Muovendo da un presupposto normativo del diritto penale (l'art. 649 c.p. che esclude la punibilità dei reati contro il patrimonio commesso da un familiare ai danni di un altro familiare), la pensée degli interpreti è stata, per lungo tempo, nel senso della non ammissibilità di una responsabilità risarcitoria ex art. 2043 c.c. imputabile all'uno dei familiari per il pregiudizio arrecato ad altro dei membri della famiglia. In questa lettura orientata alla consacrazione di un modello familiare in termini di “famiglia – istituzione”, gli interpreti hanno ritenuto che gli illeciti commessi all'interno della famiglia (cd. illeciti endo-familiari) trovassero già una specifica ed esaustiva tutela rimediale, disegnata dal Legislatore in modo settoriale al fine di escludere la permeabilità di questo tessuto normativo ad altre regole, disseminate in altri comparti ordinamentali. Questa linea interpretativa è andata sgretolandosi nel tempo e si è, infine, approdati a una lettura diametralmente opposta: la tradizione giuridica odierna, ormai acquisita, insegna che il rispetto della dignità e della personalità, nella sua interezza, di ogni componente del nucleo familiare assume i connotati di un diritto inviolabile, la cui lesione da parte di altro componente della famiglia, cosi come da parte del terzo, costituisce il presupposto logico della responsabilità civile, non potendo ritenersi che diritti definiti come inviolabili ricevano diversa tutela a seconda che i loro titolari si pongano o meno all'interno di un contesto familiare.