Il danno da stress lavorativo: una categoria “polifunzionale” all'orizzonte?

Annalisa Rosiello
08 Novembre 2022

Il danno da stress lavorativo è un concetto limitato alla salute e sicurezza del posto di lavoro o ha invece una potenzialità polifunzionale? L'analisi della giurisprudenza sviluppatasi nell'ultimo decennio evidenzia come sia possibile una nuova visione d'insieme, che partendo dall'organizzazione lavorativa consenta di unificare in una nozione composita e dalle rilevanti conseguenze pratiche sia le anomalie della prestazione di lavoro sia i conflitti interpersonali.
Lo stress lavorativo: nozione biologica e normativa a confronto*

*Per ulteriori approfondimenti, v. l'intervista agli Autori A. Rosiello e D. Tambasco pubblicata su Avvocati.it: Lo stress lavorativo: una nuova categoria "polifunzionale"? - Avvocati.it

Parlare di stress significa in primo luogo far riferimento non a uno stato, ma a un processo; nella prospettiva della biologia, infatti, lo stress è lo sforzo (1), la risposta adattiva (2) dell'organismo umano a uno o più eventi (stressor) che ne alterano l'equilibrio interno. Risposta che, con ogni evidenza, ha lo scopo di adattare il corpo umano alla nuova condizione ambientale generata dall'evento stressogeno, ripristinando appunto l'equilibrio omeostatico (3).

Il concetto di stress (o SGA, acronimo di Sindrome Generale di Adattamento), secondo la definizione coniata per la prima volta da Hans Selye, rappresenta quindi la risposta generale aspecifica a qualsiasi richiesta proveniente dall'ambiente (4).

Sulla base degli opposti effetti prodotti, Selye ha nettamente distinto l'eustress dal distress (5), ovvero l'effetto positivo e adattivo dello stress da quello invece negativo, dannoso e disadattivo.

Quando si fa riferimento genericamente allo stress lavorativo, pertanto, si intende lo stato psico-fisico negativo (distress), che si manifesta generalmente quando le richieste dell'organizzazione del lavoro non sono commisurate alle capacità del lavoratore: è questa la definizione comune ricorrente di solito nei testi normativi che, dall'inizio del secolo, hanno cercato di disciplinare il fenomeno apprestando i primi strumenti di prevenzione e di tutela a favore delle lavoratrici e dei lavoratori, tra cui rileva l'Accordo Quadro Europeo sullo Stress nei luoghi di lavoro, siglato l'8 ottobre 2004, recepito in Italia attraverso l'accordo interconfederale del 9 giugno 2008 (in cui l'originaria definizione di “stress da lavoro” viene declinata in italiano nel termine “stress lavoro-correlato”).

In particolare, l'art. 3 del citato Accordo Quadro europeo definisce lo stress comeuna condizione, accompagnata da sofferenze o disfunzioni fisiche, psichiche, psicologiche o sociali, che scaturisce dalla sensazione individuale di non essere in grado di rispondere alle richieste o di non essere all'altezza delle aspettative”, potendo “portare a cambiamenti nel comportamento e ad una riduzione dell'efficienza nel lavoro” ed essendo causato “da fattori diversi, come ad esempio il contenuto del lavoro, la sua organizzazione, l'ambiente, la scarsa comunicazione, etc.”.

Definizione, quella di stress lavoro-correlato (6), che ha raggiunto infine l'approdo legislativo con l'art. 28, primo comma del testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro (d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81), in cui è stato esteso l'obbligo di valutazione preventiva dei rischi anche a “quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell'accordo europeo dell'8 ottobre 2004”.

Lo stress lavorativo: legislatore, scienze psicologiche, prassi amministrativa e diritto vivente a confronto

Sebbene i fattori produttivi dello stress possano essere sia l'organizzazione del lavoro e dei suoi processi (accordi sul tempo di lavoro, grado di autonomia, incontro tra capacità dei lavoratori e requisiti del lavoro, carico di lavoro, etc.), sia le condizioni lavorative ed ambientali (esposizione a comportamenti offensivi, rumore, calore, sostanze pericolose, etc.), sia la comunicazione (incertezza sulle aspettative del lavoro, prospettive occupazionali, cambiamenti futuri, etc.) sia i fattori soggettivi (pressioni emotive e sociali, sensazione di inadeguatezza, percezione di mancanza di sostegno, etc.), l'Accordo Quadro Europeo (così come richiamato dall'art. 28, primo comma d.lgs. 81/2008) è tranciante nell'escludere le condotte lavorative violente, moleste e mobbizzanti dal proprio raggio operativo (art. 2).

La nozione legislativa di stress lavorativo, quindi, registra sulla carta una rilevante “amputazione”, essendo privata proprio del fattore eziologico più importante, ovverosia della conflittualità interpersonale sul lavoro, che si manifesta nelle condotte ostili persecutorie, violente o moleste (7).

Eppure la psicologia del lavoro (8) nell'esaminare una delle forme di stress lavorativo più rilevanti, ovvero il burn out, ha già da tempo messo in guardia dal realizzare simili “scissioni”, evidenziando al contrario la natura potenzialmente “omnicomprensiva” del fenomeno, che in sé ricomprende non solo le discrepanze tra l'individuo e la dimensione lavorativa sia quantitativa (recte, sovraccarico lavorativo, superlavoro etc.) sia qualitativa (ambiente, posizione nell'organizzazione, controlli esasperati etc.), ma anche le discrepanze a livello interpersonale (mobbing, straining, work stalking, violenza, molestie etc.). Diretta conseguenza di questa triplice e alternativa discrasia è il deterioramento della persona del lavoratore e della lavoratrice, nelle tre dimensioni dell'esaurimento, del cinismo e dell'inefficienza, pregiudizievoli tanto sul piano psico-fisico quanto su quello della concreta produttività (9).

La stessa prassi amministrativa manifesta il medesimo orientamento “unitario” ricomprendendo anche l'ostilità lavorativa all'interno della valutazione preventiva del rischio stress lavoro-correlato, come desumibile in due rilevanti atti:

- la Circolare del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali del 18 novembre 2010 che, nell'elencare le indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato date dalla Commissione ai sensi dell'art. 28 comma 1-bis d.lgs. 81/2008, enuncia sia i fattori di contenuto del lavoro (ambiente e attrezzature, carichi e ritmi di lavoro, orari e turni, corrispondenza tra mansioni svolte e professionalità acquisita) sia i fattori di contesto del lavoro, tra cui vengono ricompresi espressamente anche “i conflitti interpersonali al lavoro (10)”;

- il manuale INAIL ad uso delle aziende per la valutazione e gestione del rischio stress lavoro-correlato (11), in cui tra gli eventi sentinella vengono espressamente indicati i procedimenti e le sanzioni disciplinari (pag.76) nonché le “istanze giudiziarie per licenziamento, demansionamento, molestie morali e/o sessuali” (pag. 77) e nell'area dei fattori di contesto del lavoro viene esposta una specifica sezione relativa ai rapporti interpersonali sul lavoro, ovvero alla “possibilità di comunicazione con i superiori o dirigenti o l'eventuale presenza di rapporti limitati con i superiori, la presenza di conflitti interpersonali e la gestione di comportamenti prevaricatori o illeciti(pag. 85). Rilievo tutt'altro che secondario, poiché si tratta di voci che concorrono in concreto a determinare il punteggio della lista di controllo per la valutazione dei rischi da stress lavoro-correlato (pag. 87).

Anche l'incessante fluire del diritto vivente, partendo dalle sorgenti dell'art. 2087 c.c., ha creato percorsi carsici che - come vedremo - stanno venendo “in superficie” solo di recente, vivificando un terreno in via di inaridimento.

In particolare, mutuando parzialmente il modello di Christina Maslach, riteniamo che l'esame della più recente giurisprudenza evidenzi tre “linee di tendenza” relative allo stress lavorativo, rispettivamente quantitativa, qualitativa e interpersonale (12).

Più precisamente, possiamo distinguere le seguenti linee di tendenza:

- quantitativa: discrepanza tra organizzazione e prestazione lavorativa (superlavoro, usura psico-fisica);

- qualitativa: discrepanza tra organizzazione e prestazione lavorativa (sicurezza e salubrità del luogo di lavoro, mancata conciliazione vita-lavoro; posizione lavorativa, controlli esasperati);

- interpersonale: discrepanza tra organizzazione e persone (persecuzioni lavorative, violenze, molestie);

L'analisi che segue cercherà, in modo necessariamente sintetico, di fotografare le diverse ramificazioni degli orientamenti giurisprudenziali che hanno in concreto trattato - e risolto - diversi casi di stress lavoro-correlatoper cogliere, da ultimo, l'unitario “punto di confluenza”, valutarne la portata e, soprattutto, intuirne i possibili sbocchi.

Discrepanza quantitativa tra organizzazione e prestazione lavorativa: il danno da stress o da usura psicofisica

Con riguardo al profilo quantitativo della prestazione lavorativa concernente in particolare i carichi, i ritmi, gli orari e i turni lavorativi, nell'alveo dell'art. 2087 c.c. la giurisprudenza, ormai da tempo (cfr., ex multis, Cass., 1° settembre 1997, n. 8267; Cass., 5 febbraio 2000, n. 1307; Cass. 24 ottobre 2011, n. 18211; Cass. 8 giugno 2017, n. 14313 Cass. 10 maggio 2019, n. 12540), ha codificato la categoria del “superlavoro” (o anche surmenage lavorativo, cfr. Cass., 8 giugno 2017, n. 14313; si rimanda a Tambasco, Il danno da superlavoro e da usura psico-fisica nella giurisprudenza), volendo con questo neologismo indicare lo svolgimento della prestazione lavorativa che, secondo le regole di esperienza, abbia ecceduto “la normale tollerabilità.

Con assoluta identità di significati, la giurisprudenza ha definito il superlavoro anche quale danno da stress o da usura psicofisica (cfr. Cass., 14 luglio 2015, n. 14710; conf. Cass., 8 marzo 2011, n. 5437; Cass. 24 ottobre 2012, n. 18211; per il riferimento allo “stress da eccessivo orario lavorativo”, cfr. App. Roma, Sez. III, 16 aprile 2021, n. 1542; Trib. Catania, 30 maggio 2018, in un caso di suicidio causato da stress per eccessivo sovraccarico di lavoro in violazione dell'art. 28 comma 1 d.lgs. 81/2008) (13), distinguendo tra il danno non patrimoniale da stress causato dall'inadempimento dell'art. 2087 c.c. che presuppone la sussistenza di un pregiudizio concreto sofferto dal titolare dell'interesse leso, sul quale grava integralmente l'onere di allegazione e prova (cfr. Cass., 14 luglio 2015, n. 14710, cit.; Cass., 14 gennaio 2022, n. 1096; Cass., 31 agosto 2020, n. 18132; Cass., 23 maggio 2018, n. 12808), dal danno da stress generato dalla violazione dell'art. 36 comma 3 Cost., relativo alla mancata fruizione delle ferie e dei riposi settimanali oggetto di tutela costituzionale, il cui “an” deve ritenersi presunto (cfr. ex multis, Cass. 15 luglio 2019, n. 18884; Cass. 1° dicembre 2016, n. 24563; Cass. 4 agosto 2015, n. 16665; Cass. 25 ottobre 2013, n. 24180; nel merito, da ultimo, Trib. Milano, sez. lav., 8 agosto 2022, n. 1674, in Di Stefano, Risarcibile in re ipsa il danno da usura psico-fisica al lavoratore stacanovista; contra, per la necessità di allegare e provare anche le conseguenze pregiudizievoli concretamente derivate - danno conseguenza -, seppure attraverso l'utilizzo delle presunzioni e del fatto notorio, cfr. ex plurimis, Cass. 28 marzo 2017, n. 7921; Cass. 23 maggio 2014, n. 11581; Cass. 10 febbraio 2014, n. 2886; Cass. 15 maggio 2013, n. 11727; Cass. 28 giugno 2011, n. 14288; Cass. 3 luglio 2001, n. 9009).

Da ultimo lo stress psicologico e ambientale può determinare, anche soltanto in via concausale, l'infarto del miocardio occorso in occasione della prestazione lavorativa, integrando la causa violenta prevista dall'art. 2 D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (cfr. Cass. 22 febbraio 2022, n. 5814, nel caso di decesso di un lavoratore sopraggiunto durante un viaggio di lavoro, nel corso del quale, a seguito della cancellazione di un volo aereo, dapprima affrontava una lunga attesa in aeroporto, poi un pernottamento di fortuna, quindi un viaggio in treno di oltre 700 km, per raggiungere la sede di partecipazione a una riunione di lavoro, con una veglia di quasi 24 ore consecutive).

Discrepanza qualitativa tra organizzazione e prestazione lavorativa: ambiente di lavoro e posizione lavorativa; sicurezza e salubrità del luogo di lavoro; mancata conciliazione vita-lavoro; controlli esasperati

Con riguardo alle discrepanze qualitative tra organizzazione e prestazione lavorativa, queste possono principalmente individuarsi nelle seguenti: a) ambiente di lavoro e posizione lavorativa; b) sicurezza e salubrità del luogo di lavoro; c) mancata conciliazione vita-lavoro; d) controlli esasperati. Esaminiamoli partitamente.

a) Le discrepanze tra ambiente di lavoro e posizione lavorativa, anche secondo quanto evidenziato dall'Agenzia Europea per la salute e sicurezza sul lavoro, possono comportare un incremento del rischio psico-sociale in esame qualora si verifichino situazioni quali, ad esempio, richieste contrastanti e mancanza di chiarezza sui ruoli, scarso coinvolgimento nei processi decisionali che riguardano i lavoratori e mancanza di influenza sul modo in cui il lavoro viene svolto, gestione inadeguata dei cambiamenti organizzativi (14), precarietà del lavoro (job insecurity, presente nell'elenco contenuto nell'art. 28 del d.lgs. 81/2008, laddove si fa riferimento alla necessità di valutare i rischi anche relativi alla “specifica tipologia contrattuale”).

Molto interessante in questo ambito è una pronuncia del Trib. La Spezia (26 giugno 2019 n. 199), in cui il consulente tecnico nominato dal Giudice ha accertato come – più che il superlavoro lamentato – la causa dello stato invalidante consistesse ne “la discrepanza, e la connessa “ingiustizia” che l'interessato ha percepito vedendo frustrato il proprio sforzo di soddisfare in elevata misura il datore di lavoro”. In altri termini il crollo psichico, per quanto emerso, era imputabile alla gestione inadeguata dei cambiamenti e al demansionamento che aveva fatto “svanire le aspettative di carriera” in un soggetto che aveva “di suo probabilmente investito troppo in maniera acritica sulla realtà lavorativa”.

b) Un ulteriore fattore di rischio da stress riguarda strettamente il luogo fisico, ovvero la sua sicurezza e salubrità. In particolare sono stati riconosciuti i danni da stress in ipotesi in cui il luogo è stato ritenuto nocivo e insalubre (cfr. Trib. Napoli, sent. 6 luglio 2022, n° 3838, che ha confermato il diritto alla reintegrazione di una lavoratrice licenziata per superamento del periodo di comporto sulla base dell'assunto che l'azienda abbia “contribuito all'aggravarsi della situazione psicologica della sig.ra S. dimostrata dai certificati medici in atti, attraverso comportamenti reiterati contrari alla tutela della lavoratrice, quali - ad esempio - l'aver disposto trasferimenti in luoghi particolarmente lontani dal suo domicilio”) o quando questo non sia stato adeguato neppure dopo eventi avversi e/o criminosi (Cfr. Cass. 5 gennaio 2016, n° 34, relativa al caso di danno da infarto al miocardio in conseguenza di rapina al casello autostradale, laddove il lavoratore aveva denunciato l'evento dannoso come ascrivibile alla condotta della datrice di lavoro, che non aveva approntato le "giuste cautele" per preservare l'integrità dei lavoratori addetti all'esazione del pedaggio, facendolo risalire allo stress lavorativo protrattosi nel tempo dopo la rapina).

Non solo, lo stress può comportare danni alla persona anche quando si verifichi una scorretta gestione del clima interno all'azienda (eccessivamente caldo - eccessivamente freddo, umido, etc.; cfr. Trib. Bergamo, oggetto di commento anche infra, par. 5) o una non puntuale valutazione dei rischi legati agli agenti atmosferici (cfr. Tribunale di Palermo, ord. 18 agosto 2022, resa nell'ambito di un procedimento cautelare attivato da un rider in concomitanza con l'ondata di eccessivo calore, ove l'azienda è stata condannata all'adeguamento del DVR e a fornire adeguata formazione e informazione “sui rischi correlati all'attività di consegna implicante sforzi fisici con esposizione prolungata alle ondate di calore e ai raggi solari resa dal ricorrente” nonché “a consegnare al ricorrente, per la stagione estiva e dunque sino alla data del 23 settembre 2022, un contenitore termico contenente acqua potabile in misura non inferiore a un litro per ogni ora di esposizione ai raggi solari, dotazione di integratori di sali minerali, crema solare ad alta protezione, nonché fornitura di salviette rinfrescanti”).

La discrepanza rispetto alla sicurezza ed alla salubrità dell'ambiente lavorativo, infine, può riguardare la scorretta gestione dei fattori ergonomici il cui mancato adeguamento, soprattutto laddove richiesto, genera sofferenza e tensione nel lavoratore (cfr. ad esempio Trib. Roma, 8 settembre 2021, n. 7048, che ha previsto la condanna al risarcimento anche da stress per omessa “verifica del rispetto dei principi ergonomici dei sedili delle vetture affinché producano il minor livello possibile di vibrazioni”).

c) L'aumento del rischio da stress può - come noto - essere correlato anche alla mancata conciliazione vita-lavoro.

In particolare qui soccorre l'elenco specifico di cui all'art. 28 del d.lgs. 81/2008 che impone di considerare fattori di rischio ulteriori quali – oltreché la specifica tipologia contrattuale di cui già si è dato conto – anche le lavoratrici in stato di gravidanza (secondo quanto previsto dal d.lgs. 151/2001), le differenze di genere, l'età e la provenienza da altri Paesi.

Con riguardo al tema dello stress connesso alle “differenze di genere, per ciò che attiene in particolare alle differenze sociali e ambientali, è risultato in maniera univoca da diverse indagini che le donne dedicano alle funzioni di cura (di figli e/o parenti) una quantità di ore notevolmente superiore agli uomini e di conseguenza le lavoratrici sono sottoposte a un maggiore rischio stress lavoro-correlato rispetto ai lavoratori uomini. Le misure di flessibilità e conciliazione previste anche dalla normativa anti-discriminatoria (15) limitano solo in parte questo rischio (cfr. Tribunale Ferrara, 25 marzo 2019, n° 14, in cui il giudice ha liquidato il danno non patrimoniale conseguente al “patimento sofferto dalla lavoratrice per non avere potuto accudire la propria figlia minore a sufficienza, per non averla potuta frequentare e stimolare nei momenti in cui la stessa era libera dagli impegni scolastici…) (16).

Per inciso, e sempre relativamente al rischio stress legato alle differenze di genere, anche il tema del gender pay gap – benché anche attraverso recenti interventi normativi (l. 162/2021) si stia cercando di attenuarlo - è potenzialmente idoneo ad incidere sul fattore salute, considerato che potrebbe procurare disturbi e stress correlati allo sbilanciamento “sforzi-ricompense” (17).

Con riguardo al fattore “età”, il rischio maggiore legato sempre al tema dello stress può derivare, per i lavoratori più giovani, anche dalla “specifica tipologia contrattuale” non stabile che spesso li riguarda, con conseguenti plurimi fattori di rischio che vengono a incrociarsi.

Con riferimento, infine, alla “provenienza da altri paesi”, lo stress può essere ingenerato dal deficit relazionale che potrebbe venirsi a creare per la mancata conoscenza della lingua, dalle condizioni di particolare vulnerabilità e traumaticità del vissuto nel paese di origine (cfr. Cass, sez. lav., ord. 29 ottobre 2021, n. 30791) e dal maggior rischio di infortuni e malattie con ricadute anche psicologiche. Fondamentale è dunque riconoscere questo fattore di rischio, svolgere opportune e adeguate azioni o adottare misure adeguate per favorire il processo di integrazione dei lavoratori stranieri (corsi di lingua, formazione anche con l'ausilio di un mediatore culturale, corsi specifici in tema di sicurezza sul lavoro, ecc.; per un approfondimento di queste tematiche v. A. Rosiello e M. Serra, Diversity management, La stretta correlazione tra tutela della salute del lavoratore e prevenzione delle discriminazioni, in Quaderni AIFOS giugno 2019).

d) Una recente pronuncia del Tribunale di Torino, sez. lav., 17 agosto 2022, n. 908, est. Paliaga, analizza in modo approfondito e ben argomentato il tema dei controlli esasperati, legati alla mancanza di fiducia nel lavoratore e/o alle carenze nella leadership, alla base di dinamiche stressogene. Nel caso specifico è stata accertata la responsabilità del datore di lavoro per i danni da stress lavoro-correlato occorsi a una dipendente di una impresa commerciale - settore abbigliamento e accessori donna – per le continue pressioni nel raggiungimento degli obiettivi di vendita; il Tribunale, in una sentenza molto articolata oggetto di commento anche infra, par. 6, ha osservato tra l'altro che la convenuta “non ha allegato né offerto di provare alcunché in merito allaeffettuazione della necessaria valutazione del rischio stress lavoro-correlato in relazione alle modalità di lavoro imposte ai suoi dipendenti”.

L'istruttoria testimoniale è stata particolarmente approfondita rispetto alle pressioni commerciali e ai controlli esasperati; a questo proposito una testimone ha riferito di essersi dimessa “per disperazione” e dichiarato: “questa richiesta di conoscere i dati da parte del capo-area c'è sempre stata da quando ho lavorato lì, e me ne sono andata proprio per questo motivo e anche per altro. C'era troppa pressione e troppo stress”.

Il Tribunale ha concluso per la sussistenza di una violazione della normativa in tema di salute e sicurezza e del dovere generale di cui all'art. 2087 c.c. e conseguentemente condannato l'azienda al pagamento della somma di 34.256 euro a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale.

Le pronunce del Tribunale di Bergamo, sez. lav., 29 novembre 2012, n. 1099 e del Tribunale di Firenze, sez. lav., 13 luglio 2022: la forma “mista” della discrepanza quantitativa e qualitativa

Il termine stress, che come abbiamo visto è ben presente nelle pronunce relative sia al sovraccarico quantitativo che qualitativo della prestazione lavorativa, si arricchisce di ulteriori sfumature in due interessanti pronunce della giurisprudenza di merito, rispettivamente del Tribunale di Bergamo, sez. lav., 29 novembre 2012, n. 1099 e del Tribunale di Firenze, sez. lav., 13 luglio 2022.

Il primo caso trattato dal giudice orobico riguarda una veterinaria dirigente, dipendente a tempo determinato di un'azienda sanitaria locale per effetto di due successivi contratti, vittima di una situazione lavorativa stressogena dovuta a una pluralità di fattori concorrenti, ed in particolare:

- allo svolgimento dell'attività lavorativa con ritmi stressanti (dalle ore 6.00 alle ore 12.00 e dalle ore 13.00 alle ore 16-17.00 per quattro giorni alla settimana);

- a un ambiente lavorativo insalubre (il luogo di lavoro era umido, chiuso e poco areato, trattandosi di una semplice stanza di appoggio all'interno del reparto macellazione);

- a un tipo di attività particolarmente stressante (visita ante mortem dei suini avviati alla macellazione quasi “a ciclo continuo” e responsabilità dell'impianto di macellazione, nonostante la scarsa esperienza pregressa);

Con pregevole analisi, il Tribunale di Bergamo ha distinto tra la fattispecie del mobbing, che richiede una pluralità di condotte vessatorie sistematiche (elemento oggettivo) sorrette da un percepibile intento persecutorio (elemento soggettivo), e il “distress lavorativo” o “stress lavoro-correlato”, riconducibile, nel caso di specie, non tanto a orari di lavoro eccessivamente prolungati, quanto a un sovraccarico lavorativo, quantitativo e qualitativo, derivante da una non adeguata organizzazione del lavoro, anche alla luce della breve esperienza professionale della lavoratrice.

In definitiva il Tribunale di Bergamo, “riconoscendo dignità giuridica anche all'ipotesi dello stress lavoro correlato, definito come un insieme di reazioni fisiche ed emotive che si manifesta quando le richieste poste dal lavoro non sono commisurate alle capacità, risorse o esigenze del lavoratore (Niosh, 1999)”, concludeva ritenendo che la lavoratrice fosse stata “vittima di imposizione di responsabilità/mansioni lavorative penalizzanti, in termini di eccedente richiesta rispetto a quella esigibile, con riferimento al suo inquadramento e alle sue capacità professionali, e in confronto con le mansioni svolte dagli altri colleghi del medesimo distretto”.

Non avendo dunque l'azienda sanitaria provveduto a rivedere il carico lavorativo e le mansioni affidate alla ricorrente, consentendo al contrario che il quadro generale degenerasse a tal punto da provocare danni alla dipendente nonostante le sue plurime segnalazioni, il Giudice condannava la datrice di lavoro al risarcimento di tutti i danni non patrimoniali accertati all'esito della CTU medico-legale, quantificati nella misura di 23.592,00 euro (oltre interessi e rivalutazione).

Si tratta di una sentenza che, pur rilevando una discrasia quantitativa sui ritmi di lavoro, pone principalmente l'accento sulla discrepanza qualitativa della prestazione di lavoro, con riguardo tanto all'ambiente di lavoro insalubre quanto alla posizione lavorativa assunta dalla lavoratrice all'interno dell'organizzazione lavorativa. Posizione ansiogena e foriera di stress, trattandosi di una mansione che andava ben oltre le capacità e le risorse della dipendente, la quale era stata rivestita di un gravoso ruolo di responsabilità pur non avendone mai avuto l'esperienza.

Il secondo caso deciso invece dalla sezione lavoro del Tribunale di Firenze, partendo dall'obbligo datoriale di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità psicofisica dei prestatori di lavoro ai sensi dell'art. 2087 c.c., accerta l'illegittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto in ragione del fatto che la malattia patita dal lavoratore era stata causata dallo stress lavorativo a cui quest'ultimo era stato sottoposto, “a fronte degli orari usuranti osservati e del sovraccarico dovuto alla mole di mansioni e responsabilità attribuitegli”.

La vicenda riguardava un Quadro direttivo, responsabile di supermercato, che aveva svolto le proprie prestazioni lavorative oltre il limite della ragionevolezza tanto da diventare gravose ed usuranti (cfr., ex plurimis, Cass., 18 marzo 2021, n.7678; Cass., 10 luglio 2018, n. 18161; Cass. 8 febbraio 2011, n. 3038; Cass. 17 agosto 2004, n. 16050; Cass. 7 agosto 2003, n. 11929; Corte Cost., 7 maggio 1975, n. 101). Limite di ragionevolezza che il giudice ha ritenuto superato in considerazione non soltanto dell'esorbitante numero di ore lavorative effettivamente svolte (260 mensili, pari a 65 settimanali e a 10,8 giornaliere per 6 giorni alla settimana), ma soprattutto della qualità delle mansioni assegnate (direzione di un punto vendita di grandi dimensioni e dal rilevante fatturato, gravosità della ristrutturazione del punto vendita effettuato per circa 10 mesi a negozio aperto, contestuale espletamento delle funzioni di capo-bacino per oltre un anno, direzione ad interim anche di un altro punto vendita).

Le due sentenze analizzate, in definitiva, evidenziano come non di rado nella prassi lo stress lavorativo possa venire in considerazione anche in una forma “mista”, allorché si verifichi una duplice e contestuale discrepanza tra l'organizzazione lavorativa e la dimensione sia quantitativa che qualitativa della prestazione di lavoro.

Discrepanza tra organizzazione e persone: le persecuzioni lavorative (mobbing e straining)

La recente pronuncia del Tribunale di Torino sopra analizzata è utile anche allo scopo di trattare il rapporto tra lo stress lavoro-correlato e le condotte persecutorie (quali il mobbing, lo straining, il bossing etc.). Nel corpo della motivazione, infatti, il giudice torinese nell'applicare la tutela prevista dall'art. 2087 c.c. specifica come “il cd. Mobbing…..è certamente uno dei fattori scatenanti dello stress lavoro correlato (come sottolinea l'art. 2 dell'Accordo Quadro)” (18).

Tra i fattori produttivi di stress lavoro-correlato, dunque, viene espressamente riconosciuto oltre la nocività dell'ambiente di lavoro anche il mobbing, in una sorta di “sineddoche giuridica” rappresentativa di tutte le condotte persecutorie, ovverosia della discrepanza tra organizzazione lavorativa e persone (cd. conflittualità interpersonale).

Nonostante la citata sentenza, è raro reperire in giurisprudenza un riferimento espresso al rapporto tra stress lavorativo e mobbing (19) (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. I, 15 luglio 2022, n. 704, che equipara il mobbing allo straining quale fonte di stress).

Molto più stretto, invece, è il legame tra stress e straining che condividono non solo la medesima radice linguistica (str-) e semantica (entrambi significando sforzo, pressione, sollecitazione, tensione), ma sono affiancati anche nell'originaria nozione giurisprudenziale di straining, definito come quella “situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno un'azione che ha come conseguenza un effetto negativo nell'ambiente lavorativo, azione che oltre ad essere stressante, è caratterizzata da una durata costante(Trib. Bergamo, sez. lav., 20 giugno 2005, n. 286, est. Bertoncini; conf., ex multis, Cass., 19 febbraio 2018, n. 3977; Cass., 4 novembre 2016, n. 3291).

Con il termine straining, quindi, la giurisprudenza (nell'alveo tracciato da un autorevole e noto psicologo del lavoro) (20) ha originariamente inteso indicare un fenomeno diverso, ma strettamente collegato al mobbing, per indicare quei conflitti organizzativi che, pur non rientrando nella definizione di mobbing, causano stress e ledono la salute psicofisica di chi li subisce. Si tratta, in sostanza, di un tipo di stress, superiore rispetto a quello connaturato alla natura stessa del lavoro e alle normali interazioni organizzative, diretto nei confronti di una vittima o di un gruppo di vittime in maniera intenzionale, e con lo scopo preciso di provocare un peggioramento permanente della condizione lavorativa delle persone coinvolte (cfr., da ultimo, Trib. Modena, sez. lav., 2 febbraio 2021, n. 58).

Ci troviamo pur sempre nell'ambito della persecuzione lavorativa, seppure sotto la semplicistica etichetta del “mobbing attenuato” (ex multis, Cass., 10 luglio 2018, n. 18164; Cass. 19 febbraio 2018, n. 3977, cit.; Cass. 4 novembre 2016, n. 3291, cit.): questo, almeno, fino al mutamento di orientamento della giurisprudenza che, come vedremo nel prossimo paragrafo, ha segnato un radicale “cambio di paradigma” nell'essenza stessa dello straining.

Il diritto vivente all'opera: la nuova nozione di straining quale “stress forzato”

L'ultima pronuncia della Cassazione in materia (Cass., sez. VI, 6 ottobre 2022, n. 29059) ha portato a compimento il processo di progressiva trasformazione dello straining da “mobbing attenuato” a “stress forzato”, facendo riferimento “all'obbligo datoriale di assicurare, anche ai sensi dell'art. 2087 c.c., un ambiente idoneo allo svolgimento sicuro della prestazione, che dunque potrebbe non escludere l'inadempimento se il lavoro si manifesti in sé nocivo per la connotazione indebitamente stressogena”.

Siamo di fronte, con ogni evidenza, a una responsabilità dai parametri più ampi rispetto alla fattispecie del mobbing, configurabile in caso di “inadempimento anche solo colposo(cfr. Cass. civ., sez. VI, 5 agosto 2022, n. 24339), che definisce un nuovo genus pretorio, comprensivo di ogni condotta datoriale comportante la costrizione della vittima a lavorare in un ambiente di lavoro ostile, per incuria e disinteresse nei confronti del suo benessere lavorativo(cfr. Cass., 29 marzo 2018, n. 7844, cit.; conf. Cass., 4 ottobre 2019, n. 24883; Trib. Milano, 23 aprile 2019, n. 1047; Trib. Pavia, 22 maggio 2020, n. 85; Trib. Tivoli, 6 ottobre 2020; Trib. Savona, 15 aprile 2021, n. 63), rilevabile “nel caso in cui il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori (cfr. Cass. 23 maggio 2022, n. 16580).

Potenzialmente, come già rilevato in altra sede (Tambasco, Stress lavoro-correlato e straining: la fusione in atto tra materiale legislativo e nuovo formante giurisprudenziale, rivistalabor.it), la nuova veste dello straining è di per sé omnicomprensiva e polifunzionale, essendo idonea a coprire tanto i fattori di contenuto del lavoro quanto i fattori di contesto del lavoro che abbiamo analizzato in precedenza.

Sotto la copertura di questa nuova fattispecie “ombrello” di conio giurisprudenziale, pertanto, potrebbero essere ricomprese tutte quelle cause di stress lavorativo fino ad oggi ascritte allo stress lavoro-correlato (cfr. App. Venezia, sez. lav., 5 aprile 2022, n. 208, che espressamente definisce lo straining quale insieme di violazioni contrattuali o legali ascrivibili al datore di lavoro da cui origini causalmente una condizione di stress lavoro correlato”), dolosamente o anche solo colposamente imputabili alle discrepanze tra organizzazione del lavoro e dimensione quantitativa o qualitativa della prestazione di lavoro o alla conflittualità interpersonale.

Lo stress lavorativo come possibile categoria unitaria “polifunzionale”

Al termine di questa breve ricognizione giurisprudenziale, un dato appare assodato: che lo si voglia chiamare stress lavoro-correlato o che gli si apponga la più moderna etichetta dello straining, da anni il fenomeno biologico dello stress viene utilizzato dalla giurisprudenza per classificare - e soprattutto risolvere - una pluralità di situazioni lavorative apparentemente diverse le une dalle altre.

Si tratta di casi che, come abbiamo visto, nella concreta esperienza hanno un minimo comune denominatore, rappresentato dalle carenze nell'organizzazione dei fattori produttivi che involgono sia la prestazione di lavoro sul piano quantitativo e/o qualitativo, sia le persone nelle loro interazioni interpersonali. Casi che, nel diritto vivente, hanno trovato la loro fonte di disciplina nell'interpretazione “evolutiva” dell'art. 2087 c.c. e del D.P.R. 1124/1965, consentendo - ad esempio - l'espansione della tutela indennitaria dell'INAIL a tutte le patologie contratte a causa dello stress lavoro-correlato (cfr. Cass., 5 marzo 2018, n. 5066; si veda Rossi, Le patologie contratte a causa dello stress lavoro-correlato sono indennizzabili dall'INAIL, in questa Rivista, 15 maggio 2018).

Al dì la dell'individuazione di uno specifico profilo di responsabilità risarcitoria contrattuale da stress lavorativo (o lavoro-correlato), l'adozione di questa prospettiva unitaria consente già oggi (o potrebbe consentire in futuro) di fornire una soluzione anche ai casi di cessazione del rapporto di lavoro dovuti a dimissioni o a licenziamento del datore di lavoro.

Vogliamo richiamare, con riferimento all'oggi, la consolidata giurisprudenza di legittimità e di merito che, ormai da tempo, ha riconosciuto l'annullabilità ai sensi dell'art. 428 c.c. delle dimissioni “per via del contesto ambientale connotato da forte stress e insoddisfazione” (cfr. Cass. 21 novembre 2018, n. 30126; conf. Cass., 9 giugno 2021, n. 16153; Cass., 6 settembre 2018, n. 21701; nel merito, App. Bari, sez. lav., 8 giugno 2007, n. 807) e il recente orientamento giurisprudenziale volto a codificare, in via astratta, la legittimità del recesso datoriale rispetto a condotte di dirigenti, responsabili o coordinatori che abbiano generato forti tensioni o un clima lavorativo teso e pesante, con ricadute negative nei rapporti tra lavoratori e lavoratrici “in termini di valenza pregiudizievole……sulla serenità dell'ambiente di lavoro (cfr. Trib. Roma, sez. lav., 1° giugno 2022, n. 5259; Trib. Reggio Emilia, sez. lav., 4 novembre 2016, n. 248; si veda Manfredi, Il licenziamento per “forti tensioni” generate fra il personale integra giustificato motivo soggettivo,Mementopiù, 7 ottobre 2022).

Quest'ultimo orientamento suggerisce, in ottica futura, la possibilità di scrutinare l'asserita giusta causa di alcuni licenziamenti proprio sulla base del contesto stressogeno: senza con ciò voler cadere nel “giustificazionismo”, alcuni comportamenti “reattivi” oggetto di censura disciplinare, infatti, ben potrebbero trovare un'effettiva –e più giusta- spiegazione nelle condizioni stressogene a cui potrebbero essere sottoposti alcuni dipendenti. Soprattutto nei casi di protratta inerzia datoriale a fronte di specifiche segnalazioni della lavoratrice o del lavoratore sottoposti a un esasperato stress lavorativo, infatti,la successiva condotta del dipendente e del datore dovrebbero essere vagliate – e messe a confronto - con estrema attenzione, oseremmo dire case by case, rifuggendo dai rigidi schematismi della “giusta causa” codicistica.

La polifunzionalità dello stress lavorativo passa anche attraverso queste nuove strade.

Note

(1) H. Selye, Stress, Torino, 1957, p. 5, secondo cui “In forma vaga, l'esistenza di quanto io ho denominato stress fu intravista da Ippocrate circa 25 secoli fa quando, nella malattia, distinse il ponos (sforzo) dal pathos (sofferenza). Il ponos era quanto corrisponde al lavorio di adattamento dello stress”.

(2) La risposta adattiva è principalmente un'attivazione di natura biologica: sotto stress, le ghiandole surrenali secernono il cortisolo, uno degli ormoni rilasciati dal corpo in caso di emergenza, con effetti ad ampio raggio sull'organismo umano, come ad esempio favorire adattamenti a breve termine sanando le ferite fisiche, cfr. D. Goleman, Intelligenza sociale, Milano, 2006, p. 229.

(3) Sull'omeostasi quale “gamma di stati medi che corrispondono all'equilibrio funzionale entro il quale l'economia dell'organismo opera probabilmente al proprio meglio, con minore dispendio di energia e adeguamenti più semplici e rapidi”, si veda Damasio, L'errore di Cartesio, Milano, 1994, p. 197.

(4) H. Selye, Stress, cit., p. 4: “lo stress è uno stato che si manifesta in una sindrome specifica consistente di tutte le modificazioni indotte in via aspecifica in un sistema biologico”.

(5) H. Selye, Stress in health and disease, Boston, 1976; Pellegrino, Esposito, Burn-out, mobbing e malattie da stress, Verona, 2019, p. 18 e ss.

(6) Si rimanda a Rosiello, La sottile linea di confine tra violazione della normativa in materia di sicurezza e discriminazione quando si è in presenza di gruppi di lavoratori soggetti a rischi particolari, in Aa.Vv., a cura di Bonardi, Eguaglianza e divieti di discriminazione nell'era del diritto del lavoro derogabile, Roma, 2017; Peruzzi, La valutazione del rischio da stress lavoro-correlato ai sensi dell'art. 28 del d.lgs. 81/2008, Working Papers Olympus, Urbino, 2/2011; Pasquarella, La disciplina dello stress lavoro-correlato tra fonti europee e nazionali: limiti e criticità, Working Papers Olympus, Urbino, 6/2012; Avarello, Fanucchi, Questioni aperte nella rilevazione del rischio stress lavoro-correlato, DSL, 1/2021; Nunin, Stress lavoro-correlato: il nodo critico resta l'onere della prova, LG, 11/2018, p. 1013 ss.

(7) Sulla distinzione tra persecuzioni lavorative, violenze e molestie, si rimanda a Ege, Tambasco, Il lavoro molesto, Milano, 2021, p. 16 e ss.

(8) Si veda Maslach, Leiter, Burnout e organizzazione, Erikson, 2000.

(9) Maslach, Leiter, Burnout e organizzazione, cit., p. 23 e ss.

(10) Nel medesimo senso si veda anche OIL, Work Placed stress. A collective challenge, Ginevra, 2016, che nell'ambito dei rischi psico-sociali distingue tra contenuto del lavoro e contesto del lavoro, menzionando espressamente in quest'ultima categoria le relazioni interpersonali.

(11) Si fa riferimento all'ultima edizione del manuale INAIL, La metodologia per la valutazione e gestione del rischio stress lavoro-correlato, 2017, che ha aggiornato la prima edizione del 2011.

(12) Sull'articolazione delle cause di stress lavorativo in dimensione quantitativa, qualitativa e interpersonale, si veda Del Vecchio, Il danno da stress e da usura psicofisica, in Aa.Vv., I danni nel diritto del lavoro, Milano, 2022, p. 301 e ss.

(13) Foro it. 2018, 7-8, I, 2374.

(14) Ballottin e altri, Benessere individuale e collettivo nei processi di cambiamento, Gruppo di studio SIPLO sullo stress lavoro correlato, su www.siplo.it.

***

In riferimento al presente Focus, v. i Casi e sentenze di D. Tambasco, Stress lavorativo e illegittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto; Mobbing, stress lavoro-correlato e risarcimento del danno; Stress lavoro correlato (o distress lavorativo): configurabilità della fattispecie.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario