“Prossimità” a scuole, caserme e ospedali: la S.C. interviene in tema di aggravante del reato di spaccio
05 Ottobre 2022
Massima
La circostanza aggravante prevista dall'art. 80, comma 1, lett. g), d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, è configurabile quando l'attività di spaccio avvenga in "prossimità" di uno dei luoghi indicati dalla norma (scuole, comunità giovanili, caserme, ospedali, ecc.), e, dunque, quando vi sia una relazione immediata tra le indicate strutture e il luogo in cui viene commesso il delitto, tale per cui lo stesso sia abitualmente o comunque potenzialmente frequentato dai relativi utenti (studenti, militari, pazienti, ecc.), indipendentemente dal fatto che la cessione sia - o meno - operata in favore di questi ultimi. Il caso
All'esito dei giudizi di merito, l'imputato riportava condanna per aver ceduto in più occasioni sostanze stupefacenti a terzi in un luogo sito in prossimità di un istituto scolastico.
Ricorrendo in cassazione, l'imputato si doleva, tra l'altro, dell'aggravamento della pena operato ex art. 80, comma1, lett. g),d.P.R. n. 309/1990, rimarcando l'insussistenza di un rapporto di immediatezza tra i due luoghi, ed evidenziando che l'istruttoria aveva consentito di accertare tanto che gli acquirenti dello stupefacente giungevano sul luogo ed andavano via dallo stesso a bordo di autovetture, quanto che fra di essi non vi era alcuno studente. La questione
Ai sensi dell'art. 80, comma 1, lett. g), d.P.R. n. 309/1990, la pena del delitto di cui all'art. 73 del medesimo Testo Unico è aumentata da un terzo alla metà quando «l'offerta o la cessione è effettuata all'interno o in prossimità di scuole di ogni ordine o grado, comunità giovanili, caserme, carceri, ospedali, strutture per la cura e la riabilitazione dei tossicodipendenti».
Si tratta di una circostanza aggravante di natura oggettiva, finalizzata a sanzionare con maggior rigore l'attività che lo spacciatore abbia insidiosamente realizzato in luoghi caratterizzati dall'elevata concentrazione di soggetti che, per ragioni di età o di salute, potrebbero offrire meno resistenze alla tossicodipendenza o alla tossicofilia, così facilitando «un allargamento a macchia d'olio del contatto con la droga» (Cass. pen., sez. IV, 19 gennaio 2016, n. 3786).
La più rilevante questione interpretativa in merito alla circostanza aggravante in parola attiene all'esatta individuazione del concetto di “prossimità”.
In quali casi il luogo di spaccio può essere considerato “prossimo” a scuole, comunità giovanili, caserme, carceri, ospedali e strutture per la cura e la riabilitazione dei tossicodipendenti?
L'estrema vaghezza del termine utilizzato dal legislatore ha imposto la puntuale delimitazione dell'area dell'incriminazione da parte della giurisprudenza, da ultimo con la pronuncia che qui si commenta. Le soluzioni giuridiche
Ai fini del corretto inquadramento della questione, deve innanzitutto essere chiarito che, non potendosi accedere ad interpretazioni analogiche in malam partem, le elencazioni contenute nella norma - tanto quella relativa ai luoghi, quanto quella relativa alle condotte - hanno natura tassativa.
A proposito dei luoghi soggetti a particolare protezione, ci si è chiesti se tra le “comunità giovanili” possano essere annoverate le università: Cass. pen., sez. VI, 14 febbraio 2017, n. 27458, pur non affermandolo espressamente (la circostanza aggravante è stata, invero, esclusa “a monte”, per la ritenuta insussistenza del requisito della “prossimità”), ha lasciato intendere di propendere per la soluzione affermativa («l'estrema genericità dell'espressione “comunità giovanili” potrebbe giustificare il riferimento anche all'università, senza per questo ricorrere al ragionamento analogico»), soluzione da ritenersi senz'altro condivisibile, poiché nella locuzione utilizzata dal legislatore devono necessariamente rientrare tutti quei contesti collettivi omogenei i cui giovani componenti siano soliti esser presenti in forma non occasionale: ciò per non frustrare quelle esigenze di una rafforzata tutela penale che il legislatore ha inteso approntare, per punire gli illeciti posti in essere in presenza di collettività ritenute particolarmente vulnerabili perché maggiormente esposte, anche in ragione della giovane età, alle insidie dello spaccio.
Più di recente, Cass. pen., sez. III, 21 settembre 2021, n. 39162, ha ritenuto aggravate le cessioni di stupefacente effettuate nei locali di un centro per l'aggregazione per l'infanzia, che ospitavano, tra l'altro, una scuola di musica per bambini e per ragazzi, una canonica frequentata per il catechismo ed un doposcuola quotidiano per bambini, reputando che ci si trovasse in presenza di “associazioni di servizi dedicati ai giovani e minori”, al cui interno si svolgevano con regolarità quotidiana attività, corsi ed incontri riservati agli stessi.
Quanto, invece, alle condotte suscettibili dell'aggravamento di pena, vengono in rilievo esclusivamente quelle di offerta e di cessione: conseguenzialmente, Cass. pen., sez. IV, 19 gennaio 2016, n. 3786 ha annullato - limitatamente all'aggravante in parola - la sentenza di condanna dell'agente di polizia penitenziaria tratto a giudizio per aver introdotto nel carcere presso il quale prestava servizio sostanza stupefacente che avrebbe poi dovuto cedere ad un detenuto, rilevando come «per la configurabilità dell'aggravante de qua sia necessaria l'effettiva offerta o cessione della sostanza stupefacente all'interno o in prossimità dei luoghi indicati dalla stessa norma, dovendosi così escludere che questa possa ravvisarsi rispetto ad una condotta di mera detenzione: in tal senso, del resto, è l'inequivoca formulazione letterale della norma, che non consente ovviamente interpretazioni estensive. Per l'effetto, l'aggravante non potrebbe contestarsi rispetto ad una condotta di detenzione pur finalizzata allo spaccio, e quindi all'offerta e/o alla cessione, quando tali ultime condotte non si siano verificate. Da ciò deriva che, qui, l'aggravante non poteva essere ravvisata per il solo fatto della futura destinazione della droga nel circuito carcerario, in favore di un detenuto».
Deve, tuttavia, chiarirsi che i termini “offerta” e “cessione” sono stati qui utilizzati dal legislatore in maniera generica, così da ricomprendere ogni ipotesi di trasferimento a terzi dello stupefacente, e dunque anche la “vendita”, che a rigore, secondo l'analitica elencazione contenuta nel primo comma dell'art. 73 del Testo Unico, costituisce attività diversa dalla “cessione” (si rammenta, invero, che secondo l'incontrastato orientamento che dottrina e giurisprudenza hanno sviluppato a proposito delle condotte descritte dall'art. 73 del Testo Unico, l'ipotesi della “cessione” è configurabile solo quando il passaggio della sostanza da un soggetto ad un altro avvenga per un motivo diverso dalla vendita, quale ad esempio uno scambio, o un trasferimento a titolo gratuito o di cortesia; quando, invece, l'accordo tra due soggetti per la consegna dello stupefacente preveda l'erogazione di un corrispettivo - una somma di denaro o qualsiasi altra utilità - ricorre l'ipotesi della “vendita”).
Ciò posto, con riferimento al tema della localizzazione della condotta illecita, si osserva che il riferimento alla “prossimità” evoca una “grande vicinanza” (così il dizionario enciclopedico Treccani) tra persone, cose od oggetti, in un'accezione spaziale ovvero temporale.
L'inasprimento sanzionatorio presuppone, dunque, che vi sia stretta contiguità tra il teatro dell'attività illecita ed il luogo oggetto della speciale protezione apprestata dal legislatore, come ad esempio nel caso della recentissima Cass. pen., sez. III, 23 marzo 2022, n. 18523, relativa ad episodi di cessione di sostanza stupefacente consumati nel parcheggio del Pronto Soccorso di un ospedale, ritenuto «luogo rientrante fra quelli indicati all'art. 80,comma 1, lett. g) d.P.R. n. 309/1990, e che si caratterizza per essere frequentato da una pluralità di soggetti maggiormente esposti al rischio di essere attratti dal consumo di sostanze stupefacenti, potenzialmente destinatari delle cessioni».
Analogo principio era stato formulato dalla già citata Cass. pen., sez. VI, 14 febbraio 2017, n. 27458, che, occupandosi di una cessione di sostanza stupefacente avvenuta in una via della città di Bologna sita nei pressi dell'area universitaria, ha statuito che «tra i luoghi indicati e le aree di prossimità deve sussistere un rapporto di relazione immediata», poiché con l'espressione in oggetto il legislatore ha inteso riferirsi solo alle aree esterne rispetto alle strutture tipizzate (scuole, caserme, comunità giovanili, ecc.), «che devono essere ubicate nelle immediate vicinanze e, proprio per questo, abitualmente frequentate dagli utenti istituzionali, siano essi studenti, militari, pazienti», con conseguente esclusione di tutti i casi nei quali venga in rilievo una semplice e affatto significativa vicinanza, come ad esempio nel caso di soggetto colto nell'atto di offrire in vendita sostanze stupefacenti ai passanti occasionali in una via adiacente a quella ove insistano una scuola, una caserma o un ospedale.
Negli stessi termini si era pronunciata, pochi mesi prima, Cass. pen., sez. IV, 24 novembre 2016, n. 51957, annullando – limitatamente alla circostanza in oggetto - la sentenza di condanna dell'imputato colto nell'atto di vendere droga in un bar sito a circa 100 metri dalla sede del SerT: «la nozione di prossimità va intesa, rigorosamente, come contiguità fisica e posizionamento topografico dell'agente dedito allo spaccio o all'offerta in un luogo che consente l'immediato accesso alle droghe alle persone che lo frequentano».
Ribadendo l'orientamento fatto proprio dalle pronunce appena illustrate, nella sentenza che qui si commenta la Corte ha ritenuto troppo generiche le argomentazioni dei giudici di merito, che avevano riconosciuto la sussistenza della circostanza aggravante in parola solo perché il luogo in cui erano state concluse le cessioni si trovava in prossimità di un edificio adibito ad istituto scolastico, ed ha reputato irrilevante che, come enfatizzato nella sentenza impugnata, le indagini fossero nate proprio dalle denunce di alcuni genitori degli alunni che frequentavano quella scuola: la pronuncia di merito è stata, dunque, annullata con rinvio, limitatamente al riconoscimento della sussistenza della circostanza aggravante, essendosi ribadito che «tra i luoghi indicati e le aree di prossimità deve sussistere un rapporto di relazione immediata», poiché «altrimenti non si giustificherebbe nemmeno la previsione dell'aggravante, riferita, appunto, alla oggettiva localizzazione della cessione o dell'offerta dello stupefacente alle persone che frequentano tali luoghi». Osservazioni
L'uso sempre più frequente, nel lessico del legislatore penale, di espressioni vaghe ed indeterminate - quale è la “prossimità” di cui all'art. 80, comma 1, lett. g), d.P.R. n. 309/1990 - rende viepiù necessaria un'attività interpretativa rigorosamente ossequiosa del principio di offensività, insostituibile faro che deve illuminare tanto la caratterizzazione del fatto tipico, quanto quella degli elementi circostanziali, cosicché si possa «cogliere nel lessico legale una portata che esprima fenomenologie significative, che giustifichino l'accresciuta severità sanzionatoria» (Cass. pen., sez. un., 18 luglio 2013, n. 40354, Sciuscio).
Nel caso di specie, occorre considerare che la ratio dell'inasprimento sanzionatorio risiede nell'avvertita esigenza di preservare dal fenomeno della diffusione degli stupefacenti comunità ritenute più aggredibili, perché «frequentate da persone potenzialmente a rischio di fronte al pericolo droga, o per la giovane età o per particolari condizioni soggettive» (Cass. pen., sez. IV, 19 gennaio 2016, n. 3786).
Se, dunque, l'intento del legislatore è quello di reprimere più severamente le condotte di spaccio idonee a contaminare insediamenti nei quali sono ordinariamente presenti, secondo l'id quod plerumque accidit, soggetti maggiormente esposti al rischio di essere attratti dal consumo di sostanze stupefacenti, se ne deve necessariamente inferire che per la configurabilità della circostanza aggravante è necessario ed imprescindibile che il reo svolga la propria attività di spaccio in un luogo che - per effetto della indicata contiguità fisica - favorisca o comunque consenta l'immediato accesso alle droghe ai soggetti che frequentano le comunità oggetto della speciale protezione: «eliminando un ostacolo alla caduta (o alla ricaduta) nella tossicodipendenza, la vicinanza fisica dello spacciatore alle potenziali vittime rende la condotta tipica del reato maggiormente insidiosa ed aggressiva per il bene protetto dalla norma» (Cass. pen., sez. IV, 8 giugno 2021, n. 24426).
Deve, pertanto, reputarsi necessario e sufficiente che l'agente perpetri il reato in un luogo pertinenziale o comunque immediatamente contiguo alle strutture indicate dalla norma, nel quale siano soliti intrattenersi o comunque transitare gli “utenti istituzionali” di quelle strutture (studenti, militari, pazienti, tossicodipendenti, ecc.): realizzatesi queste condizioni, rimane del tutto indifferente la categoria alla quale appartenga l'acquirente della sostanza stupefacente, poiché l'aggravamento del reato consegue ad una valutazione di natura prettamente logistica che metta in luce la descritta relazione immediata tra i luoghi tutelati e le rispettive aree di prossimità, ed opera anche nel caso in cui l'agente abbia ceduto lo stupefacente ad una persona estranea agli usuali frequentatori di quelle strutture.
E', invero, univoco il principio, statuito dalla giurisprudenza di legittimità, in base al quale il giudizio relativo alla “prossimità” non può essere in alcun modo influenzato dalle caratteristiche personali dell'acquirente: ad esempio, in un caso di cessioni di droga effettuate nelle immediate vicinanze di una scuola, Cass. pen., sez. IV, 6 aprile 2017, n. 21884, ha rimarcato come né il dato testuale della norma, né una sua valutazione di carattere sistematico impongano di «accertare che le cessioni di stupefacente siano effettuate o destinate a specifiche categorie di soggetti, dovendosi di contro ritenere che la ridetta aggravante sia caratterizzata da un fondamento oggettivo (costituito dall'attività di cessione di droga all'interno o in prossimità delle strutture indicate dalla norma) e sia volta a sanzionare con maggior rigore l'aver cagionato una particolare condizione di pericolo, integrata dall'esercizio di attività di cessione di stupefacente in situazioni di prossimità a determinate categorie di soggetti che frequentano dette strutture»; allo stesso modo, in un caso relativo alla cessione di una bustina di eroina avvenuta all'interno di un ospedale, Cass. pen., sez. VI, 11 dicembre 2019 (dep. 16 gennaio 2020), n. 1666, ha ritenuto del tutto irrilevante la circostanza che il cessionario non fosse ivi ricoverato, ma vi si fosse appositamente recato proprio per concludere l'acquisto della droga. Riferimenti
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