Successione legittima

Barbara D'Amato
01 Agosto 2022

La successione legittima costituisce la forma di delazione dell'eredità avente titolo nella legge, destinata a regolamentare la devoluzione del fascio delle situazioni giuridiche facenti capo al de cuius tutte le volte in cui manca, in tutto o in parte, una disciplina testamentaria.
Inquadramento

L'apertura della successione che, a norma dell'art. 456 c.c., coincide con il momento della morte del defunto, costituisce il presupposto della delazione dell'eredità: nel definire le modalità con le quali può avvenire il passaggio generazionale della ricchezza ovvero, rectius, del fascio di situazioni giuridiche patrimoniali facenti capo al de cuius, il legislatore ha previsto, all'art. 457, comma 1, c.c., quali unici titoli di devoluzione dell'eredità, la legge ed il testamento, segnatamente prevedendo l'operatività della successione legittima quando manca, in tutto o in parte, quella testamentaria. Per una precisa scelta di politica legislativa, risulta espressamente esclusa (salve eccezioni di legge) la delazione di matrice contrattuale, stante il divieto dei patti successori di cui all'art. 458 c.c..

In evidenza

La successione legittima costituisce la forma di delazione dell'eredità avente titolo nella legge, destinata a regolamentare la devoluzione del fascio delle situazioni giuridiche facenti capo al de cuius tutte le volte in cui manca, in tutto o in parte, una disciplina testamentaria.

La successione legittima deve essere distinta dalla successione necessaria che, prevedendo i diritti intangibili dei c.d. legittimari, costituisce un limite alla libera determinazione volitiva del testatore; le due forme di successione in esame, costituenti due specie dello stesso genere, pur avendo in comune il titolo costitutivo e (in parte) il fondamento (la tutela della famiglia) si differenziano notevolmente per l'oggetto: nella successione ex lege si considera unicamente ciò che residua nel patrimonio ereditario al momento della morte e nel secondo caso, invece, viene aggiunto al relictum (detratti i debiti) quanto donato dal de cuius in vita.

I presupposti della successione legittima

Il presupposto oggettivo di operatività della successione legittima è rappresentato dalla mancanza della successione testamentaria: dovendosi devolvere mortis causa l'intero patrimonio del de cuius, è facile intuire, sul piano logico prima ancora che giuridico, che ciò che rileva non è soltanto l'esistenza o meno di un testamento bensì anche la ricorrenza, nell'eventuale testamento, di una vocazione a titolo universale: la previsione da parte del testatore esclusivamente di una serie di legati determina, infatti, comunque l'apertura della successione ab intestato, mentre quest'ultima è esclusa nel caso in cui il testatore abbia disposto dell'eredità a titolo di istituzione di erede, esaurendo il suo intero patrimonio (Cass. 10 maggio 2002, n. 6697).

Al riguardo, l'art. 457, comma 2, c.c., nel prevedere che non si fa luogo alla successione legittima se non quando manca in tutto o in parte quella testamentaria, chiarisce anche il rapporto tra le due delazioni. Dal tenore letterale della norma discendono due corollari: il primo è la sussidiarietà della successione ab intestato rispetto a quella testamentaria, il secondo è il possibile concorso tra le due forme di delazione. In tale ultima evenienza è opportuno sottolineare, per i riflessi pratici che ne conseguono, che la duplicità dei titoli della devoluzione successoria non comporta anche la duplicità delle delazioni: pertanto, l'accettazione dell'eredità resta unica, conformemente al principio sotteso all'art. 475, comma 3 c.c., che vieta accettazioni parziali dell'eredità. Come di recente sottolineato in giurisprudenza, il concorso tra le due vocazioni è riconducibile ad un rapporto di reciproca integrazione (Cass., sez. VI, 20 ottobre 2014, n. 22195). Dal punto di vista pratico, la mancanza della successione testamentaria può essere originaria o sopravvenuta.

Ad esempio, ricorre il primo caso laddove difetti qualsiasi scheda testamentaria, ovvero la stessa, senza recare istituzione di erede, contenga solo attribuzione di legati (Cass. 7 aprile 1997, n. 2968) o comunque non esaurisca l'intero asse ereditario; la mancanza sopravvenuta, può verificarsi, tra l'altro, in caso di avveramento della condizione risolutiva, di pronuncia di indegnità dell'erede, di mancata accettazione dell'eredità, oppure di perdita del diritto di accettare l'eredità ex art. 481 c.c. (Cass., sez. VI, 20 ottobre 2014, n. 22195). Una possibile ipotesi di concorso tra successione testamentaria e successione legittima si può avere anche in caso di institutio ex re certa – quindi di concorso tra l'istituito ex re e l'erede legittimo - ipotesi sulla quale si è soffermata la giurisprudenza di legittimità, anche in tempi recenti (Cass. n. 17868/2019, n. 9487/2021, da ultimo Cass. n. 42121/2021).

Nel caso in cui il de cuius abbia disposto nella scheda testamentaria l'attribuzione di beni determinati, occorre sempre vedere quale sia stata l'intenzione del testatore: effettuare un lascito a titolo particolare quale legato, ovvero lasciare quei beni, pur indicati nominativamente, quale quota del suo patrimonio, realizzando un'istituzione di erede (Cass. n. 6125/2020; n. 24163/2013). L'interpretazione della volontà del de cuius - una quaestio voluntatis che va esaminata dal giudice di merito in base ai canoni ermeneutici fondamentali (Cass. n. 5773/1980) - non è scevra di conseguenze in ordine alla definizione della sorte dei beni dei quali il testatore non abbia espressamente disposto.

Infatti, laddove non sia riconosciuto il carattere universale della disposizione, in mancanza di una manifestazione contraria all'apertura della successione legittima, i beni consapevolmente esclusi sono attribuiti al chiamato ex lege.

Se la quota dell'istituito ex re è determinata in base al rapporto fra le cose attribuite e il valore globale dei beni che il testatore sapeva di possedere in quel dato momento, tenuto conto anche di quelli non contemplati nel testamento, nella quota differenziale, formata dalle altre cose dell'asse, succede l'erede legittimo; nella stessa proporzione, in forza della virtù espansiva che costituisce connotato essenziale della vocazione a titolo universale, si ripartiranno fra erede testamentario e legittimo i beni ignorati dal testatore o sopravvenuti dopo la confezione della scheda. (Cass. 31 dicembre 2021, n. 42121).

Il presupposto soggettivo di operatività della successione legittima è costituito dalla sussistenza di un titolo a succedere, ovvero di un particolare legame familiare tra il successibile ed il de cuius; in particolare, i soggetti ai quali la legge attribuisce la facoltà di subentrare nella titolarità dell'eredità relitta sono il coniuge o l'unito civilmente, i discendenti, gli ascendenti, i collaterali e gli altri parenti fino al sesto grado. Infine, in mancanza di altri successibili, l'eredità è devoluta allo Stato: in tal caso, ulteriore presupposto da accertare è il rapporto di cittadinanza del de cuius con lo Stato, anche alla luce della normativa di cui alla legge 31 maggio 1995, n. 218.

Peraltro, in caso di successioni trasnazionali, è possibile anche il concorso tra distinte normative nazionali nella disciplina di una medesima vicenda successoria: con una recente pronuncia le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza del 5 febbraio 2021, n. 2867) hanno esaminato il caso in cui la legge nazionale del defunto, che regola la successione (individuata ai sensi dell'art. 46 legge n. 218/1995), sottoponga i beni relitti alla legge del domicilio dello stesso se mobili e alla legge italiana se immobili, secondo la regola del rinvio indietro ex art. 13, comma 1, lett. b), legge n. 218/1995. In tale evenienza, dunque, si determina l'apertura di due successioni e la formazione di due masse, ciascuna delle quali soggetta a differenti regole di vocazione e delazione e dunque a differenti leggi alla cui stregua verificare la validità e l'efficacia del titolo successorio, individuare gli eredi, determinare l'entità delle quote e le modalità di accettazione e di pubblicità, e apprestare l'eventuale tutela dei legittimari.

Il fondamento della successione legittima

Le ragioni sottese alla predeterminazione normativa dei soggetti beneficiari della delazione successoria ex lege sono state nel tempo diversamente ricostruite, dalla tesi della presunta volontà del testatore a quella dell'appartenenza dei beni del defunto all'intero nucleo familiare in comunione. In realtà appare evidente come in molti casi non sia possibile rinvenire alcuna volontà del de cuius (ad esempio nell'ipotesi di rinuncia dei chiamati per testamento, laddove non operino sostituzione, rappresentazione e accrescimento) e che lo stesso abbia piena diponibilità dei beni facenti parte del suo patrimonio fino al momento della morte: quello che emerge dalla lettura dell'intero sistema codicistico della successione legittima, anche alla luce delle evoluzioni normative più recenti, è l'esigenza di tutelare la famiglia, considerando cioè, prioritariamente, il rapporto di famiglia che lega il de cuius ai successibili.

Non può dubitarsi invece che la previsione della possibile devoluzione dell'eredità in favore dello Stato, ai sensi dell'art. 586 c.c., abbia una ratio differente, ovvero quella di assicurare la continuità dei rapporti giuridici patrimoniali facenti capo al defunto, impedendo la dispersione dei beni rientranti nel suo asse ereditario.

Le categorie dei successibili

Nell'individuazione delle categorie dei successibili, ai sensi degli artt. 565 ss. c.c., il legislatore ha distinto tre classi di chiamati: i parenti (figli, genitori, ascendenti, fratelli e sorelle, parenti in linea collaterale dal terzo al sesto grado), il coniuge o l'unito civilmente e lo Stato; in ciascuna classe vengono individuati diversi ordini, di tal che i successibili di un dato ordine prevalgono su quelli dell'ordine successivo e sono esclusi da quelli dell'ordine anteriore. All'interno di ciascun ordine vige il principio secondo cui il parente di grado prossimo esclude quello più remoto, salva l'ipotesi in cui operi il meccanismo della rappresentazione.

La famiglia nel sistema attuale: il principio di unicità dello stato di figlio e i diritti dell'unito

I figli. La Riforma della Filiazione, attuata con legge 10 dicembre 2012, n. 219 e con il d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, ha inciso sull'assetto preesistente, introducendo nel nostro ordinamento il principio di uguaglianza tra i figli, con notevoli riflessi pratici anche nella disciplina della devoluzione successoria ex lege. Sostanzialmente, la novità principale della riforma, per quel che qui interessa, è l'equiparazione dei figli dal punto di vista dei diritti ereditari, sul presupposto del riconoscimento della sussistenza del medesimo stato giuridico (art. 315 c.c.), senza più distinzione tra figli legittimi ed extra matrimoniali. É stata infatti disposta l'eliminazione dei riferimenti presenti nelle norme ai figli “legittimi” e ai figli “naturali” e la sostituzione degli stessi con l'espressione unica di “figlio”.

L'art. 74 c.c., nella sua attuale versione, chiarisce che la parentela identifica il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione sia avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel caso in cui sia avvenuta al di fuori, sia nel caso in cui il figlio sia adottato (tanto in virtù dell'adozione piena quanto dell'adozione in casi particolari), fatta esclusione per le ipotesi di adozione di persone maggiori di età. Quindi, la filiazione fuori dal matrimonio produce effetti successori nei confronti di tutti i parenti e non solo nei riguardi dei genitori. Conseguenza di ciò è la successione fra fratelli extramatrimoniali, che fino alla riforma in commento non avevano alcun rapporto di parentela.

Ulteriore corollario del principio dell'unicità dello status di figlio è stata l'abrogazione (con il suddetto decreto attuativo d.lgs. n. 154/2013) dell'istituto della commutazione originariamente previsto, a beneficio dei figli c.d. legittimi, dall' art. 537, comma 3, c.c..

L'Unito civilmente. L'impianto normativo originario in materia di successione legittima è stato ulteriormente innovato dalla disciplina sulle unioni civili, nell'ambito di una generale revisione del concetto tradizionale di famiglia. La legge 20 maggio 2016, n. 76, ha introdotto nel nostro ordinamento l'istituto dell'unione civile tra persone dello stesso sesso, quale nuova formazione sociale che si costituisce attraverso una dichiarazione resa di fronte ad un ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni ed attestata da un apposito certificato di costituzione dell'unione civile registrato presso l'archivio comunale dello Stato Civile.

L'unione civile viene equiparata sotto il profilo successorio al matrimonio: il comma 21 della legge cit., infatti, chiarisce che alle parti delle unioni civili si applicano, tra l'altro, gli artt. 565 - 586 c.c., in materia di successione legittima, di tal che il riferimento al coniuge contenuto in dette norme, dovrà ritenersi integrato dal riferimento anche alla parte dell'unione civile.

Giova ricordare che, a differenza dell'unito civilmente, il convivente di fatto non matura diritti successori in caso di morte dell'altro convivente: l'ordinamento (art. 1, commi 42,44,49 Legge n.76/2016) prevede in suo favore soltanto limitate tutele. Innanzitutto, qualora la convivenza si svolgesse in una abitazione di titolarità del convivente defunto, è riconosciuto, al ricorrere dei presupposti stabiliti dalla norma, in favore del convivente superstite un diritto di abitazione di durata biennale (ovvero per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni); nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, è attribuita al convivente di fatto la facoltà di succedergli nel contratto; infine, in caso di decesso del convivente di fatto, derivante da fatto illecito di un terzo, nell'individuazione del danno risarcibile alla parte superstite è prevista l'applicazione dei medesimi criteri individuati per il risarcimento del danno al coniuge superstite.

I diritti di uso e abitazione nella successione legittima

Un rafforzamento della posizione del coniuge superstite discende dall'ampliamento, ad opera della giurisprudenza di legittimità, dei suoi diritti successori, stante il riconoscimento dei diritti di uso e di abitazione ex art. 540, comma 2, c.c. anche nell'ambito della successione legittima.

Tale norma, nel contesto della successione necessaria, prevede che al coniuge sia riservato il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. Il dubbio in merito alla spettanza di tali diritti anche nella successione ab intestato nasceva dalla circostanza che l'art. 581 c.c. nel disciplinare la successione ex lege del coniuge, non menziona tali diritti, mentre l'art. 584 c.c. in merito alla successione, sempre legittima, del coniuge putativo, richiama espressamente l'ultimo comma dell'art. 540 c.c..

Sulla questione sono intervenute le Sezioni Unite, con sentenza Cass. 27 febbraio 2013, n. 4847, hanno chiarito come tali diritti debbano riconoscersi anche nella successione legittima e che il relativo valore deve essere stralciato dall'asse ereditario per poi procedere alla divisione di quest'ultimo tra tutti i coeredi secondo le norme della successione legittima, non tenendo conto dell'attribuzione dei suddetti diritti secondo un meccanismo assimilabile al prelegato.

La questione in esame è tutt'altro che teorica, stante le relative implicazioni pratiche: il coniuge superstite, nel caso in esame, non è considerato possessore dell'eredità ma titolare del diritto di abitazione, di tal che non deve fare inventario ai sensi dell'art. 485 c.c. e non ha solo tre mesi di tempo per la rinuncia dell'eredità.

Presumibilmente gli stessi principi potranno applicarsi anche al diritto concesso all'unito civilmente dal comma 42 della l. n. 76/2016.

Diritti di uso e abitazione nella successione legittima: orientamenti a confronto

I diritti di uso e abitazione ex art. 540, comma 2, c.c. NON spettano nella successione legittima (orientamento superato dalla Cassazione a Sezioni Unite di cui infra)

In tema di successione legittima, nella quota intestata a favore del coniuge superstite ex art. 581 c.c. non sono compresi i diritti di abitazione e di uso, per cui in caso di prosecuzione, dopo il decesso del marito, della abitazione della casa coniugale e dell'utilizzo dei mobili di arredo ivi esistenti da parte della moglie si configura, ai sensi e per gli effetti dell'art. 485 c.c., il possesso dei beni ereditari in capo al chiamato all'eredità, essendo sufficiente a questo scopo l'instaurazione di una relazione materiale intesa come situazione di fatto, anche circoscritta ad uno solo dei beni ereditari, che consenta l'esercizio di concreti poteri su di essi; ne consegue, in difetto di omessa redazione dell'inventario entro tre mesi dall'apertura della successione, l'accettazione ex lege dell'eredità (Cass., sez. III, 5 maggio 2008, n. 11018)

I diritti di uso e abitazione ex art. 540, comma 2, c.c. nella successione legittima vanno computati all'interno della quota legittima

La riserva rappresenta il minimo, che il legislatore vuole assicurare ai più stretti congiunti, anche contro la volontà del defunto. I diritti di abitazione e di uso fanno parte della riserva e, quindi, anch'essi fanno parte del minimo. Per evitare che attraverso la disciplina delle successioni legittime vengano pregiudicati i diritti dei legittimari, l'art. 553 c.c., che serve di raccordo tra la successione legittima e la successione necessaria, stabilisce che le porzioni fissate nelle successioni legittime, ove risultino lesive dei diritti dei legittimari, si riducono proporzionalmente per integrare tali diritti. Da nessuna norma risulta che il legislatore abbia modificato il regime della successione intestata per attribuire agli eredi legittimi (che siano anche legittimari), più di quanto viene loro riservato con la successione necessaria. Poiché l'art. 553 c.c. vuole fare salva l'intera riserva del coniuge (secondo il sistema della successione necessaria), i diritti di abitazione e di uso si aggiungono alla quota di riserva regolata dall'art. 540 comma 1, c.c., e art. 542 c.c.. Per contro, non essendo ciò previsto da nessuna norma in tema di successione legittima, non v'è ragione per ritenere che alla quota intestata contemplata dagli artt. 581 e 582 c.c. si aggiungano i diritti di abitazione e di uso. (Cass. civ. sez. II, 6 aprile 2000 n. 4329).

I diritti di uso e abitazione ex art. 540, comma 2 c.c. spettano anche nella successione legittima alla stregua di un prelegato

Nella successione legittima spettano al coniuge del de cuius i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano previsti dall'art. 540, comma 2, c.c.; il valore capitale di tali diritti deve essere stralciato dall'asse ereditario per poi procedere alla divisione di quest'ultimo tra tutti i coeredi secondo le norme della successione legittima, non tenendo conto dell'attribuzione dei suddetti secondo un meccanismo assimilabile al prelegato. (Cass., S.U., 27 febbraio 2013, n. 4847).

Poiché la permanenza nell'abitazione familiare da parte del coniuge superstite è qualificabile come esercizio del diritto di abitazione e di uso dei mobili che la corredano quale legato ex lege, va escluso che la stessa sia qualificabile come possesso che comporta l'accettazione tacita dell'eredità (Cass., sez. VI, 16 novembre 2015, n. 23406)

Il riconoscimento di tale diritto di abitazione al coniuge del de cuius nella successione legittima e la sua assimilazione ad un prelegato ex lege comportano che la concreta spettanza di tale diritto non è subordinata alla relativa domanda dal coniuge stesso, trattandosi di un diritto attribuito a quest'ultimo in tale tipo di delazione ereditaria direttamente dalla legge, con la conseguenza che il diritto suddetto deve essere riconosciuto, nell'ambito della controversia avente ad oggetto lo scioglimento di una comunione ereditaria secondo le norme previste in materia di successione legittima, al suddetto coniuge del de cuius senza la necessità di una sua espressa richiesta in tal senso. (Cass., sez. II, 31 luglio 2013, n. 18354)

La Cassazione a Sezioni Unite, con la suddetta sentenza ha sottolineato come in tal senso milita anzitutto la ratio di tali diritti, riconducile alla volontà del legislatore di cui alla l. 19 maggio 1975, n. 151, di realizzare anche nella materia successoria una nuova concezione della famiglia tendente ad una completa parificazione dei coniugi non solo sul piano patrimoniale (mediante l'introduzione del regime imperniato sulla comunione legale), ma anche sotto quello etico e sentimentale, sul presupposto che la ricerca di un nuovo alloggio per il coniuge superstite potrebbe essere fonte di un grave danno psicologico e morale per la stabilità delle abitudini di vita della persona; ebbene è evidente che tale finalità dell'istituto è valida per il coniuge superstite sia nella successione necessaria che in quella legittima.

La giurisprudenza di legittimità giustifica la mancata estensione del riconoscimento dei diritti in parola in favore del convivente more uxorio sul presupposto che allo stesso è negata la qualifica di legittimario - diversamente dal coniuge e dall'unito civilmente.

Diritti di uso e abitazione e convivenza di fatto: la ratio della mancata estensione normativa

Cass. civile, sez. III, sentenza 27 aprile 2017 n. 10377: Nè appare configurabile una lesione del principio di pari trattamento di situazioni identiche nella omessa estensione anche al convivente more uxorio del diritto di abitazione e di uso previsto dall'art. 540 c.c., avendo ritenuto il Giudice delle leggi infondata la questione in considerazione del differente presupposto della successione mortis causa cui si ricollega l'applicazione di tale norma: "i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, attribuiti al coniuge dall'art. 540 c.c., comma 2, sono oggetto di una vocazione a titolo particolare collegata alla vocazione (a titolo universale) a una quota di eredità, cioè

presuppongono nel legatario la qualità di legittimario al quale la legge riserva una quota di eredità

. Tale collegamento, per cui i detti diritti formano un'appendice della legittima in quota, si spiega sul riflesso che oggetto della tutela dell'art. 540, comma 2, non è il bisogno dell'alloggio (che da questa norma riceve protezione solo in via indiretta ed eventuale), ma sono altri interessi di natura non patrimoniale, riconoscibili solo in connessione con la qualità di erede del coniuge, quali la conservazione della memoria del coniuge scomparso, il mantenimento del tenore di vita, delle relazioni sociali e degli status symbols goduti durante il matrimonio, con conseguente inapplicabilità, tra l'altro, dell'art. 1022 c.c., che regola l'ampiezza del diritto di abitazione in rapporto al bisogno dell'abitatore". (cfr. Corte cost., sentenza 26 maggio 1989 n. 310).

Vocazioni legittime anomale

L'esigenza di bilanciare gli interessi tutelati dalla normativa in esame con altri interessi, ugualmente meritevoli di tutela, costituisce il presupposto delle c.d. successioni legittime anomale, nelle quali viene predeterminata a livello normativo una deviazione inderogabile, salvo rinuncia da parte del beneficiario ex lege rispetto agli ordinari principi che orientano la successione legittima. L'anomalia rispetto alla normativa può essere di tipo oggettivo o soggettivo: nel primo caso, si tratta di previsioni volte ad impedire il frazionamento di determinati beni facenti parte dell'asse ereditario stante la peculiare funzione che gli stessi sono preordinati ad assolvere.

In evidenza

Esempio 1: la vocazione alla successione nel maso chiuso, oppure nel compendio unico, che comportano l'indivisibilità dell'azienda agricola e del terreno agricolo costituito in compendio unico anche in caso di trasferimenti mortis causa.

La deviazione dai principi ordinari può anche essere di tipo soggettivo e può concretarsi tanto in un'alterazione dell'ordine dei successibili, quanto nel coinvolgimento di soggetti altrimenti esclusi dal novero di cui all'art. 565 c.c..

Esempio 2: la successione nel contratto di locazione di immobili urbani (ex l. 27 luglio 1978, n. 392), nei contratti agrari (ex l. 5 maggio 1982, n. 203) ovvero il riconoscimento dell'assegno periodico a carico dell'eredità in favore del coniuge divorziato superstite, al ricorrere di determinati presupposti (l. 1 dicembre 1970, n. 898): il divorzio, infatti, costituisce limite invalicabile per l'applicazione delle norme in materia di successione legittima, in quanto determina il venir meno del rapporto familiare, essendo da escludere la configurabilità tra coniugi divorziati di una comunità familiare (Cass., sez. I, 25 febbraio 2004, n. 3747).

Vanno infine distinti dalle vocazioni anomale i c.d. acquisti jure proprio, che rappresentano fattispecie nelle quali l'acquisto di un diritto avviene in occasione dell'apertura della successione di un soggetto, ma non è causalmente riconducibile all'evento morte: il diritto è conseguito dal beneficiario direttamente e in proprio e non deriva dal patrimonio del testatore (es. il diritto morale d'autore ex l. 22 aprile 1941, n. 633).

Casistica

Concorso tra successione legittima e testamentaria

La perdita del diritto di accettare l'eredità ex art. 481 c.c. comporta anche la perdita della qualità di chiamato all'eredità e di conseguenza l'inefficacia della chiamata all'eredità per testamento con l'ulteriore conseguenza che non si verifica la coesistenza di una successione testamentaria e di una successione legittima, ma si apre esclusivamente la successione legittima e, in conseguenza dell'inefficacia della devoluzione testamentaria, l'eredità, ai sensi dell'art. 457 c.c. si devolve per legge (Cass., sez. VI, 20 ottobre 2014, n. 22195).

Il principio fissato dall'art. 457 c.c. (secondo cui, per la parte dell'asse ereditario della quale il de cuius non abbia disposto per testamento, si apre la successione legittima) trova applicazione anche nel caso in cui ad un erede legittimo, con il testamento, sia stato attribuito un legato. (Cass., sez. II, 15 giugno 1999, n. 5918).

Categorie di successibili

È manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 583 c.c., nella parte in cui non prevede che, in assenza di altri successibili, l'eredità si devolva al coniuge divorziato, atteso che l'art. 42 u.c. Cost. ha rimesso la determinazione delle categorie dei chiamati alla successione legittima alla valutazione discrezionale del legislatore (la quale non incontra altri limiti che quello imposto dal principio costituzionale di tutela della famiglia ai sensi dell'art. 29 Cost., limite non operante con il venir meno in via definitiva del vincolo matrimoniale, essendo da escludere la configurabilità nel rapporto tra coniugi divorziati di una comunità familiare, nonché quello derivante dalla direttiva di equiparazione della filiazione naturale a quella legittima dettata dall'art. 30, comma 3, Cost.), e che, inoltre, la scelta legislativa di non includere tra i successibili l'ex coniuge, anche in mancanza di chiamati per diritto di coniugio o di parentela, e di accordargli, in relazione all'eredità, la limitata tutela di cui all'art. 9-bis l. n. 898/1970, e succ. modif. (la quale trova ragione non già nella persistente rilevanza del matrimonio, ma nel fatto oggettivo della pregressa esistenza di un vincolo ormai definitivamente disciolto ed in esigenze solidaristiche che si proiettano anche dopo la morte del coniuge), non si pone in contrasto con il principio di ragionevolezza, essendo d'altro canto inconferente come tertium comparationis la disciplina dettata per la successione del coniuge putativo dall'art. 584 c.c. e dovendo escludersi che un'indicazione nel senso dell'equiparazione della posizione e dei diritti patrimoniali del coniuge divorziato a quelli del soggetto ancora legato da rapporto di matrimonio sia rintracciabile nell'art. 12-sexies l. div. (Cass., sez. I, 25 febbraio 2004, n. 3747).

Sommario