Casa familiare: assegnazione

Andrea Gragnani
10 Agosto 2023

L'assegnazione della casa familiare è disciplinata dall'art. 337-sexies del codice civile, secondo cui «il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli».
Inquadramento

* Aggiornamento di M. Petronelli

Le vicende relative alle sorti dell'abitazione familiare nella situazione di crisi della famiglia attengono, come precisato dalle Sezioni Unite con pronuncia n. 11096/2022 all'ambito del regime primario della famiglia poiché le sue vicende coinvolgono non solo i profili personali dei soggetti interessati ma anche situazioni economiche.

La sua disciplina è attualmente contenuta all'art. 337-sexies c.c., come introdotto nel nostro ordinamento dal d. lgs n 154/2013 nel contesto della riorganizzazione della materia della responsabilità genitoriale, pur se le relative previsioni sostanzialmente ricalcano quanto già previsto dall'abrogato art. 155 quater c.c.

La ratio della norma

Il primo comma dell'art. 337-sexies c.c. prevede che «Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli”.

Da tale inciso, oltre che dalla collocazione sistematica della norma, se ne ricava che l'assegnazione della casa familiare abbia il fine di tutelare gli interessi della prole coinvolta nella crisi familiare, mediante la conservazione del proprio habitat, considerato fattore importante per garantire loro una adeguata crescita psico-fisica, ancorché il destinatario dell'assegnazione sia un genitore (Cass.civ.,S.U., n. 11297/1995; Cass. civ., n. 20452/2022).

Diretto corollario di tale inciso è che potrà procedersi all'assegnazione solamente se vi siano figli conviventi, minorenni o maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti, in assenza dei quali la “ratio” protettiva cui è riferita la norma non potrà dirsi configurabile, non sussistendo alcuna esigenza di speciale protezione nei confronti di figli economicamente autosufficienti, sebbene ancora conviventi, né il Tribunale potrà procedere in tal senso a favore del coniuge economicamente più debole, quale forma di prestazione in natura, ancorché parziale, del mantenimento (Cass. civ. n. 25604/2018; Cass. civ. n. 3015/2018).

La finalità posta alla base della disciplina dell'istituto non esclude – tuttavia – che i genitori, nell'ambito dell'autonomia negoziale riconosciuta in loro favore dall'ordinamento, possano assumere accordi differenti,da inserire nella convenzione per separazione consensuale, che prevedano – ad esempio - il trasferimento di un altro bene in luogo di quello originariamente destinato ad abitazione familiare, ovvero pattuendo l'assegnazione di tale ultimo immobile per un periodo inferiore o superiore rispetto a quello normativamente previsto, potendosi spingere sino a prevedere l'assegnazione della casa familiare pur nelle ipotesi in cui non vi siano figli conviventi.

In evidenza

La norma è applicabile ai rapporti tra genitori e figli, siano essi nati dal matrimonio o fuori di esso. Tutti i figli indistintamente, pertanto, hanno diritto all'assegnazione della casa familiare in caso di cessazione della convivenza dei loro genitori, a prescindere dal fatto che questi siano o meno sposati

Collocazione della norma

La norma sull'assegnazione della casa familiare era originariamente collocata nell'art.155 c.c. sui "provvedimenti riguardo ai figli", dettato in materia di separazione, mentre nulla era previsto in caso di figli nati fuori dal matrimonio, ciò richiese l'intervento della Corte costituzionale che con una sentenza interpretativa di rigetto, spiegò come la tutela dei minori attraverso l'assegnazione della casa familiare dovesse ritenersi immanente nell'ordinamento e dovesse essere attuata sulla base di una interpretazione sistematica delle norme del codice (C.cost.,n.166/1998).

L'attuale collocazione della norma si deve alla grande riforma della filiazione avviata con il l.d.10 dicembre 2012, n. 219 e attuata con il d.lgs. n. 154/2013, che ha spostato la materia nel titolo IX del primo libro del codice, relativo alla responsabilità genitoriale e ai doveri dei figli, di cui agli artt.315 e ss.c.c., applicabile indistintamente ai rapporti tra genitori e figli, siano essi nati dal matrimonio o fuori di esso. Si veda in particolare l'art. 337-bis c.c. secondo cui tutte le altre norme in materia di provvedimenti relativi ai figli si applicano indistintamente «in caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio».

Presupposti per l'assegnazione

Presupposto indefettibile perché possa essere disposta l'assegnazione della casa coniugale è la presenza di figli, minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti ovvero portatori di handicap grave (Cass., civ., n. 2670/2023), a cui si associa quello ulteriore della loro convivenza con il genitore collocatario, dovendosi ritenere, in caso contrario, che la finalità propria dell'istituto venga meno (Cass. civ. n. 3934/2008; Cass. civ. 16398/2007; Cass. civ. n. 6979/2007).

La nozione di convivenza del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente ha creato non pochi problemi interpretativi che hanno indotto la giurisprudenza a specificare che – ai fini dell'assegnazione della casa familiare – sarà necessaria la stabile dimora presso la stessa, non apparendo sufficienti saltuari rientri per il fine settimana, integranti – piuttosto - un rapporto di ospitalità (Cass. civ., n. 27374/2022; Cass. civ. n. 16134/2019).

Una deroga a tale principio la si ha nel caso in cui vi siano figli maggiorenni che abbiano intrapreso studi universitari in altra città; per tale ipotesi il requisito della convivenza non va escluso essendo, comunque, necessario che permanga un collegamento stabile con l'abitazione del genitore che potrà dirsi realizzato, anche in mancanza di un rapporto quotidiano, allorché il figlio faccia ritorno presso l'abitazione familiare con regolarità, ogni volta in cui gli impegni di studio glielo consentano (Cass. civ. n. 11844/2019; Cass. civ. n. 25604/2018).

Natura, oggetto e contenuto del diritto (diritti sottostanti e immobili assegnabili)

Si è a lungo dibattuto sulla natura del diritto di assegnazione, per giungere alla conclusione, unanimemente condivisa, che si tratti di un diritto di godimento tipico del diritto di famiglia (Cass.civ.,n.8361/2011). L'assegnazione della casa familiare, quindi, non è un diritto reale, non è assimilabile al diritto di abitazione di cui all'art. 1022 c.c. e lascia del tutto invariati i diritti sottostanti, poiché il suo unico scopo è quello di determinare quale genitore, nell'interesse dei figli, dovrà continuare ad abitare con loro nella casa familiare.

La casa oggetto di assegnazione può essere unicamente quella adibita ad abitazione familiare, con esclusione quindi delle seconde case e il diritto di assegnazione prescinde dal titolo di utilizzo dell'immobile sottostante, potendo riguardare non solo una casa di proprietà di uno dei coniugi o in comproprietà ad entrambi, ma anche un immobile condotto in locazione o detenuto in comodato (Cass. n. 14553/2011).

Quanto al contenuto del diritto, a seguito del provvedimento di assegnazione, il genitore non beneficiario dell'attribuzione del bene, verrà escluso dall'utilizzazione dello stesso, pur se la sua titolarità sull'immobile rimarrà invariata, sicchè in caso di proprietà o di comproprietà, il diritto del proprietario non assegnatario subirà la limitazione connessa all'uso ma il suo diritto rimarrà invariato, tanto che l'immobile - pur se assegnato - potrà essere venduto a terzi da parte del proprietario oppure, in caso di comproprietà, essere oggetto di divisione con vendita a terzi, fermo restando ovviamente il diritto di assegnazione, che sarà opponibile senza trascrizione, per nove anni dalla data dell'emissione del relativo provvedimento e, oltre il novennio, se trascritto (Cass. civ. n. 20144/2009).

In caso di locazione, la durata di questa resta determinata dal contratto, che ovviamente non può subire modificazioni ad opera di un provvedimento giudiziale che ha il solo scopo di determinare quale genitore continuerà ad abitare con i figli nell'immobile. L'unica modifica contrattuale prevista dalla legge, infatti, è la successione nel contratto del genitore assegnatario, prevista dall'art. 6 l. n. 392/1978 (legge sulle locazioni), secondo cui in caso di separazione giudiziale o divorzio «succede al conduttore l'altro coniuge, se il diritto di abitare nella casa familiare sia stato attribuito dal giudice a quest'ultimo» (comma 2), mentre in caso di separazione consensuale «al conduttore succede l'altro coniuge se tra i due si sia così convenuto» (comma 3) (sul punto cfr. Cass.,civ. n.10104/2009). Occorre, in altre parole, per la successione nel contratto, che sia prevista l'assegnazione, dal giudice in caso di provvedimento giudiziale, o dalle parti in caso di separazione giudiziale.

Diverso e più complesso è il caso del comodato. L'impostazione dovrebbe essere la stessa della locazione, ovvero che l'assegnazione serve unicamente a determinare il genitore che ha diritto a continuare ad abitare nella casa, mentre il titolo di utilizzo dell'immobile continua a trovare la sua fonte nel contratto di comodato.

In giurisprudenza, tuttavia, si sono proposti due diversi indirizzi interpretativi: uno secondo cui l'assegnazione comporta unicamente una successione nel contratto, in analogia a quanto previsto dalla legge sulle locazioni, e il diritto di abitare nell'immobile, nei rapporti con il proprietario, continua ad essere regolato dal contratto, a partire dalla questione principale, vale a dire la sua durata (si vedano sul punto: Cass. civ., n. 2407/1998; Cass.civ.,n.10258/1997); l'altro, invece, dispone che con l'assegnazione il diritto di abitare nella casa familiare in capo all'assegnatario non troverebbe più la sua fonte nel contratto di comodato, bensì nel provvedimento del giudice, da cui soltanto si dovrebbe trarre la disciplina del rapporto, al punto che lo stesso verrebbe a cessare solamente qualora vengano meno i presupposti dell'assegnazione (si veda sul punto Cass.civ.,n.10977/1996).

Tale secondo indirizzo ha necessitato di un nuovo intervento della Corte di Cassazione, che a Sezioni Unite ha superato il predetto contrasto affermando che l'assegnazione di un immobile in comodato «non modifica la natura ed il contenuto del titolo di godimento sull'immobile, ma determina una concentrazione, nella persona dell'assegnatario, di detto titolo di godimento, che resta regolato dalla disciplina del comodato, con la conseguenza che il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l'uso previsto nel contratto posto che le finalità del negozio giuridico non si esauriscono per effetto della crisi coniugale, salva l'ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell'art.1809 comma2 c.c.» (Cass.,S.U.,n.13603/2004).

Da qui, in alcune pronunce, è stato previsto che l'uso debba essere consentito finché l'immobile continui ad assolvere alla funzione di casa familiare (Trib. Bologna 14 aprile 2007), dovendosi il comodato intendersi non come "precario", ma come "a termine", sicché il comodante sarà tenuto a consentire la continuazione del godimento per l'uso previsto nel contratto, e dunque per l'uso di abitazione familiare, salvo il sopravvenire di un urgente ed imprevisto bisogno (Cass. civ. n. 16769/2012; Cass. civ. n. 2103/2012; Cass. civ. n. 4917/2011).

Il principio è stato successivamente rimodulato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte secondo cui l'affidatario della prole, assegnatario della casa familiare, potrà opporre al comodante, che chieda il rilascio dell'immobile, l'esistenza di un provvedimento di assegnazione, pronunciato in un giudizio di separazione o divorzio, solo se tra il comodante e almeno uno dei coniugi il contratto in precedenza insorto abbia contemplato la destinazione del bene a casa familiare, poiché, in tale evenienza, il rapporto, riconducibile al tipo regolato dagli artt. 1803 e 1809 c.c., sorge per un uso determinato ed ha, in assenza di una espressa indicazione della scadenza, una durata determinabile per relationem, con applicazione delle regole che disciplinano la destinazione della casa familiare, indipendentemente dall'insorgere di una crisi coniugale, ed è destinato a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari (Cass. SS.UU., n. 20448/2014). Peraltro la destinazione, nel contratto di comodato, della casa a residenza familiare, non può essere presunta, e va accertata caso per caso con applicazione della soluzione più favorevole allo scioglimento del comodato (Cass. civ. n. 24838/2014).

Orientamento a confronto

Durata del contratto di comodato e assegnazione della casa coniugale

Restituzione dell'immobile su richiesta del comodante solo nell'ipotesi di sopravvenienza di un bisogno

Ove il comodato di un bene immobile sia stato stipulato senza limiti di durata in favore di un nucleo familiare (nella specie: dal genitore di uno dei coniugi) già formato o in via di formazione, si versa nell'ipotesi del comodato a tempo indeterminato, caratterizzato dalla non prevedibilità del momento in cui la destinazione del bene verrà a cessare. Infatti, in tal caso, per effetto della concorde volontà delle parti, si è impresso allo stesso un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari (e perciò non solo e non tanto a titolo personale del comodatario) idoneo a conferire all'uso - cui la cosa deve essere destinata - il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la crisi coniugale e senza possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo esclusivamente dalla volontà, ad nutum, del comodante. Salva la facoltà di quest'ultimo di chiedere la restituzione nell'ipotesi di sopravvenienza di un bisogno, ai sensi dell'art. 1809, comma 2, c.c., segnato dai requisiti della urgenza e della non previsione.

Durata del contratto rimessa alla sola volontà del comodante

Qualora venga concesso un comodato sine termine su un immobile destinato ad abitazione familiare (e solo per tale scopo concesso), si ha la fattispecie del cd. comodato precario, caratterizzato dalla circostanza che la determinazione del termine di efficacia del vincolo sorto tra le parti è rimessa, in via potestativa, alla sola volontà del comodante, che ha facoltà di manifestarla ad nutum con la semplice richiesta di restituzione del bene, senza che assuma alcun rilievo la circostanza che l'immobile sia stato adibito ad uso familiare e sia stato assegnato, in sede di separazione personale dei coniugi comodatari, al genitore affidatario della prole (Cass. civ., sez. III, 7 luglio 2010, n. 15986).

Rimessione alle Sezioni Unite

Ritenuto che un netto contrasto, finora insoluto, travaglia ancora oggi dottrina e giurisprudenza circa i poteri di revoca del beneficio da parte del soggetto (quasi sempre un familiare) che abbia concesso in comodato un proprio immobile destinato ad abitazione familiare, la Suprema Corte (sez. III civ.) ha puntualizzato l'opportunità di rimettere alle Sezioni Unite la eliminazione del profondo, perdurante contrasto, invitando il Primo Presidente della Cassazione a provvedere in conformità, sol che lo ritenga necessario (Cass. civ., ord., 17 giugno 2013, n. 15113).

Richiesta del comodante di restituzione del bene deve rispondere ad un bisogno imprevisto e urgente

Ai sensi dell'art. 1809 comma 2 c.c., il bisogno che giustifica la richiesta del comodante di restituzione del bene non deve essere grave ma imprevisto (e, dunque, sopravvenuto rispetto al momento della stipula del contratto di comodato) ed urgente, senza che rilevino bisogni non attuali, né concreti o solo astrattamente ipotizzabili. Ne consegue che non solo la necessità di un uso diretto ma anche il sopravvenire d'un imprevisto deterioramento della condizione economica del comodante - che giustifichi la restituzione del bene ai fini della sua vendita o di una redditizia locazione - consente di porre fine al comodato, ancorché la sua destinazione sia quella di casa familiare, ferma, in tal caso, la necessità che il giudice eserciti con massima attenzione il controllo di proporzionalità e adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela della prole e il contrapposto bisogno del comodante (Cass. civ., S.U., 29 settembre 2014, n. 20448).

Assegnazione parziale e mancata assegnazione

Per come è formulata la norma l'assegnazione potrebbe essere anche parziale, ove le dimensioni e la conformazione dell'immobile lo permettano. Né peraltro si vede per quale motivo un immobile di grandi dimensioni dovrebbe essere assegnato per intero, quando sia sufficiente alle esigenze abitative dell'assegnatario e dei figli assegnarne una parte.

In questo senso si è pronunciata positivamente parte della dottrina (A. Cattaneo, La casa familiare, in Fam. Pers. Succ. 5/2011, 366; V. Alvisi, L'assegnazione parziale della casa coniugale, in Fam. Diritto, 5/2012, 477), e anche la giurisprudenza anche se non si registrano molte pronunce sul punto (cfr. in questo senso Cass.civ.,n.23631/2011 ; Cass. civ,n.8580/2014, nella quale si precisa che l'assegnazione parziale, potendo comportare l'abitazione dell'altro genitore nell'immobile contiguo a quello assegnato, può essere disposta solo in casi di bassa o assente conflittualità; si veda anche, in senso dubitativo, Cass.civ,n.16593/2008). o nell'ipotesi, considerata eccezionale, in cui essa possa essere agevolmente divisa in due distinte unità abitative (Cass. civ. n. 13658/2022; Cass. civ. n. 22266/2020). Inoltre, in alcuni casi, si potrebbe anche non procedere ad assegnazione, qualora la determinazione dei tempi di permanenza dei figli presso ciascun genitore o eventualmente anche i costi di gestione dell'immobile, tra spese, imposte e mutuo, la rendano inopportuna. La norma infatti non impone di procedere necessariamente ad assegnazione, ma lascia al giudice un ampio margine di discrezionalità, in modo da adattare il provvedimento alle esigenze del caso concreto (cfr. in questo senso Cass. civ., n.10538/1996).

Corollari dell'assegnazione

La casa familiare si intende assegnata con quanto la arreda, anche se la legge nulla disciplina sul punto. Solitamente i provvedimenti giudiziali insieme all'assegnazione prevedono anche l'arredamento. È però pressoché unanime l'opinione che, anche in mancanza di un'espressa previsione da parte del giudice, la casa debba intendersi assegnata unitamente all'arredamento (Cass. civ., n. 878/1996).

Occorre chiedersi a questo punto che cosa ne sia di arredi di particolare importanza e valore, come ad esempio una collezione di quadri o mobili di particolare pregio. In linea generale si deve ritenere che l'arredamento sia in linea con le possibilità della famiglia e che a prescindere dal suo valore costituisca l'habitat famigliare, senza possibilità quindi di fare distinzioni che comportino uno spoglio della casa. Tuttavia, posto che la norma nulla dice sul punto e il margine di discrezionalità lasciato al giudice è molto ampio, si ritiene che dovrebbe essere possibile assumere provvedimenti ad hoc che tengano conto delle esigenze del genitore non assegnatario, il quale dovrebbe avere la possibilità di rientrare in possesso di uno o più beni a cui fosse particolarmente legato, qualora si rendesse disponibile a sostituirli con beni di analogo pregio o comunque apprezzabili, in modo da contemperare l'esigenza di non alterare a danno dei figli quell'ambiente domestico che la norma intende tutelare con l'esigenza di assumere provvedimenti equi ed equilibrati.

Nulla dice la norma, altresì, con riferimento alle pertinenze dell'immobile, ma è pacifico che l'assegnazione ricomprenderà gli accessori e le pertinenze della casa stessa, mentre in mancanza di un vincolo di pertinenzialità, invece, come è il caso di box o posti auto esterni rispetto allo stabile in cui si trova la casa famigliare, si ritiene che non si possa disporre alcuna assegnazione. Si veda in questo senso la Suprema Corte, secondo cui«l'assegnazione della casa coniugale deve intendersi estensibile al box, quale pertinenza della cosa principale, qualora questo sia oggettivamente al servizio dell'appartamento, essendo situato sullo stesso palazzo, ed entrambi gli immobili appartengano ad un solo coniuge» (Cass.civ.,n.24104/2009).

Valore economico dell'assegnazione

L'art. 337-quater c.c. prevede che «dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerando l'eventuale titolo di proprietà». Pare un'ovvietà, ma giustamente il legislatore ha ritenuto opportuno che, nella determinazione dei provvedimenti economici, il giudice debba tenere conto del valore dell'assegnazione, sotto ogni profilo (Cass. civ., n. 8764/2023; Cass. civ. n. 27999/2022).

Con la previsione in commento, il legislatore - configurando nell'assegnazione della casa familiare una modalità attraverso la quale viene comunque adempiuta l'obbligazione di mantenimento – ha cercato di comparare il godimento della casa di abitazione con gli svantaggi derivanti al titolare del bene, consistenti nella privazione dell'immobile e nella diminuzione del suo valore per effetto della sussistenza su di esso del vincolo determinato dall'assegnazione stessa (Cass. civ. n. 6712/2005).

Tuttavia, la rilevanza economica indicata dalla norma, non potrà tradursi nel diritto ad una controprestazione, dovendosi escludere, ad esempio, che possa essere imposto il pagamento di un canone da parte dell'assegnatario, o comunque, di qualsivoglia corrispettivo che finirebbe per snaturare la funzione dell'istituto, potendo portare – invece – ad una diminuzione degli obblighi patrimoniali, da valutarsi nell'ambito della complessiva situazione economica riferibile alle parti (Cass. civ. n. 4188/2006).

Il più evidente è il sacrificio economico subito dal genitore che perde l'uso dell'immobile, sia egli proprietario in via esclusiva o comproprietario con l'altro coniuge. Basti dire che l'assegnazione comporta un notevole risparmio per il genitore assegnatario, a cui corrispondono tutti i costi di una nuova casa per l'altro genitore, a partire dal canone e dalla cauzione se in locazione oppure dai costi di un acquisto.

Tale sacrificio economico sussiste per la verità già solo per il fatto che la casa assegnata è già arredata e corredata, il che costituisce un'evidente vantaggio per il genitore assegnatario e uno speculare svantaggio per l'altro genitore, che non solo deve trovarsi una nuova casa, ma se la deve anche arredare.

Ulteriore elemento da tenere in considerazione è relativo all'esistenza o meno di un eventuale mutuo contratto per l'acquisto della casa, poiché tale debito, ancorché di fonte contrattuale – perciò estraneo alla fattispecie che ci occupa - costituisce un elemento importante all'interno delle questioni economiche che interessano la famiglia, soprattutto nella fase della sua crisi. In relazione a tale fattispecie, vi sono pronunce in cui il Giudice abbia posto a carico di un genitore, quale modalità di adempimento dell'obbligazione di contribuzione al mantenimento dei figli, il pagamento delle rate di mutuo contratto per l'acquisto della casa familiare, trattandosi di voce di spesa sufficientemente determinata e strumentale alla soddisfazione delle esigenze in vista delle quali detto obbligo è disposto (Cass.n. 20139/2013).

Di recente la Suprema Corte è intervenuta sul punto statuendo che l'assegnazione della casa familiare, oltre ad integrare un capo della sentenza a sé, costituisce anche parte del capo relativo alle disposizioni di carattere economico e, comunque, a quest'ultimo strettamente connesso sussistendo una situazione di pregiudizialità – dipendenza che comporta il potere – dovere del giudice del gravame, ai sensi dell'art. 336, comma 1,c.c. di procedere d'ufficio alla rivalutazione dell'entità del contributo di mantenimento fissato in primo grado (Cass. civ. n. 33606/2021).

Costi di gestione della casa assegnata (spese e imposte)

Per giurisprudenza constante le spese ordinarie della casa familiare, salvo diversa disposizione del giudice, sono a carico dell'assegnatario, mentre quelle straordinarie restano a carico della proprietà, analogamente a quanto avviene in caso di locazione. » (Cass.civ.,n.18476/2005).

Quanto alle imposte sugli immobili assegnati, occorre fare riferimento alla legge 27 dicembre2013, n.147 e successive modificazioni (cd. Legge di Stabilità 2014).

L'art. 1, comma 639, ha istituito la IUC (imposta unica), «che si compone dell'imposta municipale propria (IMU), di natura patrimoniale, dovuta dal possessore di immobili, escluse le tasse su servizi indivisibili (TASI), a carico sia del possessore che dell'utilizzatore dell'immobile, e nella tassa sui rifiuti (TARI), destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, a carico dell'utilizzatore».

Con riferimento all'IMU (Imposta Municipale Unica) il successivo comma 707 dell'art. 1 della medesima legge dispone che «l'imposta municipale propria non si applica (...) alla casa coniugale assegnata al coniuge, a seguito di provvedimento di separazione legale,

annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio». Nessun dubbio quindi si pone circa la qualificazione della casa assegnata quale abitazione principale, con conseguente esenzione dal pagamento dell'IMU.

Per quanto riguarda la TASI (Tassa sui servizi pubblici resi ai proprietari di immobili), abbiamo visto che l'art.1, comma639, l.n.147/2013 dispone che al pagamento siano tenuti sia il possessore sia l'utilizzatore dell'immobile, mentre il precedente comma 681 dispone che «Nel caso in cui l'unità immobiliare è occupata da un soggetto diverso dal titolare del diritto reale sull'unità immobiliare, quest'ultimo e l'occupante sono titolari di un'autonoma obbligazione tributaria. L'occupante versa la TASI nella misura, stabilita dal comune nel regolamento, compresa fra il 10 e il 30 per cento dell'ammontare complessivo della TASI, calcolato applicando l'aliquota di cui ai commi 676 e 677. La restante parte è corrisposta dal titolare del diritto reale sull'unità immobiliare». È quindi chiara la ripartizione tra occupante e proprietario nella proporzione indicata dalla legge.

Migliorie apportate all'abitazione

Le eventuali migliorie apportate all'abitazione dall'assegnatario non possono essere oggetto di rimborso, qualora non siano state concordate. Abbiamo visto, infatti, che il proprietario è tenuto unicamente a pagare le spese di gestione straordinaria, con ciò intendendosi le spese condominiali straordinarie oppure le spese di manutenzione comunque inerenti alla struttura dell'immobile. Ogni altra miglioria quindi, come in caso di locazione, resta a carico dell'assegnatario che l'ha effettuata. Si pensi al caso di una ristrutturazione dell'immobile non concordata. Come nella locazione (art. 1592 c.c.) il proprietario non è tenuto a pagarla, né a rimborsarla.

Conseguenze dell'assegnazione

Salvo diversa disposizione del giudice, il genitore non assegnatario deve lasciare immediatamente la casa una volta emesso il provvedimento di assegnazione. Il giudice, però, come spesso avviene, può anche emettere un provvedimento che preveda un termine per il rilascio per consentire al genitore non assegnatario di trovarsi una nuova abitazione.

A seguito dell'assegnazione il genitore non assegnatario perde il domicilio nella casa coniugale e deve riconsegnare le chiavi, al punto che, qualora facesse rientro nella casa senza autorizzazione del genitore assegnatario, commetterebbe il reato di violazione di domicilio.

Il genitore non assegnatario, inoltre, deve trasferire la propria residenza nella sua nuova abitazione, per regolarizzare la sua situazione sotto il profilo anagrafico.

Cessazione della assegnazione

L'art.337-sexiesc.c. dispone che «Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio». La norma è evidentemente incompleta in quanto il primo motivo di cessazione del diritto di assegnazione è che vengano meno i presupposti della stessa, ovvero che i figli cessino di convivere con il genitore assegnatario oppure che, pur ancora conviventi con il genitore, diventino economicamente autosufficienti (Cass. n. 1546/2018; Cass. n. 13354/2017),o per l'ipotesi in cui il nucleo familiare abbia perso la sua identità originaria, avendo i figli creato a loro volta distinti nuclei (Cass. 9372/2018; Cass. n. 6559/1997).

Con riferimento ai motivi di cessazione della assegnazione previsti dalla norma sopra citata, occorre distinguere tra l'ipotesi che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare nella casa da quella della convivenza more uxorio e del nuovo matrimonio dell'assegnatario.

La prima ipotesi non pone problemi sotto il profilo giuridico, poiché non vi sono dubbi che l'assegnazione debba cessare se l'immobile non viene adibito, o cessa di essere adibito, dall'assegnatario a casa familiare. Si deve quindi soltanto compiere un corretto ed esauriente accertamento di fatto in merito alla effettiva realizzazione della fattispecie, tenendo comunque in considerazione l'interesse della prole, come indicato dalla giurisprudenza. (Cass.civ.,n.14348/2012).

Per quanto concerne, invece, la seconda ipotesi, ovvero la convivenza more uxorio o il matrimonio dell'assegnatario, la norma prevede un automatismo che è stato bocciato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo cui il giudice, anche in tali ipotesi, deve sempre accertare quale sia l'interesse del minore, eventualmente confermando l'assegnazione ove la ritenga rispondente a tale interesse. La norma è stata quindi ritenuta conforme al dettato della Costituzione «ove sia interpretata nel senso che l'assegnazione della casa coniugale non venga meno di diritto al verificarsi degli eventi di cui si tratta (instaurazione di una convivenza di fatto, nuovo matrimonio), ma che la decadenza dalla stessa sia subordinata ad un giudizio di conformità all'interesse del minore» (così C. Cost., n.308/2008).

Sul punto di recente la giurisprudenza di legittimità ha altresì precisato che «Ai fini della revoca dell'assegnazione della casa coniugale all'ex coniuge (nella specie, collocatario di un figlio maggiorenne con grave deficit psico-fisico), è richiesto un accertamento rigoroso del venir meno dell'esigenza abitativa con carattere di stabilità, e dunque di irreversibilità, in considerazione del prioritario interesse della prole convivente con l'assegnatario, nonché dei sopravvenuti fatti modificativi delle condizioni economiche di ciascuno dei coniugi, in funzione dell'eventuale adeguamento delle statuizioni economiche»(Cass. 16286/2020).

Il provvedimento di revoca dell'assegnazione costituisce titolo esecutivo per il rilascio «anche quando l'ordine di rilascio non sia stato (...) esplicitamente pronunciato» o quando sia «privo della condanna per il coniuge ex assegnatario all'allontanamento» (cfr. Cass. civ., sez. III, 31 gennaio2012,n.1367).

La revoca dell'assegnazione della casa familiare al coniuge beneficiario dell'assegno divorzile non giustifica l'automatico aumento di tale assegno, trattandosi di un provvedimento che ha come esclusivo presupposto l'accertamento del venir meno dell'interesse dei figli alla conservazione dell'habitat domestico, in conseguenza del raggiungimento della maggiore età e del conseguimento dell'autosufficienza economica, o della cessazione del rapporto di convivenza con il genitore assegnatario (Cass. civ., n. 9500/2023).

L'opponibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione della casa familiare

Il provvedimento di assegnazione della casa familiare nonché quello di revoca potranno essere trascritti e sono opponibili ai terzi ai sensi dell'art. 2643 c.c.

Discussa è stata, invece, l'opponibilità nei confronti dei terzi dei provvedimenti di assegnazione della casa familiare non trascritti e in particolare la possibilità che, in tal caso, gli stessi possano, comunque, essere opponibili entro il novennio.

La giurisprudenza, a partire dalla pronuncia n. 20144/ 2009 della Suprema Corte, ha previsto che la mancata trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa familiare esclude l'opponibilità del vincolo, oltre il novennio, al terzo che pur conoscendo dell'esistenza del provvedimento in questione abbia, successivamente alla sua pronuncia, acquistato l'immobile dal proprietario, potendo l'opponibilità, oltre detto lasso temporale, derivare dalla trascrizione del provvedimento in quanto unico adempimento a cui può essere attribuita valenza di pubblicità legale (Cass. n. 20144/2009, Cass. n. 7776/2016).

Su tale scia si pongono altre pronunce con le quali i giudici di legittimità hanno sancito che il provvedimento di assegnazione della casa familiare al coniuge, o alla convivente affidataria dei figli minori o maggiorenni non autosufficienti, è opponibile – nei limiti del novennio, ove non trascritto – anche al terzo acquirente dell'immobile solo finché perduri l'efficacia della pronuncia giudiziale, con la conseguenza che venendo meno i presupposti per la sussistenza del diritto reale di godimento che ci occupa, il terzo acquirente sarà legittimato a proporre un'azione di accertamento al fine di conseguire la declaratoria di inefficacia del titolo e la condanna dell'occupante al pagamento di un'indennità di occupazione (Cass. n. 1744/2018).

Inoltre, è stato precisato che il provvedimento di assegnazione della casa familiare attribuisce al beneficiario la qualità di detentore qualificato che è opponibile al terzo che abbia acquistato successivamente una posizione giuridica incompatibile con quella del soggetto assegnatario dell'immobile, e ciò a prescindere dalla trascrizione o meno del relativo provvedimento (Cass. n. 9990/2019).

Diversa è l'ipotesi dell'opponibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione della casa familiare, qualora la cessione dei diritti vantati sul bene sia avvenuta in epoca antecedente rispetto all'assegnazione in questione. Per detta ipotesi, la giurisprudenza ritiene che “in caso di cessione al terzo effettuata in costanza di matrimonio dal coniuge esclusivo proprietario dell'immobile precedentemente utilizzato per le esigenze della famiglia, il provvedimento di assegnazione della casa familiare all'altro coniuge - non titolare di diritti reali sul bene - collocatario della prole, emesso in data successiva a quella dell'atto di acquisto compiuto dal terzo, è a questi opponibile ai sensi dell'art. 155 – quater c.c. applicabile "ratione temporis" - e dell'art. 6, comma 6, della legge n. 898 del 1970, in quanto analogicamente applicabile al regime di separazione, soltanto se - a seguito di accertamento in fatto da compiersi alla stregua delle risultanze circostanziali acquisite - il giudice di merito ravvisi l'instaurazione di un preesistente rapporto, in corso di esecuzione, tra il terzo ed il predetto coniuge dal quale quest'ultimo derivi il diritto di godimento funzionale alle esigenze della famiglia, sul contenuto del quale viene a conformarsi il successivo vincolo disposto dal provvedimento di assegnazione. Tale ipotesi ricorre nel caso in cui il terzo abbia acquistato la proprietà con clausola di rispetto del titolo di detenzione qualificata derivante al coniuge dal negozio familiare, ovvero nel caso in cui il terzo abbia inteso concludere un contratto di comodato, in funzione delle esigenze del residuo nucleo familiare, con il coniuge occupante l'immobile, non essendo sufficiente a tal fine la mera consapevolezza, da parte del terzo, al momento dell'acquisto, della pregressa situazione di fatto di utilizzo del bene immobile da parte della famiglia” (Cass. n. 9990/2019).

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