Particolare tenuità del fatto: la Riforma Cartabia amplia l'ambito di applicazione ma esclude anche varie ipotesi di reato

Valeria Bove
27 Febbraio 2023

Con la Riforma Cartabia anche la particolare tenuità del fatto ha ambiti di applicazione più estesi: l'individuazione del limite di pena detentiva minima di due anni, in luogo di quella massima di cinque, e la valorizzazione della condotta susseguente al reato danno ulteriore linfa all'istituto e si muovono in una direzione di ampliamento, controbilanciata, contestualmente, dall'individuazione di nuovi reati, cui la causa di non punibilità non è applicabile.
La riforma Cartabia e l'estensione dei rimedi alternativi alla pena ed al processo

È dai primi anni del 2010 che nel sistema della giustizia penale vengono valorizzate forme alternative al processo e alla pena, più rispondenti ai principi di proporzionalità della sanzione penale e della pena come estrema ratio, ma anche in grado di assicurare finalità deflative.

Una strada, questa, tracciata a suo tempo dalla legge delega del 28 aprile 2014, n. 67 e dai conseguenti decreti attuativi, successivamente ripresa dalla riforma Orlando, ed oggi ulteriormente percorsa con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, entrato in vigore il 30 dicembre 2022 (a seguito della proroga disposta con l'art. 99-bis, inserito dall'art. 6 del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162 - c.d. decreto rave - convertito con modificazioni dalla legge 30 dicembre 2002, n. 199), con il quale è stata esercitata la delega di cui alla legge 27 settembre 2021, n. 134, volta alla riforma del processo penale (cd. riforma Cartabia).

Il processo penale, a seguito degli interventi di modifica operati dal d.lgs. n. 150/2022, ne esce notevolmente diverso: la nuova regola di giudizio della “ragionevole previsione di condanna” che permea tutta la fase delle indagini preliminari, dell'udienza preliminare fino alla nuova udienza predibattimentale; la stessa udienza predibattimentale; le modifiche ai riti speciali; il dispositivo integrato, ma anche la nuova disciplina dell'assenza; le norme sul processo penale telematico; le disposizioni in tema di giustizia riparativa, sono alcune delle innovazioni che hanno riguardato il processo penale, soprattutto quello di primo grado e che ha visto, nel trattamento sanzionatorio, una delle modifiche più rilevanti ed anche delicate.

L'introduzione delle pene sostitutive delle pene detentive brevi (art. 20-bis c.p.); l'estensione del regime di procedibilità a querela; l'ampliamento dei reati ai quali è applicabile la particolare tenuità del fatto; il nuovo catalogo degli ulteriori reati per i quali può essere richiesta (e proposta) la messa alla prova, sono tutti interventi che hanno modificato il trattamento sanzionatorio e valorizzato forme di definizione dei procedimenti penali, alternative alla pena ed al processo.

In questo contesto, il legislatore delegante ha valorizzato, estendendo l'ambito di applicazione, anche la causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, introdotta a suo tempo dal d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28 (con il quale è stata data attuazione ai principi contenuti nell'art. 1, comma 1, lett. n, della legge delega 28 aprile 2014, n. 67) e lo ha fatto incidendo sulla norma cardine che disciplina la particolare tenuità del fatto, l'art. 131-bis c.p., unica disposizione, in tema, ad essere stata espressamente modificata (le altre, ulteriori modifiche, hanno riguardato alcuni reati militari – la rivolta, il peculato militare e il reato di cui all'art. 3, legge 9 dicembre 1941, n. 1383 – ai quali, per l'interpolazione operata, non si applica la causa di non punibilità).

Gli interventi di modifica in tema di particolare tenuità del fatto

A norma dell'art. 1, comma 21, l. n. 134/2021 la modifica in tema di particolare tenuità del fatto andava attuata nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi «a) per i reati diversi da quelli riconducibili alla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011, ratificata ai sensi della legge 27 giugno 2013, n. 77, prevedere come limite all'applicabilità della disciplina dell'articolo 131-bis del codice penale, in luogo della pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, sola o congiunta a pena pecuniaria; ampliare conseguentemente, se ritenuto opportuno sulla base di evidenze empirico-criminologiche o per ragioni di coerenza sistematica, il novero delle ipotesi in cui, ai sensi del secondo comma dell'articolo 131-bis del codice penale, l'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità; b) dare rilievo alla condotta susseguente al reato ai fini della valutazione del carattere di particolare tenuità dell'offesa».

Tre gli interventi effettuati dal legislatore delegato: il primo intervento, si è sostanziato nel modificare il criterio del limite pena; il secondo, nel dare rilevanza alla condotta susseguente al reato; il terzo, nel prevedere nuove ipotesi di esclusione della causa di non punibilità, cogliendo l'occasione per riscrivere l'art. 131-bis, comma secondo, c.p. che, nel corso del tempo, è stato, in parte de qua, oggetto di più interventi normativi.

Il primo intervento: la modifica del limite di pena

Il primo intervento di modifica si è sostanziato nel prevedere, in generale, un limite di pena diverso rispetto a quello fissato dal legislatore del 2015 e nell'inserire – come seconda modalità di intervento, che verrà commentata in seguito - tra i reati per i quali va esclusa la causa di non punibilità, quelli riconducibili alla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011, ratificata ai sensi della legge 27 giugno 2013, n. 77.

Il limite di pena detentiva cui fare riferimento, muta quindi dai cinque anni di pena detentiva massima, ai due anni di pena detentiva minima: ciò significa che nelle ipotesi criminose punite solo con pena pecuniaria continuerà ad applicarsi la particolare tenuità del fatto; in quelle punite (anche) con pena detentiva, occorrerà guardare il minimo pena e non più il massimo, che non assume alcun rilievo.

Il legislatore delegato (e prim'ancora quello delegante) ha quindi seguito quell'orientamento soprattutto dottrinario (e recepito anche dalla Commissione Lattanzi, che ha preceduto l'adozione della legge delega n. 134/2021) che da sempre valorizza la circostanza che il minimo della pena è indice sintomatico della gravità dell'offesa, perché laddove il legislatore ritenga che il fatto possa assumere, in concreto, connotati di non gravità o comunque di tenuità, o non prevede alcun minimo della pena, o prevede minimi di pena bassi; per converso, qualora ritenga che il fatto non possa nei fatti assumere caratteristiche di tenuità, il medesimo legislatore è portato ad indicare minimi di pena elevati.

Si tratta, per altro, di un orientamento che è stato in parte recepito anche dalla Corte costituzionale che, nella sentenza 25 giugno - 21 luglio 2020, n. 156, pronunciata in tema di ricettazione attenuata, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 131-bis c.p. nella parte in cui non consente l'applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati per i quali non è previsto un minimo edittale di pena detentiva (si legge, sul punto, in motivazione: «la mancata previsione di un minimo edittale di pena detentiva – e quindi l'operatività del minimo assoluto di quindici giorni stabilito per la reclusione dall'art. 23, primo comma, cod. pen. – richiama per necessità logica l'eventualità applicativa dell'esimente di particolare tenuità del fatto… In linea generale, l'opzione del legislatore di consentire l'irrogazione della pena detentiva nella misura minima assoluta rivela inequivocabilmente che egli prevede possano rientrare nella sfera applicativa della norma incriminatrice anche condotte della più tenue offensività….»).

La modifica così operata amplia gli ambiti applicativi della particolare tenuità del fatto, perché, indipendentemente dal massimo di pena edittale, applica la causa di non punibilità a numerose ipotesi di reato (le più significative, indicate nella relazione illustrativa al decreto, sono il furto monoaggravato di cui all'art. 625, comma primo, c.p.; la ricettazione, la falsità materiale del pubblico ufficiale in atti pubblici, ex art. 476 c.p.), oltre quelle nelle quali già normalmente – con il precedente limite della pena massima – poteva essere riconosciuta la particolare tenuità del fatto.

Il secondo intervento: la rilevanza della condotta susseguente al reato

Il legislatore delegato ha espressamente previsto, interpolando l'art. 131-bis, comma 1, c.p. che la punibilità va esclusa «quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, anche in considerazione della condotta susseguente al reato, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.»

La modifica realizzata dal legislatore delegato si è mossa su due fronti: da un lato, si è ritenuto di non riempiere di contenuto la condotta susseguente al reato; dall'altro, si è volutamente precisato che la condotta in questione non è un nuovo indice-requisito.

E così, sul primo versante, si è scelto di non indicare in cosa debba consistere la condotta susseguente (se in restituzioni, risarcimento del danno, condotte riparatorie, accesso a programmi di giustizia riparativa o altro ancora) per non limitare la rilevanza della condotta ad ipotesi specifiche, dando così discrezionalità al giudice nella valutazione di essa ed evitando un riferimento specifico all'art. 133, comma secondo, n. 3 c.p.

Si è trattato di una scelta ponderata e voluta, quella di non richiamare l'art. 133, comma secondo, c.p., in considerazione del fatto che la condotta susseguente al reato «non viene in considerazione come indice della capacità a delinquere dell'agente, bensì, secondo l'intenzione della legge delega, quale criterio che, nell'ambito di una valutazione complessiva, può incidere sulla valutazione del grado dell'offesa al bene giuridico tutelato, concorrendo a delineare un'offesa di particolare tenuità». Non si tratta, dunque di un indice autonomo di valutazione, né di un indice ancorato alla capacità a delinquere del colpevole, e ciò sia per evitare strumentalizzazioni nel riconoscimento della condotta, come può accadere per chi, dopo aver commesso il fatto, si adopera, a processo in corso, al solo fine di evitare la condanna, sia per evitare che venga data rilevanza a condotte susseguenti che aggravino l'offesa stessa.

Il discorso dell'art. 133 c.p. rileva anche con riferimento al secondo fronte di intervento del legislatore delegato.

È noto infatti che la particolare tenuità del fatto può essere applicata se sussistono i due indici-requisiti della particolare tenuità dell'offesa e della non abitualità del comportamento e che l'indice-requisito della particolare tenuità dell'offesa è dato da due indici-criteri che sono le modalità della condotta (contemporanea) e l'esiguità del danno o pericolo, entrambi da valutarsi ai sensi dell'art. 133 comma primo c.p. (e dunque, con riferimento alla natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo e ogni altra modalità dell'azione; gravità del danno o del pericolo; intensità del dolo o della colpa) e non anche ai sensi dell'art. 133, comma secondo, c.p. che da rilievo alla capacità a delinquere desunta anche dalla condotta successiva, es risarcimento, restituzioni… (in questo senso, anche Cass. pen., sez. V, 2 dicembre 2019, n. 660, Rv 278555-01).

Alla luce di questo assetto, anche giurisprudenziale, la condotta susseguente non poteva avere rilievo come indice-requisito autonomo, e perciò il legislatore delegato ha inteso valorizzarla «come ulteriore criterio, accanto a quelli di cui all'art. 133, comma 1 c.p. (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo e ogni altra modalità dell'azione; gravità del danno o del pericolo; intensità del dolo o della colpa), da impiegare, nell'ambito di un complessivo giudizio, per valutare le modalità della condotta (contemporanea al reato) e l'esiguità del danno o del pericolo».

Ciò è stato fatto inserendo il riferimento alla condotta susseguente al reato dopo il richiamo all'art. 133, comma primo, c.p. («…la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, anche in considerazione della condotta susseguente al reato, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale»).

In altri termini, la condotta susseguente al reato rileva al pari ed in aggiunta agli indici-criteri che concorrono nella valutazione delle modalità della condotta e dell'esiguità del danno o del pericolo e che, nel loro insieme, portano a ritenere sussistente la particolare tenuità dell'offesa: non è un indice-requisito autonomo e non è ancorato alla capacità a delinquere del colpevole.

Il terzo intervento: l'individuazione di nuove ipotesi di esclusione e la riscrittura dell'art. 131-bis, comma 2, c.p.

Le fattispecie di reato escluse dall'applicazione della causa di non punibilità rappresentano, sin da quando è entrato in vigore l'istituto, elementi distonici rispetto ai principi espressi nella legge delega del 2014, che non contemplava alcuna ipotesi di reato cui non fosse applicabile la particolare tenuità del fatto, inserita invece dal Governo nelle battute finali del testo del decreto legislativo n. 28/2015.

Nella legge delega del 2014 e nello schema iniziale del decreto legislativo l'istituto era infatti ancorato a dati oggettivi e sganciato da connotazioni soggettive o personologiche: in esso l'unico riferimento alla condotta era nella non abitualità del comportamento con un giudice che avrebbe dovuto maneggiare uno strumento delicato ma fondato su presupposti oggettivi (Atti preparatori al d.lgs. n. 28/2015 – Fidelbo).

In sede di approvazione finale del testo vennero inserite, al secondo comma dell'art. 131-bis c.p. le ipotesi escluse dall'applicazione della causa di non punibilità e queste ipotesi sono state nel tempo ampliate con decretazione d'urgenza: prima con il d.l. 14 giugno 2019, n. 53 («delitti, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive»), che in sede di conversione avvenuta con la legge 8 agosto 2019 n. 77 è stato modificato arricchendosi di ulteriori fattispecie di reato («e nei casi di cui agli articoli 336, 337 e 341-bis, quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni»); quindi, con l'art. 7 d.l. 21 ottobre 2020, n. 130, convertito con mod. dalla lelle 18 dicembre 2020, n. 173, che ha in parte de qua modificato la norma («di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio ((delle proprie funzioni, e)) nell'ipotesi di cui all'articolo 343»).

Il decreto legislativo n. 150/2022 si è mosso sul punto in una triplice direzione.

Da un lato, ha inserito tra le fattispecie escluse dall'applicazione della causa di non punibilità quelle che il legislatore delegante ha espressamente indicato; dall'altro, ha riscritto il testo normativo, distinguendo le ipotesi di esclusione già previste da quelle individuate ex novo; ha infine inserito alcune nuove fattispecie.

Nel primo ambito rientrano le fattispecie di reato riconducibili alla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011, ratificata ai sensi della legge 27 giugno 2013, n. 77: il legislatore delegato ha omesso il rinvio testuale alla Convenzione ed ha individuato espressamente le ipotesi di reato rientranti nel dettato indicato nella legge delega. L'individuazione, in particolare, è stata operata tenendo presente che la Convenzione di Istanbul menziona tipologie generiche di reato o di condotte e, con riferimento ad ognuna di esse, sono state quindi indicate quelle che trovano corrispondenza in fattispecie delittuose presenti nell'ordinamento italiano (in questo senso, gli artt. 391-bis, 558-bis, 582, nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, 583, secondo comma, 583-bis, 593-ter, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies, 612- bis, 612-ter c.p.).

Nel secondo ambito, sono stati individuati ai numeri 1) e 2) del nuovo comma terzo dell'art. 131-bis c.p. le ipotesi di reato che nel tempo, con la decretazione d'urgenza, sono state inserite tra quelle escluse dall'applicazione della causa di non punibilità («1) per delitti, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive; 2) per i delitti previsti dagli articoli 336, 337 e 341-bis, quando il fatto è commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni, nonché per il delitto previsto dall'articolo 343;»). Ciò ha comportato l'eliminazione, al secondo comma dell'art. 133 c.p., della parte relativa agli indicati reati.

Nel terzo ambito, il legislatore delegato ha, da un lato, inserito alcune fattispecie di reato con forbice edittale di pena molto allargata ovvero nelle quali, in alcuni casi, la pena minima comminata per il delitto tentato – diminuita di due terzi rispetto a quella per il corrispondente delitto consumato – sarebbe potuta rientrare nella nuova e più ampia sfera di applicabilità della causa di non punibilità; dall'altro, ha individuato una serie di ulteriori ipotesi in relazione alle quali, sulla base di evidenze empirico-criminologiche o per ragioni di coerenza sistematica, si è ritenuto che l'offesa non può essere valutata di particolare tenuità. In base ai due menzionati criteri, sono state individuate le fattispecie di reato previste dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319- bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, 423, 423-bis, 609-undecies, 613-bis, 628, terzo comma, 629, 644, 648-bis, 648-ter c.p.;i delitti, consumati o tentati, previsti dall'articolo 19, quinto comma, della legge 22 maggio 1978, n. 194, dall'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, salvo che per i delitti di cui al comma 5 del medesimo articolo, e dagli articoli 184 e 185 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.

La mancanza di una norma transitoria

Manca, con riferimento alla particolare tenuità del fatto la norma transitoria: si tratta di una scelta precisa, in quanto, trattandosi di un istituto sostanziale, inquadrabile tra le cause di non punibilità, è pacifica l'applicabilità dell'art. 2, comma 4, c.p., ossia la regola della lex mitior e non del tempus regit acutum: dunque la nuova previsione, laddove più favorevole, opera in tutti i procedimenti in corso e anche per fatti commessi prima. Per converso, le modifiche alla disciplina dell'art. 131-bis c.p., che escludono dall'ambito di applicazione dell'istituto alcune figure di reato, in quanto sfavorevoli all'agente, non potranno avere applicazione retroattiva, alla luce del principio costituzionale di irretroattività della legge penale sfavorevole all'agente (art. 25, comma 2, Cost.).

In conclusione

Gli interventi di riforma realizzati con il d.lgs. n. 150/2022 in tema di particolare tenuità del fatto, come quelli attuati per la messa alla prova o per l'estensione della procedibilità a querela, potenziano l'istituto, che, in quanto inserito nel complesso ed articolato sistema di riforma attuato, dovrà conciliarsi con la nuova regola di giudizio della ragionevole previsione di condanna, che permea tutta la fase delle indagini preliminari, fino all'udienza predibattimentale e dovrà altresì conciliarsi con la nuova struttura che assumerà il dibattimento.

La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, in quanto strumento di deflazione processuale, va applicata il prima possibile ed in questa ottica essa era stata pensata: il d.lgs. n. 28/2015 ha infatti previsto, interpolando l'art. 411 c.p.p., un'ipotesi particolare di archiviazione, per particolare tenuità del fatto, sulla quale si è pronunciata la Suprema Corte che ha sancito la necessità dell'iscrizione nel casellario giudiziale, sia pur ad uso interno, del provvedimento di archiviazione (Cass. pen., sez. un., 30 maggio 2019, n 38954 De Martino Rv 276463-01). Ebbene, non è da escludere che nella individuazione della richiesta di archiviazione da avanzare, la scelta possa cadere più che sull'art. 411 c.p.p., su nuova formula della mancanza di una ragionevole previsione di condanna, oggi prevista dall'art. 408 c.p.p., proprio in considerazione della particolare tenuità del fatto, tenuto conto che di questo tipo di richiesta non va dato avviso alla persona offesa (avviso sempre dovuto in caso di richiesta di archiviazione per particolare tenuità, anche se la persona offesa non l'abbia richiesto) e che il provvedimento di archiviazione non va iscritto in alcun casellario giudiziale (effetto, questo, sicuramente più favorevole per l'indagato).

Per converso, la particolare tenuità del fatto potrà essere riconosciuta anche nell'udienza predibattimentale, in questo superandosi altra pronuncia delle sezioni unite (Cass. pen., sez. un., 28 ottobre 2021, n. 3512 - Lafleur, Rv. 282473 – 01) che, nell'escludere che la sentenza di proscioglimento, pronunciata nell'udienza pubblica, dopo la costituzione delle parti e prima della dichiarazione di apertura del dibattimentale, sia riconducibile al modello di cui all'art. 469 c.p.p., ha di fatto escluso che anche la particolare tenuità del fatto potesse essere dichiarata, ai sensi dell'art. 469, comma 1-bis c.p.p. in tale fase. Il legislatore delegato ha invece espressamente previsto, con l'art. 554-ter c.p.p., che possa essere emessa, nella udienza predibattimentale, sentenza di non luogo a procedere se «l'imputato non è punibile per qualsiasi causa», e tra tali cause rientra sicuramente anche la particolare tenuità del fatto

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