Crisi bancarieFonte: Dir. 15 maggio 2014 n. 59
24 Febbraio 2016
Inquadramento
La disciplina italiana delle crisi bancarie è stata profondamente innovata per effetto del recepimento della direttiva 2014/59/UE (c.d. BRRD). Alla base del nuovo quadro normativo vi è una scelta politica chiara: i costi delle crisi bancarie non possono più gravare sui bilanci pubblici, ma devono ricadere, in primis, sugli azionisti e sui creditori (con alcune opportune eccezioni, tra cui i titolari di depositi “protetti”). Il trattamento assicurato a ciascun azionista e creditore deve comunque essere almeno pari a quanto gli sarebbe spettato se la banca fosse stata sottoposta a liquidazione coatta amministrativa. Il nuovo assetto è dunque volto a rendere possibile, nel rispetto di tale fondamentale scelta, una gestione ordinata delle crisi bancarie che non metta a rischio la stabilità del sistema finanziario. Ciò avviene su tre livelli: pianificazione delle crisi bancarie, intervento precoce e risoluzione. Nell'ambito della pianificazione si collocano i piani di risanamento, i piani di risoluzione e gli accordi di sostegno finanziario infragruppo. Le misure di intervento precoce consentono, poi, di affrontare crisi di minore gravità, che possono essere superate, ad esempio, ordinando alla banca di dare attuazione al piano di risanamento da essa predisposto, rimuovendo gli amministratori o disponendo l'amministrazione straordinaria. Ove tali misure non siano ritenute sufficienti e la liquidazione coatta amministrativa appaia non praticabile senza mettere a rischio la stabilità del sistema finanziario (come, spesso, accade stante l'impossibilità di ricorrere a fondi pubblici), la banca può essere sottoposta a risoluzione con l'applicazione di uno o più dei seguenti strumenti: cessione ad un soggetto terzo, creazione di un ente-ponte, cessione a una società veicolo per la gestione di attività e bail-in. Durante la recente crisi finanziaria è emerso chiaramente il contrasto tra la natura spesso globale dell'attività bancaria e la gestione strettamente nazionale delle crisi bancarie. In risposta, il legislatore europeo ha approntato un organico sistema di relazioni tra autorità nazionali ed europee che va sotto il nome di Unione Bancaria. Con esso è stato previsto che, nell'ambito dell'Eurozona, le banche stabilite negli Stati membri:
Per le banche aventi sede in Italia e non sottoposte alla vigilanza diretta della BCE, si è previsto che la Banca d'Italia, con strutture separate e tra loro indipendenti, svolga il ruolo sia di autorità nazionale di vigilanza, sia di autorità nazionale di risoluzione (art. 3 d.lgs. 180/2015). Nel recepire la BRRD, il legislatore italiano ha opportunamente chiarito la ripartizione dei compiti tra autorità di vigilanza e autorità di risoluzione, facendo confluire le norme concernenti i rispettivi poteri e responsabilità in due corpi normativi distinti. Più precisamente, le norme che si riferiscono all'autorità di vigilanza sono state inserite nel Testo Unico Bancario (allo scopo modificato dal d.lgs. 181/2015), al cui interno sono adesso disciplinati i piani di risanamento, gli accordi di sostegno infragruppo e le misure di intervento precoce. Diversamente, i piani di risoluzione, la riduzione e conversione dei fondi propri (c.d. write down) e gli strumenti di risoluzione sono stati recepiti in un autonomo decreto (d.lgs. 180/2015), in quanto di competenza dell'autorità di risoluzione. Tale criterio di ripartizione non è stato rispettato per la liquidazione coatta amministrativa, che resta dunque all'interno del TUB, malgrado la proposta di cui all'art. 80, comma 1, TUB debba essere formulata dalla Banca d'Italia in funzione di autorità di risoluzione. La pianificazione delle crisi bancarie
Le crisi bancarie si sviluppano ed espandono ad altri intermediari in tempi rapidissimi. Ciò richiede una reazione immediata. Nella consapevolezza di ciò, il nuovo quadro normativo prevede numerose norme in tema di pianificazione della crisi al fine di rendere possibile una pronta risposta rispetto ad un'eventuale ed ipotetica crisi bancaria. L'attività di pianificazione si articola su due livelli in relazione al soggetto su cui essa grava:
I piani di risanamento contengono misure – quali la dismissione di linee di business o la cessione di partecipazioni – che la banca potrebbe porre in essere senza l'intervento (e, tantomeno, il sostegno finanziario) dell'autorità pubblica, al fine di ripristinare la propria sostenibilità economica e finanziaria nei vari scenari di crisi individuati all'interno del piano. Qualora l'autorità di vigilanza ritenga un piano di risanamento incompleto o inadeguato, ordina alla banca (o alla società capogruppo) di presentare un piano modificato in modo tale da colmare le eventuali carenze e/o apportare i necessari correttivi (art. 69-sexies, comma 1, TUB). Laddove l'inadeguatezza del piano dipenda da impedimenti materiali concernenti le caratteristiche specifiche della banca, l'autorità di vigilanza dispone del potere di ordinare alla banca di modificare conseguentemente la sua attività, struttura organizzativa o forma giuridica (art. 69-sexies, commi 3 e 4). Tra le misure che possono essere inserite all'interno dei piani di risanamento rientrano anche gli accordi di sostegno finanziario infragruppo eventualmente conclusi dalla banca. Si tratta di accordi con cui le banche appartenenti ad un gruppo, prima dell'insorgere di un'eventuale crisi, assumono l'impegno (non necessariamente reciproco) di sostenersi con prestiti e/o garanzie per l'ipotesi in cui vengano a trovarsi in stato di crisi, a condizioni economiche determinabili secondo i criteri stabiliti nell'accordo, (art. 69-duodecies TUB). Il progetto di accordo è sottoposto all'autorizzazione dell'autorità di vigilanza (BCE o Banca d'Italia) e, dopo la sua stipula, diviene efficace per ciascun contraente solo con l'approvazione della rispettiva assemblea straordinaria dei soci (art. 69-quaterdecies). Nel caso in cui una delle parti che beneficiano di tale accord venga a trovarsi in stato di crisi, l'erogazione del sostengo promesso è condizionata ad una serie di condizioni principalmente volte ad escluderne la concessione laddove (i) non consenta di evitare la risoluzione, o (ii) mettaa rischio la stabilità della banca concedente (artt. 69-quinquiesdecies e 69-sexiesdecies, che prevede il potere della Banca d'Italia di opporvisi). È bene precisare che la disciplina in tema di accordo di sostegno finanziario infragruppo non impedisce interventi di supporto purché in linea con le politiche di gruppo e nel rispetto della disciplina sulla direzione e coordinamento di società (art. 69-duodecies, comma 2, lett. a, TUB). I piani di risoluzione, predisposti dall'autorità di risoluzione (SRB o la Banca d'Italia), identificano per ciascuna banca una serie di scenari ipotetici di crisi, individuando – per ognuno di essi – gli strumenti di risoluzione che l'autorità prevede di utilizzare nel caso in cui uno di questi scenari si materializzi. Tali piani non possono prevedere l'utilizzo di fondi pubblici, se non nei ristrettissimi limiti di cui si dirà più avanti. Analogamente a quanto previsto con riferimento ai piani di risanamento, l'autorità di risoluzione può rimuovere eventuale impedimenti sostanziali individuati in occasione della predisposizione o dell'aggiornamento del piano di risoluzione. In tale ipotesi, l'autorità comunica l'impedimento alla banca (o alla capogruppo), la quale dispone di quattro mesi per proporre misure idonee a consentirne il superamento. Ove ciò non accada o le misure proposte siano ritenute inadeguate, l'autorità di risoluzione ordina alla banca (o alla capogruppo) di attuare le misure che ritiene necessarie (artt. 14 e 15 d.lgs. 180/2015), tra cui, ad esempio, la limitazione del livello di esposizione ai rischi, la dismissione di beni o rapporti giuridici, la limitazione o cessazione di determinate attività, la modifica della struttura organizzativa o della forma giuridica della banca (art. 16, commi 1 e 2). Una particolare tipologia di impedimento alla risolvibilità che, per la sua importanza, riceve autonoma disciplina è rappresentata dalla insufficienza fondi propri e passività bailinable. Al riguardo, l'autorità di risoluzione può determinare e aggiornare, in occasione della revisione dei piani di risoluzione, un livello minimo di fondi propri e passività ammissibili (c.d. MREL) che ciascuna banca deve rispettare su base continuativa (artt. 50 e 16, comma 2, lett. c, d.lgs. 180/2015). Per le passività soggette ad una legge nazionale extraeuropea è richiesto che, affinché possano essere computate ai fini del rispetto del MREL, sia inserita nel relativo titolo una clausola contrattuale di riconoscimento del bail-in (art. 50, comma 6). I poteri di intervento precoce spettanti alla BCE o alla Banca d'Italia, a seconda della “significatività” della banca (cfr. supra), sono graduati in relazione alla gravità della situazione di crisi: i) nel caso in cui la banca (o il gruppo) violi, o rischi di violare nel prossimo futuro, i requisiti prudenziali, l'autorità può imporre alla banca (o alla società capogruppo) di aggiornare e/o attuare, in tutto o in parte, il piano di risanamento, di modificare la forma giuridica (ad esempio, da società cooperativa a società per azioni) oppure può esercitare i poteri riconosciutigli, in via ordinaria, dagli artt. 53-bis e 67-ter del TUB (artt. 69-octiesdecies, lett. a, e 69-noviesdecies TUB); ii) quando la banca (o il gruppo) sia incorso in gravi violazioni legislative, regolamentarie o statutarie, oppure quando vi sia un grave deterioramento della situazione della banca (o del gruppo), e le misure sub i) non siano sufficienti, l'autorità può rimuovere tutti i componenti dell'organo amministrativo, dell'organo di controllo e/o tutti o alcuni dei componenti dell'alta dirigenza della banca o della società capogruppo, ordinando il rinnovo di tali organi o cariche (artt. 69-octiesdecies, lett. b, e 69-vicies-semel TUB). La banca può poi essere sottoposta ad amministrazione straordinaria (art. 70 TUB, alla luce dell'art. 28 BRRD), eventualmente anche in affiancamento all'organo amministrativo (art. 75-bis TUB), quando (i) la rimozione dei componenti degli organi amministrativi, di controllo e dell'alta dirigenza non appaia sufficiente a porre rimedio alle gravi violazioni di cui sopra, (ii) vi siano gravi perdite patrimoniali, o (iii) ciò sia stato richiesto dagli organi amministrativi o dall'assemblea straordinaria della banca in crisi. In presenza di una crisi bancaria più grave che non può essere risolta con le misure di cui sopra – prima che si possa procedere all'esercizio del potere di write down (cfr. infra, par. successivo) o alla sottoposizione a risoluzione della banca (cfr. par. “La risoluzione: presupposti, strumenti e tutela degli azionisti e creditori”) – occorre che un esperto indipendente incaricato dall'autorità di risoluzione proceda ad una valutazione equa, prudente e realistica del patrimonio della banca (art. 23 d.lgs. 180/2015). In caso di urgenza, tale valutazione può essere compiuta in via provvisoria dalla stessa autorità di risoluzione, ma deve essere sostituita, non appena possibile, da una valutazione “definitiva” da parte di un esperto indipendente (art. 25). La funzione di tale valutazione è duplice:
Il potere dell'autorità di risoluzione di ridurre o convertire in azioni gli elementi computabili all'interno dei fondi propri di una banca in crisi (riserve, azioni, obbligazioni subordinate e altri strumenti di capitale computabili nel patrimonio di vigilanza ai sensi del Regolamento 2013/575/UE e dalla Circolare della Banca d'Italia n. 285 del 17 dicembre 2013) si pone al confine tra le misure di intervento precoce e la risoluzione. Il presupposto dell'esercizio di tale potere è dato (i) da una situazione di dissesto o di rischio di dissesto della banca (definita dal legislatore in modo da ricomprendere non solo l'insolvenza o l'incapienza, attuale o preventivabile sulla base di elementi oggettivi, ma anche mere irregolarità amministrative e violazioni di norme legislative, regolamentari e statutarie), e (ii) dall'impossibilità di superare la crisi tramite “misure alternative”, quali misure di intervento precoce, l'amministrazione straordinaria, interventi da parte di soggetti privati o da parte di schemi volontari di mutualizzazione del rischio tra banche come quello previsto all'art. 35 dello statuto del Fondo interbancario di garanzia dei depositi (art. 17 d.lgs. 180/2015). In considerazione della situazione patrimoniale della banca, come rappresentata dalla valutazione dell'esperto indipendente (cfr. supra), l'esercizio del potere di write down può assolvere a due tipi di funzioni:
Nel caso di gruppi bancari, il potere di write down può incidere – oltre che sugli elementi computabili nei fondi propri della banca in crisi – anche sugli elementi computabili, su base individuale, nei fondi propri di altre banche appartenenti al gruppo (anche qualora esse non si trovino in stato di dissesto o a rischio di dissesto), laddove tali elementi siano anche computabili tra i fondi propri su base consolidata (art. 28, comma 2). Oltre allo stato di dissesto o di rischio di dissesto (di cui si è detto supra), la sottoposizione di una banca a risoluzione presuppone la sussistenza di entrambi i requisiti di cui sotto:
In presenza di tali presupposti, l'autorità di risoluzione dispone l'avvio della risoluzione con un provvedimento che contiene il programma di risoluzione. All'interno di tale programma sono indicati, tra le altre cose, gli strumenti di risoluzione che l'autorità di risoluzione intende usare, individualmente o in combinazione tra loro, e l'eventuale ricorso al Fondo di Risoluzione (art. 32, comma 2, d.lgs. 180/2015). Gli strumenti di risoluzione previsti dalla legge sono quattro:
La risoluzione deve in ogni caso avvenire nel rispetto del fondamentale principio del c.d. no creditor worse off, in base al non è consentito imporre a nessun azionista o creditore perdite maggiori rispetto a quelle che esso avrebbe subito se la banca fosse stata sottoposta a liquidazione coatta amministrativa nel momento in cui è stata accertata la sussistenza dei presupposti per l'avvio della risoluzione (art. 22, comma 1, lett. c, d.lgs. 180/2015). Il rispetto di tale principio è assicurato dalla valutazione che, al termine della risoluzione, deve compiuta da un esperto indipendente (che può anche coincidere con l'esperto che ha compiuto la valutazione che precede la risoluzione, cfr. supra), il quale è chiamato ad individuare l'eventuale pregiudizio subito dagli azionisti o dai creditori per effetto della risoluzione (art. 88 d.lgs. 180/2015). L'indennizzo spettante all'azionista o creditore pregiudicato, secondo quanto previsto nella valutazione dell'esperto successiva alla risoluzione, è a carico del Fondo di risoluzione (art. 89). La tutela giurisdizionale rispetto alle misure di gestione delle crisi bancarie è affidata al giudice amministrativo ed ha natura essenzialmente risarcitoria (art. 95, comma 1, d.lgs. 180/2015). Nel caso del bail-in ciò risulta espressamente previsto dalla legge (art. 52, comma 5). Tuttavia, anche negli altri casi, appare probabile, infatti, che esigenze di protezione della buona fede dei terzi impongano l'esercizio da parte del giudice del potere di lasciare impregiudicati gli atti amministrativi e i negozi posti in essere dall'autorità di risoluzione o dai commissari speciali, anche qualora si pronunci per l'annullamento del provvedimento che ne costituisce il presupposto (art. 95, comma 2). Come anticipato, il programma di risoluzione può prevedere anche l'intervento del Fondo di risoluzione, la cui dotazione è formata dai contributi, ordinari e straordinari, di tutte le banche (e non, dunque, da fondi pubblici). A partire dal 1° gennaio 2016, tale Fondo è divenuto unico per tutti i paesi dell'UE (salvo Svezia e Regno Unito), sebbene la piena messa in comune delle dotazioni nazionali non avverrà prima della fine del 2024. Il Fondo di risoluzione interviene, di regola, con modalità che includono la concessione di finanziamenti o garanzie, l'acquisto di asset dalla banca sottoposta a risoluzione o di partecipazioni nel capitale di un ente ponte o di una società veicolo per la gestione delle attività (art. 79, comma 1, d.lgs. 180/2015). Tale intervento non può, di regola, avere la finalità di assorbire le perdite della banca in crisi e il Fondo deve poter rientrare delle somme erogate a finanziamento della risoluzione. L'assorbimento di perdite della banca in crisi da parte del Fondo è consentito, soltanto, nel rispetto del seguente doppio limite:
Entro detti limiti, il contributo del Fondo alla copertura delle perdite della banca può avvenire quale forma di compensazione dell'esenzione di specifiche passività bailinable da parte dell'autorità di risoluzione (art. 49, comma 5, lett. b) oppure, indirettamente, quando si prevede che l'intervento del Fondo con le modalità “ordinarie” di cui sopra si traduca, comunque, in un trasferimento di risorse alla banca sottoposta a risoluzione (art. 79, comma 2). Riferimenti
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