Diritti di uso e abitazioneFonte: Cod. Civ. Articolo 540
10 Giugno 2022
Inquadramento
Con la Riforma del Diritto di Famiglia ad opera della L. 19 maggio 1975, n. 151 il legislatore ha notevolmente modificato la disciplina matrimoniale, rafforzando lo status del coniuge economicamente più debole, in particolare sotto il profilo successorio. In luogo dell'istituto dell'usufrutto uxorio, vigente pre riforma, l'attuale art. 540 c.c. riserva al coniuge, oltre ad una quota di legittima in piena proprietà, i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano. Il legislatore prevede, nel secondo comma, non solo una specificazione qualitativa dei diritti spettanti al coniuge superstite, bensì una vera e propria aggiunta quantitativa alla porzione riservata. Si assiste dunque ad una compressione delle pretese degli altri legittimari, che vedono ridursi la quota di patrimonio disponibile e persino, in alcuni casi, la loro stessa quota a vantaggio del coniuge (art. 540 comma 2, seconda parte, c.c.). La ratio di tale disparità è stata chiarita dalla sentenza C. Cost. 26 maggio 1989, n. 310: «oggetto della tutela dell'art. 540 comma 2 c.c., non è il bisogno dell'alloggio (…), ma sono altri interessi di natura non patrimoniale, riconoscibili solo in connessione con la qualità di erede del coniuge, quali la conservazione della memoria del coniuge scomparso, il mantenimento del tenore di vita, delle relazioni sociali e degli status symbols goduti durante il matrimonio, con conseguente inapplicabilità, tra l'altro, dell'art. 1022 c.c., che regola l'ampiezza del diritto di abitazione in rapporto al bisogno dell'abitatore». In altri termini, la norma è diretta ad evitare al coniuge superstite il travaglio di dover abbandonare il luogo degli affetti e la sistemazione abitativa mantenuta nell'arco della vita matrimoniale. Tale interesse è ritenuto sovraordinato alle pretese economiche degli altri successori necessari. Si deve ricordare che, con l'intervento della l. 20 maggio 2016 n. 76, il legislatore ha introdotto l'istituto delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e, a norma dell'art. 1, comma 20, della predetta legge, ha parificato la posizione del c.d. unito civilmente a quella del coniuge dal punto di vista successorio. Pertanto si deve affermare che all'unito civile spettino i medesimi diritti riconosciuti al coniuge anche a norma dell'art. 540, comma 2, c.c.; nel testo si continuerà a parlare, per semplicità, di “coniuge”, intendendo però con tale espressione anche l'unito civile – salvo quanto infra dettagliato in tema di separazione/scioglimento dell'unione civile.
Natura giuridica e oggetto dei diritti
Si è discussa la natura giuridica della previsione normativa. Alcuni autori (C. Trinchillo, Il trattamento successorio del coniuge superstite nella disciplina dettata dal nuovo diritto di famiglia, in Scritti in onore di G. Capozzi, I, 2, Milano, 1992, 1244) hanno ritenuto i diritti ex art. 540 comma 2 c.c. un'aggiunta quantitativa attribuita al coniuge a titolo di eredità: il coniuge sarebbe, cioè, erede per quota pari alla somma tra quota di legittima e valore di uso e abitazione sulla casa familiare. In tal modo, si nota, il coniuge risponderebbe dei debiti ereditari in misura superiore. La giurisprudenza e la dottrina maggioritaria hanno invece definito i diritti di uso e di abitazione legati ex lege: attribuzioni a titolo particolare, con effetto all'apertura della successione (art. 649 comma 2 c.c.). L'affermazione è motivata dal richiamo all'art. 536 c.c., norma che indica i legittimari quali soggetti cui la legge «riserva una quota di eredità o altri diritti»: l'uso e l'abitazione rientrano proprio tra questi “altri diritti”, non attribuiti a titolo di eredità, ma comunque definiti dalla legge come riserva (ex multae Cass., sez. II, 15 maggio 2000, n. 6231; in dottrina L. Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale, Successione necessaria, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu e F. Messineo e continuato da L. Mengoni, IV Ed., Milano, 2000, 176 ss.; A. Bucelli, Dei Legittimari, Milano, 2012, 440 ss.). A conferma della natura non ereditaria dei diritti in commento, la giurisprudenza di legittimità seguita anche dalle più recenti pronunce di merito (App.Milano sez. II, 03 febbraio 2021, n.349), nel qualificare la posizione del coniuge superstite che esercita il possesso sulla casa familiare continuando ad abitarvi dopo la morte del de cuius, ha escluso che la fattispecie in commento possa integrare accettazione tacita ai sensi dell'art. 485 c.c., quale accettazione del chiamato in possesso dei beni ereditari. Se il diritto di abitazione si considera oggetto di una disposizione a titolo particolare, infatti, detta attribuzione deve considerarsi autonoma e aggiuntiva rispetto alla quota ereditaria riservata al coniuge, che ben potrebbe conseguire tali diritti e rinunciare all'eredità: ne consegue che nell'esercitare il possesso sulla casa familiare il coniuge non può essere considerato nella sua posizione di chiamato all'eredità, limitandosi a possedere quale legatario. Naturalmente si tratta di due legati ex lege aventi oggetti distinti e rinunziabili separatamente. La giurisprudenza più recente recente (tra cui Cass. sez. II, 26 marzo 2019, n. 8400 e più di recente anche Trib. Rovigo, 14 gennaio 2020, n. 17 e Trib. Lanciano sez. I, 01 luglio 2021, n. 209) ha ulteriormente precisato la definizione, parlando di “prelegati ex lege”. Non solo l'acquisto è automatico (salvo rifiuto) alla data della morte del de cuius, ma opera anche la regola di cui all'art. 661 c.c. per cui il legato ad un erede grava proporzionalmente su tutte le quote, compresa quella del beneficiario. Si potrebbe forse parlare, più precisamente, di un prelegato generalmente “anomalo”. È vero che si tratta di un legato che beneficia un erede, ma la seconda parte dell'art. 540 comma 2 c.c. precisa che il diritto grava anzitutto sulla porzione disponibile; ciò sembra incompatibile con la ripartizione proporzionale del peso disposta dall'art. 661 c.c., a meno che il coniuge non sia l'unico erede: di qui l'anomalia. La giurisprudenza, anche di Corte Costituzionale (C. Cost. 26 maggio 1989, n. 310), ha affermato che formano oggetto di legato ex lege i diritti reali minori (c.d. in re aliena) di uso e abitazione, come disciplinati dagli artt. 1021 ss. c.c. – nei limiti di compatibilità. Nello specifico la ratio ispiratrice della riforma impedisce l'applicazione degli artt. 1021, 1022 c.c. nella parte in cui limitano la misura del diritto reale ai bisogni del titolare e della sua famiglia: il coniuge superstite vede estesi i suoi diritti su tutta la casa ed i suoi arredi. La Corte d'Appello di Cagliari (App. Cagliari 26 settembre 2005) ha ritenuto che, a maggior ragione, l'attribuzione dei legati ex lege prescinde dall'accertamento dello stato di bisogno del coniuge, che ne gode anche qualora sia titolare di altri immobili abitativi ed economicamente indipendente. Analoghe premesse sono state utilizzate dalla Corte di Appello di Palermo (App. Palermo 28 ottobre 2019), che, sempre partendo dall'irrilevanza dello stato di necessità ai fini dell'attribuzione del diritto di abitazione, ha escluso che il trasferimento in altro stabile ne comporti l'estinzione, trattandosi, appunto, di un diritto che spetta a prescindere dal bisogno di utilizzarlo a titolo di alloggio. Ulteriormente non si può ricorrere all'art. 1026 c.c. che applica ad uso e abitazione le norme in tema di usufrutto: in particolare i diritti ex art. 540 comma 2 c.c. non si estinguono per prescrizione ventennale e per abuso (si tratterebbe di limiti non contemplati dal legislatore). Il Tribunale di Taranto (Trib. Taranto 14 luglio 1978) ha concluso poi - alla luce della funzione anche morale dei diritti di uso e abitazione - che essi non si estinguono neppure in caso di nuove nozze (o inizio di una convivenza more uxorio) del coniuge superstite, neppure qualora una clausola di decadenza in tal senso fosse stata prevista nel testamento del de cuius. Presupposto soggettivo
Essenziale requisito perché sorgano i diritti in oggetto è la qualità di coniuge. Si è dunque escluso che i legati ex lege possano essere riconosciuti al convivente more uxorio, venendo meno il presupposto soggettivo imposto dalla norma (C. Cost. 26 maggio 1989, n. 310). E' opportuno tuttavia rilevare che, pur non essendo parificato al coniuge ai fini della attribuzione dei diritti di cui all'art. 540 comma 2 c.c., al convivente superstie è comunque riconosciuto un diritto di abitazione sulla casa comune. L'art. 1 comma 42 l. 2016, n. 76, infatti, espressamente attribuisce al convivente che sopravvive al proprietario della casa comune il diritto di continuare ad abitarvi (qualificato dalla prevalente dottrina quale diritto personale di godimento, non riconducibile dunque al diritto di cui all'art. 1022 c.c.) per un periodo determinato (due anni o un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni, ma comunque non oltre i cinque anni), così garantendo un lasso di tempo sufficiente a soddisfare in altro modo le esigenze abitative. Si ricorda, invece, che la Corte Costituzionale (C. Cost. 7 aprile 1988, n. 404) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 6 l. 27 luglio 1978, n. 392 nella parte in cui non prevede tra i successibili della titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente more uxorio. Al convivente sono cioè garantiti alcuni diritti successori (vocazione anomala) con riferimento all'abitazione familiare, ma solo ove il de cuius ne godesse a titolo di locazione: in tal caso la norma non è stata ritenuta tassativa nell'indicazione dei beneficiari, al contrario dell'art. 540 comma 2 c.c.. Il legislatore riconosce espressamente il diritto di abitazione della casa familiare e uso dei mobili che la corredano al coniuge putativo, ai sensi dell'art. 584 c.c.. Qualora invece, al momento della morte del de cuius, sia venuto meno in via definitiva il rapporto di coniugio, ad esempio in caso di divorzio, non sussistono i presupposti per l'insorgere dei legati ex lege. A tale ipotesi va parificata, a parere di chi scrive, la fattispecie dello scioglimento dell'unione civile: se prima del decesso del de cuius l'unione civile che lo vincolava è stata sciolta (art 1, comma 24, l. n. 76/2016) l'ex-unito civilmente assume una posizione parificabile a quella del coniuge divorziato, che non è titolare dei diritti di uso e abitazione ex art. 540, comma 2, c.c.: non è stata disciplinata una fase analoga a quella della separazione personale per gli uniti civilmente (M. Sesta, Unioni civili e convivenze di fatto: la legge – Unione civile e convivenze: dall'unicità alla pluralità dei legami di coppia, in Giur. It. 2016, 7, 1771 ss.).
Quanto all'ipotesi di separazione personale dei coniugi, occorre distinguere. Il coniuge separato senza addebito, a norma dell'art. 548 comma 1 c.c., vanta sulla successione i medesimi diritti del coniuge non separato. Avendo pretese successorie di legittimario, si dovrebbe concludere che gli siano sempre riconosciuti anche i diritti di uso e di abitazione ex art. 540 comma 2 c.c.. Il tema è stato oggetto di due recenti pronunzie di Cassazione (Cass., sez. II, 12 giugno 2014, n. 13407 e Cass., sez. II, 22 ottobre 2014 n. 22456): i giudici hanno affermato che al coniuge separato non spettano i diritti in esame nel caso in cui non sia possibile individuare in concreto una casa adibita a residenza familiare. Di fatto è frequente che, in seguito alla separazione, cessi la coabitazione e pertanto che non si possa più riscontrare l'elemento oggettivo dell'elezione dell'immobile a sede della vita familiare come recentemente ribadito anche da Corte appello L'Aquila, 14 settembre 2020, n.11, secondo cui individuare la residenza familiare nel caso di specie sarebbe di fatto impossibile, ferma restando la astratta compatibilità giuridica tra separazione personale e titolarità dei diritti di cui all'art. 540 comma 2 c.c. Sembra invece di poter dire che al coniuge separato senza addebito spettino tali diritti qualora ricorra il presupposto oggettivo, come nel caso dei c.d. “separati in casa”. L'art. 548 comma 2 c.c. riconosce al coniuge separato con addebito solo il diritto ad un assegno alimentare. Dall'utilizzo, nella norma, dell'espressione “soltanto” – letta con accezione restrittiva - la dottrina conclude che non vi sia spazio per i legati ex lege di cui all'art. 540 comma 2 c.c.. Ancora in tema, ci si è interrogati sulla compatibilità tra diritto di abitazione ex art. 540 comma 2 c.c. e assegnazione della casa familiare in sede di separazione (per il caso di divorzio si è già detto sopra). Questi ultimi sono diritti aventi natura obbligatoria e non reale: a riprova di ciò il legislatore ha recentemente abbandonato la formulazione «abitazione nella casa familiare» (art. 6 comma 6 l. 1 dicembre 1970, n. 898) in favore dell'espressione «godimento della casa familiare» ex art. 337-sexies c.c.. Si potrebbe ritenere che il coniuge separato, titolare del godimento della casa familiare, al momento della morte del de cuius, continui nella sua posizione giuridica relativa e acquisti l'abitazione ex art. 540 comma 2 c.c. solo al momento dell'estinzione del godimento di cui all'art. 337-sexies c.c.. Al contrario è preferibile ritenere che il diritto di godimento della casa familiare cessi con la morte del de cuius qualora il coniuge superstite acquisti mortis causa i diritti di uso e abitazione. Si è già detto che in caso di nuove nozze del coniuge non viene meno il diritto: il legislatore non ha voluto limitare il diritto reale ex art. 540 comma 2 c.c., al contrario di quanto accade con il godimento della casa familiare ex art. 337-sexies c.c.. Presupposto oggettivo
Ulteriore requisito per l'attribuzione dei diritti è che sia individuabile una «casa adibita a residenza familiare». La norma richiama evidentemente l'art. 144 c.c. sulla fissazione della “residenza della famiglia” concordata dai coniugi. Pur trattandosi di un problema di fatto, da provarsi caso per caso, l'orientamento maggioritario afferma che vi può essere solo una casa di residenza familiare, anche se la vita comune si svolge in più luoghi: si individua per legge la casa ove è prevalentemente concentrato il ménage coniugale (di recente anche Trib. Forli', 09 novembre 2021, n.1097, che individua quale unica residenza familiare quella concretamente utilizzata dalla famiglia, a prescindere dalla titolarità di ulteriori porzioni immobiliari all'interno del medesimo stabile). Non sono coinvolte nella fattispecie le case di vacanze che non sono definibili residenze della famiglia. La norma precisa che la casa di abitazione e i mobili devono essere «di proprietà del defunto o comuni»: nulla quaestio, quindi, se il de cuius è titolare della piena proprietà, o se i due coniugi hanno acquistato l'immobile in regime di comunione legale ex art. 177 c.c. (o anche di comunione ordinaria). Sono evidentemente escluse tutte le ipotesi in cui il de cuius avesse il godimento dell'immobile a titolo diverso dalla proprietà, ad esempio locazione o usufrutto. L'interrogativo è se la norma si riferisca anche alle abitazioni che si trovano in comunione tra il de cuius e soggetti terzi (quali i figli o veri e propri estranei). La giurisprudenza è divisa sul punto, e anche in tempi recenti non si è giunti a una soluzione condivisa (cfr. tabella infra).
Orientamenti a confronto
Il problema è di interpretazione della volontà del legislatore: se nella norma si intendeva far riferimento all'ipotesi di comunione (e nella specie alla comunione legale, quale regime patrimoniale naturale) oppure se l'espressione indichi la comunione come istituto privatistico generale. Si tende a preferire la soluzione che nega in tal caso uso e abitazione – mancando sia il presupposto che la ratio legis. Vi è il rischio che il coniuge alieni una piccola quota dell'immobile col solo scopo di impedire l'insorgere dei diritti ex art. 540 comma 2 c.c.: a tale comportamento elusivo si può, però, eventualmente porre rimedio con gli strumenti della simulazione e della nullità per frode alla legge. Quanto al presupposto oggettivo del diritto di uso dei mobili, anche qui si è discussa l'estensione della norma. L'espressione normativa non deve intendersi riferita a tutti i beni mobili presenti nell'abitazione, né esclusivamente del mobilio funzionale all'abitabilità. È preferibile cioè un'opinione intermedia: tutti i beni diretti all'arredo della casa sono inclusi nel diritto, mentre vanno esclusi i beni che transitoriamente si trovano in quel luogo ma che sono stati acquistati con funzione di investimento o siano strumenti per l'attività professionale e lavorativa del coniuge defunto. L'esempio di mobili esclusi dal diritto d'uso è quello della collezione di vasi antichi, o del quadro di grande valore, che si trovassero in casa all'apertura della successione. In ogni caso deve considerarsi irrilevante ai fini della individuazione del presupposto oggettivo quella che è la concreta situazione di fatto, come di recente rilevato da Cass. sez. VI, 22 giugno 2020, n. 12042 secondo cui “Il diritto abitativo della casa coniugale del coniuge del defunto non è modificato da situazioni di fatto, come l'aver concesso ai figli di adibire alcune parti dell'immobile a loro stessa residenza familiare. Difatti, il diritto del coniuge superstite ad abitare la casa familiare è commisurato alla situazione esistente al momento della morte dell'altro coniuge.” La seconda parte dell'art. 540 comma 2 c.c. prevede che i legati ex lege gravino anzitutto sulla porzione disponibile e poi, qualora questa non sia sufficiente, sulla quota del coniuge; in caso di ulteriore esubero, graveranno infine sulla quota riservata ai figli. Questi diritti costituiscono una riserva quantitativa e qualitativa (si è detto che sono attribuiti “in aggiunta”): al coniuge dovrebbe quindi spettare in ogni caso, all'esito della vicenda successoria, un valore pari alla riserva più il valore di uso e abitazione. Se il valore dei diritti di cui all'art. 540 comma 2 c.c. non eccede quello della disponibile, il coniuge dovrà imputarli prima alla frazione di disponibile allo stesso assegnata, e solo in subordine i diritti graveranno, proporzionalmente, sulla disponibile attribuita a terzi. Qualora invece il valore ecceda la disponibile, esso graverà per l'esubero sulla quota del coniuge, e solo in caso di completo svuotamento anche di questa quota, saranno intaccate le quote di riserva dei figli. La norma non prende in considerazione il caso di concorso con gli ascendenti (cioè in assenza di discendenti). Potrebbe dirsi una mera svista del legislatore: si potrebbero considerare cioè gli ascendenti alla stregua dei figli, intaccando la loro quota di riserva solo dopo l'esaurimento della riserva del coniuge. L'opinione prevalente (G. Gabrielli, Dei legittimari, in Comm. Cian Oppo Trabucchi, V, Padova, 1992, sub art. 540 c.c.)richiama invece il disposto dell'art. 662 c.c.: salva diversa disposizione, tutti i legati, e quindi anche i legati ex lege, gravano proporzionalmente su tutte le quote degli eredi. Non si applicherebbe cioè la seconda parte del secondo comma, bensì la regola generale in base alla quale il legato graverà su tutte le quote ereditarie proporzionalmente. Non risultano precedenti giurisprudenziali sul tema, ma la seconda lettura, più penalizzante per gli ascendenti, appare condivisa dalla dottrina maggioritaria. Si precisa ( L. Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale, Successione legittima, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu e F. Messineo e continuato da L. Mengoni, Milano, 1999, 173 ss.) che la quota di legittima del coniuge va calcolata sul patrimonio residuo al netto del valore di uso e abitazione, altrimenti una frazione del valore di uso e abitazione si computerebbe due volte nella quota complessiva del coniuge. Si può in tal senso spiegare il richiamo al funzionamento del prelegato ex art. 661 c.c.: si produce uno stralcio dei diritti dalla massa ereditaria. Pare esprimersi in contrario, però, la recente Cass., sez. II, 19 aprile 2013, n. 9651 – la quale ha affermato che, a differenza di quanto accade nella successione ex lege, nella successione necessaria i diritti ex art. 540 comma 2 c.c. non incidono sulla determinazione dell'asse relitto, e quindi non vanno sottratti prima di considerare i valori riservati ai legittimari. Occorrerebbe cioè considerare per intero sia il relictum che il donatum, sugli stessi procedere a computare le quote di legittima e garantire al coniuge sulla disponibile così emergente il valore di uso e abitazione. Diritti ex art. 540 comma 2 c.c. nella successione legittima
Si è a lungo discussa la configurabilità e le natura dei diritti di uso e abitazione nel caso in cui il coniuge succeda ab intestato. È unanime la convinzione che, anche in caso di successione legittima, al coniuge spettino i diritti di cui all'art. 540 comma 2 c.c.: se l'art. 584 c.c. riconosce al coniuge putativo, che succede ab intestato, i diritti in esame, a fortiori essi dovranno attribuirsi al coniuge “ordinario”. Non vi è stata concordia invece sul modo in cui tali legati operano in caso di successione ex lege: secondo una teoria, essi dovrebbero essere ricompresi per intero nella quota attribuita al coniuge (divenendo cioè in tal caso una mera specificazione qualitativa); per una seconda tesi si sarebbe dovuto applicare l'art. 523 c.c., e quindi riconoscere tali diritti in aggiunta alla quota ab intestato solo nel caso in cui quest'ultima avesse valore inferiore alla somma tra quota di legittima riservata al coniuge e valore di uso e abitazione ex art. 540 comma 2 c.c.. (riassuntivamente nella recente dottrina A. Scarpa, Diritto di abitazione del coniuge superstite e successione ex lege, in Immobili e proprietà, 2013, 3, 182 ss.). Dati i numerosi precedenti giurisprudenziali contrastanti, la Corte di Cassazione si è pronunziata a Sezioni Unite sul punto (Cass., S.U., 27 febbraio 2013, n. 4748) affermando una terza tesi. Si è detto che «il valore capitale di tali diritti deve essere stralciato dall'asse ereditario per poi procedere alla divisione di quest'ultimo tra tutti i coeredi secondo le norme della successione legittima, non tenendo conto dell'attribuzione dei suddetti diritti, secondo un meccanismo assimilabile al prelegato». Ciò significa che il coniuge preleva in anteparte dall'asse ereditario uso e abitazione, a titolo di prelegato ex lege, e che le quote di successione legittima si applicano sul residuo asse ereditario. L'argomento appare coerente con la natura automatica e immediata dell'attribuzione a titolo particolare ex art. 540 comma 2 c.c. Ad esempio,a Tizio (asse ereditario 1000) succedono ex lege la moglie Tizia e il figlio Primo, in quota di un mezzo ciascuno. A Tizia spettano i diritti di uso e abitazione, aventi complessivo valore di 100. Tali diritti, secondo la Cassazione, non vanno computati all'interno della quota del coniuge (400 + 100) bensì stralciati in anteparte. Tizia preleva quindi 100 dalla massa, e sul residuo pari a 900 si calcolano le quote (450 ciascuno). All'esito Tizia avrà cioè ricevuto 100 ex art. 540 comma 2 c.c. e 450 quale quota ereditaria. Il meccanismo opera certamente come un prelegato, quantomeno nella successione per legge: il legato ex lege grava proporzionalmente su tutte le quote ereditarie, compresa quella del coniuge ex art. 661 c.c.. Controversa è l'ipotesi in cui il de cuius disponga per testamento di diritti sulla casa familiare e, in particolare, la fattispecie in cui si attribuiscano a terzi diritti incompatibili con quelli del coniuge. La dottrina allo stato ancora prevalente, argomentando dalla natura “di riserva” di tali diritti, afferma che al coniuge spetta una tutela tipica, il cui mezzo è l'azione di riduzione (L. Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale, Successione necessaria, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu e F. Messineo e continuato da L. Mengoni, Milano, 2000, 163). Si tratterebbe di un'azione di riduzione sui generis, in quanto rivolta ad una reintegra non solo quantitativa ma anche qualitativa e avente come soggetto passivo solo il soggetto onerato dal testatore, e non tutti gli eredi e legatari. Non occorrerebbe per il suo esperimento l'accettazione con beneficio di inventario, ma solo, necessariamente, l'imputazione ex se (ciò significa che, per questa tesi, se il coniuge avesse ricevuto per testamento valori sufficienti a riempire sia la quota di legittima che il valore di uso ed abitazione, non potrebbe agire in riduzione neanche per ottenere i legati ex lege). La giurisprudenza, per quanto obiter dictum, ha affermato un diverso principio: i diritti di uso e abitazione configurano legati ex lege, come tali essi operano automaticamente all'apertura della successione, indipendentemente da qualsivoglia disposizione contraria (Cass., sez. II, 6 aprile 2000, n. 4329): sono perciò conseguiti ipso iure, senza dover ricorrere all'azione di riduzione. Seguendo questo orientamento, che pare condivisibile, le disposizioni testamentarie incompatibili con i diritti riservati al coniuge non possono dirsi riducibili, ma parzialmente nulle, in virtù dell'operatività ex lege dei legati. Ci si è anche chiesti se tali diritti possano essere tacitati insieme alla quota riservata, a mezzo di un legato sostitutivo di legittima ex art. 551 c.c.. Seguendo l'opinione giurisprudenziale, al testatore sarebbe preclusa tale facoltà: i diritti sorgono ipso iure, e non è possibile impedirne l'operatività per via volontaria, neppure attraverso lo strumento del legato sostitutivo di legittima. Piuttosto pare possibile subordinare il legato sostitutivo di legittima, o la disposizione attributiva a terzi di diritti incompatibili con quelli di cui all'art. 540 comma 2 c.c., alla condizione sospensiva della rinunzia, da parte del coniuge, ai diritti di abitazione sulla casa familiare e di uso dei mobili che la corredano: Cass., sez. II, 15 maggio 2000, n. 6231 ha affermato infatti che i diritti sono rinunziabili inter vivos dal coniuge superstite (L. Genghini, C. Carbone, Le successioni per causa di morte, I, Padova, 2012, 574 ss.). Un tema irrisolto è se il diritto di abitazione ex art. 540 comma 2 c.c. possa essere trascritto, e in base a quale titolo. È noto che il legato si trascrive in base ad un estratto autentico del testamento (art. 2648 c.c.), ma in tal caso, trattandosi di attribuzione ex lege, non si può far ricorso al metodo legale. Autorevole dottrina (F. Gazzoni, La trascrizione immobiliare, in Il Codice civile. Commentario fondato e già diretto da P. Schlesinger e continuato da F. Busnelli, Milano, 1998, 191) afferma che il diritto del coniuge non debba essere trascritto: operando in base alla legge, la formalità pubblicitaria sarebbe superflua come confermato da qualche pronuncia giurisprudenziale, quale Trib. Roma sez. IV, 22 gennaio 2015, n. 141,secondo cui il diritto di abitazione non potrebbe essere trascritto in quanto derivante dalla sola esistenza di un coniuge superstite e di una casa familiare. La giurisprudenza e altra dottrina ammettono la possibilità di una trascrizione: per alcuni si potrebbe trascrivere la sentenza di accertamento dell'acquisto del diritto di abitazione, per altri sarebbe sufficiente un atto notorio che attesti la sussistenza dei requisiti di legge ex art. 540 c.c., altri ancora ammetterebbero la trascrivibilità in base al certificato di denunciata successione, o in base al certificato di morte (cui eventualmente unire la nota di trascrizione indicante il vincolo coniugale). Preferibile, a fronte di tali incertezze, è che il coniuge effettui un'accettazione espressa del legato ex lege, in forma notarile: tale dichiarazione è certamente trascrivibile (G. Mariconda, La trascrizione, in Tratt. Dir. Priv. diretto da P. Rescigno, Torino, 1997, 136) Si deve ricordare che l'accettazione non è mai necessaria, acquistandosi il legato automaticamente (art. 649 c.c.) ma che, una volta effettuata, ha l'effetto di precludere la rinunzia. Infine, l'ipoteca costituita dal de cuius a garanzia di un suo credito è opponibile al coniuge titolare del legato di abitazione (l'immobile entra in eredità già gravato da ipoteca), (Cass., sez III, 13 gennaio 2009, n. 463). Qualora invece l'ipoteca sia concessa dall'erede, il diritto di abitazione è opponibile al creditore ipotecario (Cass., sez. III, 24 giugno 2003, n. 10014) secondo quanto disposto dall'art. 534 commi 2 e 3 c.c.. In altre parole, il conflitto non si risolverà in base all'anteriorità della trascrizione del legato rispetto all'iscrizione ipotecaria o viceversa, ma in base alle regole sull'acquisto (di ipoteca) dall'erede apparente: la norma sugli effetti della trascrizione, dettata dall'art. 2644 c.c., non riguarda il rapporto del legatario con l'erede e con gli aventi causa da questo. Casistica
*Scheda aggiornata alla Legge sulle Unioni Civili |