Errore di percezione della prova e sindacato di legittimità: i paletti dettati dalla Cassazione

Redazione scientifica
03 Gennaio 2023

E' sindacabile in sede di legittimità ai sensi dell'art. 360, n. 4, c.p.c. per violazione dell'art. 115 del medesimo codice, l'errore di percezione che sia caduto sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che abbia formato oggetto di discussione tra le parti.

Nel corso di un giudizio avente ad oggetto una domanda di risarcimento dei danni derivanti dall'esecuzione di un appalto, proposta dalla committente nei confronti dell'appaltatore (nonché degli architetti progettisti chiamati in causa dall'appaltatore convenuto), la Corte di cassazione ha esaminato una questione di rilevanza nomofilattica.

In particolare se «l'errore che cade sulla ricognizione del contenuto oggettivo delle prova (ossia del risultato probatorio nella sua obiettività, che viene erroneamente percepito o ricevuto o evidentemente travisato), diversamente dall'errore di valutazione delle prove (normalmente non sindacabile in sede di legittimità, se non si traduca in un vizio di motivazione costituzionalmente rilevante), possa essere censurato quale error in procedendo per violazione dell'art. 115 c.p.c., allorché investa una circostanza che abbia formato oggetto di discussione tra le parti».

In proposito i giudici hanno chiarito, richiamando l'elaborazione compiuta dalla prima sezione (cfr. Cass. n. 10749/2015) che mentre l'errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito nell'apprezzamento dell'idoneità dimostrativa della fonte di prova non è mai sindacabile in sede di legittimità, è sindacabile ai sensi dell'art. 360, n. 4, c.p.c. per violazione dell'art. 115 del medesimo codice l'errore di percezione che sia caduto sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che abbia formato oggetto di discussione tra le parti (si cfr., di recente, l'ordinanza n. 26209/2022, che richiama la sentenza n. 13918/2022; nonché l'ordinanza n. 12971/2022, che richiama l'ordinanza n. 9356/2017).

Ciò in quanto il principio di cui all'art. 115 c.p.c., nell' imporre al giudice di porre a fondamento della decisione le prove offerte dalle parti (oltre ai fatti non specificatamente contestati), rende censurabile non soltanto la sentenza nella quale il giudice ha posto a fondamento della sua decisione prove disposte di sua iniziativa (al di fuori dei poteri ufficiosi che gli sono riconosciuti) ma rende altresì censurabile in sede di legittimità la sentenza nella quale il giudice di merito abbia utilizzato informazioni probatorie che non esistevano nel processo e che tuttavia comunque sostengono illegittimamente la decisione che ha definito il giudizio di merito.

Secondo la Corte, infatti, i dati informativi riferibili a fonti mai dedotte in giudizio dalle parti (un testimone che non è mai stato dedotto o, pur essendolo stato, non è stato mai sentito; un documento che non è mai stato richiamato o che, pur essendo stato richiamato, non è mai stato prodotto, ecc.), ovvero i dati informativi che si riferiscono a fonti appartenenti al processo (uno specifico documento, in concreto ritualmente depositato; un determinato testimone, in concreto regolarmente escusso, ecc.), ma che si sostanziano nell'elaborazione di contenuti informativi che non si lasciano in alcun modo ricondurre, neppure in via indiretta o mediata, alla fonte alla quale il giudice di merito ha viceversa inteso riferirle, non possono essere legittimamente posti a fondamento di una decisione di merito.

Se ciò avviene, va riconosciuta alla parte interessata, una volta esaurito il corso dei giudizi di merito, la possibilità di farne denuncia alla Corte.

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