Privacy e pubblicazione delle sentenze

Antonella Lariccia
21 Settembre 2022

La diffusione delle tecnologie informatiche e dei mezzi di comunicazione telematici e la pubblicazione e la massiccia presenza delle sentenze sui siti internet e nei motori di ricerca rendono sempre più attuali e pressanti le esigenze di tutela della privacy dei soggetti coinvolti e di contemperamento del diritto alla riservatezza con la necessaria pubblicità delle sentenze pronunciate “in nome del popolo Italiano”.
Inquadramento

Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione

Il Regolamento (UE) n. 679/2016 del 27 aprile 2016 (di seguito GDPR), direttamente applicabile in tutti gli Stati membri dal 25 maggio 2018, ha innalzato i livelli di protezione dei dati personali e responsabilizzato i titolari dei trattamenti, prevedendo nuovi obblighi e più severe sanzioni.

L'art 5 del GDPR stabilisce che il trattamento dei dati personali è soggetto ai principi di liceità, correttezza e trasparenza, al principio di limitazione delle finalità, al principio di minimizzazione dei dati, al principio di esattezza, al principio di limitazione della conservazione, al principio di integrità e riservatezza ed al principio di responsabilizzazione, mentre l'art. 9 par. 1 del GDPR stabilisce il generale divieto del trattamento dei dati che rivelino l'origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l'appartenenza sindacale, nonché dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all'orientamento sessuale della persona; peraltro il medesimo art 9 prevede espressamente, al par. 2, lett. f, che tale divieto non si applichi, qualora il trattamento di tali dati sia necessario «per l'accertamento, l'esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria».

A norma dell'art. 17, par. 3, lett. e), del Regolamento (UE) 2016/679, qualora il trattamento di tali dati sia necessario «per l'accertamento, l'esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria», non trova applicazione nemmeno il cd. diritto all'oblio, definito, in una recente pronunzia della Suprema Corte, come il diritto di “non rimanere esposti senza limiti di tempo ad una rappresentazione non più attuale della propria persona con pregiudizio alla reputazione ed alla riservatezza, a causa della ripubblicazione, a distanza di un importante intervallo temporale, di una notizia relativa a fatti del passato” (Cass. Sez. I 19/05/2020, n. 9147).

Con particolare riferimento al trattamento dei dati per ragioni di giustizia, il comma 4 dell'art. 2-duodecies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice della privacy), come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101 e successive modificazioni, precisa che i trattamenti effettuati per “ragioni di giustizia” sono quelli «correlati alla trattazione giudiziaria di affari e controversie», nonché «i trattamenti effettuati in materia di trattamento giuridico ed economico del personale di magistratura, nonché i trattamenti svolti nell'ambito delle attività ispettive su uffici giudiziari. Le ragioni di giustizia non ricorrono per l'ordinaria attività amministrativo-gestionale di personale, mezzi, strutture, quando non è pregiudicata la segretezza di atti direttamente connessi alla trattazione giudiziaria di procedimenti».

Dal canto suo l'art 51 del medesimo decreto stabilisce che “i dati identificativi delle questioni pendenti dinanzi all'autorità giudiziaria di ogni ordine e grado sono resi accessibili a chi vi abbia interesse anche mediante reti di comunicazione elettronica, ivi compreso il sito istituzionale della medesima autorità nella rete Internet” e che “le sentenze e le altre decisioni dell'autorità giudiziaria di ogni ordine e grado depositate in cancelleria o segreteria sono rese accessibili anche attraverso il sistema informativo e il sito istituzionale della medesima autorità nella rete Internet”, sia pure osservando le cautele ed i limiti previsti nel successivo art. 52, e dunque salvi i casi in cui sia stata disposta o debba comunque procedersi all'oscuramento dei dati come per legge.

Infine, con particolare riferimento al processo amministrativo, l'art 56 comma 2 CAD espressamente prevede che “le sentenze e le altre decisioni del giudice amministrativo e contabile, rese pubbliche mediante deposito in segreteria, sono contestualmente inserite nel sistema informativo interno e sul sito istituzionale della rete Internet, osservando le cautele previste dalla normativa in materia di tutela dei dati personali”; dal canto suo l'art 18 Allegato 1 del D.P.C.S. 28 luglio 2021 prevede che “i dati identificativi delle questioni pendenti, le sentenze e le altre decisioni depositate nel fascicolo informatico sono resi accessibili, nei termini di cui all'articolo 56 del CAD, tramite il portale dei servizi telematici della Giustizia amministrativa ai sensi degli articoli 51 e 52 del codice in materia di protezione dei dati personali, e successive modificazioni, secondo quanto stabilito nelle specifiche tecniche di cui all'articolo 19” e l'art 17 delle menzionate specifiche tecniche (Allegato 2 D.P,C.S. citato) prevede, al comma 2, che “l'accesso ai dati essenziali identificativi delle questioni pendenti, resi ostensibili in modo tale da garantire la riservatezza dei nomi delle parti ai sensi dell'articolo 51 del Codice in materia di protezione dei dati personali, è consentito, senza necessità di autenticazione, a chiunque vi abbia interesse attraverso il sito istituzionale, area pubblica, attività istituzionale, attraverso appositi link. In tale area sono accessibili, in forma anonima, le informazioni riguardanti udienza, calendario udienze, ruolo udienza, ricorsi, provvedimenti”; ed al comma 3 che “con le medesime modalità descritte al comma 2, è consentito l'accesso alle copie «uso studio» dei provvedimenti giudiziari pubblicati sul sito istituzionale, ai sensi dell'articolo 56 del CAD, con le cautele previste dalla normativa in materia di tutela dei dati personali”.

Le norme richiamate riconoscono quindi, in linea generale, la liceità sia del trattamento dei dati personali (compresi quelli di cui all'art. 9 e 10 GDPR) da parte degli organi di giustizia per la trattazione giudiziaria di procedimenti, sia anche della divulgazione all'esterno, anche per scopi di informazione giuridica, delle pronunce giudiziarie, pur prevedendo – con particolare riferimento a quest'ultima – l'adozione di particolari cautele (nonché di una serie di divieti di divulgazione previsti nell'art art 52 comma 5 Codice della privacy da leggere in combinato disposto con l'art 2-octies, comma 3, lett. e) che consente il trattamento dei dati personali relativi alle condanne penali e ai reati o a connesse misure di sicurezza unicamente per l'accertamento, l'esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria e dunque non anche a fini di informatica giuridica) a tutela dei diritti o della dignità degli interessati.

Il PAT e le ragioni di riservatezza

È

stato osservato (GIANLUCA GRASSO, Il trattamento dei dati di carattere personale e la riproduzione dei provvedimenti giudiziari, in Foro it. 2018, V, 349) che nell'ordinamento italiano, la tutela della riservatezza in ambito giudiziario non riguarda gli atti del processo, che devono essere sempre completi dei dati identificativi delle parti, ma la sola divulgazione delle decisioni una volta depositate; ciò al fine di realizzare il necessario bilanciamento tra l'esigenza di riservatezza del singolo con il principio di generale conoscibilità dei provvedimenti giurisdizionali e del contenuto integrale delle sentenze, quale strumento di democrazia e di informazione giuridica (cfr. Cass. 16807/2020).

Tale affermazione, sicuramente corretta e condivisibile, necessita tuttavia di una precisazione con riferimento al disposto di cui all'art. 136 comma 2 c.p.a. a norma del quale “i difensori, le parti nei casi in cui stiano in giudizio personalmente e gli ausiliari del giudice depositano tutti gli atti e i documenti con modalità telematiche. In casi eccezionali, anche in considerazione della ricorrenza di particolari ragioni di riservatezza legate alla posizione delle parti o alla natura della controversia il presidente del tribunale o del Consiglio di Stato, il presidente della sezione se il ricorso è già incardinato o il collegio se la questione sorge in udienza possono dispensare, previo provvedimento motivato, dall'impiego delle modalità di sottoscrizione e di deposito di cui al comma 2-bis ed al primo periodo del presente comma; in tali casi e negli altri casi di esclusione dell'impiego di modalità telematiche previsti dal decreto di cui all'articolo 13, comma 1, delle norme di attuazione, si procede al deposito ed alla conservazione degli atti e dei documenti”.

Come è noto, l'art. 13, comma 1-ter delle disposizioni di attuazione al Codice del Processo Amministrativo, espressamente prevede che «salvi i casi in cui è diversamente disposto, tutti gli adempimenti previsti dal codice e dalle norme di attuazione inerenti ai ricorsi depositati in primo o secondo grado dal 1º gennaio 2017 sono eseguiti con modalità telematiche, secondo quanto disciplinato nel decreto di cui al comma 1» (D.P.C.M. n. 40 del 16 febbraio 2016 ora D.P.C.S. 28 luglio 2021); tuttavia, il menzionato art. 136, comma 2, c.p.a. prevede che il Giudice possa autorizzare parti, difensori o gli ausiliari del giudice a non utilizzare le modalità di sottoscrizione con firma digitale e di deposito degli atti e documenti con modalità telematica in «casi eccezionali», individuati nella ricorrenza di «particolari ragioni di riservatezza legate alla posizione delle parti» o alla «natura della controversia», che si affiancano – pur differenziandosene – sia ai casi di eccezione ex lege dall'applicazione della disciplina del processo telematico (controversie di lavoro dei dipendenti DIS e segreto di Stato), sia alle ipotesi in cui l'esclusione dall'impiego delle modalità telematiche è connesso alla sussistenza di «specifiche e motivate ragioni tecniche», ovvero ai casi di «oggettività impossibilità di funzionamento del SIGA» che rendano impossibile il deposito telematico (art. 9, comma 8 e 9, dell'All.1 al d.P.C.S.).

In tale ipotesi, pertanto, la tutela della riservatezza è in realtà anticipata, e non più limitata alla sola fase della divulgazione delle decisioni successiva al deposito in Segreteria; ed invero, ed a prescindere dal fatto che il processo sia appena cominciato o sia già maturo per la decisione, una volta che si autorizzi il deposito di un atto o documento in modalità analogica, se è pur vero che l'atto o il documento in sè resterà sempre completo dei dati identificativi “in chiaro” della parte interessata, di fatto lo stesso sarà però sottratto al regime di accessibilità al fascicolo telematico disciplinato dall'art.17 dell'All.1 e dagli art. 17 e 18 All.2 al d.P.C.S., inibendosene in via definitiva lo scansionamento e l'inserimento nel fascicolo informatico; ciò - e non a caso -, a differenza di quanto accade rispetto alle diverse ipotesi di esclusione dall'impiego delle modalità telematiche per i casi di «oggettività impossibilità di funzionamento del SIGA» e per gli altri casi di cui al comma 8 dell'art 9 All.1, per i quali è espressamente previsto che la segreteria dell'ufficio giudiziario provveda, appena possibile, ad effettuare copia informatica degli atti e documenti depositati in formato cartaceo ed ad inserirla nel fascicolo informatico, apponendo la firma digitale, ai sensi dell'articolo 22 del CAD (art. 9, comma 9, dell'All.1 al d.P.C.S.).

Quanto all'individuazione concreta dei casi in cui la previsione di cui al citato art. 136 comma 2 c.p.a. può trovare applicazione, è stato condivisibilmente osservato (Pisano, Codice del processo Amministrativo commentato, Giuffrè ) - anche sulla base del duplice rilievo che, in linea di principio, tutte le parti processuali vantano un interesse tutelato a che tutti gli atti processuali siano reperibili con modalità telematiche e che la tutela dei dati personali trova comunque la sua consacrazione in quanto previsto dall'art. 52 del Codice in materia di protezione dei dati personali -, che la tutela di cui alla norma in questione, potrà essere accordata solo in ipotesi del tutto eccezionali, in cui si ponga una esigenza “rafforzata” di tutela dei dati personali (che vada oltre le ordinarie ragioni di protezione dei dati “per motivi legittimi” di cui all'art .52 citato), tale da giustificare la deroga all'obbligo del deposito e della messa a disposizione, nei confronti di tutti i soggetti abilitati, dell'atto processuale nel fascicolo informatico.

In evidenza

In realtà la necessità di una tutela anticipata della riservatezza dei soggetti coinvolti nelle vicende e decisioni giudiziarie rispetto alla sola fase di pubblicazione e diffusione successiva della sentenza è stata sottolineata anche in una recente pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, in cui si è rimarcata la necessità che i giudici, nella fase redazionale del provvedimento - e dunque in una fase necessariamente antecedente e propedeutica alla pubblicazione dello stesso -, si attengano sempre e comunque ai principi di minimizzazione del trattamento e di responsabilizzazione (peraltro espressamente sanciti dall'art. 5 GDPR e dunque già cogenti per la normativa comunitaria), al fine di non rivelare dati o particolari della vita dell'interessato, non strettamente necessari ed indispensabili alla motivazione della decisione, rivelazione che integra invece, una violazione dell'art. 8 della CEDU che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare - e dunque anche la privacy.

Il 27 maggio 2021 la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo nella decisione sulla causa J.L. contro Italia (Ricorso n. 5671/16), ha ritenuto infatti che la sentenza della Corte di Appello di Firenze da cui ha tratto origine il ricorso, abbia violato l'art. 8 CEDU per aver incluso nella motivazione del provvedimento considerazioni sovrabbondanti e superflue sulla vita personale della ricorrente, persona offesa nell'ambito di un processo penale, non strettamente necessarie ai fini della decisione.

In particolare la Corte, dopo avere richiamato il quadro normativo di riferimento ed il Codice etico dei magistrati che già prevede che il giudice, Nelle motivazioni dei provvedimenti e nella conduzione dell'udienza, deve evitare di pronunciarsi su fatti o persone estranei all'oggetto della causa, di emettere giudizi o valutazioni sulla capacità professionale di altri magistrati o dei difensori, ovvero – quando non siano indispensabili ai fini della decisione – sui soggetti coinvolti nel processo (art. 12, terzo comma, del Codice etico dei magistrati modificato nel 2010), afferma espressamente che “la facoltà per i giudici di esprimersi liberamente nelle decisioni, che è una manifestazione del potere discrezionale dei magistrati e del principio dell'indipendenza della giustizia, è limitata dall'obbligo di proteggere l'immagine e la vita privata dei singoli da ogni violazione ingiustificata” (par 139), evidenziando come i riferimenti presenti nella sentenza alle relazioni passate della persona offesa con determinati imputati o ad alcuni suoi comportamenti nel corso della serata, alla sua condizione familiare, alle sue relazioni sentimentali, ai suoi orientamenti sessuali o ancora alle sue scelte di abbigliamento, non “fossero giustificate dalla necessità di garantire i diritti della difesa degli imputati” (par 138).

Anche la Corte di Cassazione, pronunciandosi di recente su un caso avente ad oggetto il trattamento delle informazioni personali effettuato nell'ambito di un esposto al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati in relazione ad una asserita condotta deontologicamente scorretta posta in essere da un legale, ha ribadito che il trattamento è pur sempre lecito purchè avvenga nel rispetto del criterio di minimizzazione nell'uso dei dati personali, dovendo essere utilizzati solo i dati indispensabili, pertinenti e limitati a quanto necessario per il perseguimento delle finalità per cui sono raccolti e trattati (Cass. Sez. I, ord. 26 aprile 2021, n. 11020).

Appare evidente, pertanto, che ai medesimi principi devono attenersi anche i magistrati nella redazione dei provvedimenti, in modo da realizzare una forma di tutela anticipata dei diritti e della riservatezza dei soggetti coinvolti nelle decisioni giudiziarie e di garantire a pieno la fondamentale necessità di bilanciamento tra l'esigenza di riservatezza del singolo con il principio di generale conoscibilità dei provvedimenti giurisdizionali, a prescindere ed in aggiunta alle successive attività di oscuramento dei dati personali che coinvolgano i provvedimenti giudiziari, non essendo, evidentemente, sempre sufficiente eliminare “l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi dell'interessato” perché una sentenza sia effettivamente “anonima”; l'esigenza che si pone è quella di limitare al massimo il trattamento dei dati anche nel corpo motivazionale della sentenza per evitare che, a seguito della diffusione del provvedimento, ad esempio anche su piattaforme social caratterizzate dalla presenza di post e commenti, possa addivenirsi comunque alla re-identificazione della persona interessata mediante aggiunta di altri dati, come peraltro già evidenziata anche in un parere dell'Ufficio Studi della Giustizia Amministrativa dell'8 maggio 2019, in cui si sottolinea l'opportunità di adottare idonei criteri redazionali per rendere più efficace la tutela del diritto alla riservatezza delle persone e per agevolare il più possibile l'attività degli uffici volta alla concreta anonimizzazione delle pronunce.

L'oscuramento delle sentenze del G.A.

Al fine di realizzare il necessario bilanciamento tra l'esigenza di riservatezza del singolo con il principio di generale conoscibilità dei provvedimenti giurisdizionali e del contenuto integrale delle sentenze, gli art 51 e 52 del Codice della privacy riconoscono la generale liceità e necessità della divulgazione all'esterno, anche per scopi di informazione giuridica, delle pronunce giudiziarie, sia pure osservando le cautele ed i limiti previsti nel menzionato art. 52, e dunque salvi i casi in cui sia stata disposta o debba comunque procedersi all'oscuramento dei dati come per legge.

La norma citata prevede in effetti due diverse ipotesi in cui si deve procedere all'oscuramento dei dati personali trattati nella sentenza, più precisamente un'ipotesi di oscuramento “obbligatorio”, previsto dai comma 5 e 2 della norma citata, e l'ipotesi residuale prevista dai commi 1 e ss della norma in questione.

L'oscuramento “obbligatorio” riguarda più precisamente “le generalità, altri dati identificativi o altri dati anche relativi a terzi dai quali può desumersi anche indirettamente l'identità di minori, oppure delle parti nei procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone” (art 52 comma 5) e, più in generale, tutti i casi di trattamento dei dati di cui agli art. 9 e 10 GDPR (dati che rivelino l'origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l'appartenenza sindacale, nonché dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all'orientamento sessuale della persona, dati relativi a procedimenti o condanne penali), in virtù del richiamo compiuto dal comma 2 dell'art 52, quale presupposto del potere officioso di disporre l'oscuramento, al concetto di tutela di dignità e diritti dell'interessato; si è osservato che tale norma opera come una norma in bianco (Fabrizio D'Alessandri, La privacy delle decisioni giudiziarie pubblicate sul sito internet istituzionale della Giustizia Amministrativa, relazione al convegno di convegno tenutosi a Capri sull'informatica giuridica del 12.10.2019, in giustizia-amministrativa.it) che richiama direttamente anche quelle norme del GDPR il cui contenuto non sia espressamente menzionato.

In tali ipotesi di oscuramento obbligatorio, pertanto, l'oscuramento di tutti i dati personali e degli altri dati identificativi delle parti o eventuali terzi deve essere disposta dal Giudice indipendentemente dall'istanza dell'interessato; non a caso, infatti, con particolare riferimento alla Giustizia Amministrativa la FAQ n. 7 pubblicata sul sito istituzionale in tema di “Adempimenti in materia di Privacy e pubblicazione delle sentenze online”, prevede la residuale competenza del Segretario Generale della Giustizia amministrativa, responsabile del sito istituzionale, e per esso delle Segreterie, ad effettuare l'oscuramento anche nei casi in cui, per qualsiasi ragione, l'oscuramento stesso non sia stato disposto in sentenza.

Tale previsione si spiega in quanto, com'è stato correttamente osservato (Pisano Codice Amministrativo Commentato Giuffrè), nei casi di oscuramento obbligatorio non espressamente disposto dal Giudice competente – e sempre salva la possibilità di ricorrere alla procedura di correzione di errore materiale - la competenza, prima del Collegio, torna al soggetto amministrativo che detiene il dato e pone in essere il trattamento, ossia al Segretario Generale responsabile del sito istituzionale, ed al quale pertanto, in tal caso, può essere presentata anche la c.d. “istanza di oscuramento postuma”, ossia successiva alla pubblicazione sul sito.

Al di là delle ipotesi di cd “oscuramento obbligatorio”, il comma 1 dell'art. 52 prevede che “fermo restando quanto previsto dalle disposizioni concernenti la redazione e il contenuto di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali dell'autorità giudiziaria di ogni ordine e grado, l'interessato può chiedere per motivi legittimi, con richiesta depositata nella cancelleria o segreteria dell'ufficio che procede prima che sia definito il relativo grado di giudizio, che sia apposta a cura della medesima cancelleria o segreteria, sull'originale della sentenza o del provvedimento, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della sentenza o provvedimento in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del medesimo interessato riportati sulla sentenza o provvedimento”.

Tale caso si distingue da quello in precedenza esaminato perché in tale fattispecie, impregiudicata la possibilità per il Giudice di disporre comunque l'oscuramento dei dati ove lo ritenga opportuno, sussiste l'onere dell'interessato di richiedere l'oscuramento, richiesta che può essere avanzata fino al momento della definizione del relativo grado del giudizio; in tale fattispecie la possibilità di ricorrere al rimedio del procedimento di correzione dell'errore materiale da farsi valere anche in sede di impugnazione, per ragioni di correntezza amministrativa, è ammessa per il solo caso della mancata pronuncia da parte del Giudice su istanza di oscuramento facoltativa tempestivamente presentata.

Resta fermo che l'eventuale oscuramento in questo caso può riguardare solo l'interessato che ha proposto la richiesta.

Come è stato correttamente osservato (Parere dell'Ufficio Studi della Giustizia Amministrativa in tema di adempimenti in materia di privacy e pubblicazione delle sentenze on-line del 2017, in www. giustizia amministrativa.it), l'oscuramento non riguarda esclusivamente la pubblicazione della sentenza ma, più in generale – in considerazione della possibilità potenzialmente lesiva della pubblicazione on line - qualsiasi provvedimento destinato alla pubblicazione sul sito web istituzionale della Giustizia Amministrativa o comunque la pubblicazione da parte di terzi su riviste giuridiche.

Bisogna infatti sempre considerare che il mancato oscuramento dei dati degli interessati al ricorrere dei presupposti di legge può esporre i magistrati e i dipendenti addetti alla pubblicazione a responsabilità disciplinare e patrimoniale, così come può esporre a responsabilità patrimoniale la Giustizia Amministrativa, quale titolare del sito internet, nei confronti dei soggetti lesi al mancato oscuramento.

In evidenza

Con riferimento alla legittimazione a proporre l'istanza di oscuramento ed alla individuazione dei “motivi legittimi” che possono legittimare tale istanza la Cassazione ha osservato che “In tema di diritto all'anonimato delle parti in giudizio o dei soggetti interessati garantito dall'art. 52 del d.lgs. n. 196 del 2003 nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica, per effetto delle modifiche apportate dall'art. 40 d.l. n. 201 del 2011, conv. in l. n. 214 del 2011 - che ha eliminato il riferimento (anche) alla persona giuridica -, riveste la qualità di "interessato", legittimato a presentare l'istanza di anonimizzazione delle generalità e degli altri dati identificativi, solamente la persona fisica, la quale può proporla in presenza di motivi "legittimi", da intendersi come motivi "opportuni". (Nella specie esclusi dalla S.C., in ragione della materia trattata - relativa ad atto di contestazione di sanzioni tributarie a seguito di rettifica del valore doganale delle merci importate - di per sé non sensibile né tantomeno caratterizzata "in re ipsa" da particolare delicatezza, con conseguente rigetto dell'istanza di oscuramento proposta dai l.r. della società importatrice e dei coobbligati rappresentanti indiretti, pur ritenuti legittimati come persone fisiche)” (Cass., Sez. V, ord. n. 16807 del 7 agosto 2020).

Ferma pertanto l'esclusione delle persone giuridiche, legittimati a inoltrare l'istanza di oscuramento sono non solo le parti del giudizio, ma anche qualsiasi altro soggetto - quale, ad esempio, un testimone o un consulente - reso identificabile nel provvedimento attraverso l´indicazione delle generalità o di altri dati identificativi.

Il giudice di legittimità ha precisato che ” l'accoglimento della richiesta medesima interverrà ogniqualvolta l'autorità giudiziaria ravviserà un equilibrato bilanciamento tra le esigenze di riservatezza del singolo e il principio della generale conoscibilità dei provvedimenti giurisdizionali e del contenuto integrale delle sentenze, quale strumento di democrazia e di informazione giuridica. In tal senso, interessanti indicazioni conformi si traggono dalle linee guida dettate dal Garante della privacy il 2 dicembre 2010, "in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica", pubblicate sulla G.U. n. 2 del 4 gennaio 2011, in cui al punto 3., con specifico riferimento alla c.d. "procedura di anonimizzazione dei provvedimenti giurisdizionali" di cui all'art. 52, commi da 1 a 4, del d. Igs. n. 196/2003, si indicano possibili "motivi legittimi", in grado di fondare la relativa richiesta (ovvero di indurre l'A.G. a provvedere d'ufficio), nella "particolare natura dei dati contenuti nel provvedimento (ad esempio, dati sensibili)", ovvero nella "delicatezza della vicenda oggetto del giudizio".(Cass. pen. 13 marzo 2017, n. 11959)”( Cass., Sez. V, n. 16807/2020 citata ).

La giurisprudenza ha pertanto escluso che l'espressione “motivi legittimi” possa essere intesa nell'accezione di "motivi normativi", soprattutto in ragione “dell'evidente superfluità di una disposizione che si limiti a fare riferimento a quanto già previsto da altre norme” (Cass. pen., sez. VI, 15 febbraio 2017, n. 11959, Cass. Sez. V-VI, ord. n. 4167 del 09 febbraio 2022 citata); di qui la necessità di interpretare la locuzione “motivi legittimi” come sinonimo di "motivi opportuni", che tengano conto della peculiarità del caso e della capacità, insita nella diffusione dei dati relativi, di riverberare "negative conseguenze sui vari aspetti della vita sociale e di relazione dell'interessato (ad esempio, in ambito familiare o lavorativo)” (Cass. Sez.VI- 5, Ordinanza n. 4167 del 09/02/2022 citata); in particolare già in passato sono stati ritenuti insufficienti, al fine di fondare l'accoglimento dell'istanza di oscuramento, il generico riferimento al danno reputazionale (Cass. pen. sez. H – 23 maggio 2018, n. 29248), ovvero un richiamo non adeguatamente circostanziato all'incidenza negativa sulla sfera lavorativa degli interessati (Cass. pen., sez. VI, 15 febbraio 2017, n. 11959).

In una recente pronuncia, il giudice amministrativo ha rigettato un'istanza di oscuramento proprio facendo valere non solo la mancanza di legittimazione attiva per la istanza avanzata dalla parte ricorrente a nome della controinteressata, ma anche e soprattutto in ragione della mancata dimostrazione delle oggettive ragioni che legittimano l'oscuramento dei dati anagrafici, o della sussistenza di qualcuno degli eccezionali motivi che consentono di oscurare tali dati anagrafici, tenuto conto che il processo è, per sua natura, un fatto pubblico (T.A.R. Lazio, Roma, Sez III Quater, 23 luglio 2021, n. 8873).

Conclusioni

Negli ultimi anni sta emergendo sempre più evidente una maggiore sensibilità verso le esigenze di tutela della riservatezza anche quando il trattamento avvenga per ragioni di giustizia.

Anche le recenti pronunce in materia di deindicizzazione e diritto all'oblio evidenziano gli sforzi che si stanno compiendo per evitare che la diffusione delle tecnologie informatiche e dei mezzi di comunicazione telematici e la pubblicazione e la massiccia presenza delle sentenze sui siti internet e nei motori di ricerca, possano tradursi in un depotenziamento della tutela che deve essere comunque accordata alla dignità ed ai diritti dei soggetti coinvolti a vario titolo nei procedimenti giudiziari.

In connessione ed in parallelo a tali esigenze, si registra un sempre maggiore interesse ed una particolare attenzione verso l'individuazione di strumenti e l'utilizzo di programmi di intelligenza artificiale che rendano più semplice l'oscuramento dei dati personali nelle pronunce giudiziarie e nello stesso tempo più intellegibili le sentenze oscurate; Interessanti, sotto tale specifico aspetto le conclusioni del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia nella sentenza n. 1134/2020 secondo cui la normativa sulla privacy si limita a prescrivere che i nomi delle persone indicate nel testo della sentenza vengano omessi con lo scopo d'impedirne il riconoscimento e scongiurare un possibile danno alla loro immagine, ma non vieta di sostituire i nomi delle parti con pseudonimi, segni grafici o espressioni letterali, al fine di rendere più intellegibile e scorrevole il contenuto della sentenza.

L'auspicio è che possa raggiungersi sempre di più un pieno e reale equilibrio tra le contrapposte esigenze di pubblicità e trasparenza e diritto alla riservatezza.

Sommario