2001).

Il provvedimento del giudice assume la forma dell'ordinanza, potrà essere richiesto contestualmente alla formulazione della domanda introduttiva del giudizio di nullità ovvero in un momento successivo e potrà essere impugnato attraverso il reclamo di cui all'art. 669-terdecies c.p.c. avanti al Tribunale in composizione collegiale.

Infine, occorre ricordare che l'art. 126 c.c. è applicabile all'unione civile (cfr. art. 1, comma 20, l. 76/2016).

L'art. 127 c.c. prevede che l'azione impugnatoria del vincolo matrimoniale sia trasferibile agli eredi se il giudizio risultava pendente al momento della morte dell'attore, prevedendo, in tal modo, un'eccezione al principio generale di intrasmissibilità dell'azione che ha, dunque, natura strettamente personale. La giurisprudenza ha chiarito che il terzo portatore di un interesse legittimo e attuale, avente diritto a proporre l'azione di nullità ex art. 117, comma 1, c.c., che sia anche erede di colui che abbia impugnato il matrimonio e sia deceduto in pendenza di giudizio, può proseguire iure hereditatis l'azione esperita dal de cuius, a prescindere dal fatto che abbia o meno esercitato l'azione diretta a lui spettante (cfr. Cass., 33409/2021).

L'art. 127 c.c. è applicabile all'unione civile (cfr. art. 1, comma 20, l. 76/2016).

Gli effetti del matrimonio nullo (rinvio)

Gli effetti del matrimonio dichiarato nullo sono disciplinati dagli artt. 128 – 129-bis c.c. per la cui disamina si rinvia ad A. Figone, voce Matrimonio putativo, in questa Rivista.

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