Cosa fare in caso di inattività dell'amministratore di nomina giudiziale?
03 Febbraio 2023
L'amministratore nominato giudizialmente, nonostante sia trascorso circa un anno dalla notifica del provvedimento di nomina, appalesa un comportamento altalenante e/o comunque incerto e, pertanto, non ha ancora convocato nessuna assemblea né, tantomeno, ha accettato l'incarico. L'amministratore dimissionario è ancora in possesso della documentazione condominiale; quest'ultimo si rifiuta di essere individuato come amministratore, affermando come l'amministratore in carica sia quello nominato dalla A.G. In presenza di siffatta situazione chi è – per legge – l'amministratore del condominio?
Preliminarmente, in argomento, giova ricordare che l'istituto della prorogatio imperii - che trova fondamento nella presunzione di conformità alla volontà dei condomini e nell'interesse del condominio alla continuità dell'amministratore - è applicabile in ogni caso in cui il condominio rimanga privato dell'opera dell'amministratore, e pertanto non solo nei casi di scadenza del termine di cui all'art. 1129 c.c., o di dimissioni, ma anche nei casi di revoca o di annullamento per illegittimità della relativa delibera di nomina (App. Lecce 10 giugno 2022, n. 668). Difatti, nelle ipotesi di scadenza del termine (nonché nelle ipotesi di dimissioni), l'amministratore condominiale continua ad esercitare (e vi è obbligato), sino alla nomina del nuovo amministratore (Trib. Catanzaro 15 giugno 2022). Premesso ciò, in tema, si osserva che l'art. 1129, comma 1, c.c. prevede che “Quando i condomini sono più di otto, se l'assemblea non vi provvede, la nomina di un amministratore è fatta dall'autorità giudiziaria su ricorso di uno o più condomini o dell'amministratore dimissionario”. Trattasi dell'amministratore di nomina giudiziale, e, in tal caso, l'intervento del giudice si esplica in una valutazione ampiamente discrezionale dei fatti esposti, esaurendosi in un provvedimento diretto alla preservazione di un interesse di evidente carattere pubblicistico. In tale situazione, il decreto si risolve in una vera e propria manifestazione di volontà sostitutiva dell'assemblea, rimasta inerte di fronte ad una situazione pregiudizievole nella gestione della cosa comune, ed in questa facoltà sostitutiva si delinea un rapporto di collaborazione della volontà del giudice nell'ambito dell'amministrazione condominiale. Vero cheai sensi dell'art. 1129, comma 14, c.c. "l'amministratore, all'atto dell'accettazione della nomina e del suo rinnovo, deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l'importo dovuto a titolo di compenso per l'attività svolta" e, quindi, in tal caso, implica un comportamento attivo dell'amministratore; vero anche che -nella specie- sembrerebbe che l'amministratore nominato giudizialmente non ha manifestato una volontà contraria alla nomina (situazione indicata nel quesito come “altalenante” e pertanto diversa dal totale disinteresse). Del resto, l'accettazione della predetta nomina può avvenire anche per fatti concludenti e che il contratto di mandato può perfezionarsi con la delibera con cui l'assemblea nomina l'amministratore (nel nostro caso decreto di nomina) (Trib. Udine 19 agosto 2019 n. 1015). Alla luce di ciò, il professionista revocato/dimissionario si trova in un classico caso di prorogatio imperii, ed è a lui, salvo diverse indicazioni, che dev'essere comunicata la nomina del nuovo professionista. Quest'ultimo, però, alla luce della nomina del nuovo, deve consegnare tutta la documentazione. Per meglio dire, a fronte di un provvedimento giudiziale di nomina dell'amministratore di condominio frutto dell'esercizio in via vicariante dei poteri dell'assemblea inerte, si evidenzia come sin dalla nomina giudiziale, come nella fattispecie, il nuovo amministratore è investito ope legis del potere di gestire e rappresentare il condominio. Quindi, in merito al quesito esposto, in assenza di espressa volontà contraria, l'amministratore nominato dal giudice è quello che ufficialmente ha la rappresentanza del condominio. Di conseguenza, quest'ultimo dovrà richiedere tutta la documentazione nei confronti del precedente (in prorogatio); invero, con il termine “passaggio delle consegne” si individua il momento in cui l'amministratore uscente trasferisce al nuovo i documenti inerenti alla gestione del condominio ponendolo nella concreta possibilità di svolgere il suo incarico. È con la consegna dei documenti del condominio tra l'amministratore uscente e quello entrante che questo assume i pieni poteri di gestione. Ad ogni modo, come osservato in giurisprudenza, l'amministratore nominato dal Tribunale ex art. 1129 c.c., in sostituzione dell'assemblea che non vi provvede, sebbene non rivesta la qualità di ausiliario del giudice ma instauri, con i condomini, un rapporto di mandato, non può essere equiparato all'amministratore nominato dall'assemblea, in quanto la sua nomina non trova fondamento in un atto fiduciario dei condomini ma nell'esigenza di ovviare all'inerzia del condominio ed è finalizzata al mero compimento degli atti o dell'attività non compiuta; pertanto, il termine di un anno previsto dall'art.1129 c.c. non costituisce il limite minimo di durata del suo incarico, ma piuttosto il limite massimo di durata dell'ufficio, il quale può cessare anche prima se vengono meno le ragioni presiedenti la nomina (ad esempio, per l'avvenuta nomina dell'amministratore fiduciario), restando applicabile, ai fini della determinazione del compenso, l'art.1709 c.c. (Cass. civ., sez. III, 5 maggio 2021, n. 11717). In conclusione, alla luce delle considerazioni esposte, l'amministratore nominato dal Tribunale deve - quindi - rendere conto del suo operato soltanto all'assemblea; sicché, salvo espresse dimissioni del professionista, l'assemblea, comunque, può “sempre” revocarlo e sostituirlo con un nuovo amministratore. |