Morte o lesioni come conseguenza (non voluta) di un altro delittoFonte: Cod. Pen Articolo 586
21 Novembre 2018
Inquadramento
La fattispecie di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto prevista dall'art. 586 c.p. è collocato nel Titolo XII del Libro II, Capo I del codice penale che riguarda i delitti contro la persona e, in particolare, i delitti contro la vita e l'incolumità individuale. Tale articolo, che prevede, come autonoma fattispecie di reato, la morte o la lesione di una persona, che derivi, quale conseguenza non voluta dalla commissione di un delitto diverso, costituisce una specifica applicazione dell'art. 83 c.p. nell'ambito dei delitti concernenti la vita e la incolumità personale, ed è norma di chiusura e di rafforzamento del sistema di tutela della vita e della incolumità fisica e trova applicazione ogni qual volta la morte sia conseguenza non voluta di un delitto doloso qualunque ne sia la natura, e, quindi, anche quando il fatto tipico, di per sé, non costituisca pericolo per il bene giuridico protetto, sempre che tra l'illecito comportamento del soggetto e l'evento non voluto (morte o lesione) sussista un rapporto di causalità materiale. Bene giuridico protetto
Il bene giuridico tutelato è costituito dalla vita e dall'incolumità individuale. I soggetti
Il soggetto attivo del reato è colui che pone in essere la condotta dolosa dalla quale deriva la morte o le lesioni. Secondo una parte della dottrina, il soggetto passivo coincide con il soggetto passivo del delitto doloso o delitto-base; secondo altra parte, invece, il soggetto passivo può non coincidere con il soggetto passivo del delitto doloso (ad esempio la morte o lesione del genitore per infarto di fronte alla violenza perpetrata ai danni del figlio: nella specie la Corte ha ritenuto la sussistenza del reato ex art. 586 c.p. per avere subito il soggetto passivo una lesione di natura neurologica a seguito di spavento causato dalla esecuzione di altro reato (ingiurie)in danno di persona diversa – Cass. pen., Sez. IV, 21 marzo 1967, n. 603). Condotta e nesso causale
In tema di reati colposi d'evento, la natura commissiva della condotta consistente nella trasgressione di un divieto implica, per l'accertamento del nesso causale, che il giudizio controfattuale non sia basato sui criteri probabilistici - statistici tipici della causalità per omissione ma sia effettuato valutando se l'evento si sarebbe ugualmente verificato eliminando l'azione dal contesto in cui è stata posta in essere (Cass. pen., Sez. III, 28 settembre 2016, n. 47979; Cass. pen., Sez. IV, 1 marzo 2011, n. 15002). La questione riguardante la prova del nesso causale e la sussistenza di un profilo colposo, per anni controversa tra la giurisprudenza di legittimità, è stata risolta dalle Sezioni Unite che hanno stabilito che si deve ritenere sussistente la responsabilità, non sulla base del mero rapporto di causalità materiale (purché non interrotto ai sensi dell'art. 41, comma 2, c.p. da eccezionali fattori eziologici sopravvenuti) fra la precedente condotta e l'evento diverso ed ulteriore, ma solo allorquando si accerti la sussistenza di un coefficiente di "prevedibilità" della morte o delle lesioni, tale da potersene dedurre una forma di "responsabilità per colpa" (Cass. pen., Sez. unite, 22 gennaio 2009, n. 22676). Ad avviso delle Sezioni unite, l'unica interpretazione conforme al principio costituzionale di colpevolezza è quella che richiede, anche nella fattispecie dell'art. 586 c.p., una responsabilità per colpa in concreto, ossia ancorata ad una violazione di regole cautelari di condotta e ad un coefficiente di prevedibilità ed evitabilità, in concreto e non in astratto, del rischio connesso alla carica di pericolosità per i beni della vita e dell'incolumità personale, intrinseca alla consumazione del reato doloso di base. La colpa "normale" consiste nella realizzazione di un fatto non voluto, rimproverabile al soggetto per la violazione di una regola di diligenza (di prudenza, di imperizia), che discende da una valutazione positiva di prevedibilità e di evitabilità della verificazione dell'evento. Tale valutazione deve essere compiuta con un giudizio di prognosi postuma, collocandosi in una prospettiva ex ante, cioè riferita al momento in cui è avvenuto il fatto, da svolgersi in concreto, secondo il punto di vista di un omologo agente modello, ossia di un agente ideato mentalmente come coscienzioso ed avveduto che si trovi nella concreta situazione e nel concreto ruolo sociale dell'agente reale. Elemento soggettivo
L'elemento psicologico richiesto per il delitto-base è il dolo previsto dalla norma incriminatrice violata. Per ciò che concerne l'imputazione della morte o delle lesioni come evento non voluto, si sono sviluppati diversi orientamenti. Secondo un primo orientamento (ipotesi di responsabilità oggettiva), il rapporto fra delitto voluto ed evento non voluto è stabilito dall'art. 586 c.p. in termini di pura e semplice causalità materiale, rientrando tale fattispecie tra i casi previsti dalla legge nei quali, ai sensi dell'art. 42, comma 3 c.p. "l'evento è posto altrimenti a carico dell'agente come conseguenza della sua azione o omissione" (Cass. pen., Sez. II, 15 febbraio 1996, n. 6361). Secondo altro orientamento (ipotesi di colpa specifica per violazione di legge), il delitto di cui all'art. 586 c.p. è imputabile a titolo di colpa (per il richiamo all'art. 83 c.p.), colpa che consiste specificamente nella violazione di legge commessa col delitto doloso presupposto (Cass. pen., Sez. III, 6 dicembre 1995, n. 1602). L'evento lesivo, conseguente dal delitto doloso commesso, è imputato al colpevole, a titolo di colpa, per violazione di legge, perché l'art. 43 c.p. annovera tra i criteri di qualificazione dei comportamenti colposi (in aggiunta alla imprudenza, imperizia e negligenza), anche l'inosservanza della legge. Invero, tale espressione non limita questo modo di essere della colpa alla sola violazione di legge a carattere squisitamente o esclusivamente cautelare, ma comprende anche la violazione delle stesse norme penali incriminatrici, mentre l'art. 586 c.p. attribuisce alle disposizioni incriminatrici, che prevedono i singoli delitti, oltre alla funzione loro propria di tutela del singolo bene, anche il carattere ulteriore ed accessorio di norme che mirano a prevenire, attraverso la sanzione penale, l'eventuale lesione di beni giuridici, tutelati mediante le ipotesi di reato colposo, che possono essere prodotte a causa della commissione dei delitti dolosi (Cass. pen., Sez. I, 25 aprile 1986, n. 11486). Secondo altro orientamento (ipotesi della prevedibilità in astratto), in tema di responsabilità penale per morte o lesioni costituenti conseguenza non voluta di altro delitto doloso, si deve ritenere sussistente la responsabilità non sulla base del mero rapporto di causalità materiale (purché non interrotto ai sensi dell'art. 41, comma 2 c.p. da eccezionali fattori eziologici sopravvenuti) fra la precedente condotta e l'evento diverso ed ulteriore, ma solo allorquando si accerti la sussistenza di un coefficiente di "prevedibilità" della morte o delle lesioni, tale da potersene dedurre una forma di "responsabilità per colpa" (Cass. pen., Sez. V, 7 febbraio 2006, n. 14302). Secondo l'orientamento più recente e consolidato, invece, la colpa deve essere accertata in concreto. È necessario che l'evento lesivo costituito dalla morte e dalle lesioni, non sia voluto neppure in via indiretta o con dolo eventuale dall'agente, poiché questi, se pone in essere la propria condotta pur rappresentandosi la concreta possibilità del verificarsi di ulteriori conseguenze di essa e ciononostante accettandone il rischio, risponde, in concorso di reati, del delitto inizialmente preso di mira e del delitto realizzato come conseguenza voluta del primo (Cass. pen., Sez. III, 2 aprile 2014, n. 31841; Cass. pen., Sez. unite, 22 gennaio 2009, n. 22676) Consumazione e tentativo
Il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui si verifica la morte o le lesioni. Il tentativo non è configurabile in quanto il reato è caratterizzato dal verificarsi di un evento non voluto (Cass. pen., Sez. I, 21 settembre 2004, n. 41095). Circostanze aggravanti
L'art. 586 c.p. prevede una circostanza aggravante secondo la quale le pene stabilite dagli artt. 589 e 590 c.p. sono aumentate. Poiché si tratta di una figura di reato colposa, ad essa si applicano le circostanze compatibili con tale responsabilità e non quelle che si riferiscono ai soli reati dolosi. Ad esempio, l'aggravante ex art. 61 n. 3 c.p. (l'aver, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell'evento). Circostanze attenuanti
Poiché si tratta di una figura di reato colposa, a essa si applicano le circostanze compatibili con tale responsabilità e non quelle che si riferiscono ai soli reati dolosi.
Concorso di persone nel reato
Nel caso in cui il delitto-base da cui deriva la morte o le lesioni viene realizzato da più persone, devono essere distinte due ipotesi:
Secondo l'orientamento maggioritario, l'art. 586 c.p. configura una ipotesi speciale di aberratio delicti, nella quale l'elemento specializzante rispetto all'art. 83 c.p. è dato dalla natura dell'offesa non voluta e dall'enunciazione di una circostanza aggravante speciale. La ragione dell'aggravamento delle pene per l'evento non voluto (morte o lesione personale) non risiede tanto nell'esigenza di una tutela più penetrante dell'incolumità individuale, quanto nella constatazione della maggiore gravità dell'offesa alla vita o all'integrità fisica, che sia riconducibile alla commissione di un fatto, costituente di per sé illecito penale qualificato dal dolo. Diversa è l'ipotesi in cui il fatto volontario possiede i caratteri di una fattispecie penale astratta, ma non sia punibile per l'esistenza di una causa di non punibilità: in tal caso il soggetto, che non versa in illecito, in quanto la sua condotta non è in rapporto di contraddizione con l'ordinamento, può essere chiamato a rispondere dell'evento non voluto ai sensi degli artt. 589, 590 c.p. in quanto ne ricorrono le condizioni. (Cass. pen., Sez. V, 8 giugno 1982, n. 7089 e Cass. pen., 10 giugno 1981, n. 8677; Cass. pen., Sez. I, 28 gennaio 1969, n. 114). Secondo diverso orientamento, invece, la norma dell'art. 586 c.p. concerne una fattispecie diversa da quella dell'art. 83 c.p. alla quale non può essere ricondotta come ipotesi particolare perché, mentre l'art. 83 c.p. ha per oggetto il caso in cui il comportamento diretto alla produzione di un evento ne cagioni un altro soggettivamente od oggettivamente diverso, l'art. 586 c.p. riguarda l'ipotesi in cui da un delitto doloso derivi, come conseguenza ulteriore, l'offesa alla vita e all'incolumità altrui, prescindendo dal nesso causale tra comportamento ed evento e riconducendo tale nesso unicamente alla necessità di un rapporto di conseguenzialità tra un delitto doloso e l'evento morte o lesioni. Le fattispecie regolate dalle predette norme si differenziano, perciò, non sotto il profilo psicologico (ricondotto in entrambe le ipotesi alla volizione dell'evento, e perciò del reato che si intendeva porre in essere), ma per la disciplina del nesso di causalità, ricondotto per l'art. 83 c.p. alla condotta dell'agente e per l'art. 586 c.p. solo ed esclusivamente al delitto voluto e commesso, indipendentemente dall'avere l'agente cagionato l'evento per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato o per altre cause (Cass. pen., Sez. IV, 20 giugno 1985, n. 1673). Rapporto con altri reati
Tra l'art. 586 c.p. e l'art. 589 c.p. (omicidio colposo) esiste un concorso apparente di norme, che va risolto ex art. 15 c.p. con l'applicazione esclusiva della norma speciale che è proprio quella dell'art. 586 c.p., che prevede alcuni elementi comuni con la norma dell'art. 589 c.p. (condotta umana che cagiona l'evento della morte di una persona) e alcuni elementi aggiuntivi esclusivi (colpa consistente nella commissione di un delitto doloso, pena aggravata). Ne deriva che quando la morte è conseguenza di altro delitto non può applicarsi la norma dell'art. 589 c.p., ma deve applicarsi soltanto quella dell'art. 586 c.p. (Cass. pen., Sez. III, 6 dicembre 1995, n. 1602). Sussiste il dolo del delitto di omicidio volontario ex art. 575 c.p. quando l'agente, pur non mirando ad un evento mortale come proprio obiettivo intenzionale, abbia tuttavia previsto come probabile - secondo un normale nesso di causalità - la verificazione di un siffatto evento lesivo, accettandone, con l'agire in presenza di tale situazione soggettivamente rappresentatasi, il rischio della sua verificazione. Diversamente, nell'ipotesi di cui all'art. 586 c.p., l'agente si è rappresentato ed ha voluto soltanto il delitto dalla cui commissione è derivato l'evento morte, non presente nella cosciente determinazione del reo, ma verificatasi soltanto quale effetto diretto del diverso delitto realizzato (Cass. pen., Sez. I, 21 dicembre 1993, n. 3766). Il delitto di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto si differenzia dall'omicidio preterintenzionale ex art. 584 c.p. in quanto, nel primo reato l'attività del colpevole è diretta a realizzare un delitto doloso diverso dalle percosse o dalle lesioni personali, mentre nel secondo l'attività è finalizzata a realizzare un evento che, qualora non si verificasse la morte, costituirebbe reato di percosse o lesioni (Cass. pen., Sez. V, 4 aprile 2018, n. 23606; Cass. pen., Sez. V, 20 aprile 2015, n. 21002; Cass. pen., Sez. V, 13 febbraio 1999, n. 3262; e Cass. pen., Sez. V, 23 marzo 1990, n. 6403). Nella preterintenzionalità è necessario che la lesione si riferisca allo stesso genere di interessi giuridici (incolumità della persona), mentre nell'ipotesi di cui all'art. 586 c.p. la morte o la lesione deve essere conseguenza di delitto doloso diverso dalle percosse o dalle lesioni. In altri termini, nell'omicidio preterintenzionale la morte del soggetto passivo, non voluta dall'agente, è il risultato di una condotta che mirava intenzionalmente contro l'integrità fisica, quanto meno nella forma minima del tentativo di percosse; mentre, nell'ipotesi di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, la morte, ugualmente non voluta, è la conseguenza di altro delitto doloso, diverso dalle lesioni volontarie o delle percosse. Nell'ipotesi di morte conseguente a cessione di sostanze stupefacenti ex art. 73 del d.P.R. 309/1990 deve ritenersi esclusa la configurabilità della continuazione fra quest'ultimo e quello del quale l'agente deve rispondere ai sensi dell'art. 586 c.p., mentre è possibile riconoscere la sussistenza del concorso formale di reati, rilevando a tal fine soltanto l'identità della condotta (Cass. pen., Sez. IV, 23 marzo 2004, n. 21746; Cass. pen., Sez. VI, 25 febbraio 2010, n. 10022). Il reato di omicidio quale conseguenza di altro delitto, di cui all'art. 586 c.p., non concorre con il reato di omissione di soccorso di cui all'art. 593 c.p., in quanto l'evento letale già posto a carico dell'agente quale autore di un reato di danno non può essere addebitato allo stesso anche quale conseguenza di un reato di pericolo (Cass. pen., Sez. VI, 6 dicembre 1988, n. 1955). Le Sezioni unite, pronunciandosi sulla questione «Se ai fini dell'accertamento della responsabilità penale dello spacciatore per la morte dell'acquirente, in conseguenza della cessione o di cessioni intermedie della sostanza stupefacente che risulti letale per il soggetto assuntore, sia sufficiente la prova del nesso di causalità materiale fra la precedente condotta e l'evento diverso ed ulteriore, purché non interrotto da cause sopravvenute di carattere eccezionale, ovvero debba essere dimostrata anche la sussistenza di un profilo colposo per non aver preveduto l'evento», hanno enunciato il principio di diritto secondo il quale in tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, il decesso dell'assuntore di sostanza stupefacente è imputabile alla responsabilità del cedente sempre che, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina la condotta di cessione) con prevedibilità ed evitabilità dell'evento, da valutarsi alla stregua dell'agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall'agente reale (Cass. pen., Sez. unite, 22 gennaio 2009, n. 22676; Cass. pen., Sez. IV, 23 settembre 2016, n. 8058). Nel caso di morte o lesioni conseguenti all'assunzione di sostanze stupefacenti, la responsabilità per questi ulteriori eventi a carico di colui che le abbia illecitamente cedute, potrà essere ravvisabile quando sia accertata la sussistenza, da un lato, di un nesso di causalità fra la cessione e l'evento morte o lesioni, non interrotto da fattori eccezionali sopravvenuti, e, da un altro lato, che l'evento non voluto sia comunque soggettivamente collegabile all'agente, ovvero sia a lui rimproverabile a titolo di colpa in concreto, valutata secondo i normali criteri di valutazione della colpa nei reati colposi. Occorrerà che l'agente abbia violato una regola cautelare diversa dalla norma (della legge sugli stupefacenti) che incrimina il delitto base e che sia specificamente diretta a prevenire la morte o le lesioni personali ed occorrerà una valutazione positiva di prevedibilità ed evitabilità in concreto dell'evento, compiuta ex ante, sulla base del comportamento che sarebbe stato tenuto da un omologo agente modello, tendendo conto di tutte le circostanze della concreta e reale situazione di fatto. Si dovrà, pertanto, verificare se dal punto di vista di un agente modello, nella situazione concreta, risulta prevedibile l'evento morte come conseguenza dell'assunzione, da parte di uno specifico soggetto, di una determinata dose di droga. Per agente modello non si deve intendere uno "spacciatore modello", ma una persona ragionevole, fornita, al pari dell'agente reale, di esperienza nel campo della cessione ed assunzione di sostanze stupefacenti e consapevole della natura e dei normali effetti della sostanza che cede. Alla luce di ciò, inoltre, deve essere esclusa la responsabilità del cedente per la morte del cessionario in tutte le ipotesi in cui la morte risulti in concreto imprevedibile, in quanto intervenuta per effetto di fattori non noti o non rappresentabili dal cedente. Profili processuali
Competenza. I criteri di individuazione della competenza per materia del delitto ex art. 586 c.p., sono quelli previsti per il delitto-base. Il giudice competente per territorio è quello del luogo nel quale è avvenuta l'azione o l'omissione ex art. 8, comma 2 c.p.p. ovvero del luogo in cui si è configurato il delitto-base doloso. Procedibilità. Il delitto è procedibile d'ufficio quando dal delitto-base sia derivata la morte; è procedibile a querela della persona offesa quando siano, invece, derivate lesioni salvo che nei casi previsti dall'art. 590, comma 5 c.p.
Casistica
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