Ampliata la definizione agevolata degli atti impositivi

Saverio Capolupo
18 Aprile 2023

Con l'art. 17 del D.L. n. 34/2023 è stata ampliata la possibilità di procedere alla definizione agevolata degli avvisi di accertamento, di rettifica, di liquidazione e degli atti di recupero non impugnati e ancora impugnabili al 1° gennaio 2023, divenuti definitivi per mancata impugnazione nel periodo compreso tra il 2 gennaio ed il 15 febbraio 2023. La definizione deve avvenire entro il 30 aprile 2023 provvedendo al pagamento delle imposte e delle sanzioni in misura di un diciottesimo. Se alla data del 15 febbraio 2023 il contribuente aveva in itinere un procedimento di adesione con l'Agenzia, se non vi è stata rinuncia, è possibile senz'altro accedere alla procedura agevolata.
Premessa

Con l'art. 17 del D.L. n. 34/2023 è stata ampliata la possibilità di procedere alla definizione agevolata di alcune controversie.

Continua, dunque, il balletto delle proroghe volte a chiudere il più possibile le “partite aperte” con il fisco. Al riguardo, solo due (solite) considerazioni: da un lato, trattasi di tentativi di recuperare il più possibile le risorse necessarie per fronteggiare le esigenze di cassa dello Stato, anche per non implementare ulteriormente il debito pubblico, ormai a livelli altissimi, con l'indiretto, sia pure utile, ridimensionamento del contenzioso.

D'altro lato, le conseguenze sul piano etico fiscale a danno di chi ha ritenuto di dover assolvere puntualmente alle sue obbligazioni tributarie sebbene, occorra riconoscere, che il vantaggio sia limitato (si fa per dire) alle sole sanzioni e interessi. Non è casuale che non vi è spazio per eventuali rimborsi.

Al riguardo, resta l'auspicio che l'attuazione della delega per la riforma del fisco ponga definitivamente delle certezze che consentano anche all'Amministrazione finanziaria impiegare le energie umane e materiali per indagini volte a reprimere i fenomeni (e non sono pochi) oggettivamente pericolosi per gli interessi finanziari del Paese.

L'indicato art. 17 disciplina tre ipotesi.

  • La prima riguarda gli avvisi di accertamento, gli avvisi di rettifica e di liquidazione e gli atti di recupero non impugnati e ancora impugnabili al 1° gennaio 2023, divenuti definitivi per mancata impugnazione nel periodo compreso tra il 2 gennaio ed il 15 febbraio 2023.
  • La seconda riguarda le controversie pendenti al 15 febbraio 2023 innanzi alle Corti di giustizia tributaria di primo e di secondo grado aventi ad oggetto atti impositivi in cui è parte l'Agenzia delle entrate.
  • La terza interessa gli avvisi di accertamento e gli avvisi di rettifica e di liquidazione definiti in acquiescenza, nel periodo compreso tra il 2 gennaio e il 15 febbraio 2023, per i quali alla data del 30 marzo era in corso il pagamento rateale. Verificandosi tale presupposto gli importi ancora dovuti, a titolo di sanzione, possono essere rideterminati, su istanza del contribuente entro la prima scadenza successiva. Resta fermo il piano di pagamento rateale originario e non sono, in ogni caso, rimborsabili o rideterminabili le maggiori sanzioni già versate.
La definizione agevolata

Con riferimento alla prima ipotesi può essere sufficiente ricordare che l'art. 1, commi 180 e 181, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, aveva previsto che la definizione agevolata degli avvisi di accertamento, degli avvisi di rettifica e di liquidazione qualora, alla data del 1° gennaio 2023, non fossero stati impugnati e fossero ancora impugnabili, ovvero tali atti fossero notificati dall'Agenzia delle entrate successivamente a tale data, fino al 31 marzo 2023.

In detti casi è accordata la possibilità di prestare acquiescenza, ai sensi dell'art. 15 del d.lgs. n. 218/1997, beneficiando di una maggiore riduzione delle sanzioni. In particolare, è possibile definire pagando, entro il termine per la proposizione del ricorso, le sanzioni nella misura di un diciottesimo di quelle irrogate.

Poiché il regime giuridico dei benefici è rimasto invariato, può essere utile richiamare le istruzioni diramate dall'Agenzia delle entrate con Circ. n. 2/2023 – atteso che, con i dovuti adattamenti giuridici, sono senz'latro valide anche ai fini in esame - con la quale è stato precisato che per gli avvisi di accertamento esecutivi, l'importo delle sanzioni definibili, in sede di acquiescenza e di adesione, è pari ad un sesto di quelle che il contribuente avrebbe dovuto versare per definire in maniera agevolata l'atto entro i termini per presentare ricorso.

Pertanto, in sede di acquiescenza, l'importo delle sanzioni dovute sarà pari ad un sesto del terzo dovuto ai sensi dell'art. 15 del d.lgs. n. 218/1997 (corrispondente ad un diciottesimo delle sanzioni irrogate), mentre in sede di adesione l'importo delle sanzioni dovute sarà pari ad un sesto del terzo dovuto ai sensi dell'art. 2, comma 5, del d.lgs. n. 218/1997 (corrispondente ad un diciottesimo del minimo previsto dalla legge).

La definizione tramite acquiescenza di cui al comma 180 è possibile anche relativamente agli atti di recupero non impugnati ai sensi del successivo comma 181 e ancora impugnabili alla data del 1° gennaio 2023 o notificati dall'Agenzia delle entrate successivamente a tale data, fino al 31 marzo 2023, con il pagamento delle sanzioni nella misura di un diciottesimo delle sanzioni irrogate, oltre al versamento degli interessi applicati, entro il termine per presentare il ricorso.

In assenza di preclusioni legislative, rientrano nella categoria degli atti definibili anche gli accertamenti notificati entro il 31 marzo 2023, dovuti al mancato perfezionamento dell'adesione, previamente attivata prima della notifica dell'atto impositivo, a seguito di inviti emessi dall'ufficio.

Gli atti di recupero

Con riferimento alle novità introdotte dall'art. 17 citato, una prima considerazione riguarda gli atti impositivi che possono essere definiti. Al riguardo la norma richiama espressamente gli avvisi di accertamento, gli avvisi di rettifica e di liquidazione e gli atti di recupero non impugnati. In merito mentre non sussiste alcun dubbio per quanto concerne alcune tipologie di atti, in quanto espressamente indicati nell'art. 19 del d.Lgs n. 546/1992, occorre chiarire se atti diversi da quelli espressamente indicati possano costituire oggetto di definizione agevolata.

Sul punto occorre richiamare l'orientamento della Corte di cassazione secondo cui in tema di contenzioso tributario, l'impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dal d.Lgs. n. 546/1992, art. 19, il quale, tuttavia, abbia natura di atto impositivo, è una facoltà e non un onere, il cui mancato esercizio non preclude la possibilità d'impugnazione con l'atto successivo.

L'impugnazione di tali atti, pertanto, sarebbe meramente facoltativa e non preclusiva di quella del successivo atto espressamente indicato nella citata norma giuridica, la cui natura di atto autonomamente ed obbligatoriamente impugnabile è, invece, sancita da tale disposizione legislativa processuale.

Ne consegue che, in caso di un atto non espressamente indicato dal d.lgs. art. 19, si è in presenza di una facoltà volta ad estendere gli strumenti di tutela e non un onere, con la conseguenza che, in mancanza di essa, la pretesa tributaria non si cristallizza e, pertanto, non è preclusa la successiva impugnazione di uno degli atti tipici previsti dalla predetta disposizione normativa.

Ora, ove si acceda a tale impostazione è di tutta evidenza che la categoria degli atti definibili sarebbe potenzialmente ampliata, fermo restando la necessità di verificare tale conclusione di volta in volta.

In ogni caso, occorre prescindere dalla qualificazione nominalistica degli atti in quanto, per giurisprudenza ormai consolidata, il "catalogo" degli atti impugnabili è suscettibile di interpretazione estensiva, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della P.A. che in conseguenza dell'allargamento della giurisdizione tributaria operato con la L. n. 448/2001 ciò, ovviamente, per quanto detto sopra, con il necessario corollario della mera facoltà d'impugnazione, il cui mancato esercizio non determina alcuna conseguenza sfavorevole in ordine alla possibilità di contestare la pretesa tributaria in un secondo momento.

In particolare, è stata riconosciuta la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall'ente impositore che, con l'esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturalmente preordinata, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dal citato art. 19 del decreto sul contenzioso.

Sorge, infatti, in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l'interesse, ex art. 100 c.p.c., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale, comunque, di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva; la mancata impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall'indicato art. 19 non determina mai la non impugnabilità (e cioè la cristallizzazione) di quella pretesa, che va successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dallo stesso art. 19.

In conclusione, la definizione riguarda tutti gli atti, fermo restando gli altri presupposti, con i quali l'Amministrazione richiede il soddisfacimento di un'obbligazione.

Definitene la portata, va evidenziato che, con la previsione dettata dall'art. 17, a differenza di quanto previsto dalla Legge n. 227/2022, il riferimento agli atti definibili solleva alcuni interrogativi con specifico riferimento all'eventuale notifica di un processo verbale di constatazione redatto a seguito di una verifica fiscale e, comunque, di un controllo conclusosi con delle contestazioni.

Nessun problema se l'atto è redatto dalla Guardia di finanza, escluso esplicitamente dal legislatore che fa riferimento agli atti in cui è parte l'Agenzia delle Entrate.

Al limite qualche dubbio potrebbe sporgere con riferimento ad un PVC notificato da funzionari dell'Agenzia delle Entrate. Anche in questo caso, però, si è al di fuori del parametro normativo perché il PVC, per giurisprudenza pacifica, non è atto di accertamento e/o equiparato per cui non è autonomamente impugnabile. Va da sé, tuttavia, che ove il contribuente abbia attivato la procedura con accertamento con adesione non dovrebbero esservi dubbi sulla possibilità di beneficiare dell'agevolazione in esame.

Il vincolo temporale

Come seconda condizione il legislatore ha fatto espressamente riferimento agli atti ancora impugnabili al 1° gennaio 2023, divenuti definitivi per mancata impugnazione nel periodo compreso tra il 2 gennaio ed il 15 febbraio 2023. Al riguardo è necessario operare un coordinamento con la procedura di adesione disciplinata dal richiamato art. 1, comma 180 e 181 della legge 197/2022.

In sostanza, fermo restando che le modalità di definizione siano identiche al pari dei benefici come innanzi richiamati, per evitare di incorrere in errore va ricordato che la definizione agevolata avviene:

  1. per gli atti notificati entro il primo gennaio 2023, ai sensi dell'art. 1, comma 180 e 181 della legge n. 27/2023;
  2. per gli atti notificati dal 2 gennaio 2023 il richiamo normativo è all'art. 17 del D.L. n. 34/2023 ancorché le modalità siano le stesse previste dai commi 180 e 181 della legge n. 227/2022.

Relativamente a questi ultimi il ricorso all'accertamento agevolato è possibile al ricorrere di una duplice condizione.

È necessario, innanzitutto, che per detti provvedimenti non sia ancora scaduto il termine per procedere alla loro impugnazione dinanzi alla Corte di giustizia tributaria di primo grado.

Al riguardo, è appena il caso di ricordare che la legge fissa per la proposizione del ricorso al giudice tributario un termine di decadenza di sessanta giorni dalla notifica dell'atto impugnato ovvero dalla scadenza dei termini in caso di richiesta di adesione conclusasi infruttuosamente.

Il rispetto del suddetto termine costituisce condizione dell'azione d'impugnazione e pertanto, secondo i principi generali in materia di esercizio di azioni sottoposte a termini di decadenza, grava sul ricorrente l'onere della prova.

In altri termini, non deve esservi stata acquiescenza agli addebiti riportati nell'atto impositivo ricevuto, conseguentemente rinunciando espressamente alla facoltà di proporre ricorso dinanzi alla competente Corte di giustizia tributaria pur essendo evidente la ratio deflattiva dell'istituto, che consente, da un lato, all'erario, di incassare in breve termine gli importi dovuti evitando contenzioso o riscossione dei detti importi tramite ruolo; dall'altro, al contribuente, che ritiene non sussistano valide ragioni per contrastare l'accertamento notificatogli, di versare solo in parte le sanzioni irrogategli.

Va da sé che in questa fase non rilevano le problematiche connessi con eventuali vizi di notifica atteso che detto vizio potrebbe essere fatto valere esclusivamente dinanzi al Giudice tributario. D'altra parte, se non vi è stata notifica manca il presupposto per procedere alla definizione agevolata.

Rapporto con l'accertamento con adesione

Potrebbe, verificarsi il caso in cui l'Agenzia delle entrate e/o il contribuente abbiano avviato nell'arco di tempo considerato il procedimento di adesione ai sensi del d.Lgs n. 218/1997.

L'attivazione della procedura comporta, come noto, l'automatica sospensione, per un periodo di 90 giorni a decorrere dalla data di presentazione o spedizione dell'istanza, del termine per impugnare l'atto di accertamento, in tal modo garantendosi al contribuente, che non riesca ad accordarsi con l'Ufficio, la possibilità di proporre ricorso alla competente Corte di giustizia; tanto perché con l'istanza di accertamento con adesione il contribuente non presta affatto acquiescenza rispetto alla pretesa fiscale, sicché gli viene consentito, in caso di mancato accordo con l'Ufficio, di contestarla successivamente, perdendo ovviamente il beneficio della riduzione delle sanzioni.

Sempre ai fini del calcolo dei termini utili va ricordato che con l'istanza di adesione, in mancanza di definizione consensuale, solo la formale ed irrevocabile rinuncia del contribuente all'istanza interrompe il termine di sospensione di novanta giorni previsto per impugnare.

Invero, neppure la mancata comparizione del contribuente alla data fissata per la definizione in via amministrativa della lite, sia essa giustificata o meno, interrompe la sospensione del termine di 90 giorni per l'impugnazione dell'avviso.

In questa prospettiva, è stato anche ritenuto che il deposito dell'istanza di accertamento con adesione presso un ufficio territorialmente incompetente sia idoneo a determinare la sospensione del termine per la proposizione del ricorso giurisdizionale in quanto segue automaticamente alla presentazione dell'istanza di definizione, e tale Spatium deliberandi non può essere negato attraverso una valutazione ex post, ora per allora, di strumentalità della proposizione dell'istanza.

Fatta questa premessa, qualora nel momento in cui il contribuente, alla data del 15 febbraio 2023 aveva in itinere un procedimento di adesione con l'Agenzia delle entrate se non vi è stata rinuncia può senz'altro accedere alla procedura agevolata. Ovviamente, se vi è stato adesione con conseguente pagamento, in unica soluzione o rateizzato, l'adesione agevolata è esclusa.

Infine, si ricorda che per gli atti di recupero dei crediti d'imposta l'agevolazione consiste nella forma dell'acquiescenza con conseguente preclusione della possibilità di attivare un accertamento con adesione.

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