Giovanni Buonomo
02 Dicembre 2016

Il fascicolo informatico sostituisce ad ogni effetto di legge gli obblighi di tenuta e conservazione del fascicolo d'ufficio su supporto cartaceo e consiste in un'area di memoria destinata a raccogliere gli atti, i documenti, gli allegati, le ricevute di posta elettronica certificata e i dati del procedimento, o le copie informatiche degli atti depositati.
Inquadramento

L'art. 9, D.M. 21 febbraio 2011, n. 44 è dedicato alla disciplina di una delle funzioni più importanti del processo telematico.

In evidenza

Il fascicolo informatico sostituisce ad ogni effetto di legge gli obblighi di tenuta e conservazione del fascicolo d'ufficio su supporto cartaceo e consiste in un'area di memoria destinata a raccogliere gli atti, i documenti, gli allegati, le ricevute di posta elettronica certificata e i dati del procedimento, o le copie informatiche degli atti depositati, nei casi previsti dalla legge (art. 16 bis, l. n. 221/2012), su supporto cartaceo.

Il sistema di gestione è definito come «la parte del sistema documentale del Ministero della giustizia dedicata all'archiviazione e al reperimento di tutti i documenti informatici, prodotti sia all'interno che all'esterno, secondo le specifiche tecniche di cui all'articolo 34» (art. 9 comma 2).

Il difensore, la cui identità è verificata attraverso l'elenco degli scritti all'albo professionale fornito dal Consiglio dell'ordine e l'indirizzo di posta elettronica certificata ad esso associata, deve formare gli atti su un supporto informatico (i documenti informatici sono infatti documenti scritti su un supporto informatico) in un formato standard PDF (Portable Document Format), e inserirli in una «busta cifrata» (cioè deve cifrarli con la chiave pubblica dell'ufficio destinatario, essendo basata l'intera architettura sulla cosiddetta Infrastruttura a chiavi pubbliche — PKI) e strutturare i dati destinati al registro generale, con l'uso dell'apposito software messo a disposizione dalla Amministrazione giudiziaria, in formato XML.

Il fascicolo di parte, inviato all'ufficio giudiziario, viene «accettato» e «aperto» dall'ufficio di destinazione (viene, cioè, decifrato utilizzando la chiave di firma privata assegnata dell'ufficio giudiziario destinatario) e inserito nel fascicolo informatico, consultabile da tutte le parti processuali, mentre i dati strutturati vengono automaticamente indirizzati al registro generale.

Le specifiche tecniche (previste dall'art. 34 del citato d.m. n. 44/2011, emanate con decreto DGSIA del 16 aprile 2014 e da ultimo modificate con decreto DGSIA 28 dicembre 2015) prevedono che l'atto del processo «in forma di documento informatico» (rectius: scritto su un supporto informatico) sia «in formato PDF», «privo di elementi attivi», «ottenuto da una trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti» e non costituito da scansione di immagini. Esso dev'essere, inoltre, sottoscritto con firma digitale e corredato da un file in formato XML, che contiene le informazioni strutturate e le informazioni della nota di iscrizione a ruolo (parimenti sottoscritto con la firma digitale del mittente).

Per «elementi attivi» s'intendono, nel gergo tecnico in cui è stato scritto il testo normativo, le funzioni che si attivano automaticamente (e in modo spesso invisibile all'utente) all'interno del documento informatico, come i campi a compilazione automatica (destinati ad esempio a compilare la data o a contare il numero delle pagine in un file di testo, o dedicati all'aggiornamento automatico di una cella in un foglio elettronico).

È evidente che un documento informatico munito di macro auto-eseguibili potrebbe non soddisfare i requisiti dell'integrità e dell'autenticità, poiché (ad esempio) la data potrebbe non essere certa e computabile rispetto ai terzi o il numero delle pagine incerto. Ma è altresì evidente che l'esecuzione di macro istruzioni potrebbe veicolare, all'interno del sistema, virus informatici o codici compilati per la commissione di crimini informatici (dalla sottrazione di dati al danneggiamento del sistema).

In evidenza

Il motivo per cui non è ammesso nel fascicolo informatico il deposito di file in formato PDF formati attraverso un processo di scansione ottica è, allo stesso modo, legato a ragioni di sicurezza informatica e di economia delle risorse del sistema.


Se questa è la ratio della disposizione regolamentare, dunque, tutti i documenti che contengono elementi variabili rispetto al testo sono inammissibili; e tra questi rientrano i file che contengono collegamenti ipertestuali che, per definizione, devono eseguire un codice per caricare in memoria un testo diverso da quello di partenza.

I file di immagine possono nascondere al loro interno, con la tecnica della steganografia, codici eseguibili (malware o virus informatici) non rilevabili dai normali sistemi antivirus; essi sono, inoltre, di grandezza di molto superiore a quella dell'originale testuale ed occupano una maggiore quantità della memoria di massa dei sistemi di archiviazione (risorsa, per definizione, limitata e costosa).

Da escludere, invece, l'ipotesi sostenuta da alcuni giudici di merito secondo cui la produzione nel fascicolo informatico di file PDF realizzati per scansione sarebbe inammissibile in quanto non idonei alla ricerca testuale (così Trib. Livorno 25 luglio 2014, in Giur. It., 2015, 2, 367, con nota critica di G.G. Poli), posto che un qualsiasi programma OCR è in grado di trasformare il file «immagine» in un file di testo perfettamente leggibile e modificabile in pochi secondi.

L'articolo 14 del citato decreto DGSIA 28 dicembre 2015 impone una dimensione massima della «busta telematica» (cioè del fascicolo contenente gli atti di parte da depositare nel fascicolo informatico) pari a 30 megabyte (30 Mb); ma è consentito l'uso dei formati compressi con estensione «zip», «rar» e «arj», a condizione che la firma digitale sia apposta dopo la compressione.

Per la firma digitale (e per la distinzione tra forme elettroniche e firme elettroniche avanzate, contenuta nell'art. 21 CAD, si rimanda alle relative voci).

Il registro generale degli indirizzi elettronici (Reginde).

Gli indirizzi di posta elettronica certificata sono custoditi dal Ministero della giustizia nel registro generale degli archivi elettronici (Re.G.Ind.E.)

L'art. 16, commi 6 e 7, d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito nella l. 28 gennaio 2009 n. 2, ha previsto per tutte le imprese costituite in forma societaria (con comunicazione al registro delle imprese) e per tutti i professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge dello Stato l'obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata. In particolare, gli ordini e i collegi sono tenuti a pubblicare detti indirizzi «in un elenco riservato, consultabile in via telematica esclusivamente dalle pubbliche amministrazioni» (a pena di scioglimento e di commissariamento del collegio o dell'ordine inadempiente) e a trasmettere l'elenco al Ministero della giustizia, che custodisce il registro rendendolo accessibile ai fini delle comunicazioni e delle notificazioni richieste dagli uffici giudiziari. Oltre ai dati comunicati dai consigli degli ordini, dunque, il Ministero rende disponibili nel REGINDE anche gli indirizzi dei«soggetti abilitati esterni», costituiti da enti pubblici, professionisti iscritti in albi o collegi, ausiliari del giudice, pubbliche amministrazioni.

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In altri termini, la notifica ad istanza di parte degli atti in materia civile al difensore può avvenire soltanto nei confronti dei soggetti che hanno un indirizzo compreso nell'indice nazionale degli indirizzi PEC delle imprese e dei professionisti (disciplinato dall'art. 6 bis del CAD) o un indirizzo raccolto dal ReGIndE.

L'importanza di questo archivio, per i fini propri del processo telematico, è resa evidente dall'art. 16-sexies, D.L. n. 179/2012 (rubricato come «domicilio digitale») secondo cui, salvi i casi previsti dall'art. 366 c.p.c. (notificazione in cancelleria per il caso di omessa elezione di domicilio in Roma o mancata indicazione di un indirizzo PEC per il ricorso per cassazione), «quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l'indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all'art. 6-bis d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia.

Il regime generale delle comunicazioni e notificazioni nel pct

Tutto il sistema delle comunicazioni a delle notificazioni nel processo telematico ruota intorno alla posta elettronica certificata di cui all'art. 48 d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (codice dell'amministrazione digitale - CAD) e al d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68.

L'art. 136 c.p.c., come modificato dall'art. 25 legge 12 novembre 2011, n 183, dispone che il biglietto di cancelleria, se non consegnato direttamente al destinatario dal cancelliere, dev'essere «trasmesso a mezzo posta elettronica certificata , nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.» Dopodiché, solo in via suppletiva e salvo che la legge non disponga diversamente, è previsto che la comunicazione sia trasmessa a mezzo telefax o rimessa all'ufficiale giudiziario per la notifica.

L'art. 149 bis dello stesso codice (introdotto dall'art. 4, comma 8, lett. d, d.l. n. 193/2009 convertito dalla legge n. 24/2010) stabilisce che «Se non e' fatto espresso divieto dalla legge, la notificazione può eseguirsi a mezzo posta elettronica certificata, anche previa estrazione di copia informatica del documento cartaceo».

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L'articolo 4 del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, infine, dispone che «nel processo civile e nel processo penale, tutte le comunicazioni e notificazioni per via telematica si effettuano, nei casi consentiti, mediante posta elettronica certificata, ai sensi del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, e delle regole tecniche stabilite con i decreti previsti dal comma 1».


L'art. 45 l. n. 69/2009 ha aggiunto all'art. 137 c.p.c. il seguente comma: «Se l'atto da notificare o comunicare è costituito da un documento informatico e il destinatario non possiede indirizzo di posta elettronica certificata, l'ufficiale giudiziario esegue la notificazione mediante consegna di una copia dell'atto su supporto cartaceo, da lui dichiarata conforme all'originale, e conserva il documento informatico per i due anni successivi. Se richiesto, l'ufficiale giudiziario invia l'atto notificato anche attraverso strumenti telematici all'indirizzo di posta elettronica dichiarato dal destinatario della notifica o dal suo procuratore, ovvero consegna ai medesimi, previa esazione dei relativi diritti, copia dell'atto notificato, su supporto informatico non riscrivibile».

La «posta elettronica certificata» (PEC) è stata introdotta nel nostro ordinamento con d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68 e prevede che il gestore del servizio, iscritto in un apposito elenco e sottoposto alla vigilanza del CNIPA (oggi AGID) garantisca l'avvenuta consegna del documento.

Si tratta, come si legge nella definizione contenuta nell'art. 1, lett. v/bis, del c.a.d. (d. lgs. n. 82/2005), di un «sistema di comunicazione in grado di attestare l'invio e l'avvenuta consegna di un messaggio di posta elettronica e di fornire ricevute opponibili ai terzi»; un sistema di posta elettronica, dunque, con avviso di ricevimento, ove l'avviso di deposito del messaggio nella cartella di posta elettronica del destinatario viene inoltrato al mittente a cura del gestore del servizio.

Alla posta certificata si riferisce l'art. 48 CAD, quando dispone che «La trasmissione telematica di comunicazioni che necessitano di una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna avviene mediante la posta elettronica certificata ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68.» e che «La trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata mediante la posta elettronica certificata, equivale, nei casi consentiti dalla legge, alla notificazione per mezzo della posta.»

La disposizione riveste grande importanza in relazione all'art. 149 c.p.c., secondo cui, se non ne è fatto espresso divieto dalla legge, la notificazione può sempre eseguirsi col mezzo postale, in luogo della consegna diretta a mani proprie curata dall'ufficiale giudiziario (e, in questo caso, l'ufficiale giudiziario scrive la relazione di notificazione sull'originale e sulla copia dell'atto, facendovi menzione dell'ufficio postale per mezzo del quale il documento è spedito in piego raccomandato con avviso di ricevimento).

Ai fini della consegna, va considerato che i documenti informatici (a norma dell'art. 45 CAD) si intendono spediti con l'invio al gestore del servizio di posta elettronica e si intendono consegnati al destinatario nel momento in cui il documento è «reso disponibile» al destinatario all'indirizzo elettronico dichiarato e nella casella di posta elettronica messa a disposizione dal gestore. Come per le lettere raccomandate, un apposito registro tenuto dal gestore del servizio, consente di ricostruire, anche a distanza di anni, l'invio e la ricezione dei documenti.

Infine, la l. n. 53/94, come modificata dalla l. n. 183/2011 e dalla legge n. 134/2014, prevede l'uso della posta elettronica certificata per tutte le notifiche che l'avvocato, munito di procura alle liti ex art. 83 c.p.c., può eseguire col mezzo postale «in materia civile, amministrativa e stragiudiziale a mezzo del servizio postale».

A differenza delle notifiche eseguite col mezzo postale, non è richiesta l'autorizzazione del Consiglio dell'ordine, a meno che la notifica debba essere eseguita nei confronti del domiciliatario di una parte (art. 4 della legge n. 53 cit.), mentre l'art. 9 della stessa legge prevede ora che, nei casi in cui l'atto notificato (o la prova della notificazione) non si possano depositare per via telematica il professionista proceda estraendo copia cartacea del messaggio di posta certificata, degli allegati e delle ricevute di accettazione e consegna, attestando la conformità delle copie agli originali informatici da cui le copie sono tratte.

Resta da dire, quanto ai termini, che, a norma dell'art. 16-septies d.l. n. 179/2012 «La disposizione dell'art. 147 del codice di procedura civile si applica anche alle notificazioni eseguite con modalità telematiche» e che «Quando è eseguita dopo le ore 21, la notificazione si considera perfezionata alle ore 7 del giorno successivo»; sicché anche le notificazioni eseguite nell'ambito del processo civile telematico non possono farsi prima delle ore 7:00 e dopo le ore 21:00.

Quanto invece ai termini per le impugnazioni, il nuovo testo dell'art. 132 c.p.c. come modificato dall'art. 45, D.L. n. 90/2014, convertito dalla l. n. 114/2014, dispone che, depositata la sentenza, il cancelliere ne dà notizia alle parti «mediante biglietto contenente il testo integrale della sentenza» (non più il solo dispositivo), ma «La comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all'articolo 325» (occorrendo a tal fine la notificazione richiesta dall'art. 326 c.p.c.)

In sostanza, ancorché il biglietto di cancelleria sia accompagnato dal testo integrale del provvedimento, la comunicazione telematica non muta la sua natura di atto proprio del cancelliere inidoneo a far decorrere il termine per le impugnazioni.

Norme tecniche e nullità degli atti processuali (cenni)

L'inosservanza delle regole tecniche e, in particolare, delle norme relative alla redazione ed al formato dei documenti informatici destinati a viaggiare nel circuito processuale telematico ha dato luogo, com'era prevedibile, a decisioni contrastanti della giurisprudenza di merito, particolarmente nei casi di deposito degli atti in formato PDF derivato da scansione ottica («formato immagine»).

Alcuni giudici di merito (Trib. Livorno, 25 luglio 2014, Trib. Roma, ord. 13 luglio 2014, in Giur. It., 2015, 2, 367, con nota di Giorgio Giuseppe Poli) hanno ritenuto il ricorso per decreto ingiuntivo, depositato per via telematica, insanabilmente nullo in quanto redatto in formato PDF non «nativo» (derivato, cioè, dalla scansione ottica dell'originale cartaceo) e pertanto realizzato in violazione delle specifiche tecniche contenute nell'art. 16 del provvedimento 16 aprile 2014 del direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia (norme tecniche oggi raccolte nel DM 28 dicembre 2015).

Secondo il tribunale di Roma, il principio di libertà delle forme, enunciato all'art. 121 c.p.c., avrebbe portata residuale, poiché «nato in un contesto storico al quale era estranea la dimensione ‘digitale' degli atti e dei documenti» e sarebbe inapplicabile quando la legge richiede «forme determinate» per il compimento dell'atto; con la conseguenza che «quando ciò avvenga, non è consentito affidarsi al criterio del raggiungimento dello scopo per sancire la validità di un atto compiuto senza il rispetto delle forme stabilite.»

Peraltro le norme tecniche emanate dal DGSIA del Ministero della giustizia, in quanto attuative delle disposizioni del D.L. n. 193/2009 (che aveva conferito al Ministero della giustizia il compito di individuare le regole tecniche per il PCT) e dal DL n. 179/2012 (che condiziona la validità del deposito telematico degli atti processuali al rispetto della normativa «anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici») sarebbero da considerare «regolamenti di natura delegata, che pongono le regole tecniche indispensabili per assicurare la funzionalità del processo civile telematico [e] costituiscono integrazione della normativa di livello primario».

Secondo il tribunale di Livorno, invece, l'atto processuale in formato immagine sarebbe nullo ex art. 156, comma 2, c.p.c., per mancanza dei requisiti formali indispensabili al raggiungimento dello scopo, posto che «Il rispetto delle regole tecniche (quali ad esempio quella sui formati ammessi dei files degli allegati) ha lo scopo di rendere tali atti immediatamente intelligibili a tutti gli attori del processo (senza imporre la necessità di ricercare programmi di conversione di formati diversi), così come la norma che impone che l'atto del processo sia un .pdf ottenuto mediante la trasformazione di un documento testuale, ha lo scopo di rendere l'atto navigabile ad ogni attore del processo e dunque quello di consentire l'utilizzo degli elementi dell'atto, senza la necessità di ricorrere a programmi di riconoscimento ottico dei caratteri, detti OCR […] Ma se così è, la redazione dell'atto processuale in formato .pdf ottenuto mediante scansioni per immagini non è idoneo a raggiungere lo scopo dell'atto e dunque deve essere dichiarato nullo»

Al contrario, il tribunale di Vercelli (ord. 4 agosto 2014), il tribunale di Trani (ord. 31 ottobre 2014) e, più recentemente, il tribunale di Milano (sent. n. 1432 del 2 febbraio 2016) hanno ritenuto sussistente, in tutti i casi di mancato rispetto delle regole tecniche, una mera irregolarità suscettibile di sanatoria mediante rinnovazione dell'atto, poiché la nullità non è prevista dalla legge, l'adozione di un diverso formato non impedisce di prendere visione del contenuto del documento e, conseguentemente, al raggiungimento dello scopo non può mai conseguire una declaratoria di nullità, secondo il principio dettato dall'art 156 c.p.c..

Il tribunale di Milano, in particolare, che «lo scopo dell'atto processuale, ancorché telematico, è e rimane quello di consentire lo svolgimento del processo e l'esercizio del diritto di difesa e, quindi, deve ritenersi raggiunto tutte le volte in cui l'atto perviene a conoscenza del Giudice e della controparte; ciò accade una volta che l'atto depositato telematicamente, anche se non rispondente alle norme tecniche, viene accettato dalla cancelleria e inserito dal sistema nel fascicolo processuale telematico. È, infatti, visibile e leggibile dal Giudice e dalle parti ed ha, quindi, certamente raggiunto il suo scopo primario. La funzione propria e primaria delle regole tecniche è quella di assicurare la gestione informatica dei sistemi del PCT e non tanto e non solo quella di garantire la navigabilità degli atti da parte del Giudice e delle parti. Si impone, quindi, certamente la necessità di una regolarizzazione dell'atto depositato telematicamente che non rispetta la normativa tecnica attraverso un ordine del Giudice, in analogia a tutte le ulteriori ipotesi previste dal codice di procedura civile in cui si consente la regolarizzazione (ad esempio la disciplina di cui all'art. 182 c.p.c), proprio al fine di assicurare una corretta implementazione del fascicolo informatico e del funzionamento del sistema del PCT, tutte le volte in cui la regolarizzazione consente contemporaneamente la prosecuzione del giudizio, non essendovi alcuna lesione del diritto di difesa, dato che l'atto è comunque già disponibile alla parte e tenendo conto, però, che le esigenze e le necessità dello strumento informatico non possono pregiudicare, in assenza di una norma di legge, il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, tutte le volte in cui non sussiste una lesione del diritto di difesa.»

La tesi sostenuta dal tribunale di Milano, conforme ai consolidati principi affermati dalla Corte di cassazione (secondo cui il deposito irrituale di un atto processuale dà luogo ad una mera irregolarità sanabile per effetto della successiva regolarizzazione o, anche in caso di nullità, sanabile per effetto del raggiungimento dello scopo) è senz'altro da preferire.

Le disposizioni sul c.d. processo telematico, infatti, non incidono sui principi generali del processo, avendo comportato, al più, modifiche alle norme che regolano le comunicazione e la notificazione degli atti e la gestione dei documenti all'interno del fascicolo informatico.

Lo scopo delle disposizioni tecniche, in particolare, non è quello di consentire la ricerca del dato testuale all'interno del file PDF (come sembrano ritenere gli estensori delle prime due ordinanze), ma quello di rendere possibile la trasmissione dei documenti informatici per via telematica nell'ambito della rete dell'amministrazione giudiziaria costituendo tra le parti un corretto contraddittorio; scopo che è certamente assolto da un file PDF in formato «immagine» in luogo di quello «nativo» (perfettamente leggibile).

Riferimenti
  • AMENDOLAGINE, Primi orientamenti giurisprudenziali sul processo civile telematico, in Corr. Giur., 2015, 5, 694;
  • BARALE, Il processo civile telematico di cognizione: uno sguardo sul futuro prossimo, in Corr. Giur. 2012, 2, 285;
  • GUALTIERI, Sulle notifiche in proprio dell'avvocato tramite posta elettronica certificata, in Riv. Dir. Proc., 2013, 4-5, 1081;
  • POLI, Profili teorico-pratici del deposito degli atti nel processo civile telematico , in Foro It. , 2014, V, 137 ss.
  • SALA Il processo civile telematico dopo il D.L. 90/2014, in Imm. e prop., 2014, 11, 652
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