Annullamento del matrimonioFonte: Cod. Civ. Articolo 117
18 Ottobre 2022
Inquadramento
Il Libro I, Titolo VI, Sezione VI, codice civile (artt. 117-129-bis c.c.) è rubricato “Della nullità del matrimonio” e disciplina le ipotesi di invalidità del vincolo matrimoniale.
Tuttavia, secondo l'insegnamento della dottrina maggioritaria, il termine nullità è impiegato dal Legislatore in maniera atecnica, tanto che la normativa utilizza indistintamente i termini nullità ed annullamento, senza ricorrere alla rigida bipartizione conosciuta dalla disciplina contrattuale.
Stante l'uso promiscuo ed atecnico, occorrerà verificare le singole ipotesi di invalidità previste nel Libro I, Titolo VI, Sezione VI per poter qualificare correttamente il tipo di azione esercitata, tenendo presente la tradizionale distinzione esegetica tra:
L'art. 117, comma 1, c.c. sancisce l'invalidità del vincolo matrimoniale nel caso in cui sia stato contratto in violazione delle norme – poste a tutela dell'ordine pubblico e di valori appartenenti al vivere sociale – in materia di:
Laddove il matrimonio venga contratto non rispettando i limiti ed i vincoli imposti dalle predette norme, allora esso deve considerarsi affetto da nullità insanabile (cfr. Cass., 720/1986), ad eccezione delle ipotesi disciplinate dall'art. 117, comma 4, c.c. ove è più corretto parlare di annullabilità del matrimonio.
La legittimazione a far valere tale ipotesi di nullità è riservata ai coniugi, agli ascendenti prossimi ed al Pubblico Ministero. Inoltre, la legittimazione attiva è riconosciuta anche a tutti coloro che abbiamo un interesse legittimo ed attuale ad impugnarlo: sul punto la giurisprudenza (cfr. Cass., 10734/2010) ha precisato che devono essere fatte valere posizioni soggettive attinenti al complessivo assetto dei rapporti familiari sui quali il matrimonio viene ad incidere e che traggano un pregiudizio diretto ed immediato dal matrimonio stesso.
Da ultimo occorre ricordare che l'art. 558 c.p. punisce chiunque, nel contrarre matrimonio avente effetti civili, occulta all'altro, con mezzi fraudolenti, l'esistenza di un impedimento di cui agli artt. 84-89 c.c. – ad eccezione di quello derivante da un precedente matrimonio – nel caso in cui il matrimonio è annullato a causa dell'impedimento occultato.
L'art. 117, comma 2, c.c. prevede l'invalidità del matrimonio contratto in violazione dell'art. 84 c.c. ovvero nel caso in cui il coniuge sia un minore infrasedicenne ovvero ultrasedicenne ma non vi sia l'autorizzazione del Tribunale per i Minorenni. Tale forma di invalidità deve essere qualificata come un'ipotesi di annullabilità del vincolo matrimoniale. La legittimazione a far valere tale ipotesi di invalidità è riconosciuta ai coniugi – e, dunque, anche al minorenne a cui è attribuita una particolare forma di capacità processuale –, a ciascuno dei genitori del minore ed al Pubblico Ministero. La domanda del minore può essere proposta non oltre un anno dal raggiungimento della maggiore età; mentre l'azione promossa dai genitori ovvero dal Pubblico Ministero deve essere respinta, anche in pendenza del giudizio, nel caso in cui:
L'art. 117 c.c. prevede inoltre che:
La domanda volta ad ottenere la dichiarazione di invalidità del matrimonio rientra nella compentenza del Tribunale Ordinario, in composizione collegiale, che dovrà essere individuato alla luce di quanto dispone l'art. 18 c.p.c. Il Pubblico Ministero è considerato interveniente necessario ex art. 70 c.p.c. Secondo la prevalente giurisprudenza il giudizio di nullità del matrimonio non incide sulla proponibilità o procedibilità della domanda di separazione personale dei coniugi e non determina l'obbligo di sospendere il relativo procedimento, ma spiega effetto su quest'ultimo solo quando, in pendenza dello stesso sopravvenga – anche in grado d'appello – una pronuncia definitiva che dichiari detta nullità. In tali casi, il giudice della separazione mantiene il potere-dovere di provvedere sugli effetti che derivino dal matrimonio (cfr. Cass. 1762/1975).
L'art. 119 c.c. sancisce l'invalidità del matrimonio dell'interdetto per infermità mentale, il quale, a norma di quanto dispone l'art. 85 c.c., mancando della capacità di intendere e volere non potrà contrarre matrimonio in quanto privo della consapevolezza in ordine alle conseguenze, anche patrimoniali, dell'instaurazione di un rapporto familiare. Pertanto, essendo il matrimonio dell'interdetto caratterizzato da un vizio del consenso, il Legislatore ne sancisce l'annullabilità.
La norma in commento disciplina due diverse ipotesi:
La legittimazione attiva a proporre l'azione di annullabilità è riconosciuta al tutore, al Pubblico Ministero, a tutti coloro che abbiano un interesse legittimo (cfr. Cass. 720/1986) – formula che, data la sua ampiezza, ricomprende anche i soggetti che, secondo l'art. 427 c.c., hanno legittimazione ad impugnare gli atti compiuti dall'interdetto, ma che non vengono espressamente richiamati dall'art. 119 c.c. – e, solo alla revoca della misura interdittiva, anche all'interdetto.
Tra i legittimati attivi non è ricompreso il coniuge dell'interdetto. Tuttavia, secondo una convincente tesi interpretativa, il coniuge dovrebbe rientrare nella categoria di “coloro che hanno un interesse legittimo” ovvero, diversamente argomentando, potrebbe impugnare il matrimonio ex art. 122 c.c., nel caso in cui questi ignorasse la condizione di interdizione del coniuge.
L'art. 119, comma 2, c.c. prevede che l'azione di annullabilità del matrimonio dell'interdetto non possa essere proposta nel caso in cui ricorrano due condizioni:
Infine, occorre ricordare che l'art. 119 c.c. è applicabile all'unione civile (cfr. art. 1, comma 20, l. 76/2016), mentre non è applicabile anche al soggetto sottoposto ad amministrazione di sostegno, il quale può liberamente contrarre matrimonio. Tuttavia, laddove l'amministrato ritenga di aver celebrato il matrimonio in un momento in cui fosse privo, anche transitoriamente, della capacità di intendere e di volere, allora potrà promuovere l'azione di cui all'art. 120 c.c. (si veda infra § 4), anche a mezzo dell'amministratore di sostegno che, però, dovrà essere previamente autorizzato dal Giudice Tutelare. Sul punto si ricordi che non sono legittimati alla proposizione dell'azione di annullamento del matrimonio gli eredi di chi, al momento delle nozze, versava in stato di incapacità naturale e sia deceduto senza aver proposto tale azione, prima della pronuncia dell'interdizione o della designazione dell'amministratore di sostegno (cfr. Cass., 14794/2014 e Cass., 11536/2017). L'art. 120 c.c. sancisce l'invalidità – rectius l'annullabilità – del matrimonio nel caso in cui sia contratto da colui che, pur non essendo interdetto, dimostri di essere stato incapace di intendere e volere al momento della celebrazione del matrimonio, per qualunque causa – evidentemente non percepita dall'Ufficiale di stato civile –, anche transitoria.
I presupposti dell'azione di annullamento sono:
Si noti che, a differenza del regime generale di annullabilità degli atti compiuti dall'incapace ex art. 428 c.c., non è richiesta la sussistenza del grave pregiudizio all'incapace e la riconoscibilità esterna dell'incapacità.
La legittimazione attiva è riconosciuta unicamente al coniuge incapace e la relativa azione ha carattere personale ed è trasmissibile agli eredi solo qualora il relativo giudizio sia già pendente al momento della morte di detto coniuge, il quale è titolare esclusivo del potere di decidere se impugnare il proprio matrimonio.
Infine, occorre ricordare che l'art. 120 c.c. è applicabile all'unione civile (cfr. art. 1, comma 20, l. 76/2016). L'art. 122 c.c. sancisce l'annullabilità del matrimonio nel caso in cui il consenso prestato all'atto della celebrazione risulti viziato. In particolare, sono cause di annullabilità:
La legittimazione attiva è riconosciuta solo al coniuge il cui consenso si ritiene viziato (cfr. Cass., 7020/1983).
Si noti che l'azione di annullamento ex art. 122 c.c. non può essere proposta se vi è stata coabitazione per un anno dopo che siano cessate la violenza o le cause che hanno determinato il timore, ovvero sia stato scoperto l'errore. La giurisprudenza precisa che laddove la coabitazione risulti dagli atti, la decadenza della relativa azione può essere rilevata d'ufficio dal giudice, essendo la materia matrimoniale sottratta alla disponibilità delle parti (cfr. Cass., 18988/2011). La violenza
L'annullabilità del matrimonio può essere ricondotta all'ipotesi in cui il consenso sia stato estorto con violenza. Rileva esclusivamente la violenza morale e non anche la violenza fisica che, invece, escludendo alla radice la sussistenza del consenso, determina la nullità del vincolo matrimoniale.
La nozione di violenza morale rilevante ex art. 122 c.c. coincide, almeno secondo la più accreditata dottrina, con il concetto di violenza espresso dall'art. 1435 c.c. in materia contrattuale e, pertanto, il nubendo deve subire una minaccia specificamente finalizzata ad estorcere il consenso alla conclusione del matrimonio – sia con riferimento all'an dell'atto, sia con riferimento alla scelta della controparte –, proveniente dalla controparte o da un terzo e di natura tale da incidere, con efficienza causale, sul determinismo del soggetto passivo, che in assenza della minaccia non avrebbe concluso il negozio. Inoltre, secondo la giurisprudenza (cfr. Trib. Monza, 10 ottobre 2005) la violenza deve possedere l'attitudine a far temere al nubendo un male ingiusto e notevole.
Secondo la giurisprudenza, si configura la violenza morale quando le nozze sono state contratte sotto minaccia del suicidio da parte del familiare ovvero di ricorrere alla pratica abortiva in caso di mancato consenso al matrimonio.
L'annullabilità del matrimonio può essere ricondotta all'ipotesi in cui il consenso è stato determinato da un timore di eccezionale gravità. Si tratta dell'ipotesi – priva di corrispondenti nel sistema negoziale e contrattuale – in cui il nubendo decide di contrarre il matrimonio al solo fine di evitare il verificarsi di una situazione che, senza la celebrazione delle nozze, si realizzerebbe, almeno secondo un alto tasso di probabilità. Vale la pena precisare che tale ipotesi di annullabilità si realizza solo se sussiste un nesso causale che avvince eziologicamente il timore alla celebrazione del matrimonio.
Il timore deve essere determinato da cause esterne al nubendo (come, ad esempio, il matrimonio contratto per sfuggire a persecuzioni politiche o razziali), mentre non rilevano gli stati d'animo interiori di avversione al matrimonio o di apprensione.
Il requisito della eccezionale gravità deve essere valutato sia con riferimento al timore in cui cade il nubendo – e, dunque, all'esito di una valutazione di tipo soggettivo – sia con riguardo alle cause esterne che lo hanno determinato.
L'annullabilità del matrimonio può essere determinata nel caso in cui il consenso risulti fondato su un errore. L'art. 122, comma 2, c.c. prevede due ipotesi di errore rilevante: l'errore sull'identità della persona – ipotesi che comprende sia l'errore di persona, ma anche le ipotesi che riguardano, almeno secondo la più risalente giurisprudenza, gli attributi essenziali del coniuge, ma si tratta di un'ipotesi più che altro scolastica, essendo ipotizzabile nei casi di cecità ovvero nelle ipotesi di matrimonio per procura – e l'errore sulle qualità essenziali dell'altro coniuge.
L'art. 122, comma 3, c.c., occupandosi di quest'ultima categoria di errore, precisa che deve trattarsi di un errore essenziale ovvero di un errore che, tenuto presente le condizioni dell'altro coniuge, avrebbe condotto il nubendo a non prestare consenso se avesse esattamente conosciuto la qualità personale dell'altro coniuge.
Il carattere dell'essenzialità non è condizione necessaria e sufficiente a determinare l'annullabilità del vincolo matrimoniale in quanto, a mente di quanto dispone l'art. 122, comma 3, c.c. l'errore deve riguardare necessariamente una delle ipotesi elencate dal Legislatore. In particolare:
Il coniuge che impugni il matrimonio per errore è gravato del relativo onere probatorio essendo tenuto a provare l'esistenza di una malattia fisica o psichica dell'altro coniuge e la mancata conoscenza della stessa prima della celebrazione del matrimonio, oltre che all'influenza di detta mancata conoscenza sul proprio consenso, mentre è rimesso al giudice l'apprezzamento della rilevanza della infermità ai fini dello svolgimento della vita familiare, in relazione alle normali aspettative del coniuge in errore, da valutare avendo riguardo alle condizioni, alla personalità, alla posizione sociale nonché ad ogni altra circostanza obiettiva emergente dagli atti, senza che possa, invece, attribuirsi rilievo ai semplici timori e reazioni dello stesso o ad altri aspetti personali (cfr. Cass., 4876/2006 e Cass., 3742/2017);
L'art. 123, comma 1, c.c. prevede che il matrimonio potrà essere impugnato laddove gli sposi abbiano convenuto di non adempiere agli obblighi e di non esercitare i diritti da esso discendenti. La legittimazione ad impugnare è riconosciuta a ciascun coniuge, ma l'azione non può essere proposta decorso un anno dalla celebrazione del matrimonio ovvero nel caso in cui i contraenti abbiano convissuto come coniugi successivamente alla celebrazione del matrimonio (cfr. Cass., 16221/2015).
Benchè la norma abbia dato origine ad una pluralità contrastante di opinioni, appare preferibile ritenere si tratti di una disciplina della simulazione speciale ed autonoma rispetto a quella dettata dall'art. 1414 c.c. e che configuri una ulteriore ipotesi di annullabilità in considerazione della legittimazione attiva relativa riservata ai coniugi, della sanabilità del vizio per effetto del decorso del termine o la convivenza e della produzione degli effetti giuridici del matrimonio.
Infine, occorre ricordare che l'art. 123 c.c. è applicabile all'unione civile (cfr. art. 1, comma 20, l. 76/2016).
L'art. 124 c.c. precisa che il matrimonio contratto da chi sia vincolato da un precedente matrimonio è invalido, rectius nullo in quanto tale matrimonio viola principio inderogabile della materia matrimoniale rispondente all'ordine pubblico (cfr. Cass., 4567/1978).
L'azione impugnatoria che ne deriva risulta essere imprescrittibile (cfr. Cass., 2677/1984 e Cass., 629/1979) e nel caso in cui nel corso del giudizio volto ad ottenere la dichiarazione di invalidità del matrimonio ex art. 124 c.c. sorga una questione relativa alla nullità del matrimonio celebrato in precedenza dall'altro coniuge, tale questione – in quanto antecedente logico-giuridico – deve essere giudicata preventivamente.
Occorre notare una sovrapposizione tra l'art. 124 c.c. e l'art. 117, comma 1, c.c. – laddove sancisce l'invalidità del matrimonio contratto in violazione dell'art. 86 c.c. –, ma secondo la più attenta dottrina la norma conserverebbe una sua utilità laddove sancisce la pregiudizialità della questione di nullità del primo matrimonio che sarà regolato, processualmente, dagli artt. 34 e 295 c.p.c. (cfr. Cass., 1476/1962). Gli aspetti processuali
L'art. 125 c.c. prevede che l'azione di nullità non può essere promossa dal Pubblico Ministero dopo la morte di uno dei coniugi (cfr. Cass., 4653/2018). Secondo la giurisprudenza la legittimazione attiva del Pubblico Ministero viene meno se la morte del coniuge sopraggiunga nel corso del giudizio da lui validamente instaurato che non può essere più proseguito (cfr. Cass. n. 2671/1955).
In base all'art. 126 c.c. il giudice, adito dalla domanda di nullità del matrimonio, possa ordinare, su istanza di uno dei coniugi od anche ex officio nel caso di minori o interdetti, la separazione temporanea dei coniugi nelle more del procedimento. Tale provvedimento ha natura cautelare ed efficacia condizionata nella misura in cui rimane assorbita dalla dichiarazione di nullità – che comporta la cessazione dell'obbligo di convivenza – ed è caducata dal rigetto della domanda di nullità che comporta il ripristino del vincolo matrimoniale e dei suoi conseguenti obblighi (cfr. Cass., 7549/2001).
Il provvedimento del giudice assume la forma dell'ordinanza, potrà essere richiesto contestualmente alla formulazione della domanda introduttiva del giudizio di nullità ovvero in un momento successivo e potrà essere impugnato attraverso il reclamo di cui all'art. 669-terdecies c.p.c. avanti al Tribunale in composizione collegiale.
Infine, occorre ricordare che l'art. 126 c.c. è applicabile all'unione civile (cfr. art. 1, comma 20, l. 76/2016).
L'art. 127 c.c. prevede che l'azione impugnatoria del vincolo matrimoniale sia trasferibile agli eredi se il giudizio risultava pendente al momento della morte dell'attore, prevedendo, in tal modo, un'eccezione al principio generale di intrasmissibilità dell'azione che ha, dunque, natura strettamente personale. La giurisprudenza ha chiarito che il terzo portatore di un interesse legittimo e attuale, avente diritto a proporre l'azione di nullità ex art. 117, comma 1, c.c., che sia anche erede di colui che abbia impugnato il matrimonio e sia deceduto in pendenza di giudizio, può proseguire iure hereditatis l'azione esperita dal de cuius, a prescindere dal fatto che abbia o meno esercitato l'azione diretta a lui spettante (cfr. Cass., 33409/2021).
L'art. 127 c.c. è applicabile all'unione civile (cfr. art. 1, comma 20, l. 76/2016). |