41-bis e sistema multilivello di tutela dei diritti umani: il punto della giurisprudenza
24 Ottobre 2022
Premessa
L'Autrice, a due anni di distanza dal primo contributo (41-bis: verso un bilanciamento dei diritti “illuminato” da parte della giurisprudenza di legittimità? in ilpenalista.it), torna ad occuparsi del regime del carcere duro, nella prospettiva della giurisprudenza, sia di legittimità, delle più alte Corti.
Molti sono i temi affrontati dalla giurisprudenza: dall'accesso ai colloqui via Skype per i familiari, tenuto conto anche dell'emergenza sanitaria, dalle modalità di utilizzo dei dispositivi informatici per l'esercizio del diritto di difesa, dal rapporto con il difensore e dai mezzi di contatto, da quelli informatici alla corrispondenza, allo spazio concesso per le attività ricreative e per lo studio. In generale, come si può evincere dal breve elenco, la questione centrale, anche per il biennio 2020-2022, rimane il contatto con l'esterno e con i terzi, seppur qualificati, come il difensore, o tutor o docenti universitari. Anche se in relazione ad esigenze specifiche, come il diritto di difesa o il diritto allo studio, si delinea un orientamento notevolmente restrittivo, diretto al mantenimento della prevalenza della sicurezza sociale, nel complessivo bilanciamento con i diritti individuali. Tuttavia, qualche apertura non può negarsi, sia grazie all'intervento della Corte costituzionale, con sent. n. 18/2022, in materia di corrispondenza con il difensore, sia da parte della Cassazione, in materia di preclusione assoluta di utilizzo di materiale informatico per motivi di studio (per tutte, Cass. pen., n. 14782/2022). Sul punto, peraltro, sono pendenti, e dichiarati ricevibili, ben due ricorsi presso la Corte europea dei diritti dell'uomo, uno nel caso Crisci c. Italia, e l'altro nel caso Dantese c. Italia. Sempre copiosa, inoltre, la giurisprudenza di legittimità in materia di proroga e di reiterazione del provvedimento ministeriale di sospensione delle regole di trattamento: uno dei punti più dolenti del regime, anche per la scarsa effettività dell'intervento della difesa negli strettissimi margini di impugnazione, in una procedura giurisdizionale, quasi a senso unico. Regime di 41-bis e accesso ai colloqui via skype con la famiglia
A tenere banco nel 2021 in materia di 41-bis ord. penit., è stata sicuramente la giurisprudenza di merito e di legittimità intorno alla questione dell'accesso ai colloqui con i familiari, dato che, con la pandemia, il legislatore aveva introdotto una disciplina transitoria di sospensione dei colloqui visivi, e di sostituzione con quelli mediante l'utilizzo della tecnologia, senza tuttavia estendere espressamente tale previsione ai detenuti sottoposti al regime del carcere duro. Il riferimento del quadro normativo corre immediatamente ai d.l. n. 18/2020 (c.d. “Cura Italia) e a quello successivo d.l. n. 137/2020 (c.d. “Decreto ristori), convertiti, non senza modifiche con le leggi di conversione nn. 27/2020 e 176/2020, e con i decreti “gemelli” del 29 aprile e del 30 maggio del 2020, nn. 28 e 29, convertiti con la legge di conversione n. 70/2020.
A supporto della normativa generale, sono susseguiti, senza un filone logico, e spesso in termini contraddittori (generando persino un panico collettivo, poi sfociato in disordini, violenze e morti, come nelle carceri di Modena, San Vittore, Poggioreale, ecc., tra il 9 ed il 10 marzo 2020), numerosi decreti del consiglio dei ministri, oltre a svariate circolari interpretative del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria (ad es., per tutte quella del 26 febbraio 2020).
In generale, con tali provvedimenti si è proceduto con una sostituzione graduale, progressiva ed elastica del regime dei colloqui con i familiari, impediti in presenza per ragioni superiori di sanità pubblica, con i mezzi tecnologici, dalla piattaforma Skype, ai programmi di messaggistica Whatsapp, e all'impiego di smartphone e tablet, in dotazione dell'Amministrazione penitenziaria.
In altri termini, finalmente, in piena pandemia, il Dipartimento ha attuato, su larga scala, la circolare del 2019, con cui si prevedeva la possibilità di fruire di colloqui Skype per i detenuti di media e bassa sicurezza, fatta eccezione per l'Alta sicurezza. Con la pandemia sanitaria, anche i circuiti di massima sicurezza, AS1, AS2, AS3 sono stati ammessi a fruire delle norme di favore, consentendo ai detenuti di svolgere i colloqui Skype e di utilizzare, previ controlli, le utenze telefoniche di cellulari, sia dei familiari sia dei difensori.
A questo quadro, tuttavia, nel silenzio del legislatore, il Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria ha fornito una interpretazione assolutamente rigida e restrittiva, negando qualsiasi apertura per lo svolgimento dei colloqui sostitutivi, a quelli in presenza, per i detenuti sottoposti al regime del 41-bis. Nella fase di emergenza, quindi, i detenuti si sono visti negare l'accesso ai colloqui in presenza, con l'unica possibilità di fruire di colloqui telefonici, sempre con le stesse modalità, di dieci minuti di durata e con cadenza mensile. Non solo. Con circolare del 27 marzo 2020, il Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria stabiliva l'implementazione del regime dei colloqui telefonici, con due telefonate mensili, solo per due familiari per volta, telefonata da ricevere o nella caserma più vicina o nel luogo di detenzione di residenza, con esclusione di minori. Alla luce della presa di posizione del Dipartimento, non sono mancate pronunce in senso contrario: con almeno due ordinanze, la giurisprudenza di merito ha accolto i reclami dei detenuti sottoposti al regime, disponendo che l'Amministrazione penitenziaria consentisse lo svolgimento dei colloqui sostitutivi tramite la tecnologia Skype (così, Trib. Sorv. Roma, ord. dd. 16.01.2020; Uff. Sorv. Roma, ord. dd. 30.11.2020). In particolar modo, il Tribunale di Sorveglianza di Trieste, con ord. del 13 ottobre 2020, argomentava in fatto di pericolosità sociale: «la video-chiamata può essere notoriamente registrata attraverso l'applicazione Skype for business o altra equivalente, venendo generato un file temporaneo che, collocato in una cartella presente sul computer utilizzato per la comunicazione, può essere sempre masterizzato e custodito, per essere poi inviato, a richiesta, alla Direzione Distrettuale Antimafia, o ad altra autorità giudiziaria che dovesse avere la necessità di accedere alla comunicazione».
Sul punto, anche la Corte di cassazione si è pronunciata. In un primo momento, con la pronuncia n. 16557/2019, la Prima Sezione della Cassazione aveva chiuso la questione, in modo netto, non riconoscendo aperture verso colloqui con modalità non previste in via tassativa dalla legge. In un secondo momento, anche se in relazione ad un caso particolare, la Corte di cassazione ha ammorbidito la propria posizione, con la pronuncia n. 23819/2020. La questione dei colloqui visivi via Skype, con riguardo più specifico ai minori, è stata affrontata dal Tribunale dei minorenni di Reggio Calabria, con ordinanza del 9 giugno 2020, con cui è stata sollevata altresì questione di legittimità costituzionale, purtroppo, successivamente dichiarata inammissibile, per difetto di legittimazione da parte del Tribunale dei minorenni, da parte della Corte costituzionale (con ord. n. 57/2021).
Sempre in tema di colloqui con il familiare, di interesse è la pronuncia n. 23945/2020, con cui la Prima Sezione della Cassazione ha ritenuto legittima la prassi, avallata dalla disposizione della circolare del 2017, che dispone lo svolgimento dei colloqui a cadenza regolare di trenta giorni l'uno dall'altro, posta in essere dalla Casa Circondariale di Viterbo. Se è vero, tuttavia, che la prassi di mantenersi alla lettera della circolare non è illegittima, non lo è nemmeno la prassi per cui, in altre strutture, si consentono colloqui anche più ravvicinati, ad es. a fine mese e a inizio mese successivo, o altre soluzioni più elastiche (sempre tenuto conto, ovviamente, questioni organizzative e logistiche della struttura stessa e tenuto conto della pericolosità sociale del singolo detenuto). 41-bis e rapporto con il difensore
Altro tema “caldo” è quello che riguarda i rapporti con il difensore. Il 2020, è iniziato nel solco della rigidità: le pronunce della Prima Sezione si orientano nel confermare la giurisprudenza di legittimità sulle modalità di trasmissione degli atti giudiziari e sulle modalità di sottoscrizione, anche per autenticità del contenuto e della provenienza, degli stessi (così: Cass. pen. n. 23820/2020; in precedenza: Cass. pen., sez. I, n. 7505/2011). Anche nel 2021, la Cassazione è tornata ad occuparsi del tema, confermando la decisione dell'Amministrazione penitenziaria in ordine alla richiesta di comunicare via email con il proprio difensore: «va in ogni caso osservato che il riconoscimento della relativa facoltà sarebbe riconducibile, anche nella prospettiva segnalata dal ricorso, a una mera opportunità offerta dall'Amministrazione a beneficio dei detenuti cd. comuni (ossia assoggettati al regime ordinario), peraltro soltanto in alcuni istituti penitenziari, grazie a una non meglio specificata attività di talune cooperative sociali, ovviamente non suscettibili di alcun coinvolgimento in caso di detenuti ristretti in regime di art. 41-bis ord. penit., rispetto ai quali sono massime le esigenze di controllo al fine di evitare pericolosi contatti con l'ambiente esterno» (Cass. pen., sez. I, n. 17084/2021).
Nonostante le chiusure delineate sopra, nel maggio del 2021, la stessa Prima Sezione ha sollevato questione di legittimità costituzionale, rappresentando, finalmente, una altra visione del rapporto tra assistito al regime del 41-bis e difensore, in relazione alla corrispondenza.
In particolar modo, la Prima Sezione della Corte di Cassazione ha rilevato la criticità in ordine all'obbligo di sottoposizione a visto di censura per la corrispondenza tra detenuto ed avvocato, secondo quanto stabilito dall'art. 41-bis, comma 2-quater lett. e) ord. penit.: secondo i giudici rimettenti il contrasto si palesa con gli artt. 3, 15, 24, 111 Cost. e con il parametro dell'art. 6 CEDU e dell'art. 117 Cost., nella parte in cui il rapporto di corrispondenza con il difensore non è escluso dai controlli, anche in ragione delle garanzie costituzionali di cui gode il mandato difensivo fiduciario (ai sensi dell'art. 103, commi 5 e 6 c.p.p. e all'art. 18-ter ord. penit.).
Secondo la Corte costituzionale, il rilievo di incostituzionalità di cui all'art. 24 Cost. è fondato. Come ha ricordato, in motivazione, la garanzia della difesa è qualificata come “principio supremo” dell'ordinamento costituzionale, e con ciò anche tutti i diritti strumentali e secondari che compongono il diritto alla difesa, come quello del colloquio o della corrispondenza, specie per persone che si trovano in stato di detenzione: tale diritto, infatti, assume «una valenza tutta particolare nei confronti delle persone ristrette in ambito penitenziario, le quali, in quanto fruenti solo di limitate possibilità di contatti interpersonali diretti con l'esterno, vengono a trovarsi in una posizione di intrinseca debolezza rispetto all'esercizio delle facoltà difensive» (così Corte cost. n. 143/2013). Conclusione di principio che trova una base normativa anche nelle fonti internazionali e nella giurisprudenza sovranazionale. La Corte EDU ha infatti più volte osservato la centralità della possibilità di conferire con il difensore, in modalità e termini di tutela della riservatezza, e ciò anche rispetto alla necessità di assicurare la tutela del detenuto contro eventuali abusi dell'autorità penitenziaria (così: Corte EDU, 30 gennaio 2007, Ekinici e Akalin c. Turchia). Così anche per i detenuti sottoposti al regime del 41-bis: la Corte costituzionale infatti più volte si è espressa, per eliminare le limitazioni imposte dalla legge nei rapporti con il difensore, dal numero dei colloqui settimanali, con la sentenza n. 143/2013.
Avendo eliminato le limitazioni al numero di colloqui con il difensore, secondo la Corte risulta ampiamente irragionevole mantenere un simile controllo della corrispondenza, laddove si ritenga che la prescrizione sia stata introdotta per limitare i contatti con l'esterno: «Riguardata, però, nel contesto delle altre misure previste dal comma 2-quater dell'art. 41-bis ord. penit., la disposizione in esame si appalesa del tutto inidonea a tale scopo, dal momento che il temuto scambio di informazioni tra difensori e detenuti o internati potrebbe comunque avvenire nel contesto dei colloqui visivi o telefonici, oggi consentiti con il difensore in numero illimitato, e rispetto al cui contenuto non può essere operato alcun controllo. Inoltre, la misura - che incide sul diritto fondamentale del detenuto o internato in misura ancora più gravosa rispetto a quella giudicata costituzionalmente illegittima dalla menzionata sentenza n. 143/2013, non ponendo meri limiti quantitativi ma potendo addirittura impedire che talune comunicazioni giungano al proprio destinatario - appare certamente eccessiva rispetto allo scopo perseguito, dal momento che sottopone a controllo preventivo tutte le comunicazioni del detenuto con il proprio difensore. E ciò in assenza di qualsiasi elemento concreto che consenta di ipotizzare condotte illecite da parte di quest'ultimo» (così Corte cost. n. 18/2022).
Nell'evidenziare l'incostituzionalità della prescrizione, la Corte evidenzia la stigmatizzazione e quindi il superamento di quella presunzione di collusione del difensore con il suo assistito, «finendo così per gettare una luce di sospetto sul ruolo insostituibile che la professione forense svolge per la tutela non solo dei diritti fondamentali del detenuto, ma anche dello stato di diritto nel suo complesso. Ruolo che, per risultare effettivo, richiede che il detenuto o internato possa di regola comunicare al proprio avvocato, in maniera libera e riservata, ogni informazione potenzialmente rilevante per la propria difesa, anche rispetto alle modalità del suo trattamento in carcere e a violazioni di legge o di regolamento che si siano, in ipotesi, ivi consumate» (così Corte cost. n. 18/2022). 41-bis e diritto allo studio
Con una recente pronuncia, la Prima Sezione ha affrontato il tema dell'impiego di CD-rom e lettori musicali da parte dei detenuti del 41-bis, come parte integrante del trattamento. Il caso deciso dalla Cassazione trae origine da un reclamo del detenuto ai sensi dell'art. 35-bis ord. penit. con cui si lamentava la lesione del proprio diritto soggettivo a fruire per motivi di studio e di svago di CD-rom musicali e materiale elettronico: a fronte del diniego dell'Amministrazione penitenziaria e della conferma del Magistrato di Sorveglianza, il Tribunale di Sorveglianza di Roma aveva accolto il reclamo, ravvisando, nel caso concreto, non legittimo il rifiuto da parte della Direzione locale. La Corte di cassazione, pur non ravvisando un divieto assoluto da parte della legge nel fornire tali strumenti ai detenuti anche in regime di 41-bis, ritiene che: «l'interesse del detenuto, pur qualificato sotto il profilo trattamento, deve essere bilanciato con le esigenze di controllo dell'Amministrazione penitenziaria, particolarmente avvertita il proprio nei casi in cui, come quello in esame, il soggetto sia sottoposto a regime penitenziario differenziato»(così: Cass. pen., n. 14782/2022; in precedenza: Cass. pen. nn. 29819/2021; 43484/2021).
Le modalità di controllo individuate da parte del Tribunale di Sorveglianza di Roma, per cui sarebbero acquistabili solo beni e materiali tramite l'Amministrazione penitenziaria, secondo la Consulta, possono rappresentare un valido sistema di monitoraggio della pericolosità sociale, solo se nel concreto tali modalità sono esigibili e praticabili dall'Amministrazione penitenziaria: «Consegue a tali osservazioni la necessità che il Tribunale, prima di riconoscere il diritto del detenuto utilizzare dei lettori CD per uso ricreativo, verifichi se tale utilizzo, pure in assoluto non precluso dalla normativa vigente, possa nondimeno comportare inesigibili adempimenti da parte dell'Amministrazione penitenziaria, in relazione agli indispensabili interventi su dispostivi e supporti, tali da rendere ragionevole la scelta, operata dalla direzione del carcere, di non consentirne l'utilizzo. Scelta che, implicando un apprezzamento della possibilità di soddisfare le esigenze ricreative dei detenuti alla luce delle risorse disponibili, rientrerebbe in un ambito di legittimo esercizio del potere di organizzazione della vita degli istituti penitenziari» (così Cass. pen. n. 14782/2022).
La Corte di cassazione sembra sposare un'interpretazione restrittiva non solo sull'accesso di strumentazione elettronica, ma anche con riguardo all'ingresso di tutor o di insegnanti per l'agevolazione dello studio, comunque pur sempre individuale, da parte del detenuto sottoposto al regime: rimangono preclusi, per lo stesso ragionamento di esigibilità all'Amministrazione penitenziaria, l'acquisto di libri da parte della Direzione, in caso di detenuti indigenti.
Così, infatti, la Prima Sezione ha rigettato il ricorso per cassazione di un detenuto il quale richiedeva all'Amministrazione penitenziaria l'iscrizione ad una scuola superiore di ragioneria, all'acquisto di libri di testo e l'accesso in carcere di un insegnante o di poterlo vedere a colloquio via Skype. Chiedeva inoltre che lo svolgimento delle ore di tutorato non venissero computate nelle ore di socialità e/o di permanenza all'aria aperta. Prima il Magistrato di Sorveglianza, poi il Tribunale L'Aquila avevano respinto il reclamo, ritenendo che sulla base delle disposizioni attualmente vigenti in materia di 41-bis ord. penit. non potesse ravvisarsi un grave pregiudizio all'esercizio del diritto allo studio, rilevante ai sensi dell'art. 35-bis ord. penit. (così Cass. pen., n. 12199/2021). Il ricorso per cassazione, nonostante sia stato dichiarato inammissibile, ha fondato le premesse per proporre un ricorso dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, che è stato dichiarato ricevibile (caso Dantese c. Italia, annunciato dalla stampa, in Il Dubbio, La Cedu esaminerà il diritto allo studio per chi è al 41 bis). Per ora è prematuro formulare delle considerazioni in merito al ricorso e alla bontà delle doglianze sollevate in sede sovranazionale: ciò che rileva è comunque una netta chiusura da parte della Corte di Cassazione rispetto all'interpretazione più evolutiva della legge, che nulla vieta in tal senso, e della disposizione n. 34 della circolare del 2017, che consente l'accesso di insegnanti per colloqui e lo svolgimento degli esami o in presenza o mediante videocollegamento (con le stesse modalità, in caso di presenza, del vetro divisorio).
Un caso analogo, in materia di diritto allo studio, è stato sollevato nel caso Crisci c. Italia, sempre annunciato dalla stampa, su Il Corriere della Sera, del 9 agosto 2021: in questo caso, il Tribunale di Sorveglianza di Bologna, nel rigettare una richiesta di differimento della pena per motivi di salute, anche nelle forme della detenzione domiciliare di detenuto condannato alla pena dell'ergastolo, aveva motivato in ordine alla sussistenza della pericolosità sociale che il profilo del detenuto, ormai giunto alla seconda laurea e a un master in materia economica, non era compatibile nemmeno con la misura della detenzione domiciliare, comunque contenitiva. Il perfezionamento degli studi in materia economica, secondo il Collegio, non era un plus da valorizzare, ma un indice della volontà del detenuto di perfezionare schemi e dinamiche tipiche del proprio trascorso criminale. Una conclusione, che, pur esulando dalla compatibilità della detenzione con il quadro clinico del detenuto, ha suscitato perplessità nella misura in cui sancisce una paradossale equazione tra pericolosità sociale e studio (così Trib. Sorv. Bologna, ord. 27.08.2020). La proroga del 41-bis e oneri di motivazione
Sempre attuale, infine, la questione della applicazione e della relativa successiva proroga del regime del 41-bis ord. penit.: come ricorda la Cassazione, con la pronuncia n. 38935/2021, il termine per proporre reclamo per il difensore decorre dal momento della comunicazione del provvedimento. In questo caso, il ricorso, accolto dalla Prima Sezione, riguardava la notifica del provvedimento di proroga ad erroneo difensore, omonimo. Più significativa, invece, la pronuncia n. 18434/2021, con cui la Cassazione ricorda che il controllo svolto dal Tribunale di Sorveglianza di Roma, sul decreto di proroga del regime differenziato, diversamente che dal sindacato della Cassazione, non si limita ai soli profili di violazione della legge, ma si estende altresì alla motivazione ed alla sussistenza, sulla base delle circostanze di fatto indicate nel provvedimento, dei requisiti della capacità del soggetto di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata, della sua pericolosità sociale e del collegamento funzionale tra le prescrizioni imposte e la tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza (così, in precedenza: Cass. pen., sez. V, n. 19290/2016; Cass. pen., sez. I, n. 2271/2013). In senso garantistico, di rilievo anche la pronuncia n. 36815/2020, dove si tiene ferma l'ammissibilità dell'impugnazione, anche tardiva da parte del detenuto e di presentazione di motivi aggiunti, in caso di integrazione da parte del Ministero della Giustizia del decreto di proroga, con atto successivo rispetto all'atto di proroga così come notificato (così, in precedenza anche: Cass. pen., sez. I, n. 20986/2020; in senso parzialmente difforme, sull'onere dell'interessato: Cass. pen., sez. I, n. 2026/2019). Ulteriori profili. Conclusioni
Nonostante un generale mantenimento dello status quo da parte della giurisprudenza di legittimità, nel biennio 2020-2022 si sono registrate ben due declaratorie di incostituzionalità delle prescrizioni del 41-bis ord. penit.: l'ultima, appena citata, con la sentenza n. 18/2022, in materia di corrispondenza con il difensore; l'altra, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità del divieto assoluto di scambio di oggetti all'interno del medesimo gruppo di socialità tra detenuti sottoposti al regime differenziato. Con ordinanza n. 97/2020, infatti, la Consulta evidenzia chiaramente che: «la compressione della possibilità di scambiare oggetti con gli altri detenuti del medesimo gruppo - espressione, questa, di una pur minimale facoltà di socializzazione - e la conseguente deroga all'applicazione delle regole ordinarie, potrebbe giustificarsi non in via generale e astratta, ma solo se esista, nelle specifiche condizioni date, la necessità in concreto di garantire la sicurezza dei cittadini, e la motivata esigenza di prevenire - come recita l'art. 41-bis, comma 2-quater, lett. a), ord. penit. - «contatti con l'organizzazione criminale di appartenenza o di attuale riferimento, contrasti con elementi di organizzazioni criminali contrapposte, interazione con altri detenuti o internati appartenenti alla medesima organizzazione ovvero ad altre ad essa alleate». Ed inoltre che: «Da questo punto di vista, l'applicazione necessaria e generalizzata del divieto di scambiare oggetti anche ai detenuti appartenenti al medesimo gruppo di socialità, sconta il limite di essere frutto di un bilanciamento condotto ex ante dal legislatore, a prescindere, perciò, da una verifica in concreto dell'esistenza delle ricordate, specifiche, esigenze di sicurezza, e senza possibilità di adattamenti calibrati sulle peculiarità dei singoli casi. È, in definitiva, la previsione ex lege del divieto assoluto a costituire misura sproporzionata, anche sotto questo profilo in contrasto con gli artt. 3 e 27, comma 3, Cost.».
Riprendendo l'importantissima sentenza n. 186/2018, con cui la Corte costituzionale ha inaugurato la stagione più coraggiosa in tema di 41-bis ord. penit., sancendo l'illegittimità anche della prescrizione del divieto di cottura dei cibi, la Cassazione si è occupata della regolamentazione di tale diritto, ora anche per il regime differenziato, durante le fasce orarie, secondo limitazioni imposte dalla struttura penitenziaria: sono legittime, solo se riguardano questioni generalizzate, inerenti la struttura penitenziaria, e non per questioni soggettive con il regime differenziato (così Cass. pen., sez. I, n. 4030/2020).
È stata invece respinta la questione di legittimità costituzionale sulla compatibilità del mantenimento del regime del 41-bis ord. penit. anche per soggetto sottoposto alla misura di sicurezza detentiva, con ordinanza n. 197/2021.
Ad uno sguardo complessivo di questo breve riassunto delle principali pronunce in tema, si scorgono notevoli passi avanti nella ricerca di un sempre maggiore e attento equilibrio tra gli interessi collettivi, che in materia di 41-bis ord. penit. risultano sempre prevalenti, e i diritti umani del singolo detenuto, a che la sospensione delle regole ordinarie di trattamento non incida in modo ingiustificato e sproporzionato sulla quotidianità della vita detentiva e sulla pena già afflittiva di per sé.
Tuttavia, poi all'esame di singole pronunce, come quella n. 21349/2021, si avverte la difficoltà degli interpreti di andare oltre quello che è il dato normativo, spesso tassativo, spesso articolato in modo tale da non lasciare altra interpretazione, oppure costruito in modo tale da lasciarne in dosi eccessive, in relazione a prescrizioni che non appaiono né idonee, né adeguate, né tanto meno necessarie al perseguimento dello scopo del 41-bis ord. penit.: disquisire infatti sull'uso del rasoio elettrico piuttosto che delle forbici e del coltello per il taglio dei capelli dà modo di comprendere come ancora oggi il 41-bis ord. penit. sia carico di significati punitivi che esulano dalla ratio per cui il regime viene ad applicarsi, cioè quello di rescissione dei collegamenti con la criminalità esterna. Riferimenti
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