Successione legittimaFonte: Cod. Civ. Articolo 565
01 Agosto 2022
Inquadramento
L'apertura della successione che, a norma dell'art. 456 c.c., coincide con il momento della morte del defunto, costituisce il presupposto della delazione dell'eredità: nel definire le modalità con le quali può avvenire il passaggio generazionale della ricchezza ovvero, rectius, del fascio di situazioni giuridiche patrimoniali facenti capo al de cuius, il legislatore ha previsto, all'art. 457, comma 1, c.c., quali unici titoli di devoluzione dell'eredità, la legge ed il testamento, segnatamente prevedendo l'operatività della successione legittima quando manca, in tutto o in parte, quella testamentaria. Per una precisa scelta di politica legislativa, risulta espressamente esclusa (salve eccezioni di legge) la delazione di matrice contrattuale, stante il divieto dei patti successori di cui all'art. 458 c.c..
La successione legittima deve essere distinta dalla successione necessaria che, prevedendo i diritti intangibili dei c.d. legittimari, costituisce un limite alla libera determinazione volitiva del testatore; le due forme di successione in esame, costituenti due specie dello stesso genere, pur avendo in comune il titolo costitutivo e (in parte) il fondamento (la tutela della famiglia) si differenziano notevolmente per l'oggetto: nella successione ex lege si considera unicamente ciò che residua nel patrimonio ereditario al momento della morte e nel secondo caso, invece, viene aggiunto al relictum (detratti i debiti) quanto donato dal de cuius in vita. I presupposti della successione legittima
Il presupposto oggettivo di operatività della successione legittima è rappresentato dalla mancanza della successione testamentaria: dovendosi devolvere mortis causa l'intero patrimonio del de cuius, è facile intuire, sul piano logico prima ancora che giuridico, che ciò che rileva non è soltanto l'esistenza o meno di un testamento bensì anche la ricorrenza, nell'eventuale testamento, di una vocazione a titolo universale: la previsione da parte del testatore esclusivamente di una serie di legati determina, infatti, comunque l'apertura della successione ab intestato, mentre quest'ultima è esclusa nel caso in cui il testatore abbia disposto dell'eredità a titolo di istituzione di erede, esaurendo il suo intero patrimonio (Cass. 10 maggio 2002, n. 6697). Al riguardo, l'art. 457, comma 2, c.c., nel prevedere che non si fa luogo alla successione legittima se non quando manca in tutto o in parte quella testamentaria, chiarisce anche il rapporto tra le due delazioni. Dal tenore letterale della norma discendono due corollari: il primo è la sussidiarietà della successione ab intestato rispetto a quella testamentaria, il secondo è il possibile concorso tra le due forme di delazione. In tale ultima evenienza è opportuno sottolineare, per i riflessi pratici che ne conseguono, che la duplicità dei titoli della devoluzione successoria non comporta anche la duplicità delle delazioni: pertanto, l'accettazione dell'eredità resta unica, conformemente al principio sotteso all'art. 475, comma 3 c.c., che vieta accettazioni parziali dell'eredità. Come di recente sottolineato in giurisprudenza, il concorso tra le due vocazioni è riconducibile ad un rapporto di reciproca integrazione (Cass., sez. VI, 20 ottobre 2014, n. 22195). Dal punto di vista pratico, la mancanza della successione testamentaria può essere originaria o sopravvenuta. Ad esempio, ricorre il primo caso laddove difetti qualsiasi scheda testamentaria, ovvero la stessa, senza recare istituzione di erede, contenga solo attribuzione di legati (Cass. 7 aprile 1997, n. 2968) o comunque non esaurisca l'intero asse ereditario; la mancanza sopravvenuta, può verificarsi, tra l'altro, in caso di avveramento della condizione risolutiva, di pronuncia di indegnità dell'erede, di mancata accettazione dell'eredità, oppure di perdita del diritto di accettare l'eredità ex art. 481 c.c. (Cass., sez. VI, 20 ottobre 2014, n. 22195). Una possibile ipotesi di concorso tra successione testamentaria e successione legittima si può avere anche in caso di institutio ex re certa – quindi di concorso tra l'istituito ex re e l'erede legittimo - ipotesi sulla quale si è soffermata la giurisprudenza di legittimità, anche in tempi recenti (Cass. n. 17868/2019, n. 9487/2021, da ultimo Cass. n. 42121/2021). Nel caso in cui il de cuius abbia disposto nella scheda testamentaria l'attribuzione di beni determinati, occorre sempre vedere quale sia stata l'intenzione del testatore: effettuare un lascito a titolo particolare quale legato, ovvero lasciare quei beni, pur indicati nominativamente, quale quota del suo patrimonio, realizzando un'istituzione di erede (Cass. n. 6125/2020; n. 24163/2013). L'interpretazione della volontà del de cuius - una quaestio voluntatis che va esaminata dal giudice di merito in base ai canoni ermeneutici fondamentali (Cass. n. 5773/1980) - non è scevra di conseguenze in ordine alla definizione della sorte dei beni dei quali il testatore non abbia espressamente disposto. Infatti, laddove non sia riconosciuto il carattere universale della disposizione, in mancanza di una manifestazione contraria all'apertura della successione legittima, i beni consapevolmente esclusi sono attribuiti al chiamato ex lege. Se la quota dell'istituito ex re è determinata in base al rapporto fra le cose attribuite e il valore globale dei beni che il testatore sapeva di possedere in quel dato momento, tenuto conto anche di quelli non contemplati nel testamento, nella quota differenziale, formata dalle altre cose dell'asse, succede l'erede legittimo; nella stessa proporzione, in forza della virtù espansiva che costituisce connotato essenziale della vocazione a titolo universale, si ripartiranno fra erede testamentario e legittimo i beni ignorati dal testatore o sopravvenuti dopo la confezione della scheda. (Cass. 31 dicembre 2021, n. 42121). Il presupposto soggettivo di operatività della successione legittima è costituito dalla sussistenza di un titolo a succedere, ovvero di un particolare legame familiare tra il successibile ed il de cuius; in particolare, i soggetti ai quali la legge attribuisce la facoltà di subentrare nella titolarità dell'eredità relitta sono il coniuge o l'unito civilmente, i discendenti, gli ascendenti, i collaterali e gli altri parenti fino al sesto grado. Infine, in mancanza di altri successibili, l'eredità è devoluta allo Stato: in tal caso, ulteriore presupposto da accertare è il rapporto di cittadinanza del de cuius con lo Stato, anche alla luce della normativa di cui alla legge 31 maggio 1995, n. 218. Peraltro, in caso di successioni trasnazionali, è possibile anche il concorso tra distinte normative nazionali nella disciplina di una medesima vicenda successoria: con una recente pronuncia le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza del 5 febbraio 2021, n. 2867) hanno esaminato il caso in cui la legge nazionale del defunto, che regola la successione (individuata ai sensi dell'art. 46 legge n. 218/1995), sottoponga i beni relitti alla legge del domicilio dello stesso se mobili e alla legge italiana se immobili, secondo la regola del rinvio indietro ex art. 13, comma 1, lett. b), legge n. 218/1995. In tale evenienza, dunque, si determina l'apertura di due successioni e la formazione di due masse, ciascuna delle quali soggetta a differenti regole di vocazione e delazione e dunque a differenti leggi alla cui stregua verificare la validità e l'efficacia del titolo successorio, individuare gli eredi, determinare l'entità delle quote e le modalità di accettazione e di pubblicità, e apprestare l'eventuale tutela dei legittimari. Il fondamento della successione legittima
Le ragioni sottese alla predeterminazione normativa dei soggetti beneficiari della delazione successoria ex lege sono state nel tempo diversamente ricostruite, dalla tesi della presunta volontà del testatore a quella dell'appartenenza dei beni del defunto all'intero nucleo familiare in comunione. In realtà appare evidente come in molti casi non sia possibile rinvenire alcuna volontà del de cuius (ad esempio nell'ipotesi di rinuncia dei chiamati per testamento, laddove non operino sostituzione, rappresentazione e accrescimento) e che lo stesso abbia piena diponibilità dei beni facenti parte del suo patrimonio fino al momento della morte: quello che emerge dalla lettura dell'intero sistema codicistico della successione legittima, anche alla luce delle evoluzioni normative più recenti, è l'esigenza di tutelare la famiglia, considerando cioè, prioritariamente, il rapporto di famiglia che lega il de cuius ai successibili. Non può dubitarsi invece che la previsione della possibile devoluzione dell'eredità in favore dello Stato, ai sensi dell'art. 586 c.c., abbia una ratio differente, ovvero quella di assicurare la continuità dei rapporti giuridici patrimoniali facenti capo al defunto, impedendo la dispersione dei beni rientranti nel suo asse ereditario. Le categorie dei successibili
Nell'individuazione delle categorie dei successibili, ai sensi degli artt. 565 ss. c.c., il legislatore ha distinto tre classi di chiamati: i parenti (figli, genitori, ascendenti, fratelli e sorelle, parenti in linea collaterale dal terzo al sesto grado), il coniuge o l'unito civilmente e lo Stato; in ciascuna classe vengono individuati diversi ordini, di tal che i successibili di un dato ordine prevalgono su quelli dell'ordine successivo e sono esclusi da quelli dell'ordine anteriore. All'interno di ciascun ordine vige il principio secondo cui il parente di grado prossimo esclude quello più remoto, salva l'ipotesi in cui operi il meccanismo della rappresentazione. La famiglia nel sistema attuale: il principio di unicità dello stato di figlio e i diritti dell'unito
I figli. La Riforma della Filiazione, attuata con legge 10 dicembre 2012, n. 219 e con il d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, ha inciso sull'assetto preesistente, introducendo nel nostro ordinamento il principio di uguaglianza tra i figli, con notevoli riflessi pratici anche nella disciplina della devoluzione successoria ex lege. Sostanzialmente, la novità principale della riforma, per quel che qui interessa, è l'equiparazione dei figli dal punto di vista dei diritti ereditari, sul presupposto del riconoscimento della sussistenza del medesimo stato giuridico (art. 315 c.c.), senza più distinzione tra figli legittimi ed extra matrimoniali. É stata infatti disposta l'eliminazione dei riferimenti presenti nelle norme ai figli “legittimi” e ai figli “naturali” e la sostituzione degli stessi con l'espressione unica di “figlio”. L'art. 74 c.c., nella sua attuale versione, chiarisce che la parentela identifica il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione sia avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel caso in cui sia avvenuta al di fuori, sia nel caso in cui il figlio sia adottato (tanto in virtù dell'adozione piena quanto dell'adozione in casi particolari), fatta esclusione per le ipotesi di adozione di persone maggiori di età. Quindi, la filiazione fuori dal matrimonio produce effetti successori nei confronti di tutti i parenti e non solo nei riguardi dei genitori. Conseguenza di ciò è la successione fra fratelli extramatrimoniali, che fino alla riforma in commento non avevano alcun rapporto di parentela. Ulteriore corollario del principio dell'unicità dello status di figlio è stata l'abrogazione (con il suddetto decreto attuativo d.lgs. n. 154/2013) dell'istituto della commutazione originariamente previsto, a beneficio dei figli c.d. legittimi, dall' art. 537, comma 3, c.c..
L'Unito civilmente. L'impianto normativo originario in materia di successione legittima è stato ulteriormente innovato dalla disciplina sulle unioni civili, nell'ambito di una generale revisione del concetto tradizionale di famiglia. La legge 20 maggio 2016, n. 76, ha introdotto nel nostro ordinamento l'istituto dell'unione civile tra persone dello stesso sesso, quale nuova formazione sociale che si costituisce attraverso una dichiarazione resa di fronte ad un ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni ed attestata da un apposito certificato di costituzione dell'unione civile registrato presso l'archivio comunale dello Stato Civile. L'unione civile viene equiparata sotto il profilo successorio al matrimonio: il comma 21 della legge cit., infatti, chiarisce che alle parti delle unioni civili si applicano, tra l'altro, gli artt. 565 - 586 c.c., in materia di successione legittima, di tal che il riferimento al coniuge contenuto in dette norme, dovrà ritenersi integrato dal riferimento anche alla parte dell'unione civile. Giova ricordare che, a differenza dell'unito civilmente, il convivente di fatto non matura diritti successori in caso di morte dell'altro convivente: l'ordinamento (art. 1, commi 42,44,49 Legge n.76/2016) prevede in suo favore soltanto limitate tutele. Innanzitutto, qualora la convivenza si svolgesse in una abitazione di titolarità del convivente defunto, è riconosciuto, al ricorrere dei presupposti stabiliti dalla norma, in favore del convivente superstite un diritto di abitazione di durata biennale (ovvero per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni); nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, è attribuita al convivente di fatto la facoltà di succedergli nel contratto; infine, in caso di decesso del convivente di fatto, derivante da fatto illecito di un terzo, nell'individuazione del danno risarcibile alla parte superstite è prevista l'applicazione dei medesimi criteri individuati per il risarcimento del danno al coniuge superstite. I diritti di uso e abitazione nella successione legittima
Un rafforzamento della posizione del coniuge superstite discende dall'ampliamento, ad opera della giurisprudenza di legittimità, dei suoi diritti successori, stante il riconoscimento dei diritti di uso e di abitazione ex art. 540, comma 2, c.c. anche nell'ambito della successione legittima. Tale norma, nel contesto della successione necessaria, prevede che al coniuge sia riservato il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. Il dubbio in merito alla spettanza di tali diritti anche nella successione ab intestato nasceva dalla circostanza che l'art. 581 c.c. nel disciplinare la successione ex lege del coniuge, non menziona tali diritti, mentre l'art. 584 c.c. in merito alla successione, sempre legittima, del coniuge putativo, richiama espressamente l'ultimo comma dell'art. 540 c.c.. Sulla questione sono intervenute le Sezioni Unite, con sentenza Cass. 27 febbraio 2013, n. 4847, hanno chiarito come tali diritti debbano riconoscersi anche nella successione legittima e che il relativo valore deve essere stralciato dall'asse ereditario per poi procedere alla divisione di quest'ultimo tra tutti i coeredi secondo le norme della successione legittima, non tenendo conto dell'attribuzione dei suddetti diritti secondo un meccanismo assimilabile al prelegato. La questione in esame è tutt'altro che teorica, stante le relative implicazioni pratiche: il coniuge superstite, nel caso in esame, non è considerato possessore dell'eredità ma titolare del diritto di abitazione, di tal che non deve fare inventario ai sensi dell'art. 485 c.c. e non ha solo tre mesi di tempo per la rinuncia dell'eredità. Presumibilmente gli stessi principi potranno applicarsi anche al diritto concesso all'unito civilmente dal comma 42 della l. n. 76/2016.
La Cassazione a Sezioni Unite, con la suddetta sentenza ha sottolineato come in tal senso milita anzitutto la ratio di tali diritti, riconducile alla volontà del legislatore di cui alla l. 19 maggio 1975, n. 151, di realizzare anche nella materia successoria una nuova concezione della famiglia tendente ad una completa parificazione dei coniugi non solo sul piano patrimoniale (mediante l'introduzione del regime imperniato sulla comunione legale), ma anche sotto quello etico e sentimentale, sul presupposto che la ricerca di un nuovo alloggio per il coniuge superstite potrebbe essere fonte di un grave danno psicologico e morale per la stabilità delle abitudini di vita della persona; ebbene è evidente che tale finalità dell'istituto è valida per il coniuge superstite sia nella successione necessaria che in quella legittima. La giurisprudenza di legittimità giustifica la mancata estensione del riconoscimento dei diritti in parola in favore del convivente more uxorio sul presupposto che allo stesso è negata la qualifica di legittimario - diversamente dal coniuge e dall'unito civilmente.
Vocazioni legittime anomale
L'esigenza di bilanciare gli interessi tutelati dalla normativa in esame con altri interessi, ugualmente meritevoli di tutela, costituisce il presupposto delle c.d. successioni legittime anomale, nelle quali viene predeterminata a livello normativo una deviazione inderogabile, salvo rinuncia da parte del beneficiario ex lege rispetto agli ordinari principi che orientano la successione legittima. L'anomalia rispetto alla normativa può essere di tipo oggettivo o soggettivo: nel primo caso, si tratta di previsioni volte ad impedire il frazionamento di determinati beni facenti parte dell'asse ereditario stante la peculiare funzione che gli stessi sono preordinati ad assolvere.
Vanno infine distinti dalle vocazioni anomale i c.d. acquisti jure proprio, che rappresentano fattispecie nelle quali l'acquisto di un diritto avviene in occasione dell'apertura della successione di un soggetto, ma non è causalmente riconducibile all'evento morte: il diritto è conseguito dal beneficiario direttamente e in proprio e non deriva dal patrimonio del testatore (es. il diritto morale d'autore ex l. 22 aprile 1941, n. 633). Casistica
Bussole di inquadramentoPotrebbe interessarti |