Matrimonio civile: nullità, inesistenza, annullabilitàFonte: Cod. Civ. Articolo 117
30 Aprile 2015
Inquadramento
Il matrimonio, per il diritto civile, si configura come un negozio giuridico, il cui elemento costitutivo è rappresentato dalla volontà delle parti di assumere il vincolo, mentre gli effetti sono disciplinati per legge: si distingue così fra “matrimonio atto” e “matrimonio rapporto”. A base del matrimonio vi è il consenso, che deve essere libero e provenire da persona capace di comprendere le conseguenze dell'atto. Nel contempo l'ordinamento prevede una serie di impedimenti alle nozze, per la tutela di interessi pubblici. La mancanza di consenso, come pure la violazione di norme imperative danno luogo ad un vizio che incide sulla validità del matrimonio, che dovrà essere accertato in sede giudiziale. La disciplina delle invalidità del matrimonio, di cui agli artt. 117 ss. c.c. diverge sensibilmente da quella del contratto, sotto il profilo delle cause e degli effetti. In materia contrattuale, infatti, netta è la distinzione tra nullità ed annullabilità, altrettanto non è per il matrimonio civile, ove la terminologia viene utilizzata in modo promiscuo, facendosi anche riferimento alla categoria processuale dell'impugnazione del matrimonio stesso. La dottrina ha proposto varie classificazioni generali delle cause di invalidità; pare più opportuno fare riferimento caso per caso alle singole fattispecie, individuate dalla norma. Accanto ad esse, si sono elaborate fattispecie di matrimonio inesistente, che non potrebbe mai essere convalidato, non beneficerebbe degli effetti del matrimonio putativo ed escluderebbe il reato di bigamia, in caso di nozze successive; si tratta di matrimoni contratti senza alcuna volontà, in presenza di una fasulla celebrazione e di documenti falsi (Cass. 22 febbraio 1990, n. 1304). Inizialmente si riteneva inesistente il matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma la più recente giurisprudenza italiana, in relazione a matrimoni contratti all'estero, lo ha ricondotto alla differente categoria dell'inefficacia (Cass. 15 marzo 2012, n. 4184; Cass. 9 febbraio 2015, n. 2400). Talvolta si parla anche di matrimonio irregolare, in presenza di violazioni di norme che non incidono sulla validità del matrimonio, ma possono dar luogo a sanzioni amministrative (si pensi all'inosservanza del c.d. lutto vedovile ex art. 89 c.c.).
L'art. 117 c.c. individua bigamia, incesto e delitto come le cause più gravi di nullità del matrimonio, in quanto in contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento, quali la monogamia, l'esogamia e la tutela dell'integrità fisica, tanto da assumere rilevanza anche sotto il profilo penale (artt. 556, 564, 575 c.p.). Si giustifica così l'ampia legittimazione all'impugnazione, estesa anche al pubblico ministero. L'interesse, che può legittimare ad agire soggetti diversi dai coniugi e dai prossimi ascendenti, deve essere concreto ed attuale, di natura morale, ma pure economica; legittimati possono essere i parenti di uno degli sposi (quando ad es. il matrimonio invalido renda più difficile l'adempimento del genitore verso i figli o comporti pregiudizi di natura successoria: Cass. 4 febbraio 2010, n. 10734), ma pure terzi, ove l'interesse sia ritenuto rilevante dal giudice (Cass. 6 febbraio 1986, n. 720 ha così escluso la legittimazione dell'ente previdenziale, tenuto ad erogare trattamenti pensionistici sulla base dello status di coniuge del beneficiario; contra Trib. Milano 18 settembre 1981). Si esclude comunque legittimazione in capo ai creditori di uno dei coniugi. Perché sussista bigamia è necessaria l'esistenza di un precedente matrimonio, riconosciuto valido dal diritto italiano, a prescindere dalla relativa trascrizione nei registri dello stato civile, che ha valore dichiarativo e non già costitutivo. Per quanto attiene all'impedimento da delitto, controverso è se la sentenza di condanna, cui fa riferimento l'art. 117 c.c. debba essere sempre anteriore alla celebrazione del matrimonio, ovvero possa intervenire successivamente. Contrariamente ad altre forme di invalidità, l'ordinamento, nei casi in esame, non prevede alcun termine di decadenza per l'impugnazione del matrimonio. Per quanto attiene la prescrizione dell'azione, la disciplina è assai lacunosa: l'art. 124 c.c. si limita a stabilire l'imprescrittibilità dell'azione promossa dal coniuge per far pronunciare la nullità del matrimonio dell'altro, mentre nulla dispone per gli altri legittimati. La dottrina è divisa, mentre la giurisprudenza si è pronunciata in favore dell'imprescrittibilità (Cass. 12 ottobre 1978, n. 5657; Cass. 29 gennaio 1979, n. 629). L'art. 87 c.c. fa derivare dalla parentela, affinità ed adozione precisi impedimenti matrimoniali, alcuni assoluti, altri superabili con un provvedimento autorizzatorio del tribunale. Se l'impedimento è assoluto, il matrimonio è nullo e la relativa azione è imprescrittibile; se è relativo, il matrimonio è annullabile. In questo secondo caso è prevista una particolare forma di convalida, posto che il matrimonio non può essere impugnato dopo un anno dalla celebrazione; non è richiesto dunque che tra i coniugi sia intercorsa coabitazione. A seguito della novella dell'art. 74 c.c., la parentela assume rilevanza a prescindere dal fatto che la nascita sia avvenuta all'interno, ovvero al di fuori del matrimonio. Matrimonio del minore
Il matrimonio può essere impugnato, se contratto dal minore infrasedicenne, ovvero da quello che abbia già raggiunto i 16 anni, ma non sia stato autorizzato preventivamente dal giudice ex art. 74 c.c.. La legittimazione compete in primo luogo a ciascuno dei coniugi, e quindi anche personalmente al minore. Legittimato all'azione è pure il coniuge del minore, sia esso maggiorenne, ovvero minorenne; si discute in dottrina se rilevi o meno la conoscenza della minore età dell'altro. Anche i genitori sono legittimati all'impugnazione ed è da ritenere che tale potere competa solo se il figlio sia di età minore. Altro legittimato è il pubblico ministero. Per tutelare la stabilità della famiglia nel frattempo costituita è peraltro prevista una specifica decadenza: il minore non può proporre l'azione, decorso un anno dal raggiungimento della maggiore età. Si discute se detto termine decadenziale operi per tutti i soggetti legittimati: la soluzione positiva pare preferibile, stante la finalità della previsione, rappresentata dalla sanatoria del “matrimonio rapporto” rispetto al “matrimonio atto”. La domanda, avanzata dai genitori o dal pubblico ministero, deve essere respinta, ove anche in pendenza di giudizio, il minore abbia raggiunto la maggiore età, ovvero vi sia stato concepimento o procreazione, sempre che sussista la volontà del minore di mantenere in vita il vincolo matrimoniale. Il coniuge della persona di cui è stata dichiarata l'assenza non può contrarre regolare matrimonio, se non dopo che sia intervenuta la dichiarazione di morte presunta. Eventuali nozze, che dovessero essere contratte eludendo l'art. 86 c.c., non potrebbero essere comunque impugnate fino a quando dura l'assenza: si vuole in questo modo salvaguardare un vincolo, che potrebbe successivamente consolidarsi nella perduranza di mancanza di notizie dello scomparso. Quel matrimonio, dunque, entra in uno stato di quiescenzae potrà essere impugnato, dai soggetti indicati dall'art. 117 comma 1 c.c. ove risulti l'esistenza in vita dell'assente. Interdizione
L'interdetto giudiziale, contrariamente all'interdetto legale, non può contrarre matrimonio ex art. 85 c.c.. L'interdizione fornisce una prova precostituita di incapacità, sicché risulta irrilevante accertare se le nozze siano state celebrate durante un “lucido intervallo”. In base all'art. 119 c.c., il matrimonio può essere impugnato anche se la pronuncia di interdizione fosse successiva alle nozze, ove, già a quel momento, risultasse lo stato di infermità mentale. Il convincimento del giudice potrebbe fondarsi anche su prove raccolte in altri giudizi, ed in particolare sulla CTU nel procedimento di interdizione (Cass. 18 gennaio 2009, n. 1039). La disciplina diverge rispetto a quella di cui all'art. 427 c.c. per gli atti a contenuto patrimoniale. Anche il novero dei soggetti legittimati all'impugnazione del matrimonio è più ampio rispetto a quanto dispone la norma da ultimo citata, ricomprendendo il tutore, il pubblico ministero e coloro che abbiano un interesse legittimo all'annullamento. Controversa è in dottrina la legittimazione del coniuge dell'interdetto; quest'ultimo potrà comunque agire personalmente, una volta revocata l'interdizione, anche con eventuale sottoposizione a misura meno invasiva (inabilitazione, amministrazione di sostegno). La coabitazione, protratta per un anno dopo la revoca dell'interdizione, ha efficacia sanante. La coabitazione non si esaurisce peraltro in una mera convivenza sotto lo stesso tetto, ma presuppone una comunione di vita, sorretta dall'elemento materiale e spirituale; essa deve essere ininterrotta (Cass. 7 agosto 1972, n. 2033). Ove non si verifichi la circostanza suddetta, l'azione di annullamento si prescrive nel termine ordinario di 10 anni, che decorre dalla celebrazione del matrimonio o dal passaggio in giudicato della sentenza di revoca dell'interdizione, ove a promuoverla sia l'incapace (Cass. 26 novembre 1971, n. 3456). L'art. 120 c.c. prevede che possa essere impugnato il matrimonio di chi, al momento della celebrazione versasse in condizione di incapacità di intendere e volere, anche se non interdetto. L'ordinamento non offre tutela all'affidamento dell'altro coniuge, che possa aver confidato sulla validità del matrimonio. Diversa è dunque l'azione rispetto a quanto disposto dall'art. 428 c.c., per gli atti a contenuto patrimoniale, posti in essere dall'incapace. Legittimato ad agire è esclusivamente il coniuge incapace; se peraltro questi dovesse essere successivamente dichiarato interdetto, la legittimazione spetterà pure al tutore. Nessuna legittimazione è concessa al coniuge; in giurisprudenza si ritiene che questa limitazione non sia di ordine pubblico, onde colui che abbia subito, in sede ecclesiastica, una decisione di nullità del vincolo per incapacità dell'altro, potrà instaurare il procedimento di delibazione (Cass. 1° agosto 1986, n. 1910). La coabitazione da oltre un anno, dopo che l'incapace ha ripreso pieno possesso delle sue facoltà mentali, si pone come causa di decadenza dalla domanda. Non è sufficiente peraltro una mera coabitazione, essendo necessaria una convivenza, caratterizzata, nei rapporti interni ed esterni, della coppia di voler vivere come coniugi. Si discute se la decadenza sia o meno di ordine pubblico e se possa essere rilevata ex officio. La disciplina dei vizi della volontà, quale causa legittimante l'impugnazione del matrimonio, diverge da quella del contratto; non viene infatti preso in considerazione il dolo, né l'errore su circostanze differenti da quelle contemplate dall'art. 122 c.c., ove si attribuisce rilevanza al timore di eccezionale gravità. Ladefinizione di violenza è mutuata dall'art. 1434 c.c., dovendosi fare riferimento alla minaccia di un male ingiusto e notevole, prospettata dal futuro sposo o da altri soggetti, in caso di mancata celebrazione; occorre peraltro maggiormente valutare anche le condizioni personali di chi contrae le nozze, stante la natura personale dell'atto di matrimonio. Al contrario della violenza, il timore reverenziale consegue a cause esterne, che non lasciano altra alternativa che le nozze (può pensarsi al matrimonio di colui che vuole sfuggire ad un contesto ambientale, sociale o familiare insostenibile, ma pure di chi sposi nel timore che, in caso di rifiuto, il partner potrebbe porre in essere atti anticonservativi). Non ogni forma di errore, ossia di distorta percezione del vero, può dar luogo all'impugnazione del matrimonio. L'art. 122 comma 2 c.c. individua innanzitutto l'errore sull'identità della persona, fattispecie assai poco praticata (si pensi al caso di uno scambio tra gemelli, piuttosto che ad un matrimonio per procura, senza che mai i nubendi avessero avuto ad incontrarsi in precedenza). Si fa poi riferimento all'errore essenziale su qualità personali dell'altro coniuge, di cui al comma 3, che introduce al riguardo un'elencazione tassativa degli elementi su cui deve vertere. L'errore è essenziale quando con una valutazione incentrata sul singolo caso concreto, risulti che lo sposo non avrebbe contratto le nozze, ove ne fosse stato esattamente a conoscenza. Al contrario di quanto previsto dalla disciplina dei contratti, non si richiede che l'errore sia anche riconoscibile, essendo attribuita maggior rilevanza alla libera manifestazione della libertà matrimoniale rispetto all'affidamento ingenerato nell'altro sposo. L'errore è essenziale quando riguarda: a) l'esistenza di una malattia fisica o psichica o di un'anomalia, che impedisca lo svolgimento della vita coniugale. È pacifico che l'errore non abbia a riguardare la diagnosi, quanto i sintomi della malattia, che comunque deve necessariamente preesistere alle nozze. Alquanto ampia la casistica; tra le anomalie in esame, si fa rientrare anche il mutamento di sesso del coniuge o la sua omosessualità, anche se più opportuno sarebbe richiamare la disciplina dell'errore sull'identità della persona (App. Bari 3 marzo 2000). La sterilità di uno dei coniugi non rappresenta di per sé motivo di invalidità del matrimonio civile, che non è finalizzato alla procreazione, potendo, se mai dar luogo, alla separazione personale, ovvero ad un divorzio immediato, in caso di mancata consumazione del matrimonio, ma pure ad un'eventuale pronuncia di risarcimento danni, qualora la circostanza fosse stata colpevolmente sottaciuta o negata, prima delle nozze; b) una condanna penale di una certa gravità, per la pena irrogata o per il titolo delittuoso, intervenuta prima del matrimonio, ancorché passata in giudicato pure in epoca successiva, salvo gli effetti della riabilitazione; si tratta di fattispecie che potrebbero legittimare anche una domanda di divorzio immediato; c) la dichiarazione di delinquenza abituale o professionale; d) la paternità del figlio di cui la futura sposa è incinta (è il classico caso del matrimonio riparatore); nel caso in cui la gravidanza sia portata a termine, l'annullamento del matrimonio è subordinato all'esito vittorioso dell'azione di disconoscimento di paternità. Nessuna preclusione sussiste in caso di aborto o di falsa rappresentazione sullo stato di gravidanza da parte della sposa. Simulazione
La simulazione rilevante in ambito matrimoniale è quella assoluta; l'art. 122 c.c. prevede infatti che il matrimonio possa essere impugnato ove gli sposi abbiano convenuto di non adempiere agli obblighi e di non esercitare i diritti da esso derivanti. La simulazione presuppone dunque un accordo, incompatibile con la riserva mentale, anche bilaterale. La casistica è alquanto variegata; tipici peraltro i casi in cui le parti contraggono matrimonio solo per poter beneficiare di agevolazioni che la legge attribuisce ai coniugi: cittadinanza, permesso di soggiorno, trattamenti pensionistici, ecc.. La legittimazione ad agire in giudizio è attribuita ai soli coniugi. Dottrina e giurisprudenza ritengono che la prova possa essere fornita con ogni mezzo e, quindi, anche per testimoni, senza i limiti di cui all'art. 1417 c.c.. L'azione è soggetta ad un rigoroso termine di decadenza; essa infatti non è più proponibile dopo un anno dalla celebrazione delle nozze, ovvero qualora gli sposi abbiano convissuto come coniugi, dopo la celebrazione stessa. Si tratta di due previsioni autonome e distinte: la prima attiene all'apposizione di un limite temporale all'azione, mentre la seconda assegna rilevanza sanante al “matrimonio rapporto” rispetto al “matrimonio atto” (Cass. 3 febbraio 1988, n. 1262). Si discute se la decadenza in esame sia di ordine pubblico e se possa essere dichiarata dal giudice, anche in difetto di eccezione di parte. Procedimento
Il procedimento per invalidare il matrimonio è di tipo ordinario contenzioso; l'atto introduttivo riveste la forma della citazione. La competenza è del tribunale in composizione collegiale. La competenza territoriale si determina sulla base del principio generale di cui all'art. 18 c.p.c.. La giurisdizione andrà accertata secondo le regole comuni (art. 3 l. 31 maggio 1995, n. 218) o quelle speciali, previste per i Paesi dell'Unione europea di cui al regolamento (CE) n. 2201/2003. Quanto alla legge applicabile, troveranno applicazione gli artt. 27 e 28 della l. n. 218/1995, non potendosi fare riferimento al regolamento (UE) n. 1259/2010, che esclude dal suo ambito di operatività le controversie di annullamento del matrimonio. La legittimazione attiva si individua in relazione alle specifiche cause di invalidità che sono dedotte. Nel procedimento è obbligatorio l'intervento del pubblico ministero, salvo che quegli abbia già esercitato l'azione, ove legittimato. Va rammentato che, in base all'art. 125 c.c., l'azione del pubblico ministero non può essere promossa dopo la morte di uno dei coniugi. Si è affermato che, ove il decesso intervenisse nel corso di un giudizio radicato dal p.m., questi nemmeno potrebbe riassumerlo, con conseguente estinzione del procedimento (Cass. 28 settembre 1955, n. 2671). L'azione per impugnare il matrimonio non si trasmette agli eredi, avendo natura strettamente personale, come prevede l'art. 127 c.c.. Gli stessi peraltro possono proseguire l'azione già promossa dal loro dante causa, nel frattempo deceduto. Nel caso di pluralità di eredi, si ritiene sufficiente che il procedimento venga riassunto da uno solo di essi. Se invece dovesse decedere il coniuge convenuto, l'attore ben potrebbe riassumerlo nei confronti degli eredi. La separazione temporanea
Il giudice, investito della domanda di impugnazione di un matrimonio, ai sensi dell'art. 126 c.c., può disporre la separazione temporanea dei coniugi durante il giudizio. Si tratta di un provvedimento (collegiale) di natura interinale e provvisoria, che presuppone l'intollerabilità della convivenza e produce gli stessi effetti dell'ordinanza presidenziale in sede di giudizio di separazione personale ex art. 708 c.p.c.. Il giudice potrà quantificare anche un contributo al mantenimento per il coniuge e per i figli, i quali comunque, di regola, nessun pregiudizio devono risentire dall'invalidità del matrimonio fra i genitori. L'estinzione del procedimento di invalidità matrimoniale (per abbandono o rinuncia delle parti) non determina la sopravvivenza del provvedimento provvisorio, in difetto di una norma corrispondente a quella di cui all'art. 189 comma 2 c.p.c. per la separazione personale. Casistica
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