Figli nati fuori dal matrimonio: presupposti per la regolamentazione dei tempi di permanenza presso i genitori e assegnazione della casa familiare
08 Maggio 2023
Massima
Per la c.d. famiglia di fatto non trova applicazione la disciplina delineata dagli artt. 143 e ss. c.c. e, segnatamente, per quanto interessa, dall'art. 144 c.c., relativo alla fissazione della residenza della famiglia, da concordare a cura dei coniugi secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia, dall'art. 146 c.c., che sanziona l'allontanamento dalla residenza familiare di uno dei coniugi senza giusta causa e dall'art. 151, comma 1, c.c. perché nella convivenza di fatto more uxorio la scelta di coabitare è libera e non consegue ad un obbligo giuridico. Ne consegue che, una volta, intervenuta la cessazione della convivenza di fatto more uxorio, trovano applicazione proprio gli artt. 337-bis ss. c.c. Il caso
Il Tribunale di Bergamo, nell'ambito di un procedimento promosso dalla madre di due figlie nate fuori dal matrimonio, ha disposto l'affidamento condiviso delle minori ai genitori senza assumere provvedimenti rispetto ai tempi di permanenza delle figlie presso i genitori, dando atto che le figlie coabitavano ancora con i genitori nella casa familiare, e ha disposto che ciascun genitore provvedesse al mantenimento delle minori secondo le rispettive sostanze. La Corte di Appello di Brescia, adita in sede di reclamo avverso il predetto decreto, ha accolto il reclamo e disposto il collocamento prevalente delle figlie presso la madre con assegnazione a suo favore della casa familiare, osservando che l'applicazione degli artt. 337-bis ss. c.c. rispetto alle famiglie di fatto non presuppone l'avventa cessazione della convivenza, quanto piuttosto la volontà di non proseguire nel progetto familiare anche in capo a una sola delle parti. Avverso tale decreto ha proposto ricorso per Cassazione il padre, assumendo l'erroneità del decreto impugnato per vizio di legge e di motivazione in quanto la Corte di Appello avrebbe apoditticamente dedotto l'intollerabilità della convivenza dal fallimento del percorso di mediazione e posto tale deduzione a sostegno della decisione di collocare le minori presso la madre con assegnazione a suo favore della casa familiare. La questione
Quali sono i presupposti per la regolamentazione dei rapporti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio da parte del Tribunale? Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione nella pronuncia in commento - dopo avere ricordato che i decreti pronunciati dalla Corte di Appello in sede di reclamo all'esito di un procedimento camerale per la regolamentazione di rapporti relativi a figli di genitori non coniugati sono ricorribili per Cassazione ex art. 111, comma 7 Cost. in quanto dotati, sebbene rebus sic stantibus, del carattere della decisorietà e della definitività (cfr. Cass. sez. un. 30903/2022) -, ha respinto il ricorso aderendo alle considerazioni svolte dal giudice di secondo grado. La Corte di legittimità, in particolare, ha escluso l'applicabilità alle coppie di fatto degli artt. 144, 146 e 151, comma 1, c.c. che sanciscono l'obbligo per i coniugi di fissare la residenza familiare, il divieto di abbandono del tetto coniugale senza giusto motivo e l'intollerabilità della convivenza quale presupposto della pronuncia di separazione: la rottura della convivenza more uxorio può avvenire ad nutum e non presuppone l'espletamento da parte del Tribunale di alcun tentativo di conciliazione. Il Tribunale è tenuto a regolamentare i rapporti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio sul mero ricorso di uno dei due genitori che deduca la fine del rapporto di coppia. Nell'ambito di tale regolamentazione, al fine di garantire alla prole il diritto alla bigenitorialità, assumono un peculiare rilievo le statuizioni circa i tempi di permanenza dei figli presso i genitori e l'assegnazione della casa familiare. Con riferimento al primo aspetto, la Corte ricorda come quando il legislatore parla di affidamento dei figli a entrambi i genitori fa riferimento all'esercizio della genitorialità, non anche alla presenza fisica dei figli presso i genitori, come si evince dal tenore degli artt. 337 quater e ter c.c.. Quanto all'assegnazione della casa familiare, la Corte ribadisce come si tratti di un provvedimento che il Tribunale può assumere nell'esclusivo interesse della prole sicché anche l'eventuale domanda di assegnazione della casa familiare alla prole deve essere supportata da precise deduzioni circa le concrete modalità di organizzazione dei genitori funzionali ai bisogni dei figli. Osservazioni
I conviventi more uxorio non hanno gli obblighi previsti ex lege per i coniugi – intesi come tali e non quali genitori – in particolare quelli relativi all'obbligo di coabitazione; lo ha chiarito in modo condivisibile la pronuncia in commento che, nel farlo, ha ribadito come la mera deduzione della fine del rapporto di coppia imponga al Tribunale l'onere di assumere i provvedimenti relativi alla prole ai sensi degli artt. 337-bis ss. c.c. senza dover verificare la cessazione della coabitazione o la sopravvenuta intollerabilità della convivenza. Tale affermazione in relazione al caso concreto costituiva peraltro un obiter dictum, dal momento che il ricorrente si doleva principalmente della decisione della Corte di Appello di stabilire tempi di permanenza delle figlie maggiori presso un genitore – cui era stata assegnata la casa familiare – in deroga al criterio generale dell'affidamento condiviso. Sul punto la giurisprudenza di legittimità fin dall'entrata in vigore della l. 54/2006 - che ha previsto che l'affidamento dei figli a entrambi i genitori rappresenti la regola e non l'eccezione -, è costante nell'affermare come il diritto del minore a conservare rapporti significativi con entrambi i genitori, tutelato anche dall'art. 8 della Cedu (v. CEDU 9 febbraio 2017, Solarino c. Italia), non implica alcun automatismo circa i tempi di permanenza dei figli presso gli stessi, che devono essere disciplinati tenuto conto delle esigenze del figlio e della effettiva capacità di accudimento del figlio nella quotidianità da parte dei genitori (ex plurimis Cass. civ. 3652/2020, 22219/2018, 18817/2015, 18131/2013; nella giurisprudenza di merito Trib. min. Emilia Romagna 6 febbraio 2007, Trib. Pisa 20 dicembre 2006, Trib. Firenze 13 dicembre 2006, Trib. Milano 6 ottobre 2006). Ove il Tribunale stabilisca diversi tempi di permanenza dei figli presso i genitori dovrà verificare se risponda all'interesse della prole conservare un legame con l'habitat nel quale si è sviluppata la comunità familiare (Cass. 12798/2021, 3331/2016, Corte cost. 308/2008; Cass. sez. un. 13603/2004; Trib. Milano 10376/2019) e, in caso affermativo, assegnare l'abitazione al genitore presso cui i figli sono collocati in modo prevalente (Cass. 16649/2014, 1491/2011 e 3934/2008). La giurisprudenza è stata chiamata a valutare in quale misura l'interesse dei figli possa conciliarsi con le esigenze abitative dei genitori, in particolare se la casa familiare possa essere assegnata a entrambi i genitori ovvero a favore dei figli. L'assegnazione congiunta della casa familiare ai genitori, oltre che non trovare riscontro nel dettato normativo, come rilevato dalla Corte nella pronuncia in commento, ha raramente incontrato il favore della giurisprudenza. La giurisprudenza, piuttosto, ha riconosciuto a certe condizioni che l'interesse abitativo dei genitori possa essere tutelato ove non si ponga in contrasto con quello dei figli (Cass. 22266/2020 che ha ritenuto possibile l'assegnazione a ciascuno dei genitori di una porzione della casa familiare ove sia autonoma da quella adibita a casa familiare o ove la casa sia agevolmente divisibile; Cass. 18603/2021 ha invece ritenuto congrua, ove motivata, la decisione del giudice di merito di non consentire la divisione della casa ove in contrasto con l'interesse dei figli a conservare la continuità dell'habitat domestico). Parte della giurisprudenza di merito, al contrario, ha assegnato la casa familiare ai figli e disposto la rotazione dei genitori in quell'abitazione (Trib. Firenze 7 febbraio 2022; Trib. S. M. Capua Vetere 1054/2017, Trib. Milano 13 giugno 2013, peraltro in ipotesi di accordo delle parti sul punto; Trib. Min. Trieste 29 febbraio 2012). La questione è quanto mai delicata ove il Tribunale disponga tempi di permanenza dei figli paritetici presso i genitori: come conciliare il superiore interesse dei figli con il titolo proprietario? L'alternanza dei genitori nella medesima abitazione rischia infatti di pregiudicare i minori ove i genitori non dispongano di altre abitazioni dove permanere quando non sono assegnatari della casa familiare – con il rischio di aumento esponenziale delle spese abitative – ovvero ove i genitori siano conflittuali, in quanto l'alternanza implica la divisione degli spazi (Trib. Savona 61/2020). Ogni caso concreto dovrà essere risolto diversamente, evitando automatismi e tenendo presente che il Tribunale non è obbligato ad assegnare la casa a un genitore: come già affermato dal Corte cost. 308/2008 “è scomparso il “criterio preferenziale” per l'assegnazione della casa familiare costituito dall'affidamento della prole – una scomparsa coerente con il superamento, in linea di principio, dell'affidamento monogenitoriale – e l'attribuzione dell'alloggio viene espressamente condizionata all'interesse dei figli”. In caso di tempi di permanenza paritetici dei figli presso i genitori il Tribunale ben potrà assegnare la casa al genitore che non dispone di soluzioni abitative alternative – per tutelare l'interesse dei figli a esercitare il diritto di visita con quel genitore in un ambiente adeguato –, non assegnare la casa o assegnarla tenendo conto del titolo proprietario. In ogni caso nella motivazione il Tribunale non potrà esimersi dal valutare in concreto quali siano le esigenze dei figli. Riferimenti
L. Delli Priscoli, L'assegnazione della casa familiare in CortediCassazione.it |