Casa familiare: trascrizione del provvedimento di assegnazione e opponibilità

13 Marzo 2024

Il tema dell’assegnazione, al genitore collocatario, della casa nella quale i figli abitualmente convivono al momento della separazione personale, del divorzio o della cessazione della convivenza more uxorio non può prescindere dalla individuazione dei presupposti, termini e limiti della opponibilità del relativo provvedimento.

L’esame dei principali orientamenti giurisprudenziali, mediante il raffronto tra le normative succedutesi nel corso del tempo e la contestuale valorizzazione di tutte le circostanze fattuali di volta in volta ritenute rilevanti, così, vorrebbe orientare l’interprete verso la soluzione applicativa più adeguata al caso concreto.

Inquadramento

Aggiornamento della Bussola  a cura di A. Lestini

L’assegnazione della casa familiare è una misura posta a tutela dei figli minori (o portatori di handicap grave ovvero dei figli maggiorenni non ancora autosufficienti senza loro colpa) e, come tale, funzionale alla conservazione dell’habitat domestico: di un ambiente, dunque, in cui l’individuo riconosce il centro degli affetti, cresce e diviene adulto.

Se la casa, con gli «indimenticabili … oggetti che le arredano, i palpiti della memoria e le intermittenze del cuore», è «espressione della personalità degli abitanti, spazio concluso in cui organizzare attività e stili di vita, e raccogliere la comunità familiare», capace di evocare e «celebrare il cerchio caldo, il mondo di fiducia e solidarietà» (M.V. De Giorgi, La casa nella geografia familiare, in Eur. Dir. priv., 3/2013, pp. 761 ss.), allora l’alto grado di conflitto e di crisi coniugale manifestato dai genitori non dovrebbe pregiudicare la permanenza del soggetto debole nel luogo in cui sono racchiusi ricordi, emozioni, abitudini e suggestioni individuali.

Tutelare il superiore interesse del minore (o del figlio maggiorenne non autosufficiente) significa evitare che il reperimento di una nuova abitazione si trasformi in un luogo inaccessibile ed in uno spazio solitario; le giornate del bambino, viceversa, devono trascorrere non nella nostalgia del passato, quanto piuttosto nella ricerca di una possibile continuità con quel progetto familiare che affonda le radici nel periodo di vita già vissuto, quando la famiglia era ancora unita: la casa, infatti «è luogo privato di appartenenza, è identificazione e riflesso di chi ci vive, è un elemento di unificazione … è il posto fisico che, con i suoi contenuti e il suo essere, racconta la storia della famiglia che ivi vive e la rappresenta» (G. Pianezze, La casa familiare, Milano, 2018).

Il vero, però, è che gli itinerari con cui si confronta il giurista solo talvolta sono piani e lineari: il sentiero, faticoso e sofferto, che conduce i coniugi verso il giudizio di separazione e di divorzio (ovvero accompagna i conviventi nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio), infatti, è percorso pure da colui che cerca di realizzare, sotto il profilo giuridico, le tutele del minore.

E, così, nel tanto variegato quanto complesso panorama normativo e giurisprudenziale, primaria esigenza non potrebbe che essere quella di individuare i presupposti, termini e limiti della opponibilità del provvedimento di assegnazione di un bene immobile (adibito a casa familiare) nei confronti dei terzi titolari di altro diritto reale.

Dalla assegnazione della casa familiare alla opponibilità del relativo provvedimento

L'istituto della assegnazione della casa familiare, originariamente non disciplinato dal Codice Civile e, quindi, nonostante la diversa opinione manifestata da parte della dottrina (F. Finocchiaro, Del matrimonio, sub artt. 79-83, in Comm. Cod. Civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1971, p. 393 ss.; M.G. Cubeddu, La casa familiare, Milano, 2005), negato dalla giurisprudenza prevalente (Cass., 3 ottobre 1951, n. 2612), trova come noto ingresso nel sistema solamente grazie alla Riforma del diritto di famiglia del 1975 (Legge 19 maggio 1975, n. 151).

Dettato, da quest'ultima riforma, unicamente con riferimento alla separazione personale dei coniugi (e non anche alle fattispecie dello scioglimento del matrimonio civile o della cessazione degli effetti civili di quello concordatario, introdotte con Legge 1° dicembre 1970 n. 898, c.d. L.Div.), l'art. 155, comma 4, c.c., nel prevedere, in particolare, che l'abitazione nella casa familiare spettasse di preferenza, e ove fosse possibile, al coniuge cui erano stati affidati i figli, prendeva evidentemente in considerazione taluni aspetti sostanziali della vicenda, tralasciando completamente la problematica relativa alla opponibilità di quel provvedimento.

Taluni aspetti e lacune – si diceva – perché se la possibilità (normativamente non prevista) di estendere l'assegnazione della casa anche al coniuge divorziato venne comunque riconosciuta in forza di una applicazione analogica della disposizione codicistica (A. Trabucchi, L'abitazione nella casa coniugale dopo il divorzio, in Giur. it., 1978, p. 2106 ss.), il tema della opponibilità del provvedimento di assegnazione, viceversa, verrà compiutamente affrontato solo a seguito dell'entrata in vigore delle «Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio» (Legge 6 marzo 1987, n. 74) e segnatamente della riformulazione dell'art. 6, comma 6, L.Div., ove si ebbe a prevedere che «l'assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell'articolo 1599 del codice civile».

L'innovazione legislativa è di grande ed immediato rilievo: emergeva, infatti, da un lato la necessità di adottare una interpretazione dell'inciso «in quanto trascritta» coerente con il simultaneo riferimento all'«articolo 1599 del codice civile» (G. Gabrielli, I problemi dell'assegnazione della casa coniugale al genitore convivente con i figli dopo la dissoluzione della coppia, in Riv. dir. civ., 2003, pp. 130 ss.), e dall'altro lato l'opportunità di integrare la disciplina del Codice Civile alla luce della nuova normativa in materia di divorzio (P. Sirena, L'opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare dopo la legge sull'affidamento condiviso, in Riv. dir. civ., n. 1/2011, p. 560).

Da tale ultimo angolo visuale, in particolare, per l'estensione delle tutele anche alla materia della separazione personale dei coniugi, bisognerà comunque attendere l'intervento della Corte Costituzionale (C. Cost., 19 - 27 luglio 1989, n. 454) la quale – in ragione della diversità di trattamento di situazioni assolutamente identiche («quale è quella della prole affidata ad un genitore separato o ad un genitore non più legato dal vincolo matrimoniale») dichiarò «la illegittimità costituzionale dell'art. 155, quarto comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede la trascrizione del provvedimento giudiziale di assegnazione della abitazione nella casa familiare al coniuge affidatario della prole, ai fini della opponibilità ai terzi».

Con specifico riferimento all'altro profilo, poi, si richiamava l'attenzione sulla tecnica legislativa utilizzata in sede di formulazione dell'art. 6, comma 6, l.div., ponendo (a seguito della sentenza della Corte Cost. n. 1989, n. 454) così una questione ermeneutica comune ai procedimenti di separazione e di cui val bene menzionare, seppur brevemente, i più significativi profili.

La norma in materia di divorzio, una volta ritenuta applicabile anche ai procedimenti di separazione, imponeva del resto di chiarire – in chiave unitaria – se i provvedimenti di assegnazione fossero opponibili ai terzi solo in quanto trascritti ovvero, analogamente a quanto disposto dall'art. 1599, comma 3, c.c., anche in difetto di tale onere pubblicitario, seppure per un periodo non superiore ad un novennio.

In tale contesto, pertanto, ci si chiedeva se ed eventualmente entro quali termini e limiti, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa coniugale (emesso nell'ambito del giudizio di separazione personale dei coniugi) potesse considerarsi opponibile, anche laddove non trascritto, ai terzi che avessero acquistato diritti dal coniuge proprietario, successivamente a tale provvedimento di assegnazione.

Il contrasto di idee formatesi sul punto e le soluzioni prospettate – come si avrà modo di vedere nel prosieguo – non potrebbero però essere relegate ad un più o meno recente passato, perché nella pur diversità della disciplina odierna rispetto a quella in cui i vari orientamenti si sono formati, alcuni principi e rilevi espressi illuminano il fenomeno con una perdurante luce.

Ebbene, per una prima tesi (Cass., 6 maggio 1999, n. 4529), la previsione di cui all'art. 1599 c.c. e relativa alla opponibilità infranovennale della locazione di beni immobili al terzo acquirente, in difetto di trascrizione, costituiva una disposizione eccezionale rispetto al principio generale della prevalenza della trascrizione precedente sulla trascrizione successiva (art. 2644 c.c.), onde l'impossibilità di applicazione al diverso caso del coniuge cui fosse assegnata la casa familiare.

Secondo altro ed opposto orientamento (Cass., 10 dicembre 1996, n. 10977; Cass., 18 agosto 1997, n. 7680), invece, l'onere della trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa familiare, ai fini della sua opponibilità ai successivi acquirenti, avrebbe riguardato (in analogia con la normativa vigente in materia di scioglimento del matrimonio ed ai sensi dell'art. 1599 c.c.), la sola assegnazione ultranovennale, salva restando l'opponibilità del provvedimento non trascritto nei limiti del novennio.

Proprio tale indirizzo interpretativo, come noto, è stato avallato, con un compiuto apparato motivazionale ed argomentativo, dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione le quali hanno così chiarito «che ai sensi dell'art. 6 comma 6 della legge n. 74 del 1987 il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare (in quanto avente per definizione data certa) è opponibile al terzo acquirente in data successiva anche se non trascritto, per nove anni decorrenti dalla data dell'assegnazione, ovvero anche dopo i nove anni ove il titolo sia stato in precedenza trascritto» (Cass., sez. un., 26 luglio 2002, n. 11096; A. Busani, Alle sezioni unite il tema dell'opponibilità ai terzi aventi causa del provvedimento di assegnazione della casa familiare, in NGCC, 2003, p. 477).

Eppure, nell'ambito di altra riforma «in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli» (Legge 8 febbraio 2006, n. 54), la sostituzione dell'art. 155 c.c. e la contestuale introduzione dall'art. 155 quater c.c. (che, come subito si dirà, è perfettamente sovrapponibile, in parte qua, al vigente art. 337 sexies c.c.) sembravano sovvertire gli approdi raggiunti nel delineato panorama normativo e giurisprudenziale.

Dalla previsione per cui «il provvedimento di assegnazione e quello di revoca [della casa familiare] sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell'articolo 2643» c.c. (art. 155 quater c.c. e, attualmente, art. 337 sexies c.c.), infatti, se ne potrebbe inferire – essendo definitivamente scomparso il richiamo all'art. 1599 c.c. – che gli stessi atti, se non trascritti, non sono opponibili ai terzi neppure entro i limiti del novennio.

Il problema è di estrema attualità, oggi (art. 337 sexies c.c.) come ieri (vale a dire sotto il vigore dell'abrogato art. 155 quater c.c.), posto che la «Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione» (D.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154) non ha inciso sulla disciplina in esame.

L'attuale disciplina: l'art. 337 sexies c.c. e l'onere della trascrizione. Perdurante applicazione dell'art. 1599 c.c.?

Nell'ordinamento, allo stato, coesistono quindi due discipline: l'una (mai espressamente abrogata) che contiene le norme sull'assegnazione della casa familiare in materia di divorzio (art. 6, comma 6, l.div.); l'altra, dettata dall'art. 337 sexies c.c., che si applica (al pari dell'abrogato art. 155 quater c.c.) indistintamente, ai casi di «separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio» (art. 337 bis c.c.).

Pertanto, al fine di individuare i rapporti tra la disciplina codicistica e quella di cui all'art. 6 comma 6, l.div. si è ritenuto di dover «fornire una lettura armonizzante» (C. Irti, L'assegnazione della casa familiare nel processo di riforma del diritto di famiglia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 4/2021, pp. 1203 ss.) mediante un lavorio che, utilizzando il criterio della compatibilità, giunga ad una elaborazione sistematica del complesso normativo (G. Giacobbe, Affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, in Dir. fam. pers., 2006, p. 707; E. Quadri, Affidamento dei figli e assegnazione della casa familiare: la recente riforma, in Familia, 2006, pp. 395 ss.).

In tal senso si afferma (C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia, Milano, 2017, VI ed., p. 21) che ai sensi dell'art. 6, comma 6, l.div. – dettato con riguardo al procedimento di divorzio ma ritenuto applicabile anche in tema di separazione personale dei coniugi – il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario (avendo per definizione data certa), se emesso anteriormente all'atto di acquisto da parte del terzo è a questi opponibile (limitatamente al periodo di nove anni), ancorché non trascritto (Cass., 20 aprile 2022, n. 12611; Cass., 18 settembre 2009, n. 20144; Cass., 19 luglio 2012, n. 12466; Cass., 18 dicembre 2013, n. 28229; Cass., 22 luglio 2015, n. 15367; Cass., 11 settembre 2015, n. 17972).

Altri Autori sostengono, di converso, l'abrogazione integrale (E. Zanetti Vitali, La separazione personale dei coniugi, in Il codice civile. Commentario, fondato da P. Schlesinger, diretto da F.D. Busnelli, Milano, 2006, p. 58) o tacita (L. Napolitano, L'affidamento dei minori nei giudizi di separazione e di divorzio, Torino, 2006, p. 23) della norma dettata in materia di divorzio, onde l'opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare solo se trascritto anteriormente alla trascrizione del titolo del diritto del terzo sull'immobile (A. Gragnani, Casa familiare: trascrizione del provvedimento di assegnazione e opponibilità, in Ius Famiglie, 2017).

Pertanto, seguendo tale ricostruzione, ove non trascritto, il provvedimento non sarebbe opponibile neppure nei limiti del novennio, in ragione del fatto che «il conflitto tra il coniuge assegnatario e chi ha ottenuto dal coniuge proprietario un diverso diritto dominicale» è «risolto necessariamente in base al criterio della priorità della trascrizione» (Cass., 15 aprile 2022, n. 12387).

L'assegnazione della casa familiare: le esigenze del proprietario non assegnatario ed i diritti dei terzi

L'assegnazione della casa familiare pone il problema del bilanciamento dei diritti del proprietario non assegnatario (ovvero del terzo acquirente) dell'immobile attribuito all'altro coniuge (o convivente).

Occorre pertanto operare alcune distinzioni fondamentali (sul punto cfr. Cass., 10 aprile 2019, n. 9990; M. Zinno, Assegnazione della casa familiare: bilanciamento tra interesse della famiglia e diritti dei terzi, in NGCC, 6/2019, pp. 1228 ss.; A Lestini, Sulla opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare, in La Nuova Proc. Civ., 2021).

Quanto alle ipotesi di immobile in proprietà esclusiva del coniuge non assegnatario (ovvero in comunione indivisa) si ritiene, innanzitutto, che il dovere di solidarietà familiare (che, comunque, non si traduce in una misura assistenziale, essendo piuttosto funzionale alla conservazione dell'habitat familiare a tutela dei figli minori e dei figli maggiorenni non ancora autosufficienti senza loro colpa) debba giustificare la temporanea compressione della facoltà di godimento dell'immobile destinato a casa familiare.

Laddove, invece, il coniuge proprietario (estromesso) alieni l'immobile ad un terzo successivamente al provvedimento di assegnazione, quest'ultimo atto – come è ovvio – sarà senz'altro opponibile se tempestivamente trascritto; mentre, in difetto di trascrizione, come si è visto più sopra, solo per una parte della giurisprudenza sarebbe comunque garantita – mediante l'applicazione dell'art. 1599 c.c. – una opponibilità infranovennale.

Nel caso opposto, poi, in cui l'acquisto (e trascrizione) del diritto di proprietà da parte del terzo sia antecedente al provvedimento giudiziale – in disparte una minoritaria opinione che riteneva rilevante, ai fini della opponibilità infranovennale, la conoscenza del pregresso rapporto di convivenza (Cass., 11 settembre 2015, n. 17971) – non potrebbe che sostenersi, una opponibilità limitatamente all'ipotesi in cui l'acquirente stesso abbia inteso concludere con almeno uno dei coniugi un contratto attributivo (o confermativo, mediante una clausola c.d. di rispetto) di un titolo di godimento in funzione delle esigenze abitative della famiglia.

Restano, infine, da considerare le ipotesi in cui l'immobile assegnato sia di proprietà di un terzo che lo abbia concesso in locazione o in comodato ad entrambi i coniugi o al solo coniuge poi estromesso.

Ebbene, il preesistente rapporto locativo non pone (secondo Cass., 10 aprile 2019, n. 9990) problematiche particolari, essendo espressamente disciplinato dalla legge il subentro del coniuge assegnatario nel contratto di locazione (Legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 6) e trovando applicazione nei confronti del successivo acquirente (quantomeno con riferimento all'assegnazione disposta nel corso di procedimenti di divorzio e salvo quanto più sopra evidenziato) il principio emptio non tollit locatum di cui all'art. 1599 c.c., cui rinvia l'art. 6, comma 6, l.div.

Particolari problemi non sembrerebbe neppure suscitare il caso in cui un terzo conceda l'immobile in comodato ad uno dei coniugi per esigenze legate alla abitazione familiare, posto che si tratta di circostanza prevista e considerata dagli originari contraenti come integrativa del convenuto uso del bene, onde l'opponibilità al comodante del sopravvenuto provvedimento di assegnazione.

Maggiori dubbi avvolgono, piuttosto, la estensione di fatto (come tale non prevista e pattuita ovvero addirittura esclusa dalle parti) del godimento dell'immobile anche ai componenti del nucleo familiare del comodatario. Si tratta di fattispecie particolarmente delicata che, come tale, richiede di essere analizzata partitamente.

L'opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare e il contratto di comodato: l'uso diverso da quello pattuito e l'ospitalità non temporanea

L'uso diverso rispetto a quello pattuito da parte del comodatario si risolve – in via generale – in una violazione delle obbligazioni ex contractu.

Tale evenienza, secondo una opinione (Cass., 10 aprile 2019, n. 9990; Cass., 18 agosto 2017, n. 20151), rende inopponibile al comodante il successivo provvedimento di assegnazione, salvo il caso in cui non sia desumibile (in base ad accertamento da condurre alla stregua delle risultanze fattuali) una «inequivoca concorde volontà dei contraenti, susseguente alla estensione di fatto del godimento, di modificare l'originaria destinazione dell'uso abitativo dell'immobile», e tale da consentire l'uso del bene in funzione delle esigenze del neocostituito gruppo familiare: solo in quest'ultimo caso, allora, il sopravvenuto provvedimento di assegnazione del bene sarà opponibile al comodante.

Ed invero (Cass., 18 agosto 2017, n. 20151), non solo la volontà (originaria) di assoggettare il bene a vincoli d'uso particolarmente gravosi, quali la destinazione a residenza familiare, non può essere presunta, dovendo essere positivamente provata e accertata (Cass., 21 novembre 2014, n. 24838) ma, nell'ipotesi in cui il vincolo matrimoniale del comodatario sopravvenga, occorre che sia dimostrato che il proprietario abbia inteso, in virtù di scelta sopravvenuta, trasformare la natura del comodato, rispetto alla sua precedente finalità, ancorando la destinazione del bene alle esigenze del gruppo familiare neocostituito (Cass., sez. un., 29 settembre 2014, n. 20448).

Si afferma, per tale via, che la eventuale «tolleranza» del godimento dell'immobile concesso non più al solo comodatario (per proprie esigenze) bensì a quelle della famiglia giammai potrebbe far presumere la trasformazione dei caratteri del rapporto e la sua riconduzione alla fattispecie del c.d. comodato precario prevista dall'art. 1810, comma 2, c.c. (Cass., 18 agosto 2017, n. 20151).

In tale ordine di idee è imprescindibile distinguere nettamente la tolleranza dalla inequivoca e concorde volontà dei contraenti (susseguente alla estensione di fatto del godimento) di modificare l'originaria destinazione dell'uso abitativo dell'immobile.

Ecco il problema del consenso in materia contrattuale: solo se il contratto «non già nella sua destinazione genetica, ma, certamente, nella sua evoluzione» ha visto «per abitanti un nucleo familiare composto da genitore con prole minore e questa sua “evoluzione” fu consentita dagli originari comodanti» – evidentemente «per le necessità abitative dei comodatari, conviventi di fatto e divenuti genitori» (Cass., 21 giugno 2011, n. 13592) – l'uso dell'immobile può dirsi determinato, con applicazione della disciplina di cui all'art. 1809 c.c.

Tolleranza, da un lato, e consenso, dall'altro, si intrecciano poi – unitamente ad ogni altro elemento testuale nonché fattore rilevante nella esecuzione del contratto – con la consapevolezza della destinazione del bene ad abitazione familiare: non dovrebbe infatti obliterarsi (sia pure nel concreto e globale assetto negoziale) la circostanza che al comodante fosse noto che il comodatario vi risiedesse con la propria famiglia (Cass., 20 dicembre 2023, n. 35565).

In definitiva, come pure è stato rilevato, l'individuazione del vincolo di destinazione in favore delle esigenze abitative familiari (lungi dal poter essere desunto sulla base della mera natura immobiliare del bene concesso in godimento dal comodante) implica un accertamento in fatto che postula una specifica verifica della comune intenzione delle parti; verifica che deve essere compiuta attraverso una valutazione globale dell'intero contesto nel quale il contratto si è perfezionato, della natura dei rapporti tra le medesime, degli interessi perseguiti e di ogni altro elemento che possa far luce sulla effettiva intenzione di dare e ricevere il bene allo specifico fine della sua destinazione a casa familiare (Cass., 29 settembre 2023 , n. 27634).

Discorrendo di uso diverso da quello pattuito (e, quindi, di violazione delle regole contrattuali, con conseguente facoltà di scioglimento anticipato del rapporto, accostabile alla figura del recesso, non essendo configurabile per un contratto essenzialmente gratuito la risoluzione per inadempimento: Cass., 18 marzo 2014, n. 6203), ulteriore momento di riflessione riguarda la presenza di altri soggetti all'interno dell'abitazione.

A tal riguardo, è opportuno segnalare come, l'art. 1804, comma 2, c.c., legittima il comodatario a cedere a terzi il godimento della cosa comodata solo con il consenso del comodante; ciononostante è stato autorevolmente ritenuto come non rientri nel divieto di subcomodato l'estensione dell'uso che sia connaturato al godimento della cosa, quale l'uso della casa di abitazione da parte dei familiari conviventi del comodatario, sulla base dell'obbligo di mantenimento e assistenza (M. Fragali, Del comodato, in Comm. Scialoja-Branca, sub artt. 1754-1812, Bologna-Roma, 1970, pp. 169 ss.; A. Galasso, Il comodato, Milano, 2004).

In tal senso «il comodato costituisce detenzione … in favore del terzo comodatario quanto dei suoi familiari conviventi» (Cass., 11 maggio 2010, n. 11374), posto che al familiare convivente, si estende il rapporto obbligatorio esistente tra il coniuge (stipulante) ed il proprietario dell'immobile oggetto del comodato.

Ebbene, se in passato (e con il linguaggio proprio del tempo) si è riconosciuto che in virtù della regolamentazione giuridica del diritto di famiglia, «alla detenzione del marito, comodatario di un immobile per abitazione, si accompagna la condetenzione dei familiari, o più esattamente dei componenti del nucleo familiare conviventi con lo stesso» (Cass., 26 giugno 1992, n. 7923), allo stato attuale è evidente come anche il convivente more uxorio debba essere considerato e trattato quale membro della famiglia, seppure «di fatto» (A. Busani, I contratti nella famiglia, Cedam, 2020).

Tale forma di convivenza, peraltro, è considerata una formazione sociale idonea a dar vita ad un autentico consorzio familiare e che «determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità, tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare» (Cass., 27 aprile 2017, n. 10377); questo «potere di fatto del convivente» però «non incide, salvo diversa disposizione di legge, sul legittimo esercizio dei diritti spettanti ai terzi sull'immobile, sicché tale detenzione del convivente è esercitabile fin quando perduri la convivenza, mentre, una volta venuta meno la stessa, si estingue sempre ove non siano applicabili specifiche disposizioni» (Cass., 17 ottobre 2017, n. 24479).

Intessuta di tali profili problematici, la questione della violazione delle regole contrattuali si arricchisce – su di un più ampio piano di indagine – con il tema legato al divieto (eventualmente previsto nel contratto) di ospitare non temporaneamente persone estranee al proprio nucleo familiare anagrafico. Si tratta, come noto, di profilo essenziale nell'economia dell'operazione economica anche se l'orientamento formatosi in argomento – seppure con specifico riferimento al contratto di locazione (caratterizzato, quanto ai rapporti di parentela o affinità entro il quarto grado, anche dalla speciale disciplina dettata dall'art. 21, comma 1, Legge 23 maggio 1950, n. 253) – appare consolidato nel ritenere che la relativa clausola sia comunque affetta da nullità (App. Roma, 12 maggio 2023, n. 3396; Cass, 19 giugno 2009, n. 14343).

I caratteri fondamentali della disciplina della opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare che si sono provati a tratteggiare conducono così, quasi naturalmente, verso un passaggio del discorso che mostri e manifesti la consapevolezza per la complessità delle soluzioni da adottare di fronte ad un tema in cui le esigenze familiari (ed i diritti della persona) si intersecano con i diritti (reali) dei terzi.

Nella prevalenza accordata, di volta in volta, all'una piuttosto che all'altra tipologia di diritto e nella molteplicità di orientamenti e dottrine, il problema di fondo rimane dunque quello della scelta e della individuazione di un criterio capace - come una bussola – di orientare l'interprete alla luce dei mutamenti intervenuti nella realtà sociale.

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