Utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi: la Cassazione abbraccia l'interpretazione meno garantista

Leonardo Filippi
02 Dicembre 2022

La Suprema Corte affronta, forse per la prima volta dopo la riforma introdotta dalla l. n. 7/2020, la questione dell'utilizzabilità dei risultati dell'intercettazione in un procedimento diverso.
Il principio di diritto

La Corte di cassazione (con la pronuncia 6 ottobre 2022, n. 37911) risolve la questione dell'utilizzabilità dei risultati dell'intercettazione in un procedimento diverso nel senso di estendere tale eccezionale utilizzabilità ai procedimenti connessi ogni qualvolta i risultati dell'intercettazione risultino rilevanti e indispensabili per l'accertamento sia di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza sia di reati per i quali l'art. 266, comma 1, c.p.p. consenta l'intercettazione. La Corte ritiene che una lettura cumulativa di questi ultimi requisiti, che richiederebbe - ai fini dell'utilizzabilità delle intercettazioni captate in altro procedimento - che il nuovo delitto in via di accertamento sia riconducibile tanto nel catalogo dell'art. 380 c.p.p., quanto in quello dell'art. 266 c.p.p., non sia autorizzata né dall'interpretazione letterale della disposizione, né dalla voluntas legis che affiora dai lavori preparatori, né si rivelerebbe coerente con la successiva disposizione di cui all'art. 270, comma 1-bis, c.p.p.

Medesimo fatto o fatti diversi?

La sentenza muove da una corretta impostazione, escludendo, anzitutto, che si possa parlare dello stesso fatto nei due procedimenti a quo e ad quem: nel primo, infatti, si procedeva per una associazione per delinquere finalizzata alla consumazione di reati contro la pubblica amministrazione (per la quale erano state autorizzate le intercettazioni), mentre nel secondo si contestava una associazione avente come scopo fatti di corruzione tra privati e giustamente la Corte esclude l'idem factum e quindi che si tratti del medesimo procedimento.

La motivazione (apparentemente) rafforzata su “rilevanza” e “indispensabilità” dei risultati dell'intercettazione

La sentenza afferma poi che il legislatore ha richiesto una motivazione rafforzata, perché deve giustificare sia la “rilevanza”, sia l'”indispensabilità” dei risultati dell'intercettazione a fini di prova nel procedimento ad quem.

In realtà, a ben vedere, si tratta di motivazione solo apparentemente rafforzata perché è ovvio che ciò che è “indispensabile” deve necessariamente essere anche “rilevante”: infatti, non esiste qualcosa di “indispensabile” che non sia anche “rilevante”, per cui il nuovo requisito della “rilevanza”, prescritto ora dall'art. 270 c.p.p., nulla aggiunge a quello precedente della “indispensabilità”.

La data di operatività della nuova disciplina

Corretta appare la motivazione sul punto in cui interpreta la locuzione "procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020", contenuta nella disposizione transitoria, nel senso che essa si riferisce ai procedimenti nel cui ambito si intendano utilizzare i risultati di intercettazioniu aliunde captate, e non già ai procedimenti in cui le stesse siano state autorizzate.

La sentenza osserva correttamente che è soltanto riguardo alla circolazione extraprocedimentale del dato captativo che si pone la questione del divieto di utilizzabilità e delle deroghe, e non già nel diverso procedimento nel quale le intercettazioni stesse sono state generate. La conseguenza è l'applicabilità, nella fattispecie concreta, della nuova disciplina dettata dall'art. 270 c.p.p.

La necessaria connessione tra i procedimenti (o tra i reati?)

Manca invece qualsiasi motivazione sull'asserita connessione “forte” che dovrebbe sussistere tra i due procedimenti e che non può limitarsi ad un collegamento investigativo ex art. 371 c.p.p.

In realtà, a noi pare che il legislatore nell'art. 270 c.p.p. si riferisca indifferentemente al “procedimento diverso” (nella rubrica e nei commi 1, 2 e 3 della disposizione) e al “reato diverso” (oggetto della disciplina del comma 1-bis dello stesso art. 270 c.p.p.), volendo, in realtà, alludere sempre al “reato” diverso, poiché, ai fini dell'utilizzabilità dei risultati dell'intercettazione, è indifferente la sede nella quale si procede all'accertamento penale (nel medesimo o in diverso procedimento), essendo ovvio che la regola è che tali risultati sono utilizzabili esclusivamente per la prova del reato per il quale l'intercettazione è stata autorizzata, e l'eccezione consiste nell'utilizzabilità per la prova di un diverso reato da quello per il quale l'intercettazione è stata autorizzata; e in questo caso è del tutto irrilevante che il diverso reato sia accertato nello stesso o in altro procedimento. Ciò che rileva è che il giudice che ha autorizzato l'intercettazioneabbia conosciuto il diverso fatto emerso e che, nonostante la diversità emersa, su di esso possa dirsi sostanzialmente intervenuto il vaglio giurisdizionale. Pertanto, il problema interpretativo si deve risolvere non tanto nell'individuare la nozione di diverso o medesimo “procedimento”, quanto piuttosto sulla funzione del procedimento e della prova, nel senso che la questione va impostata sul rapporto di pertinenza intercorrente tra la prova (i risultati dell'intercettazione) e il fatto che mediante la prova si vorrebbe dimostrare.

Le stesse sezioni unite Cavallo fecero riferimento al reato e non al procedimento, ritenendo necessario che i reati, connessi ex art. 12 c.p.p. a quelli in relazione ai quali le intercettazioni erano state ab origine autorizzate, rientrassero nei limiti di ammissibilità previsti dall'art. 266 c.p.p. (Cass. pen., sez. un., 28 novembre 2019, n. 51, Rv. 277395), e tale impostazione non è mutata dopo la modifica legislativa dell'art. 270 c.p.p.

Pertanto, l'art. 270 c.p.p. contiene la regola fondamentale per cui i risultati dell'intercettazione sono utilizzabili soltanto per l'accertamento del reato per il quale si procede e non per altri e la possibilità di utilizzarli per un diverso reato, essendo un'eccezione, deve essere interpretata in senso restrittivo, come già la Corte costituzionale affermò considerandola norma “del tutto eccezionale”, in quanto frutto del bilanciamento tra la segretezza delle comunicazioni e l'interesse pubblico alla repressione dei reati (C. cost., 23 luglio 1991, n. 366). E, come noto, l'eccezione non ammette interpretazioni analogiche o estensive.

Dovrebbe quindi essere chiaro che per "diversi procedimenti", ex art. 270 c.p.p., devono intendersi "diversi reati" che devono essere connessi ex art. 12 c.p.p. a quello per il quale l'intercettazione è stata autorizzata. Infatti, l'art. 12 c.p.p. si riferisce ad un rapporto tra reati, dal quale fa discendere la connessione dei procedimenti.

Di conseguenza, solo la connessione "sostanziale" tra reati, rilevante ex art. 12 c.p.p., fonda la categoria di "stesso procedimento" idonea a paralizzare l'operatività dell'art. 270 c.p.p. Al contrario, non è sufficiente un nesso di natura "formale" o "occasionale", quale quello derivante dal collegamento delle indagini ai sensi dell'art. 371 c.p.p., dall'appartenenza ad un medesimo contesto (o "filone") investigativo, dal medesimo numero di iscrizione del fascicolo processuale (Cass. pen., sez. V, 11 agosto 2021, n. 31546; Cass. pen., sez. V, 15 gennaio 2021, n. 1757, in C.E.D. Cass., n 280326).

La giurisprudenza ha però esteso il principio di diritto enunciato per i reati connessi dalle S.U. Cavallo anche ai reati collegati ai sensi dell'art. 371, comma 2 lett. b) e c), c.p.p., per cui si è ammessa l'utilizzazione quando i procedimenti a carico dell'indagato nascono da una stessa notizia di reato, e ciò che muta è esclusivamente la diversa qualificazione giuridica del fatto (Cass. pen., sez. III, 9 marzo 2021, Amita, n. 36353, in Dir. pen. e proc., 2022, p. 496).

Ma nel caso in esame, riesce davvero difficile immaginare la sussistenza di uno qualsiasi dei casi di connessione tra una associazione per delinquere finalizzata alla consumazione di reati contro la pubblica amministrazione e un'altra, del tutto diversa, avente come scopo fatti di corruzione tra privati.

Un'utilizzabilità sempre e comunque?

Ma soprattutto non può essere condiviso il principio di diritto affermato in sentenza, e cioè l'affermata utilizzabilità dei risultati dell'intercettazione nei procedimenti connessi ogni qualvolta essi risultino rilevanti e indispensabili per l'accertamento vuoi di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza, vuoi di reati per i quali l'art. 266, comma 1, c.p.p. consenta l'intercettazione.

La pronuncia afferma che tale conclusione sarebbe imposta sia dall'interpretazione letterale della disposizione, sia dalla voluntas legis che affiora dai lavori preparatori, e sarebbe coerente con la successiva disposizione di cui all'art. 270, comma 1-bis, c.p.p.

In realtà, il testo dell'art. 270 c.p.p. si presta sia ad un'interpretazione cumulativa che disgiuntiva dei due requisiti. Da parte sua, l'art. 12 disposizioni sulla legge in generale stabilisce che “nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse”, mentre l'”intenzione del legislatore” è tutt'altro che chiara. Infine, nessuna incoerenza è ravvisabile con il comma 1-bis del medesimo art. 270 c.p.p., che disciplina una materia diversa, cioè l'impiego del captatore informatico, che comunque è riservato a gravi reati per i quali è sempre ammessa l'intercettazione.

In passato, una certa giurisprudenza considerava utilizzabili i risultati dell'intercettazione anche per il reato diverso che non ammetteva l'intercettazione, tanto che dovettero intervenire le citate Sezioni unite Cavallo per chiarire che è necessario che i reati, connessi ex art. 12 c.p.p. a quello in relazione al quale le intercettazioni erano state ab origine autorizzate, rientrassero nei limiti di ammissibilità previsti dall'art. 266 c.p.p.

È evidente quindi l'intento del “nuovo” art. 270, comma 1, c.p.p. di esigere la contemporanea presenza di entrambe le condizioni (arresto obbligatorio in flagranza e ammissibilità dell'intercettazione), proprio al fine di evitare tale incongruenza: il reato, di per sé non è intercettabile, ma captabile “a strascico” di un altro.

Invece, l'interpretazione adottata dalla sentenza qui esaminata, che opta per la presenza disgiuntiva delle due condizioni porta a risultati incostituzionali e quindi inaccettabili. Infatti, la Corte costituzionale, esaminando il previgente art. 270, comma 1, c.p.p., ebbe già occasione di considerare “apertamente contrastante con le garanzie poste dall'art. 15 Cost.” la proposta di estendere l'eccezione al divieto di utilizzazione di cui all'art. 270, comma 1, c.p.p. a tutti i procedimenti “rispetto ai quali, ai sensi dell'art. 266 c.p.p., è ammissibile procedere alle intercettazioni”, dal momento che “trasformerebbe l'intervento del giudice, richiesto dal ricordato art. 15 per l'irrogazione in concreto di restrizioni alla predetta libertà, in “un'inammissibile autorizzazione in bianco” a disporre le intercettazioni, con conseguente lesione della “sfera privata” legata al riconoscimento del diritto inviolabile di libertà di comunicazione e al connesso dovere di riservatezza incombente su tutti coloro che per ragioni d'ufficio vengano a conoscenza di fatti inerenti a quella sfera” (C. cost.10 febbraio 1994, n. 63 e, in precedenza,C. cost., 11 luglio 1991, n.366).

Seguendo l'impostazione accolta dalla pronuncia in esame, si verificherà quindi la conseguenza, ancora più grave rispetto a quella già esaminata dalla Consulta, e cioè che per certi reati, che ex se non ammettono l'intercettazione, se però sono accidentalmente captati in un diverso procedimento (rectius, per un diverso reato), i risultati dell'intercettazione aliunde disposta saranno utilizzabili senza una specifica autorizzazione del G.I.P.

A nostro parere, occorre interpretare l'equivoca locuzione legislativa dandole un senso conforme alla Costituzione e, poiché si richiede che i risultati dell'intercettazione risultino rilevanti e indispensabili “per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza e dei reati di cui all'articolo 266, comma 1, c.p.p.”, l'impiego della congiunzione “e” significa che il legislatore ha voluto indicare due requisiti tra loro cumulativi, per cui l'utilizzazione “nel diverso procedimento” (rectius, per il diverso reato) deve ritenersi ammessa solo se indispensabile (è implicita la rilevanza) per un delitto per il quale l'art. 266, comma 1, c.p.p. ammette l'intercettazione e per il quale sia, inoltre, imposto l'arresto obbligatorio in flagranza (art. 270, comma 1, c.p.p.). Infatti, le due categorie di reati (quelli suscettibili di intercettazione e quelli ad arresto obbligatorio) non sono né omogenee, né sovrapponibili, esistendo reati, per i quali è ammessa l'intercettazione ma non l'arresto obbligatorio in flagranza (ad es. molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono - art. 660 c.p., corruzione propria - art. 319 c.p.). Ma, soprattutto, al contrario, vi sono reati per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza ma non è consentita l'intercettazione (ad es. furto - art. 624 c.p., o violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa - art 387-bis c.p.).

È perciò evidente che, con il contemporaneo richiamo agli artt. 266 e 380 c.p.p. il legislatore ha voluto evitare il paradosso che si verificava in passato quando in alcune ipotesi i risultati delle intercettazioni potevano essere utilizzati come prova del fatto diverso, ancorché quest'ultimo, pur rientrando tra i casi di arresto obbligatorio, non consentiva però ex se l'intercettazione (v. ad esempio Cass. pen., sez. V, 21 maggio 2013, n. 17939, Colombo e altri, in Guida dir., 2014, n. 28, p. 82, secondo cui i risultati delle intercettazioni disposte per un reato rientrante tra quelli indicati nell'art. 266 erano considerati utilizzabili anche relativamente ai restanti reati per i quali si procede nel medesimo procedimento, pur se per essi le intercettazioni non erano consentite, e ciò indipendentemente dal successivo esercizio dell'azione penale anche in relazione al primo reato). Al contrario, anche l'interpretazione che ammettesse l'utilizzabilità per qualsiasi diverso reato suscettibile di intercettazione, ma non soggetto ad arresto obbligatorio in flagranza, sarebbe ugualmente incostituzionale in rapporto alla prescrizione, dettata dall'art. 15 Cost., dell'“atto motivato dell'autorità giudiziaria” in riferimento alla necessaria previsione per legge dei “casi” di intercettazione, per cui rappresenterebbe un'inammissibile “autorizzazione in bianco” ad intercettare, già ripetutamente censurata dalla Corte costituzionale.

In conclusione

In definitiva, la sentenza annotata, pregevole per i chiarimenti in ordine sia all'individuazione del reato “diverso”, sia del criterio per individuare la data di operatività della nuova disciplina, manca però di una motivazione sulla necessaria connessione tra i reati e non può essere condivisa laddove afferma l'utilizzabilità per il diverso reato, sia quando è obbligatorio l'arresto in flagranza, sia quando è ammessa l'intercettazione.

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