Omicidio preterintenzionaleFonte: Cod. Pen Articolo 584
28 Agosto 2015
Inquadramento
L'art. 584 c.p. – omicidio preterintenzionale – è contenuto nel Capo I, Titolo XII, Libro secondo del codice penale, tra i delitti contro la persona e, in particolare, contro la vita e l'incolumità individuale. La disposizione punisce il fatto di chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli artt. 581 e 582 c.p. – percosse e lesione personale –, cagiona la morte di un uomo. Per un corretto inquadramento della preterintenzione occorre richiamare gli artt. 42 e 43 c.p.: essa caratterizza un delitto le cui conseguenze ricadono oltre l'intenzione dell'agente, “quando dall'azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto”. Peraltro, ai fini della punibilità a titolo di delitto preterintenzionale è richiesta una espressa previsione legale (come per la colpa), dal momento che l'ordinario criterio di imputazione soggettiva per i delitti è il dolo. La disciplina normativa della fattispecie in esame è completata dall'art. 585 c.p., che prevede talune circostanze aggravanti speciali ad effetto comune e speciale, in parte individuate per relationem a partire dagli artt. 576 e 577 c.p. Un'altra aggravante speciale ad effetto comune è disposta dall'art. 1151 cod. nav., quando il fatto è commesso da un componente dell'equipaggio della nave o dell'aeromobile contro un superiore, nell'atto o a causa dell'adempimento delle di lui funzioni. Nella legislazione speciale si consideri ancora l'art. 18, comma 2, l. 194/1978, c.d. aborto preterintenzionale, consistente nel fatto di “chiunque provochi l'interruzione della gravidanza con azioni dirette a provocare lesioni alla donna”. Analisi della fattispecie: considerazioni preliminari
Dal punto di vista della struttura, l'omicidio preterintenzionale è costituito da atti, opportunamente sorretti dall'elemento rappresentativo-volitivo, diretti a percuotere o ferire, nonché dalla realizzazione involontaria della morte della vittima, eziologicamente ricollegata alla precedente condotta. La fattispecie in esame si differenzia, pertanto, rispetto all'ampiezza previsionale dell'ipotesi di cui all'art. 575 c.p. per la peculiare connotazione modale descritta: il delitto doloso c.d. sussidiario. Anche avuto riguardo alla fattispecie di “morte o lesioni come conseguenza di altro delitto” (art. 586 c.p.; ma vedi altresì il nuovo art. 452-ter c.p.), l'elemento distintivo è rinvenibile nella natura del reato di passaggio: in questo caso, invero, esso può essere rappresentato da qualsiasi delitto doloso (ovvero dal solo reato di inquinamento ambientale ex art. 452-bis c.p.) diverso dalle percosse e dalle lesioni. Nell'ipotesi di cui all'art. 584 c.p., inoltre, si registra la lesione di un'oggettività giuridica omogenea rispetto al bene tutelato dagli artt. 581 e 582 c.p.; la fattispecie ex art. 586 c.p., al contrario, è posta a tutela di un interesse ontologicamente diverso da quello del precedente delitto doloso. In applicazione di detto principio, la giurisprudenza ha affermato che non è configurabile il delitto di cui all'art. 586 c.p. nel caso in cui la morte della vittima sia stata la conseguenza di un delitto di rapina con violento pestaggio di quest'ultima (la violenza che risulta assorbita dalla fattispecie di cui all'art. 628 c.p., invero, è quella tipica delle sole percosse): del resto, mentre nella preterintenzionalità è necessario che la lesione giuridica si riferisca allo stesso genere di interessi protetti (vita o incolumità), nell'ipotesi di cui all'art. 586 c.p. la morte deve essere conseguenza di un delitto doloso diverso dalle percosse o lesioni. Si tratta di un reato comune, realizzabile da chiunque; a fattispecie alternative, conseguente indifferentemente dalle percosse o dalle lesioni. Il delitto si consuma nel momento e nel luogo in cui si verifica l'evento-morte. A questo proposito, considerato che l'omicidio preterintenzionale è caratterizzato dal verificarsi di un evento non voluto, che comporta un più severo trattamento sanzionatorio, risulta la sua incompatibilità con il tentativo e con la desistenza volontaria, che presuppongono, invece, un evento voluto e non verificatosi per circostanze indipendenti o, nella desistenza, per resipiscenza dell'agente. Elemento materiale
Il primo segmento della condotta di omicidio preterintenzionale è descritto con l'espressione “atti diretti a commettere” il reato di percosse o lesioni personali: in considerazione di tale dato normativo, dottrina e giurisprudenza si sono interrogate circa lo stadio di realizzazione del delitto sussidiario rilevante ai fini della punibilità ai sensi dell'art. 584 c.p. Sul punto, mentre appare pacifico che le fattispecie di cui agli artt. 581 e 582 c.p. non debbano necessariamente presentarsi nella veste consumata, il dibattito ha riguardato in particolare l'equivalenza o meno della formula impiegata dal legislatore rispetto a quella di cui all'art. 56 c.p. (delitto tentato):
L'elaborazione giurisprudenziale ha decodificato in termini ampi le percosse, ricomprendendovi non solo il battere, picchiare o colpire ma anche ogni violenta manomissione dell'altrui persona fisica: in questo senso, si ritiene che possano essere ricondotti alla fattispecie in esame anche il pugno, lo schiaffo, la bastonata, l'urto e l'afferramento. L'azione violenta può essere costituita anche da una spinta, estrinsecandosi essa in un'energia fisica, più o meno rilevante, esercitata direttamente nei confronti della persona. Nell'ambito delle lesioni, ancora, la giurisprudenza riconduce anche l'iniezione di sostanza stupefacente in quanto provoca un'alterazione dello stato fisico e psichico del soggetto, a nulla rilevando il di lui consenso a farsi iniettare (Cass. pen., Sez. I, 8 novembre 2012, n. 31466).
L'imputazione oggettiva dell'evento più grave non voluto, inoltre, richiede che lo stesso sia conseguenza della specifica modalità lesiva posta in essere dall'autore con riferimento al reato meno grave voluto, pur senza necessità che la serie causale che ha prodotto la morte rappresenti lo sviluppo dello stesso evento di percosse o di lesioni voluto dall'agente. Un'altra questione controversa riguarda la compatibilità col dettato normativo di un omicidio preterintenzionale realizzato mediante omissione, così configurando la fattispecie come causalmente orientata o a forma libera.
In questo caso, peraltro, occorrerebbe accertare che il soggetto fosse effettivamente il titolare della posizione di garanzia e, di conseguenza, il destinatario dell'obbligo giuridico di impedire l'evento. Si consideri, a titolo esemplificativo, il seguente principio di diritto affermato dalla giurisprudenza: in virtù della regola sancita dall'art. 40, comma 2, c.p. può essere chiamato a rispondere di omicidio preterintenzionale il funzionario di polizia che sia assente dal luogo ove il fatto si è verificato, violando l'obbligo di impedire che la condotta degli agenti sottoposti trasmodasse in ulteriori e gravi violenze nei confronti dell'indagato (fattispecie ex art. 584 c.p., nella quale il dirigente della squadra mobile della questura aveva schiaffeggiato l'indagato dell'omicidio di un commissario, che era stato quindi portato in altro locale e sottoposto a violenze ed al trattamento con acqua e sale da parte degli agenti ed era infine deceduto per l'accidentale penetrazione nelle vie aeree del tubo per l'immissione dell'acqua) (Cass. pen., Sez. V, 5 aprile 1995, n. 5139). Elemento soggettivo: la natura della preterintenzione
Nell'indagine sull'elemento soggettivo dell'omicidio preterintenzionale sembra possibile scindere i due segmenti del piano materiale del reato: gli atti diretti a percuotere o ferire ed il cagionare la morte della vittima. Con riferimento ai primi occorre osservare che la direzione degli atti è requisito strutturale oggettivo dell'azione, non connotato soggettivo della condotta: ciò comporta che l'omicidio preterintenzionale può configurarsi, con riguardo all'elemento psicologico, anche quando gli atti diretti a commettere uno dei delitti previsti dagli art. 581 e 582 c.p. dai quali sia derivata, come conseguenza non voluta, la morte, siano stati posti in essere con dolo eventuale e non diretto (cfr., ex plurimis, Cass. pen., Sez. I, 13 ottobre 2010, n. 40202 e Sez. V, 12 novembre 2008, n. 44751). In senso contrario è dato registrare un risalente arresto della Corte di cassazione, n. 4904/1988: per i giuridici di legittimità gli “atti diretti a commettere” le percosse o le lesioni corrispondono alla tipica forma tentata dei due delitti e devono pertanto essere il frutto di un dolo diretto dell'agente e non semplicemente eventuale; ne consegue l'impossibilità di ipotizzare un'affermazione di colpevolezza per omicidio preterintenzionale che si fondi su una condotta volta a conseguire risultati diversi e rispetto alla quale gli esiti lesivi siano considerati ipotetici, anche se previsti come possibili e non rifiutati. Propriamente, il riferimento alla preterintenzione concerne il criterio di imputazione dell'evento-morte all'autore della condotta di percosse o lesioni. Numerose teorie si sono confrontate nel tentativo di individuare la corretta collocazione dogmatica della categoria in esame, così come diversi sono gli orientamenti che hanno inteso delinearne gli elementi strutturali. A questo proposito, la dottrina maggioritaria continua a prospettare una ricostruzione dell'omicidio preterintenzionale quale ipotesi di dolo misto a colpa, non specifica ma generica, ed in concreto; in giurisprudenza, invece, è pacifica l'affermazione per la quale l'elemento soggettivo dell'omicidio preterintenzionale è costituito unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all'art. 43 c.p. assorbe la prevedibilità dell'evento più grave nell'intenzione di risultato, superata solo in ragione della maggiore gravità dell'esito occorso. Siffatta conclusione, peraltro, si basa sulla considerazione secondo cui è assolutamente probabile che da un'azione violenta contro una persona possa derivare la morte della stessa (Cass. pen., Sez. V, 18 ottobre 2012, n. 791, nonché Sez. I, 8 maggio 2013, n. 27161 e Sez. V, 27 giugno 2012, n. 35582). Regime sanzionatorio
L'omicidio preterintenzionale è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni (termine di prescrizione: diciotto anni). Tra le aggravanti speciali ad effetto comune preme segnalare, in particolare, la commissione del fatto con armi o sostanze venefiche, ovvero da persona travisata o da più persone riunite: art. 585 c.p. La corrispondente definizione di arma agli effetti penali è fornita dai successivi commi 2 e 3 della medesima disposizione; per persona travista si intende quella che abbia alterato in qualsiasi modo le proprie sembianze esteriori in modo tale da rendersi difficilmente riconoscibile, pur non essendo necessario che la persona sia travisata al fine di commettere il delitto; l'aggravante delle più persone riunite, infine, viene interpretata dalla giurisprudenza in termini di necessità della simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento in cui si realizza il fatto. Tra le aggravanti richiamate per relationem dagli artt. 576 e 577 c.p. mostra profili di interesse soprattutto la premeditazione: essa appare incompatibile, dal punto di vista logico, con riguardo all'evento-morte dell'omicidio preterintenzionale, per definizione non voluto. Rispetto al segmento di condotta dolosa della fattispecie ex art. 584 c.p., invece, essa non pone problemi di sorta: laddove l'azione sia costituita da una mera percossa, tuttavia, l'aggravante in esame risulterà in concreto inoperante, stante il mancato richiamo all'art. 581 c.p. nel citato art. 585. Ulteriore circostanza aggravante ad effetto speciale dell'omicidio preterintenzionale è prevista dall'art. 36, l. 104/1992, in materia di assistenza, integrazione sociale e diritti delle persone handicappate. Aspetti processuali
La gravità del reato giustifica la procedibilità d'ufficio e la competenza per materia della Corte d'assise (art. 5, comma 1, lett. b), c.p.p.); l'arresto in flagranza è facoltativo ai sensi dell'art. 381, comma 1, c.p.p. ed il fermo di indiziato di delitto (art. 384 c.p.p.) è consentito, così come l'applicabilità di misure cautelari personali coercitive ed interdittive, ai sensi degli artt. 280 e 287 c.p.p. Le intercettazioni telefoniche ben possono essere disposte in relazione al delitto di omicidio preterintenzionale, in quanto l'art. 266 c.p.p. consente la captazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche o di altre forme di telecomunicazione, tra l'altro, nei procedimenti relativi a delitti non colposi, tra i quali rientra, appunto, il reato di cui all'art. 584 c.p. Alcune questioni processuali di particolare interesse hanno riguardato il principio del ne bis in idem sostanziale: ai fini della preclusione connessa al principio detto, l'identità del fatto sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Cass. pen., Sez. V, 30 ottobre 2014, n. 52215, fattispecie in cui la Corte ha escluso la configurabilità della preclusione derivante da identità del fatto con riguardo a procedimento relativo al reato di omicidio preterintenzionale instaurato a seguito della morte della persona offesa, sopravvenuta dopo che l'agente era stato già condannato in relazione alla medesima condotta per il reato di lesioni personali). Inoltre, è stato affermato che non viola il divieto di reformatio in peius il giudice di appello che, su impugnazione del solo imputato, proceda, fermo restando il fatto, alla derubricazione del reato ritenuto in primo grado e a un giudizio di bilanciamento delle circostanze deteriore rispetto a quello formulato dal primo giudice (Cass. pen., Sez. V, 3 aprile 2009, n. 40049: nella specie, qualificando il fatto come omicidio preterintenzionale anziché volontario e riconoscendo le attenuanti equivalenti anziché prevalenti, ma riducendo nel complesso la pena inflitta; art. 69 c.p., artt. 521, 597 e 598 c.p.p.). Casistica
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